Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

La Cassazione
tra “vecchia” e “nuova”
concussione per induzione

di Rocco Gustavo Maruotti
sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rieti
Tra la previgente fattispecie di “Concussione”, comprensiva anche della condotta di induzione, e la nuova “Induzione indebita a dare o a promettere utilità” la Cassazione opta, in un’ottica intertemporale, per la continuità normativa
La Cassazione<br>tra “vecchia” e “nuova”<br>concussione per induzione

Tra la previgente fattispecie di “Concussione”, comprensiva anche della condotta di induzione, e la nuova “Induzione indebita a dare o a promettere utilità” la Cassazione opta, in un’ottica intertemporale, per la continuità normativa.

A meno di un mese dall’approvazione della legge n. 190 del 6 novembre 2012, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, la Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3251 del 5 dicembre 2012, depositata il 22 gennaio 2013, interviene per la prima volta sugli effetti, in ottica intertemporale, del recente “divorzio” tra concussione per costrizione e concussione per induzione: quest’ultima, infatti, dopo una convivenza durata più di ottant’anni, abbandonato il tetto “coniugale” dell’art. 317 c.p., si è trasferita, armi e bagagli, sotto un nuovo tetto normativo costruito ad hoc, l’art. 319-quater c.p. rubricato “Induzione indebita a dare o promettere utilità”, non prima, però, di essersi sottoposta ad un lifting, per così dire, “alla europea” (in quanto ispirato alle istanze sovranazionali e, in particolare, al Rapporto sulla fase 3 dell’applicazione della Convenzione anticorruzione OCSE in Italia e al Rapporto GRECO), che, però, a giudizio della Suprema Corte ne lascia immutata l’essenza.

Nel primo passaggio logico della sentenza, la Corte, dopo aver brevemente richiamato l’attenzione sul tratto distintivo tra il delitto di concussione, caratterizzato dalla posizione preminente dell’agente, espressa dalla locuzione “abuso della qualità o dei poteri”, e l’ipotesi di confine dell’istigazione alla corruzione di cui all’art. 322 c.p., quest’ultima caratterizzata da un rapporto paritario tra istigatore ed istigato riguardante il mercimonio dei poteri, dà conto delle più importanti modifiche strutturali che sono state apportate alla fattispecie della concussione regolata dall’art. 317 c.p.: «in particolare, è stato espunto tra i soggetti attivi l’incaricato di pubblico servizio, risultando la concussione oggi limitata alla sola condotta del pubblico ufficiale; ancora, è stata estrapolata dalla struttura del reato la condotta di induzione, prima alternativa alla costrizione, quest’ultima oggi esclusivamente concretante l’ipotesi della concussione; l’induzione, infine, sempre qualificata dall’abuso della qualità o dei poteri in funzione dell’indebita promessa o dazione, è divenuta momento costitutivo di una nuova fattispecie delittuosa, collocata nell’inedito art. 319-quater c.p., sotto la rubrica “Induzione indebita a dare o promettere”, e vede, tra i soggetti punibili, come nel passato, indistintamente, sia il pubblico ufficiale che l’incaricato di pubblico servizio – a differenza della concussione – ma anche, novità assoluta rispetto al precedente dato normativo, il privato che si determina a dare o promettere indebitamente». Da ultimo, la Corte, nell’ottica dell’applicazione intertemporale, pone in evidenza la modifica che ha riguardato il trattamento sanzionatorio ed, in particolare, il meno rigoroso trattamento sancito per l’ipotesi di cui all’art. 319-quater c.p. (reclusione da 3 a 8 anni) rispetto a quello previsto in precedenza per la concussione da induzione (reclusione da 4 a 12 anni), e ciò a fronte di un aggravamento della pena per la concussione così come riformata (reclusione da 6 a 12 anni).

Nel secondo e decisivo passaggio logico della sentenza, la Suprema Corte, concentra la sua attenzione sul principale elemento di differenziazione tra l’attuale art. 317 c.p. e il nuovo art. 319-quater, primo comma, c.p., individuato nell’«uso del termine “costringe” da parte della prima disposizione rispetto al termine “induce” da parte della seconda», il che porta il Giudice della legittimità a ritenere che l’ambito di operatività assegnato dal legislatore della riforma alle due disposizioni corrisponde, se sommato, all’area del precedente art. 317 c.p., da cui ne discende che gli attuali artt. 317 e 319-quater, primo comma, c.p. sarebbero in rapporto di perfetta continuità con il precedente testo dell’art. 317 c.p., di cui coprono la medesima area di rilevanza penale, eccezion fatta per il secondo comma dell’art. 319-quater c.p. che prevede un’ipotesi di nuova incriminazione in relazione alla punibilità del soggetto che, indebitamente indotto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, dà o promette denaro o altra utilità.

A giudizio della Corte, tuttavia, è proprio valorizzando questa ultima novità, nonché il diverso trattamento sanzionatorio riservato alle due ipotesi criminose di cui ai nuovi artt. 317 e 319-quater, primo comma, c.p., che – seppure, come detto, in un’ottica di sostanziale continuità col vecchio art. 317 c.p. – può cogliersi l’aspetto maggiormente innovativo della riforma de qua, non potendosi ritenere che l’avvenuta scissione delle ipotesi di concussione per costrizione e di concussione per induzione possa ridursi ad una mera operazione di ricollocazione topografica. Al contrario, intento del legislatore sarebbe stato quello di marcare la differenza tra il “costringere” e l’“indurre”, verbi la cui precedente equipollenza in ordine al trattamento sanzionatorio della condotta di concussione non aveva stimolato una riflessione sul loro significato specifico, al punto da limitarsi a ritenere che l’induzione fosse quasi una forma blanda o implicita di costrizione.

Al contrario, la Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, nel tracciare la linea di riferimento da seguire nel giudizio di rinvio, ridisegna i contorni dei differenti concetti di “costrizione” ed “induzione”, delineando il primo – che rappresenta l’elemento materiale del delitto di concussione nel nuovo testo dell’art. 317 c.p. – come «qualunque violenza morale attuata con abuso di qualità o di poteri che si risolva in una minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto recante una lesione non patrimoniale o patrimoniale, costituita da danno emergente o lucro cessante»; mentre, il secondo – che caratterizza l’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 319-quater c.p. – viene definito come «la condotta del pubblico ufficiale che prospetti conseguenze sfavorevoli derivanti dall’applicazione della legge per ottenere il pagamento o la promessa indebita di denaro o altra utilità».

A ben considerare, questa ricostruzione basata sulla distinzione tra concussione e induzione indebita, che assegna all’attuale art. 317 c.p. l’ambito della minaccia in senso tecnico e al nuovo art. 319-quater c.p. ogni altra prospettazione di danno, oltre a consentire il recupero di quella distinzione tra il costringere e l’indurre – che, ben presente nel codice Zanardelli (nel quale era ben chiara la distinzione tra la concussione costrittiva, quale ipotesi speciale di estorsione, e la concussione fraudolenta o per induzione, quale ipotesi speciale di truffa), era stata invece obliterata nel codice Rocco sulla base di quella visione ideologica secondo la quale “l’indurre ha una gravità non minore del costringere” –, ed a mettere fine ad una “convivenza asimmetrica” – che, peraltro, in passato si è dimostrata particolarmente utile sul piano delle esigenze repressive che si sono profilate in sede di accertamento delle vicende di malaffare – corrisponde anche, a giudizio della Corte, «ad un razionale assetto dei valori in gioco che non può essere trascurato». Infatti, si legge ancora in sentenza, «sotto l’aspetto assiologico è comprensibile perché chi prospetti un male ingiusto è punibile più gravemente di chi prospetti un danno che derivi dalla legge. E ancora e soprattutto si veste di ragionevolezza prevedere in quest’ultimo caso la punizione di chi aderisce alla violazione della legge per un suo tornaconto». In altri termini, la Cassazione valuta giustificato sia il gradiente sanzionatorio introdotto tra le due fattispecie, sia il diverso trattamento tra il concusso (privo della libertà di agire diversamente laddove intenda evitare il pregiudizio prospettato) e l’indotto (punito proprio perché comunque mantiene la libera determinazione di sottrarsi alla indebita richiesta).

In conclusione, la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha affermato la continuità fra l’incriminazione prevista nel precedente testo dell’art. 317 c.p. e quelle oggi vigenti contenute nel medesimo art. 317 e nella nuova fattispecie di cui all’art. 319-quater, primo comma, c.p., aggiungendo che quest’ultima, quale norma più favorevole, in ossequio alla disciplina di cui all’art. 2, quarto comma, c.p., può essere anche applicata alle condotte precedentemente commesse. Cosa che non può accadere, invece, in virtù del principio di irretroattività della legge penale, in relazione al secondo comma dell’art. 319-quater c.p. che prevede, come detto, un’ipotesi di nuova incriminazione rappresentata dalla punibilità del soggetto indotto che mira ad un risultato illegittimo a lui favorevole.

Trattasi, evidentemente, di una soluzione che si impone in virtù della semplice lettura del dato normativo, ma che finisce, inevitabilmente, per dare ragione delle perplessità a suo tempo sollevate dall’ANM, il cui Comitato direttivo centrale, nel documento del 27 ottobre 2012, segnalava tra le principali criticità dell’approvando D.D.L. “anticorruzione” proprio la riscrittura della concussione per induzione ed in particolare «la previsione di una pena significativamente inferiore all’attuale e l’incriminazione generalizzata del soggetto indotto», che, abbinate all’assenza di disciplina transitoria, avranno «effetti prevedibilmente dirompenti sui processi in corso, per la contrazione improvvisa dei tempi di prescrizione e la possibile ricaduta sul materiale probatorio già legittimamente acquisito, con sostanziali effetti di parziale amnistia». Che sarebbe stato questo il “prezzo da pagare” era, perciò, già chiaro. Speriamo almeno che, a conti fatti, il bilancio finale della riforma si chiuda con un segno positivo, per effetto delle altre novità introdotte sul piano sia della prevenzione sia della repressione dei fenomeni corruttivi.

11/02/2013
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