Magistratura democratica
giurisprudenza di legittimità

Il giudice, il consulente e la Cassazione
Brevi osservazioni a Cass. n. 7041/2013

di Maria Giuliana Civinini
già Presidente del Tribunale di Pisa
La Corte di Cassazione ammette il ricorso straordinario ex art. 111 Cost contro provvedimento della Corte d'Appello in materia di potestà per poter intervenite in materia di sindrome di alienazione parentale
Il giudice, il consulente e la Cassazione<br>
Brevi osservazioni a Cass. n. 7041/2013

La sentenza della Prima Sezione Civile della SC n. 7041 del 2013 presenta due profili di grande interesse: sul piano dei limiti di ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost avverso provvedimenti camerali e sul piano dell’introduzione nel processo civile della prova scientifica.

Quest’ultimo tema, connesso all’altro del nesso di causalità e da tempo al centro di un vivo dibattito scientifico e giurisprudenziale in sede penale (dove la Corte di Cassazione ha costruito, a partire dalla sentenza Franzese, un solido tessuto di principi interpretativi cui il giudice deve attenersi), acquista un’importanza sempre maggiore anche in sede civile. 

Da un lato l’incremento massiccio dei fattori di rischio e dall’altro l’emergere di fattispecie, le quali possono essere provate e conosciute solo attraverso la mediazione di conoscenze scientifiche altamente specializzate (si pensi alla genesi di malattie professionali e agli studi statistici ed epidemiologici), pongono al giudice civile il problema dell’introduzione della conoscenza scientifica nel processo e del controllo dei contenuti di tale conoscenza.

Forse è per questo che la S.C. ha deciso di rompere gli argini di una consolidata (anche in funzione di self-restreint) giurisprudenza in materia di ammissibilità di ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. e cogliere l’occasione per fissare alcune regole del rapporto giudice - scienza - consulente … e dire la sua sulla sindrome di alienazione parentale.

Il caso di specie si riassume nelle seguenti tappe: 2002 - il TO affida in via esclusiva il minore alla madre in sede di separazione; 2009 - il TribMin dichiara la decadenza dalla potestà della madre e affida il minore - che resta collocato presso la madre - ai servizi sociali; 2010 - il TribMin respinge le domande delle parti rispettivamente di revoca del collocamento e di revoca della decadenza, conferma l’affidamento ai servizi sociali; la CdA  in sede di reclamo dispone l’affidamento al padre con collocamento in struttura protetta.

E’ contro quest’ultimo decreto che viene proposto ricorso per cassazione e la Corte ne dichiara l’ammissibilità. Per far ciò, cercando di mantenere un pò di coerenza con la propria annosa giurisprudenza, la SC qualifica il secondo procedimento innanzi al Tribunale per i Minorenni come revisione delle condizioni della separazione e quindi come controversia che prescinde dalla titolarità della potestà e che è tesa a risolvere il conflitto tra i genitori sull’affidamento della prole. Nel far ciò - e nel nome della prevalenza della sostanza sulla forma - sorvola sul fatto che l’assetto dell’affidamento fissato in separazione non esisteva più (essendo stato rimosso dal primo decreto del TribMin nel 2009 e sostituito con l’affidamento ai servizi sociali) e che, a suo dire, il giudice fosse incompetente, competente essendo il TO. 

In questo modo la Corte si contraddice su più fronti: sulla competenza, essendo stato affermato ormai da una risalente pronuncia a SU (n. 1551/1983) che è competente il TribMin a modificare le condizioni di separazione e divorzio nei casi in cui la causa petendi è costituita da interventi ablativi e limitativi della potestà (o, come poi è stato interpretato nella prassi applicativa, da interventi che rimuovono comportamenti pregiudizievoli di un genitore); sull’ammissibilità del ricorso, perchè pacifico era finora che, quando si tratti di provvedimenti ex art. 330 ss. C.c., il ricorso è inammissibile (v. per l’ampia motivazione Cass.n. 15341/2012, la quale motiva con riferimento alla intrinseca provvisorietà, provvisorietà confermata nel caso dispecie dal fatto che la CdA avesse riservato la decisione sulle domande incidentali di modifica dei provvedimenti sulla potestà, all’esito dell’anno di sperimentazione del nuovo assetto).

Resta da sperare, anche alla luce delle nuova ripartizione delle competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni, che questa decisione non apra le porte a nuovi ricorsi di coppie conflittuali che andrebbero ad aggiungersi - e non se ne sentiva veramente il bisogno - all’oneroso arretrato civile della SC.

Ciò detto, resta l’interesse per quanto affermato in tema di prova scientifica introdotta nel processo attraverso una CTU.

Nella specie si trattava della diagnosi di Sindrome di Alienazione Parentale nel minore, sindrome il cui fondamento e le cui caratteristiche sono oggetto di un vivo confronto all’interno della comunità scientifica. La parte che ne contestava la sussistenza, aveva motivatamente mosso dettagliate critiche alle tesi sui cui si era basato il consulente nella sua analisi. Ritenuto che la relazione di consulenza fosse stata fatta propria dal giudice in punto di diagnosi della sindrome di alienazione parentale e che le statuizioni della CdA rispondessero a pretese esigenze terapeutiche, la SC - rilevato che la bontà della motivazione dipendeva esclusivamente “da quella della valutazione clinica, posto che da una diagnosi in tesi errata non può derivare una terapia corretta” - ha affermato due principi:

  1. Che il giudice di merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni dell’adesione alle conclusioni della CTU, potendo limitarsi ad un semplice richiamo, salvo nel caso che alla CTU siano mosse censure specifiche, cui è tenuto a rispondere.
  2. Che il giudice, avvalendosi delle proprie conoscenze scientifiche o avvalendosi di idonei esperti, deve verificare il fondamento scientifico di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale, non dovendo indurre la difficoltà di validazione di una teoria a rassegnata rinuncia.

Tali principi non possono che essere condivisi, salvo sollevare perplessità sull’invito all’utilizzo da parte del giudice delle proprie conoscenze scientifiche che, laddove non rientrino nel notorio (e saranno allora di scarso aiuto) sconfinano nel sapere privato.

Resta la perplessità suscitata dall’osservare la Corte di legittimità che, pur muovendosi dietro il velo dei vizi di motivazione, di fatto valida (come è accaduto nel caso del tumore al cervello da GSM) e invalida (come succede con la sindrome di alienazione parentale) teorie scientifiche che non trovano nella comunità di riferimento un riscontro idoneo a fondare un giudizio di elevata probabilità.

La sentenza sembra in verità porre con rinnovata urgenza il problema del ruolo della Cassazione e del rapporto tra giudice e scienza.

A quest’ultimo tema, Questione Giustizia su carta dedicherà un denso obiettivo nel n. 1 del 2013. 

10/04/2013
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