Magistratura democratica
giurisprudenza di legittimità

Caso Dragan, arresto facoltativo in flagranza e discrezionalità della P.G.

di Carmine Luca Volino
Specializzando Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa
In materia di convalida dell'arresto il sindacato giudiziale si estende con la stessa profondità sul requisito della pericolosità e su quello relativo alla gravità del fatto
Caso Dragan, arresto facoltativo in flagranza e discrezionalità della P.G.

Le circostanze di fatto, che costituiscono l’occasione di queste brevi considerazioni, ripropongono il tema dell’ampiezza del sindacato giurisdizionale, in sede di udienza di convalida dell’arresto facoltativo in flagranza,  sui presupposti applicativi di cui all’art. 381 comma 4 c.p.p. . 

La vicenda, infatti, ha preso le mosse da una misura precautelare, disposta nei confronti di un soggetto colto in flagranza di furto aggravato (artt. 624, 625 comma 1 nn. 4,7). La P.G., e il P.M. nella seguente richiesta di convalida con applicazione di misura cautelare e contestuale giudizio direttissimo, hanno ritenuto che sussistesse la pericolosità dell’agente, rilevante ai sensi del citato art. 381 comma 4 c.p.p., in virtù dei suoi precedenti penali, delle modalità dell’azione e, soprattutto, della mancanza di una fonte di reddito legittimo in capo all’indagato. Quest’ultimo fattore, in particolar modo, dimostrava, secondo gli inquirenti, la probabilità della commissione di ulteriori reati contro il patrimonio. 

Il Tribunale di Firenze in composizione monocratica, con provvedimento del 5 aprile 2012, ha rigettato le richieste del P.M., operando una valutazione di segno contrario proprio in relazione alle condizioni economiche del presunto autore del reato. Il fatto che il delitto fosse stato realizzato al fine “di provvedere a essenziali bisogni della famiglia” dimostrava, secondo il giudice, non la “effettiva e attuale probabilità di reiterazione criminosa”, ma, semplicemente, una “situazione di degrado, emarginazione ed indigenza” dell’arrestato, il cui stato di salute poteva inoltre dirsi “preoccupante” alla luce del certificato medico prodotto dalla difesa. 

Contro l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la Procura, sostenendo che al giudice, in sede di convalida, non spetti un riesame nel merito delle valutazioni operate dalla P.G., ma soltanto una verifica delle stesse in termini di ragionevolezza. Le considerazioni del ricorrente, condivise dal Procuratore generale, sono state verosimilmente accolte anche dalla Suprema Corte, che, infatti, con sentenza del 23 gennaio 2013 – di cui ancora non si conoscono le motivazioni – ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata, riconoscendo la legittimità dell’arresto in flagranza. 

Un’attenta considerazione delle questioni giuridiche sollevate da questo caso non può che muovere dal paradigma normativo delineato dall’art. 381 c.p.p. . E’ noto, a tal proposito, che la stessa terminologia utilizzata dal legislatore – che riferisce l’attributo della facoltatività all’arresto – è facilmente equivocabile. Alla P.G., infatti, una volta accertati i requisiti, alternativi, della gravità del fatto o della pericolosità del soggetto, desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto, non residua alcun margine valutativo circa l’opportunità di applicare la misura: non è l’arresto - se con ciò, correttamente, s’intende il potere di restringere la libertà personale dell’indiziato -, ma la valutazione dei suoi presupposti ad essere discrezionale. 

L’esercizio del potere d’arresto è, di conseguenza, l’oggetto di una situazione soggettiva di dovere ascritta alla P.G., nell’ipotesi sia dell’art. 380 c.p.p. sia dell’art. 381 c.p.p.. In tutti e due i casi, com’è ovvio, il destinatario del dovere è chiamato preliminarmente ad accertare se ne risultino integrati i presupposti, con la significativa differenza, nella seconda, che il richiamo, nell’art. 381 comma 4 c.p.p., alla pericolosità e alla gravità del fatto introduce un più ampio margine valutativo – per cui si parla, per l’appunto, di discrezionalità -, stante la maggiore genericità di questi requisiti rispetto agli altri che pur compongono la fattispecie. Si è di fronte, pertanto, al “fenomeno dell’«indeterminatezza intenzionale» della fattispecie nelle norme che prevedono comportamenti giuridicamente doverosi” – “intenzionale” perché frutto di un’opzione consapevole del legislatore –, che si definisce tecnicamente con il termine ‘discrezionalità’, allorché “il contegno previsto come doveroso appartenga al tipo degli atti normativi” – atto normativo potendo definirsi, in tal caso, il provvedimento mediante il quale la P.G. dispone l’arresto (cfr. Cordero, Le situazioni soggettive nel processo penale, Giappichelli, 1956, p. 161). 

In questa struttura articolata s’inserisce il sindacato del giudice, il quale è chiamato ad esprimersi sulla legittimità dell’esercizio del potere da parte della P.G. o, più correttamente, a verificare che si sia effettivamente integrata la fattispecie da cui discende la doverosità della misura precautelare. 

La valutazione del giudice incontra, quindi, sempre una preliminare valutazione della P.G., nel caso di arresto sia obbligatorio che facoltativo, per la semplice ragione che la P.G., come ogni altro organo dello Stato, non può procedere ad eseguire il dettato normativo se prima non ha valutato che se ne siano concretamente realizzati i requisiti. Basti pensare che, quando il giudice è chiamato a pronunciarsi sulla convalida, la P.G. ha già ritenuto che sussistesse uno dei reati-presupposto dell’arresto e lo stato di flagranza. 

Il problema, tuttavia, si fa particolarmente fitto, nel momento in cui il sindacato del giudice incontra il previo apprezzamento, da parte di un organo differente, di un requisito che, come si è detto, dal punto di vista del legislatore è stato volutamente lasciato in una dimensione indeterminata di significato: è il caso, che qui interessa, della pericolosità. 

Sembra che, in un simile scenario, al giudice siano astrattamente consentite due modalità d’intervento, tra loro alternative. Secondo un primo punto di vista, infatti, il giudice si limita a verificare che la polizia abbia fatto un uso ragionevole dei suoi margini di discrezionalità. Se si accetta questa prospettiva, si ammette la possibilità che la convalida intervenga anche quando il giudice non condivida le valutazioni della P.G. circa la pericolosità del soggetto o la gravità del fatto, cioè anche quando il giudice, al posto della polizia, non avrebbe proceduto all’arresto. Niente, infatti, assicura che la valutazione ragionevole di certe circostanze di fatto o, ancor più, di elementi che non godono di un’immediata dimensione empirica, come la personalità dell’agente, sia una e una sola, ben potendo due soggetti diversi, con eguale ragionevolezza, pervenire a conclusioni di segno opposto.

Proprio il caso in esame ne costituisce un esempio significativo: la P.G. ha ritenuto che le modalità dell’azione delittuosa, i precedenti penali dell’interessato e la sua situazione economica conducessero a ritenerne sussistente la pericolosità. Il giudice, invece, valutando proprio i medesimi elementi, ha concluso, sul punto, in modo negativo. 

Secondo un punto di vista differente, invece, il giudice è chiamato a compiere ex novo la stessa valutazione effettuata dalla P.G e, se giunge a conclusioni differenti, a negare la convalida. Su questa posizione sembra attestarsi l’ordinanza del Tribunale di Firenze del 5 aprile 2012, la quale, sostanzialmente, ha operato una nuova disamina delle circostanze fattuali, indipendente da quella effettuata dalla P.G. al momento dell’arresto.

Stando al primo dei due orientamenti qui brevemente delineati, il giudice è chiamato esclusivamente a constatare che la fattispecie dell’arresto facoltativo si sia integrata per mezzo di una specificazione ragionevole dei suoi elementi costitutivi ad opera della P.G.. Il secondo orientamento, invece, conduce ad una rimodulazione giudiziale della stessa fattispecie, alla luce della quale si rifondano ex post i presupposti di legittimità dell’esercizio di un potere, la cui vicenda storica si è però ormai esaurita. 

Va detto, per inciso, che la situazione d’indigenza dell’arrestato – a partire dalla quale si sviluppano le considerazioni opposte della P.G. prima e del Tribunale poi - appare come un dato conclamato, evidente fin da subito alla P.G., anche sulla scorta dei precedenti penali. Di conseguenza, nella vicenda in esame non sembra rilevante la distinzione tra elementi utili, ai fini della valutazione di pericolosità del soggetto, disponibili per la P.G. al momento dell’arresto, ed elementi che, invece, si scoprano successivamente e possano essere utilizzati dal giudice ai fini dell’eventuale convalida. 

Tuttavia, anche a voler ritenere che soltanto il giudice, e non già la P.G., abbia potuto tenere debitamente in conto la condizione economica dell’arrestato, non si sarebbe in questo modo dimostrata univocamente la legittimità della misura precautelare. Infatti, com’è noto, su questo specifico aspetto della materia la giurisprudenza di legittimità ha espresso posizioni contrastanti. A titolo esemplificativo si possono citare, da una parte, la sentenza della Corte di cassazione, n. 21577 del 27 marzo 2009, P.M. in proc. Celona, Rv. 243885 (secondo cui “in tema di convalida di un provvedimento coercitivo, il giudice è tenuto unicamente a valutare la sussistenza degli elementi che ne legittimavano l'adozione con una verifica "ex ante", con esclusione delle indagini o delle informazioni acquisite successivamente, le quali sono utilizzabili solo per l'ulteriore pronuncia sullo «status libertatis»”), dall’altra la decisione della Suprema Corte n. 22505 del 4 maggio 2007, P.M. in proc. Torres, Rv. 237602 (in cui si legge che “in tema di arresto in flagranza, il giudice della convalida ha il potere-dovere di considerare ogni circostanza coeva o successiva all'intervento della P.G., cosicché, se anche attraverso fonti di conoscenza acquisite successivamente all'arresto è apprezzabile l'insussistenza di un «fumus delicti», il giudice deve negare la convalida indipendentemente da quanto potesse risultare «ex ante», altrimenti si priverebbe la persona arrestata ingiustamente della possibilità di fare valere il suo diritto alla eventuale riparazione ex art. 314 c.p.p.”). Se si fosse optato per la soluzione proposta in quest’ultima decisione, non si sarebbe comunque potuto procedere alla convalida e l’arresto sarebbe stato, a ragione, ritenuto illegittimo. 

La ricostruzione del rapporto tra il potere d’arresto della P.G. e il sindacato del giudice in sede di convalida appare, quindi, di estrema difficoltà. Volendo ricorrere alla distinzione tra questioni di rito e questioni di merito, si potrebbe dire che la pericolosità del soggetto, cui fa riferimento l’art. 381 comma 4 c.p.p., sia ascrivibile al novero dei requisiti di merito dell’arresto facoltativo, mentre il sindacato che, secondo l’orientamento infine prevalso nella vicenda esaminata, spetta al giudice della convalida sia, invece, un controllo di rito, incentrato sul piano della congruenza motivazionale del provvedimento adottato dalla P.G. .  Se, infatti, non può dirsi che la P.G. debba provvedere ad un’esplicita motivazione del suo atto, nondimeno è certo che, dal verbale di arresto, devono emergere “elementi sufficienti per un controllo sulla ragionevolezza della misura adottata” (cfr. Cassazione, n. 25694 del 17 aprile 2003, Scarpelli e altri, Rv. 225494). 

Sembra, tuttavia, difficile sostenere che il ruolo del giudice, in sede di convalida, debba limitarsi ad una verifica della legittimità in rito del provvedimento della P.G.. L’art. 391 comma 4 c.p.p. stabilisce che il giudice debba verificare la legittimità dell’arresto: la legittimità di un provvedimento consiste nella conformità dello stesso al suo paradigma normativo, in altre parole alla sua fattispecie. Di conseguenza, il sindacato del giudice è esteso tanto quanto la fattispecie dell’arresto facoltativo in flagranza. 

L’art. 381 c.p.p. individua gli elementi che compongono tale fattispecie, dall’integrazione della quale sorge il dovere di restringere il bene giuridico tutelato dall’art. 13 Cost.. Se è vero che all’accertamento dei presupposti di questo dovere concorre, con una propria autonoma valutazione, l’organo destinatario del dovere stesso, non sembra tuttavia revocabile in dubbio che elemento della fattispecie dell’arresto facoltativo resti sempre e soltanto la pericolosità del soggetto indiziato. In altre parole, la peculiarità del fenomeno della discrezionalità sta nel fatto che il titolare della situazione soggettiva di dovere concorre a definire un elemento intenzionalmente indeterminato della stessa, ma questa concorrenza nella definizione - questa valutazione, per l’appunto, discrezionale - non deve mai confondersi con i veri e propri elementi della fattispecie. 

Limitare il controllo del giudice della convalida a quel versante, che si è definito di rito, equivale a riconoscere che, tra gli elementi della fattispecie dell’arresto facoltativo in flagranza, vi è non già la pericolosità del soggetto, ma la valutazione ragionevole, effettuata dalla P.G., circa la pericolosità del soggetto. Tuttavia, la necessità che l’arresto facoltativo sia preceduto dall’accertamento, da parte della P.G., che l’indiziato è pericoloso, non discende dal fatto che quest’accertamento sia esso stesso un elemento della fattispecie, ma, più semplicemente, dalla circostanza che l’organo chiamato ad applicare in prima battuta la norma deve ovviamente verificare che i requisiti stabiliti dal legislatore si siano effettivamente concretizzati. In questo caso il requisito non è specifico e stringente, perché il riferimento alla pericolosità è suscettibile di molteplici declinazioni ermeneutiche; tuttavia, così come non l’accertamento, da parte della P.G., del reato presupposto, ma direttamente il reato presupposto, non l’accertamento, da parte della P.G., dello stato di flagranza, ma direttamente lo stato di flagranza, allo stesso modo non l’accertamento della pericolosità, ma solo e soltanto l’effettiva pericolosità dell’agente condizionano e legittimano l’arresto. 

Di conseguenza, il fatto che, rispetto alla pericolosità, la P.G. e il giudice possano esprimere valutazioni radicalmente differenti - è lo stesso legislatore, infatti, ad aver individuato un requisito dai contorni più incerti - non toglie che, così come il giudice può negare la convalida perché accerta che il reato commesso non rientra tra quelli di cui all’art. 381 comma 2 c.p.p., lo stesso giudice possa provvedere ex art. 391 comma 6 c.p.p. in quanto neghi che, nel caso portato alla sua attenzione, concretamente fosse riscontrabile la pericolosità dell’indiziato. 

Il requisito della pericolosità, allo stesso modo di quello relativo alla gravità del fatto, è, sì, più generico degli altri che compongono il paradigma del provvedimento d’arresto, ma non per ciò qualitativamente diverso. Pertanto sembra ragionevole che il sindacato giudiziale si estenda con la stessa profondità agli uni e agli altri, senza ipotizzare, specialmente in materia de libertate, alcun margine di discrezionalità riservato ad un potere diverso da quello giudiziario. 

In conclusione, si può affermare che nella fattispecie dell’arresto facoltativo in flagranza sono previsti, dall’art. 381 comma 4 c.p.p., dei requisiti – la pericolosità e la gravità del fatto – il cui accertamento implica un margine di apprezzamento piuttosto ampio: per questa ragione, si parla correttamente di discrezionalità. Il legislatore, in altre parole, ha costruito “una fattispecie a formazione frazionata, risultante dagli estremi specificamente previsti nella norma e dall’ulteriore elemento che si desume dal risultato di una valutazione successiva” (cfr. Cordero, Le situazioni, cit., p. 170), in questo caso demandata alla P.G.. 

Nei rapporti tra P.G. e autorità giudiziaria non sembra, tuttavia, esservi ragione per escludere che il sindacato di legittimità previsto dall’art. 391 comma 4 c.p.p. si estenda a tutti gli elementi della fattispecie dell’arresto facoltativo, senza che la valutazione previamente operata dalla P.G. possa fungere, in qualche modo, da ostacolo all’intervento giudiziario, superabile solo una volta che ne sia constatata l’irragionevolezza. 

La discrezionalità può dunque atteggiarsi in due modi differenti: come mera previsione, tra le componenti della fattispecie dell’atto normativo, di un elemento volutamente indeterminato, oppure come sostituzione, nella fattispecie, dell’elemento indeterminato con la valutazione che di quest’elemento compie l’organo titolare della situazione soggettiva di dovere. 

La differenza è apprezzabile proprio sul piano della verifica della doverosità del comportamento, quindidi legittimità dell’atto normativo: nel primo caso, il giudice, intanto può confermare la valutazione in termini di legittimità, in quanto, ponendosi mentalmente nella condizione in cui si è trovata la P.G. al momento dell’arresto, pervenga alle medesime conclusioni; nell’altro, si limita ad accertare che vi sia una plausibile valutazione della P.G. relativa all’elemento in questione, il che può escludersi soltanto se questa plausibilità venga meno per un difetto di ragionevolezza.

La tecnica normativa, che dà luogo alla seconda tipologia di discrezionalità, produce una limitazione del sindacato giudiziale, poiché riserva l’accertamento del ‘vero e proprio’ elemento di fattispecie ad un organo diverso dal giudice. Essa, se può dirsi addirittura costituzionalmente necessaria allorché si tratti d’impedire l’intromissione della magistratura in questioni di esclusiva spettanza del potere esecutivo, proiettata in materia di libertà personale conduce ad esiti che destano preoccupazione. 

Se è vero, infatti, che l’art. 13 Cost. riconosce anche all’autorità di pubblica sicurezza il potere di restringere la libertà personale, esso non riserva, tuttavia, al sindacato della polizia l’accertamento dei “casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge” in cui l’esercizio di tale potere è legittimo e doveroso. Su di essi il giudice deve pertanto esprimersi con una valutazione diretta ed esaustiva: può dubitarsi, infatti, della compatibilità con i principi costituzionali in materia di libertà personale di una fattispecie, da cui ne discenda una restrizione, che includa tra i suoi elementi costitutivi un mero rinvio all’apprezzamento, per quanto ragionevole, operato dalla P.G..

06/05/2013
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