Magistratura democratica

Sulla crisi dei valori costituzionali e l’affermarsi invece dell’autoritarismo e dell’ignoranza

di Andrea Proto Pisani
Benché la Carta costituzionale legittimi varie e diverse scelte di politica economica e sociale, la sinistra italiana sembra disposta più ad aperture verso il libero mercato e le forze imprenditoriali che a scelte coraggiose, idonee a consentire l’avvicinamento a gruppi e partiti dei giovani i quali, in assenza di tali aperture, sono alla fine destinati a rifugiarsi nel “privato”.

1. Nel corso degli ultimi anni, stimolato anche dal ricordo di Carlo Verardi, ho avuto spesso occasione nei miei scritti di ripensare all’importanza che, nella formazione del nostro essere persona (con gli indissolubili diritti e doveri di solidarietà) e operatori giuridici a un tempo, ha avuto il costante richiamo ai principi fondamentali della nostra bella Costituzione del 1948, come bussola e indicazione etica del nostro agire.  Io li ho sempre più  frequentemente richiamati nei miei scritti – vds. il mio recente scritto riassuntivo: Tecniche di tutela, Costituzione del 1948 e processo civile (a proposito di una prolusione non tenuta), in Foro it., n. 10/2018, V, pp. 322-339, ed ivi, alla nota iniziale, anche qualche cenno di spiegazione tra i miei studi di procedura civile e valori costituzionali, e l’indicazione dei molti scritti precedenti. 

Si tratta di articoli solo apparentemente distinti. Essi prendono le mosse delle disposizioni fondanti della Costituzione italiana del 1948: il diritto e il dovere del lavoro con «la funzione di concorrere al progresso materiale e spirituale della società» (artt. 1 e 4); il «riconoscimento» e la «garanzia» dei diritti inviolabili della persona e la promozione, da parte dello Stato («anche tramite la rimozione di ostacoli di ordine economico sociale»), dello sviluppo e della dignità della persona, sia come singolo che nelle formazioni sociali, (artt. 2 e 3, secondo comma), nella prospettiva della attuazione dell’eguaglianza sostanziale,  nel rispetto dei «diritti e doveri di solidarietà politica, economica e sociale». Questi principi sono incompatibili con una società che, di fatto, proponga come valori centrali il potere e la ricchezza.

Questo per quanto concerne i principi fondamentali (fra i quali è oggi opportuno ricordare il diritto di asilo riconosciuto allo straniero «al quale sia impedito nel suo paese» di origine «l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana», cioè anche il «diritto» – e non una mera concessione di assistenza umanitaria – a fuggire dalla guerra o dalla fame).

 

 

2. Come è noto, la prima parte della Costituzione fu il frutto di un compromesso fra socialcomunisti e cattolici, con la partecipazione, sia pure marginale, dei Costituenti provenienti dal disciolto Partito d’azione.

Se si vanno a rileggere, in tutti i loro commi (cioè l’enunciazione di un principio e, allo stesso tempo, la previsione di regole quasi contrapposte ritenute indispensabili), gli artt. 41, 42, 43 (e gli altri successivi), risulterà più evidente come si sarebbero potuti realizzare sistemi politici ed economici diversi, fermo il rispetto della dignità della persona e il dovere di solidarietà:

  • sia da parte dei cattolici (uniti nella Democrazia cristiana, cui appartenevano i “professorini” Dossetti, Fanfani e La Pira, che tanto avevano contribuito alla redazione dei principi fondamentali), attraverso una politica centrata sul libero mercato, ma al contempo con grosse aperture all’attuazione di riforme sociali volte ad assicurare una istruzione di livello, gratuita e accessibile (tramite misure di sostegno, anche ai cd. “meno abbienti”), un sistema sanitario pubblico e universale, la tutela della stabilità del lavoro e della dignità dei lavoratori nei luoghi di lavoro e, in prospettiva, la tutela dell’ambiente;
  • sia da parte dei socialcomunisti, i quali avrebbero potuto fondare una politica economica che facesse leva sui “programmi e sui controlli” con fortissime limitazioni dell’iniziativa economica privata, con la compressione della proprietà privata “per motivi di interesse generale” specie in materia di “servizi pubblici essenziali”, di fonti energetiche o di “situazioni di monopolio”.

E ciò, in entrambi i casi, allo scopo di attuare quella stessa (comune a tutti) dignità della persona, l’eguaglianza sostanziale e i doveri di solidarietà che erano tenuti ad osservare tutti i cittadini, quale che fosse la loro collocazione politica (salvo solo il divieto formale e sostanziale di riorganizzare il disciolto Partito fascista, ex art. VII disposizioni transitorie e finali della Costituzione).

Ho riassunto alcuni punti nodali e diversità della possibile attuazione della società civile ed economica che si sarebbe e si potrebbe tutt’oggi realizzare nel pieno rispetto della Costituzione. Per scendere nel concreto, si pensi – a seguito della triste conclusione della politica di riforme iniziata da Salvador Allende in Cile nel 1973 – alla proposta di Enrico Berlinguer, niente affatto irrealizzabile (salvo la contraria volontà degli Stati Uniti), di dare vita a un «compromesso storico» fra varie forze politiche.

E il discorso potrebbe durare a lungo, ma non è il caso di indugiare sui futuribili.

 

 

3. Saltiamo con coraggio dal 1948 alla situazione attuale.

Questo salto consente alcune constatazioni.

La prima è relativa alla circostanza che, nel corso di circa duecento anni, il capitalismo fondato sul libero mercato è fallito del tutto: sia a livello europeo sia negli Stati Uniti d’America. In particolare, la “mano invisibile” che avrebbe dovuto far scaturire la felicità di tutti i cittadini (imprenditori, lavoratori e consumatori) non è stata in modo alcuno capace di assicurare (in forme sia pure attenuate) quella eguaglianza sostanziale, quella dignità della persona e quei doveri di solidarietà sopra indicati (par. 1) e più volte richiamati.

Col passare del tempo, le statistiche informano che i ricchi diminuiscono e diventano, invece, superricchi, la cd. “classe media” si evolve sempre di più verso il basso, i lavoratori subordinati (nonostante gli immensi progressi tecnici, che hanno agito nel senso di ridurre progressivamente la “fatica”) vedono diminuire i propri redditi e il ceto dei cd. “abbienti” scivola progressivamente verso la povertà, spesso assoluta.

 

 

4. Nel corso degli ultimi settant’anni, dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, abbiamo assistito a periodi duri dominati da politiche cd. “conservatrici”, sotto la necessità della (o la volontà di procedere rapidamente alla) ricostruzione (penso anche ai Paesi che dovettero affrontare i problemi derivanti dalla fine del colonialismo); a periodi di relativa tranquillità, caratterizzati da politiche cd. “democratiche”, aperte alla realizzazione di riforme “strutturali” in materia di istruzione, sanità, tutela dei lavoratori; a periodi, dal 1990 in poi, caratterizzati dalla perdita della paura della concorrenza dell’Unione Sovietica (dal “pericolo del comunismo”), nei quali le politiche cd. “socialdemocratiche” sono entrate in crisi profonda. E ciò nel mentre, dalla fine degli anni cinquanta, si andava costruendo prima la «Comunità», poi l’«Unione» europea, con progressive cessioni di sovranità da parte degli Stati nazionali e creazione della moneta unica (ma incapacità di una pressoché completa cessione di sovranità in materia economica e fiscale, previo “consolidamento” del debito pubblico accumulato da Paesi come l’Italia), contestuale apertura al rafforzamento del Parlamento europeo (e riduzione dei poteri decisionali della Commissione) e, ad un tempo, apertura indiscriminata ai Paesi ex-comunisti dell’Est europeo senza ottenere garanzie sul loro carattere almeno liberaldemocratico, etc.

Nello stesso tempo, l’Europa ha trascorso forse il periodo più lungo della sua storia senza incorrere in guerre interne, valore che spesso viene dimenticato.

Per tornare a quanto esposto all’inizio di queste rapide note, il rispetto dei valori espressi dalla tutela della dignità della persona e dallo sviluppo della sua personalità, i doveri di solidarietà politica, economica e sociale, l’attuazione progressiva dell’eguaglianza sostanziale tramite la rimozione da parte dello Stato degli ostacoli di ordine politico, economico e sociale che compromettono «di fatto la libertà e l’eguaglianza» dei cittadini, dopo avere caratterizzato la politica degli anni sessanta e settanta, dagli anni ottanta (fatte salve rare eccezioni) sono entrati lentamente in una crisi violenta, pressoché coincidente con la caduta dell’Unione Sovietica.

La situazione attuale è sotto gli occhi di tutti. Gli investimenti in settori base, quali l’istruzione e la sanità, diminuiscono (e i relativi costi sono posti sempre più a carico degli utenti); la tutela del lavoro dipendente continuamente subisce limitazioni; la previdenza sociale preoccupa. Per arrivare, nell’ultimo anno, allo sviluppo di politiche autoritarie caratterizzate non solo da vero e proprio razzismo e violazione di quei diritti inviolabili della persona umana (la cui tutela, nata negli Stati europei, si era tentato di iniziare a realizzare anche in taluni Paesi dell’Africa o dell’Asia, attraverso una politica concentrata sulla lotta contro la povertà), ma altresì da ignoranza, improvvisazione, da forme ingenue di assistenzialismo, nonché – come si suol dire – da "sovranismo" e populismo che sembrano, molto spesso, essere l’apripista di forme aggiornate di fascismo.

Ma vi è di più.

A seguito del crollo del regime sovietico (del comunismo dei Paesi dell’Europa orientale), i partiti comunisti e socialisti europei che, in modo quantitativamente diverso, avevano avuto un grosso peso (sia pure, talvolta, di interdizione e di difesa delle libertà classiche), si sciolsero (ovviamente secondo diverse modalità) sostanzialmente pressoché tutti.

Indipendentemente da diversità formali, che la caduta del muro di Berlino e quanto ne seguì produssero sui partiti comunisti e socialisti europei, un dato fu comune. Nonostante tutte le nuove denominazioni, la sinistra in nessun Paese europeo è stata capace di aggregare in un solo partito la quantità (e qualità) di persone che, fino al 1989, costituiva la base dei partiti comunisti e socialisti.

Dovunque si è assistito a una drastica riduzione quantitativa (e, contemporaneamente, qualitativa) della sinistra nel suo complesso, sinistra che talora non è in grado neanche di svolgere una significativa politica di opposizione.

Si giunge, pertanto, a posizioni in cui la sinistra, anziché ritrovare nella sua storia (nonostante tutti i suoi tragici errori) la spinta ideale per rilanciare il valore dell’eguaglianza sostanziale, della dignità delle persone e dei doveri di solidarietà, talvolta sembra aver perso qualsiasi punto di riferimento.

Eclatante è la situazione italiana, in cui la sinistra (a parte le solite problematiche e, forse, inevitabili divisioni in vari partitini estremisti), non è in grado di enunciare e, spesso, immaginare quale tipo di società in prospettiva (anche di lunga durata) mirerebbe a realizzare.

Eppure – lo si diceva supra al par. 1 – la Costituzione italiana del 1948 ha in sé la capacità di legittimare varie, ma diversissime scelte di politica economica e sociale. La sinistra italiana (e della quasi totalità dei Paesi dell’Occidente europeo) sembra quasi disposta più ad aperture verso il libero mercato e le forze imprenditoriali che a lavorare per la proposta di scelte coraggiose che, probabilmente, consentirebbero l’avvicinamento a gruppi e partiti dei giovani i quali, in assenza totale di aperture in tal senso, sono alla fine destinati a rifugiarsi nel “privato”.

* Queste note sono state scritte il 20 e il 21 maggio 2019, prima dello svolgimento delle elezioni (non solo) europee, per evitare il rischio di essere influenzate dai loro risultati.