Magistratura democratica

Il prisma dell’accoglienza: la disciplina del sistema alla luce della legge n. 50/2023

di Monia Giovannetti

La legge n. 50/2023 rappresenta il terzo provvedimento adottato nell’arco di sei anni che interviene pesantemente sul d.lgs n. 142/2015 nonché sull’art. 1-sexies dl n. 416/1989, ridefinendo la filiera dell’accoglienza e frammentando ulteriormente il sistema nel suo complesso. L’intervento riguarda la gestione dei punti di crisi (cd. “hotspot”) e dei centri governativi di accoglienza, la platea dei beneficiari che possono accedere ai progetti territoriali di accoglienza e integrazione nell’ambito del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), nonché le prestazioni che devono essere garantite nei centri e le ipotesi di revoca e riduzione delle misure di accoglienza garantite. 
In particolare, il legislatore riforma il sistema di accoglienza reintroducendo la logica binaria che separa i percorsi dei richiedenti asilo dai titolari di protezione internazionale che possono accedere al Sai, e rivede l’impianto ripristinato due anni prima dal dl n. 130/2020, che sanciva l’interconnessione stretta tra sistema di accoglienza e integrazione come elementi inscindibili di un percorso che porta all’autonomia della persona. Oltre a intervenire sulle categorie di beneficiari, l’attuale provvedimento interviene sulle prestazioni da garantire ai richiedenti protezione internazionale e prevede misure che selezionano ulteriormente gli aventi diritto e stratificano, moltiplicandoli, gli spazi e i luoghi deputati all’accoglienza.

Le discipline del corpo e le regolazioni della popolazione costituiscono i due poli intorno ai quali si è sviluppata l’organizzazione del potere sulla vita. La creazione, nel corso dell’età classica, di questa grande tecnologia a due facce – anatomica e biologica, agente sull’individuo e sulla specie, volta verso le attività del corpo e verso i processi della vita – caratterizza un potere la cui funzione più importante ormai non è forse più di uccidere ma d’investire interamente la vita. La vecchia potenza della morte in cui si simbolizzava il potere sovrano è ora ricoperta accuratamente dall’amministrazione dei corpi e della gestione calcolatrice della vita. Sviluppo rapido nel corso dell’età classica delle varie discipline – scuole, collegi, caserme, atelier; emergenza anche, nel campo delle pratiche politiche e delle osservazioni economiche, dei problemi di natalità, di longevità, di salute pubblica, di habitat, di migrazione; esplosione dunque di tecniche diverse e numerose per ottenere la subordinazione dei corpi ed il controllo delle popolazioni.  Si apre così l’era di un “bio-potere”.

M. Foucault, La volontà di sapere, vol. 1, Feltrinelli, Milano, 1976, p. 124.

 

1. Introduzione / 2. La riforma del sistema di accoglienza alla luce del dl n. 20/2023, convertito con legge n. 50 / 3. L’accoglienza dei migranti appena sbarcati o rintracciati sul territorio / 4. L’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale / 4.1. I provvedimenti di revoca o “riduzione” delle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale/ 5. L’accoglienza dei titolari di protezione internazionale e di altre forme di tutela / 6. Prime riflessioni conclusive

 

1. Introduzione

Il dibattito pubblico sull’immigrazione, in particolare nell’ultimo decennio, si è concentrato sulle politiche di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati a prescindere dall’evoluzione del fenomeno, dalla sua complessità, dai dati reali relativi agli arrivi e alle richieste di protezione internazionale. Un tema che ha dominato l’agenda politica e che, ancora oggi, sempre più spesso legato a retoriche che lo concettualizzano tramite il paradigma dell’emergenza, occupa un posto di rilievo nel discorso pubblico e nelle decisioni degli esecutivi. 

Questa insana esposizione, sovente, si traduce nell’adozione di provvedimenti legislativi privi di una analisi valutativa e di una visione complessiva di sistema. Una tendenza non certo isolata nel panorama elaborativo delle policy pubbliche del nostro Paese, ma che nei riguardi delle politiche sull’accoglienza, oggetto di cicliche riforme in direzioni ostinate e contrapposte, assume un peso di notevole rilievo, in termini di frammentazione e caoticità, nella gestione di un fenomeno oramai noto e ordinario[1]. Ancora una volta, ciò è avvenuto senza soffermarsi sugli effetti concreti prodotti dalle precedenti riforme sul funzionamento del sistema di accoglienza, sulle dinamiche di politic emerse a livello locale, sull’interazione tra istituzioni pubbliche e attori non pubblici, ma in particolare sugli effetti e le ricadute sui percorsi di vita delle persone e delle comunità[2].

Nei paragrafi che seguiranno, ci si soffermerà sull’ultimo provvedimento di riforma, che apre a un processo di “restaurazione” del sistema di accoglienza reintroducendo la logica binaria che separa i percorsi dei richiedenti asilo dai titolari (presente nel dl n. 113/2018) e prevedendo misure che selezionano ulteriormente gli aventi diritto e stratificano, moltiplicandoli, gli spazi e i luoghi deputati all’accoglienza. Questo progressivo ampliamento dei casi e delle categorie particolari, a cui corrispondono condizioni giuridiche e quote di diritti differenziati, ridefinisce l’impianto complessivo del sistema di accoglienza. 

Un cambiamento che spinge a interrogarsi sul ruolo del diritto nel governo dell’immigrazione e, ancor prima, sulla necessità di ripensare l’idea di “società”, comunità del domani. Troppo a lungo il dibattito pubblico atrofizzato, polarizzato e pervasivo, in combinato disposto con la miopia politica, hanno impedito una riflessione consapevole sui temi della migrazione e dell’accoglienza. Agire il cambiamento oggi, significa ripartire da una visione sulle politiche migratorie che ci possa proiettare in un futuro nel quale si costruisce una realtà di cui ci si assume la piena responsabilità.

 

2. La riforma del sistema di accoglienza alla luce del dl n. 20/2023, convertito con legge n. 50

Nell’ambito delle «Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare», è stata operata l’ennesima riforma del sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Si tratta del terzo provvedimento adottato nell’arco di sei anni, che interviene pesantemente sul d.lgs n. 142/2015[3] nonché sull’art. 1-sexies dl n. 416/1989, ridefinendo la filiera dell’accoglienza e frammentando ulteriormente il sistema nel suo complesso. L’intervento riguarda la gestione dei punti di crisi (cd. “hotspot”) e dei centri governativi di accoglienza, la platea dei beneficiari che possono accedere ai progetti territoriali di accoglienza e integrazione nell’ambito del «Sistema di accoglienza e integrazione» (Sai), nonché le prestazioni che devono essere garantite nei centri e le ipotesi di revoca e riduzione delle misure di accoglienza garantite.

Con la legge n. 50/2023, le lancette dell’orologio sono state spostate indietro nel tempo al 2018, quando, con il dl n. 113, si era passati da un sistema (unico) distinto per fasi di accoglienza a un sistema di accoglienza distinto in base allo status dei beneficiari, riportato poi al suo assetto originario con il dl n. 130/2020. Come in passato, ovvero con il dl n. 113/2018, sono state eliminate le fasi di accoglienza ed è stato epurato l’apparato normativo dalle diciture che facevano riferimento alla prima e seconda accoglienza. Ma oggi, come veniva anticipato in premessa, all’impianto differenziato nel quale si prevedono servizi diversi da erogare alle persone in base al loro titolo di soggiorno (due sistemi distinti e separati per richiedenti e titolari) si aggiungono specifiche previsioni, che moltiplicano le tipologie dei luoghi di accoglienza e parcellizzano ulteriormente il trattamento dei cittadini stranieri in considerazione della fase di accesso alla procedura (migranti appena sbarcati o rintracciati sul territorio), della modalità di ingresso sul territorio nazionale (richiedenti protezione internazionale giunti attraverso canali protetti) o delle sue “condizioni” psico-fisiche (richiedenti protezione internazionale vulnerabili). 

In ragione della configurazione complessa del sistema d’accoglienza scaturito dalla riforma, si ritiene pertanto utile soffermarsi sulle modifiche apportate, ripercorrendo quanto previsto in termini di misure di accoglienza e servizi di integrazione in relazione alle varie condizioni in cui si trova il cittadino straniero. 

 

3. L’accoglienza dei migranti appena sbarcati o rintracciati sul territorio

È previsto che le procedure di soccorso e identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare si svolgano presso i punti di crisi (hotspot) di cui all’art. 10-ter del Testo unico in materia di immigrazione (Tui)[4]. Strutture, ad oggi, allestite prevalentemente nei luoghi dello sbarco, in base agli impegni assunti dallo Stato italiano nell’ambito dell’«Agenda europea sulla migrazione» adottata nel 2015[5], per consentire le operazioni di prima assistenza, screening sanitario, identificazione[6] e informazione in merito alle modalità di richiesta della protezione internazionale, sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito o di partecipazione al programma di relocation. Nella prospettiva europea, il cd. “approccio hotspot” è considerato «funzionale all’inserimento del cittadino straniero giunto via mare nel territorio europeo nella procedura considerata più appropriata in relazione agli specifici bisogni e al proprio status legale», ovvero avviato, nel caso di richiesta di protezione internazionale, verso le procedure per l’attribuzione di tale status, comprese quelle di ricollocazione, verso procedure dedicate alla protezione di casi di vulnerabilità o verso le procedure di espulsione. Traslando, dal punto di vista dei luoghi di accoglienza e/o trattenimento, negli hotspot, sulla base dei relativi esiti, avviene una prima “scrematura” volta a trasferire in centri governativi (“hub”) le persone che richiedono la protezione internazionale e coloro che rientrano nella procedura di ricollocazione e in centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale[7]

Seppur questa fase di primo soccorso e identificazione del cittadino straniero dovrebbe realizzarsi principalmente nei cd. hotspot, in base agli ultimi dati disponibili riferiti al 2022, di 105.129 persone sbarcate in Italia solo 55.131 sono transitate nei 5 centri attivi nel corso dell’anno. Pertanto, senza entrare nel merito dei profili di criticità relativi alla procedura e ai costituendi spazi di trattenimento per richiedenti asilo all’interno degli stessi hotspot (e nei centri governativi) previsti dalla recente riforma[8], ci soffermeremo sulle misure contenute nell’articolo 5-bis della legge n. 50/2023, volte al potenziamento dei punti di crisi così come dei centri governativi di prima accoglienza. 

Innanzitutto, è importante richiamare la disposizione presente nel comma 3 dell’art. 5-bis, che modifica l’art. 10-ter Tui inserendovi, dopo il comma 1, il nuovo comma 1-bis, prevedendo la facoltà di trasferire gli stranieri ospitati presso i punti di crisi in «strutture analoghe» sul territorio nazionale per l’espletamento delle medesime attività (soccorso, prima assistenza e identificazione). La disposizione prevede, altresì, che per consentire una gestione coordinata degli adempimenti da parte delle competenti autorità, l’individuazione di queste “analoghe strutture” e la valutazione circa la loro capienza – laddove siano destinate alle procedure di frontiera con trattenimento – sia effettuata d’intesa con il Ministero della giustizia. Si configura pertanto la possibilità di avere, nell’ambito dello stesso centro governativo, spazi differenziati a seconda della funzione: spazi da destinare alle attività di prima assistenza e identificazione (hotspot, ex art. 10-ter Tui); locali allestiti all’interno dell’hotspot, appositamente finalizzati al trattenimento del richiedente asilo per la determinazione o la verifica dell’identità, della cittadinanza o nel caso di presentazione della domanda alla frontiera dopo aver eluso i relativi controlli, o se proviene da un Paese di origine sicuro (in forza degli artt. 6 e 6-bis, comma 1, d.lgs n. 142/2015, riformati dall’art. 7-bis l. n. 50/2023); spazi destinati all’accoglienza per richiedenti asilo come previsto dall’art. 9 d.lgs n. 142/2015.

Al fine di realizzare nuovi hotspot e centri governativi di accoglienza, il comma 1 dell’art. 5-bis della legge di riforma dispone che, fino al 31 dicembre 2025, si applichino anche in questi casi le previsioni contenute nell’art. 10 della legge in commento, la quale, in deroga a ogni disposizione di legge (a eccezione della legge penale e del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, e nel rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea), consente che si possano realizzare dei centri di permanenza per i rimpatri[9]. L’ampliamento e il potenziamento della rete degli hotspot e dei centri governativi si potrà avvalere, dunque, della procedura semplificata prevista dal nuovo comma 3-bis dell’art. 19 dl 17 febbraio 2017, n. 13 (conv. con modif. dalla l. 13 aprile 2017, n. 46) e, al contempo, delle risorse già stanziate ai fini della realizzazione dei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), da utilizzare anche per questo scopo[10]. Inoltre, il comma 2 dello stesso art. 5-bis prevede che il Ministero dell’interno, al fine di assicurare adeguati livelli di accoglienza nel punto di crisi di Lampedusa[11], a fronte di situazioni di particolare affollamento, possa avvalersi delle facoltà di deroga sopra richiamate e affidare alla Croce Rossa italiana la gestione della struttura, prevedendo le prestazioni contemplate dallo schema di capitolato di cui all’art. 12 d.lgs n. 142/2015[12]. Le specifiche misure riguardanti il punto di crisi di Lampedusa contemplano, infine, che presso l’isola sia altresì disposta l’attivazione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della l. n. 50/2023, di una postazione medicalizzata del 118, al fine di garantire tempestività ed efficienza negli interventi di emergenza-urgenza, per tutelare la salute degli abitanti dell’isola e dei migranti (ex art. 6-bis l. n. 50/2023)[13]. In merito a quest’ultima previsione, non ci si può esimere dal sottolineare che per l’attivazione e l’operatività di questo presidio di carattere sanitario non sono previste risorse umane, finanziarie e strumentali se non quelle disponibili a legislazione vigente.

 

4. L’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale 

L’opera di restaurazione intrapresa con la legge n. 50/2023 sul sistema di accoglienza ha riguardato prioritariamente la figura del richiedente asilo, aderendo e recuperando l’approccio differenziale e selettivo delle disposizioni contenute nel dl n. 113/2018, che la riforma del 2020 aveva riportato nell’alveo del sistema unico dell’accoglienza e dell’integrazione. 

Per meglio esplicitare e rappresentare questo passaggio è necessario ripercorrere, seppur in maniera sommaria, gli interventi che hanno, in maniera ostinata e contraria, interessato la materia negli ultimi anni e rapportarli alla riforma operata dalla recente legge n. 50/2023. Sino al 2018, al richiedente protezione internazionale, in virtù di un sistema articolato per fasi, era assicurata una prima accoglienza in centri governativi per il tempo necessario all’espletamento delle operazioni di identificazione (ove non completate precedentemente), alla verbalizzazione della domanda e all’avvio della procedura di esame della stessa, nonché all’accertamento delle condizioni di salute del migrante (art. 9 d.lgs n. 142/2015) e una fase di seconda accoglienza in una delle strutture operanti nell’ambito del sistema Sprar (oggi Sai), predisposto dagli enti locali per tutta la durata del procedimento di esame della domanda di protezione. Qualora fosse risultata temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all’interno delle strutture di prima o di seconda accoglienza, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti, il richiedente era collocato in strutture temporanee – centri di accoglienza straordinaria – apprestate dal prefetto (art. 11 d.lgs n. 142/2015) «limitatamente al tempo strettamente necessario al suo trasferimento nelle strutture di prima o seconda accoglienza». 

Con il dl n. 113/2018, da un sistema unico e plurifasico si passa a un sistema binario di accoglienza, nell’ambito del quale sono previste collocazioni differenziate, in termini di tipologia di strutture e servizi erogati, in base allo status giuridico: per tutti i richiedenti protezione internazionale, anche vulnerabili, l’accoglienza avviene in strutture governative (ex artt. 9 e 11 d.lgs n. 142/2015) ove, in base al rivisitato capitolato, sono presenti i servizi base che riguardano il vitto, l’alloggio e la fornitura di beni essenziali, una minima assistenza sociale e mediazione culturale, mentre non troviamo nessun intervento volto all’integrazione (in primis, l’insegnamento della lingua italiana e la formazione atta ad agevolare l’accesso al mondo del lavoro), al sostegno psicologico o quelli relativi all’orientamento sul territorio. Per i titolari di protezione internazionale (nonché i minori stranieri non accompagnati e altre categorie di soggetti) è riservato l’accesso ai servizi di accoglienza e integrazione prestati dagli enti locali nell’ambito del Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati (Siproimi, ex-Sprar). 

A due anni di distanza, con il dl n. 130/2020, si ritorna a un sistema unico che, seppur articolato per funzioni[14], sancisce l’interconnessione stretta tra sistema di accoglienza e integrazione come elementi inscindibili di un percorso che porta all’autonomia della persona. Il sistema afferente alla rete degli enti locali (il quale, da Siproimi, viene rinominato Sistema di accoglienza e integrazione – Sai) viene posto nuovamente al centro della filiera di accoglienza e, ancorché si preveda che le attività di prima accoglienza continuino a essere svolte nei centri governativi ordinari e straordinari di cui agli artt. 9 e 11 d.lgs n. 142/2015, la permanenza dei richiedenti asilo nei centri governativi e nelle strutture temporanee è da considerarsi temporanea e finalizzata al trasferimento nel Sistema di accoglienza e integrazione, dove verranno loro garantiti tutti i servizi tranne quelli finalizzati all’integrazione socio-lavorativa. Pertanto, la riforma del 2020 tende a ricomporre il sistema a partire dall’eliminazione di “sovrastrutture differenziali” e scardinando l’impianto binario con il quale il dl n. 113/2018 aveva previsto che gli enti locali del Siproimi si occupassero di accogliere e attivare i percorsi di autonomia e integrazione per i titolari di protezione e minori stranieri non accompagnati, mentre agli uffici territoriali di governo del Ministero dell’interno – ovvero le prefetture – spettava garantire un sistema minimo di servizi di assistenza e prima accoglienza per i richiedenti asilo.

La legge n. 50/2023 ritorna, come anticipato, all’impostazione e all’approccio perseguito dal dl n. 113/2018, inserendo in sede di conversione l’art. 5-ter, il quale modifica il sistema di accoglienza prevedendo per i richiedenti asilo l’accesso alle sole misure, così come riviste dall’art. 6-ter, previste nell’ambito dei centri di accoglienza governativi. L’art. 5-ter interviene sia sulle disposizioni concernenti il Sai e, dunque, sull’art. 1-sexies dl n. 416/1989, escludendo dall’ambito di applicazione dei servizi della rete territoriale i richiedenti e, parallelamente, prevedendo una deroga per i richiedenti protezione internazionale che entrino in Italia in attuazione di protocolli sui corridoi umanitari, del programma di reinsediamento o di evacuazioni umanitarie. Ma, al contempo, interviene sull’art. 8 d.lgs n. 142/2015, dedicato al sistema di accoglienza per richiedenti protezione internazionale, specificando che l’accoglienza dei richiedenti è assicurata nei centri di cui agli artt. 9 e 11 d.lgs n. 142/2015 (fermo quanto previsto per le procedure di soccorso e identificazione ex art. 10-ter Tui di cui si è detto sopra), i quali non svolgono più una funzione temporanea di prima assistenza/prima accoglienza, finalizzata al trasferimento nel Sistema di accoglienza e integrazione, ma rappresentano i luoghi ordinari nei quali assicurare le misure di accoglienza previste per tutti i richiedenti asilo a esclusione di quelli sopra richiamati. 

Pertanto, i migranti che manifestano l’intenzione di chiedere la protezione internazionale[15], a meno che non ricorrano le condizioni che necessitino il trattenimento, sono accompagnati nei centri governativi di accoglienza[16] (ex art. 9 d.lgs n. 142/2015), che hanno la funzione di completare l’identificazione dello straniero (ove non sia stato possibile completare le operazioni nei centri ex art. 10-ter Tui), la verbalizzazione e l’avvio della procedura di esame  della domanda di asilo, l’accertamento delle condizioni di salute e la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità che comportino speciali misure di assistenza. Nel caso in cui sia temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all’interno dei suddetti centri «a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti», l’accoglienza può essere disposta dal prefetto,  sentito il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, in strutture temporanee appositamente allestite (i cd. Cas ex art. 11 d.lgs n. 142/2015)[17] dalle prefetture-uffici territoriali del Governo, previo parere dell’ente locale nel cui territorio è situata la struttura, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici e, nei casi di estrema urgenza, attraverso procedure di  affidamento diretto.

In base ai dati diffusi, lo scorso 1° marzo, dal Ministro dell’interno nel corso dell’audizione presso la Commissione affari costituzionali della Camera sulle linee programmatiche del Dicastero, alla data del 21 febbraio 2023 la rete dei centri governativi è costituita principalmente da strutture di accoglienza straordinaria (Cas) dislocate nel territorio piuttosto che da centri governativi[18]; pertanto, ciò comporta che, nell’attuale configurazione del sistema per richiedenti asilo, le misure straordinarie del sistema rappresentino di fatto l’ordinarietà. Se a questo, poi, si aggiunge quanto previsto dal nuovo comma 2-bis dell’art. 11 d.lgs n. 142/2015 (inserito dall’art. 5-bis, comma 4, l. n. 50/2023), ovvero la possibilità in capo ai prefetti, in caso di temporanea indisponibilità di posti nei centri governativi o nelle strutture di accoglienza straordinaria, di disporre l’accoglienza dei richiedenti asilo, per il tempo strettamente necessario, in strutture di accoglienza provvisoria[19] realizzate con le stesse modalità attualmente previste per l’istituzione dei Cas, il cerchio si chiude configurando un sistema di accoglienza per richiedenti asilo che poggia sempre di più le basi sulla straordinarietà delle misure[20]

E proprio analizzando nello specifico le modalità di accoglienza per i richiedenti asilo, risulta evidente che l’intento perseguito dal legislatore sia quello di garantire le esigenze minime ed essenziali avendo previsto, attraverso l’art. 6-ter l. n. 50/2023, una revisione – ancora una volta in perfetta sintonia con il dl n. 113/2018 – che modifica in maniera significativa l’art. 10 d.lgs n. 142/2015. Oltre alle prestazioni di accoglienza materiale (vitto, alloggio, il vestiario), nel novero dei servizi da erogare nei centri, che erano stati successivamente “ripristinati e previsti” con il dl n. 130/2020 (ovvero l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana, i servizi di orientamento legale e al territorio), permangono solo le  prestazioni concernenti l’assistenza sanitaria, la mediazione linguistico-culturale e l’assistenza sociale. Questi servizi sono garantiti ai richiedenti protezione internazionale accolti nei centri governativi di accoglienza e nelle strutture temporanee (Cas), mentre per l’accoglienza all’interno delle strutture provvisorie (comma 2-bis, dell’art. 11 d.lgs n. 142/2015, così come inserito dal comma 4 dell’art. 5-bis l. n. 50/2023) sono previste solo l’assistenza sanitaria e la mediazione linguistica-culturale[21]

In «un’ottica di razionalizzazione della spesa pubblica», come richiamato in una circolare del Gabinetto del Ministro dell’interno[22], sono stati “limitati” i servizi da assicurare nei confronti di coloro i quali sono in attesa che si concluda la procedura inerente alla loro domanda di protezione internazionale. Ma, dato che la tempistica per la definizione della domanda di asilo (solo in prima istanza) può superare un anno, ciò comporta che il richiedente permarrà per un tempo medio-lungo all’interno di tali strutture, senza tuttavia accedere a servizi che possono rivelarsi indispensabili per il benessere psicofisico e per l’esercizio di alcuni diritti fondamentali, tra cui un’adeguata informativa e tutela legale. È necessario chiedersi, infatti, se proprio in virtù della situazione di attesa nella quale i richiedenti asilo si trovano, combinata alle condizioni di precarietà, fragilità ed estraniamento, essi non siano per questo maggiormente esposti all’insorgenza o acutizzazione di disturbi o disagi che possono comprometterne il benessere psico-fisico, nonché lo sviluppo di percorsi volti a promuovere l’autosufficienza e rafforzare l’autonomia dei richiedenti asilo. 

L’assenza della figura dell’operatore legale, chiamato a garantire ai potenziali beneficiari di protezione internazionale tutte le informazioni relative ai diritti e agli obblighi che derivano dal loro status, conformemente a quanto disposto, tra le altre, dalle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE, rischia di compromettere il pieno diritto di accesso – effettivo, informato e consapevole – alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale; ma, in particolare, l’assenza di servizi quali lo psicologo nelle strutture ex artt. 9 e 11, nonché dell’assistente sociale nei nuovi centri che potremmo definire “transitori”, ci interrogano, da una parte, sull’effettiva capacità di individuare prontamente le vulnerabilità dei beneficiari e, dall’altra, sulla reale possibilità di attivare le specifiche «misure necessarie per le persone portatrici di particolari esigenze» (previste dall’art. 10 d.lgs n. 142/2015).

Sul primo punto, è importante osservare che il processo di individuazione ed emersione delle vulnerabilità dovrebbe essere un’attività che accompagna la persona in tutte le fasi del sistema di soccorso e di accoglienza ma, come specificato nel «Vademecum per la rilevazione, il referral e la presa in carico delle persone portatrici di vulnerabilità in arrivo sul territorio ed inserite nel sistema di protezione ed accoglienza», le attività volte alla rilevazione delle vulnerabilità «non esplicite o non oggettive» possono essere puntuali nella misura in cui siano presenti operatrici/ori specializzate/i in grado di effettuare visite e colloqui approfonditi. Questo aspetto dell’emersione diviene ancor più cruciale dal momento in cui, dalla «verifica della sussistenza di esigenze particolari e di specifiche situazioni di vulnerabilità», a seguito dell’ultima riforma è previsto che i richiedenti, sulla base delle specifiche esigenze e nel limite dei posti disponibili, possano essere accolti nel Sai (così dispone il comma 2, lett. b, n. 2 dell’art. 5-ter l. n. 50/2023, che aggiunge  un comma 1-bis all’art. 9 d.lgs n. 142/2015).

La normativa previgente prevedeva un criterio di priorità nel trasferimento dei richiedenti asilo vulnerabili[23] dai centri governativi e dai centri di accoglienza straordinari alle strutture afferenti al Sistema di accoglienza e integrazione (ai sensi dell’art. 8, comma 3, dell’art. 9,  comma 4-bis, nonché dall’art.  11, comma 3, d.lgs n. 142/2015, oggi abrogati dal comma 2, lett. a, b, c dell’art 5-ter l. n. 50/2023), mentre oggi «possono» ancora accedervi ma al contempo essere, indifferentemente, accolti e permanere sia nei centri governativi che nelle strutture temporanee, ove il livello dei servizi previsti, come abbiamo già specificato, risultano ben diversi. All’interno del Sai continuano, infatti, a essergli garantite prestazioni di accoglienza materiale, assistenza sanitaria, assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio[24] (ovvero i servizi di primo livello che, prima della vigente riforma, erano dedicati ai richiedenti protezione internazionale inseriti nel Sai), mentre nel circuito dell’accoglienza governativa non sono contemplati servizi che possano assicurare un’adeguata presa in carico dei richiedenti protezione internazionale «portatori di esigenze particolari», seppure al comma 1 dell’art. 10 d.lgs n. 142/2015 si preveda che nei centri governativi e prefettizi sia assicurato «l’apprestamento delle misure necessarie per le persone portatrici di particolare esigenze» (come, tra l’altro, previsto al comma 3 dell’art 17 dello stesso decreto, in riferimento, però, ai soli centri governativi)[25]. Solo attraverso figure professionali dedicate, interventi personalizzati di valutazione, consulenza, orientamento, monitoraggio e l’attivazione di prestazioni sociali e interventi in rete con i servizi pubblici del territorio si possono affrontare i bisogni di disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta di esseri umani, vittime di mutilazioni genitali, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, persone per le quali è stato accertato  che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, o legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere[26]

Relativamente ai richiedenti protezione internazionale che hanno fatto ingresso nel territorio nazionale a seguito di protocolli per la realizzazione di corridoi umanitari, ovvero in seguito a evacuazioni o programmi di reinsediamento nel territorio nazionale che prevedono l’individuazione dei beneficiari nei Paesi di origine o di transito in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, è stato previsto che possano essere accolti anche nel Sai[27]. Questo diverso regime, ovvero un’eccezione inserita dall’art. 5-ter, comma 1, lett. b, legge n. 50/2023 con il comma 1-bis all’art 1-sexies dl n. 416/1989, viene motivata in relazione al fatto che, per la maggior parte, si tratta di migranti per i quali sono state già espletate all’estero tutte le procedure preliminari alla definizione della loro posizione giuridica (che normalmente si svolgono nei centri di accoglienza governativi). Anche per costoro, all’interno dei progetti Sai, sono assicurate prestazioni di accoglienza materiale, assistenza sanitaria, assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio, come previsto dal comma 2-bis, lett. a dell’art. 1-sexies dl n. 416/1989, inserito dall’art. 5-ter, comma 1, l. n. 50/2023[28].

Infine, alcune misure transitorie dispongono che le nuove disposizioni non trovano applicazione nei confronti dei richiedenti protezione internazionale presenti nel Sai al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto; pertanto, per effetto di questa disposizione, tali richiedenti potranno continuare a usufruire dei servizi integrati nell’ambito dei progetti in cui sono stati inseriti fino alla definizione della relativa domanda di protezione  internazionale (art. 5-ter, comma 3, l. n. 50/2023). Dello stesso tenore le disposizioni che riguardano i cittadini afghani richiedenti protezione internazionale che fanno ingresso in Italia in attuazione delle operazioni di evacuazione effettuate dalle autorità italiane, i quali possono essere accolti nel Sai (art. 5-ter, comma 4). Un’altra specifica clausola di salvaguardia riguarda le misure di protezione temporanea stabilite in favore dei profughi dall’Ucraina, con la quale si conferma quanto previsto dalle disposizioni speciali adottate al fine di assicurare loro soccorso e assistenza (art. 5-ter, comma 5). Restano perciò invariate le svariate modalità di accoglienza stabilite con il dl n. 16/2022 (art. 3, poi confluito nel dl 25 febbraio 2022, n. 14, art. 5-quater), grazie al quale i cittadini ucraini, a decorrere dall’inizio del conflitto, possono essere accolti sia nell’ambito delle strutture territoriali del Sistema di accoglienza e integrazione, che nei centri governativi e nei centri di accoglienza temporanea (Cas), di cui agli artt. 9 e 11 d.lgs n. 142/2015, anche se non in possesso della qualità di richiedente protezione internazionale o degli altri titoli di accesso previsti dalla normativa vigente.

 

4.1. I provvedimenti di revoca o “riduzione” delle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale 

La legge n. 50/2023 interviene anche in materia di revoca delle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, disponendo l’adozione di misure temporanee, applicate secondo il principio di proporzionalità e tenuto conto della situazione del richiedente. Più specificatamente, l’art. 5-quater, abrogando la lett. e dell’art. 23 d.lgs n. 142/2015, impedisce la revoca immediata dell’accoglienza per violazione grave o ripetuta delle regole della struttura o del danneggiamento doloso di beni mobili e immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti, e introduce misure graduate di riduzione dei benefici da adottare in modo individuale e secondo il principio di proporzionalità.

Il legislatore, al fine di colmare un vuoto normativo seguito alla disapplicazione, da parte della giurisprudenza nazionale, della fattispecie contemplata nella succitata disposizione in quanto giudicata in contrasto con il diritto euro-unitario[29], introduce con la l. n. 50/2023 la possibilità di adottare provvedimenti di riduzione delle condizioni di accoglienza nei casi in cui vi sia, da parte del richiedente, la «violazione grave e ripetuta delle regole della struttura in cui è accolto ovvero in caso di comportamenti gravemente violenti, anche tenuti al di fuori della struttura di accoglienza» (comma 2 dell’art. 23). 

Viene cambiata la rubrica dell’articolo intitolata alla «revoca» delle misure di accoglienza all’interno dei centri di prima accoglienza (art. 9) o dei centri di accoglienza straordinaria (art. 11)[30] per introdurvi anche il riferimento alla «riduzione», e previsto che il prefetto competente, oltre a poter disporre il trasferimento in altra struttura, può adottare provvedimenti di riduzione delle misure di accoglienza, che possono consistere: 1. nell’esclusione temporanea dalla partecipazione ad attività organizzate dal gestore del centro; 2. nell’esclusione temporanea dall’accesso a uno o più dei servizi erogati nei centri di accoglienza ai sensi dell’art. 10 d.lgs n. 142/2015 (fatto salvo che non si possono escludere i servizi di accoglienza materiale)[31]; 3. nella sospensione, per un periodo non inferiore a trenta giorni e non superiore a sei mesi, o revoca dei benefici economici accessori (cd. “pocket money”). 

Il comma 4 dell’art. 23 viene modificato per effetto del comma 1, lett. e, al fine di prevedere che, nei casi di violazione delle regole del centro, il gestore richiami formalmente il richiedente e, laddove ritenga che sussistano i presupposti per l’applicazione delle misure previste, trasmetta tempestivamente alla prefettura una relazione sui fatti.

La novella (comma 1, lett. d dell’art. 5-quater l. n. 50/2023) introduce inoltre nel corpo dell’articolo 23 un nuovo comma 2-bis, ai sensi del quale le misure di revoca o di riduzione delle misure di accoglienza devono essere adottate in modo individuale, nel rispetto del principio di proporzionalità, tenuto conto della situazione del richiedente e con riferimento a eventuali condizioni di vulnerabilità di cui all’art. 17 del decreto accoglienza. La disposizione riproduce il contenuto dal par. 5 dell’art. 20 della direttiva 2013/33/UE, nel quale sono previste le garanzie procedurali per la riduzione e la revoca dell’accoglienza, in quanto stabilisce che le decisioni debbano essere «adottate in modo individuale, imparziale ed obiettivo e sono motivate» e «sono basate sulla particolare situazione della persona interessata, specialmente per quanto riguarda le persone contemplate all’art. 21 (vulnerabili), tenendo conto del principio di proporzionalità».

I provvedimenti adottati dal prefetto nei confronti del richiedente, in forza delle modifiche apportate dalla novella, devono essere comunicati alla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale competente, e ai provvedimenti di riduzione dell’accoglienza a seguito delle disposizioni di coordinamento inserite al comma 5 del citato art. 23 si estende la disciplina sull’efficacia e sui ricorsi avverso i  provvedimenti di revoca.

 

5. L’accoglienza dei titolari di protezione internazionale e di altre forme di tutela 

I titolari di protezione internazionale, come previsto dall’art. 1-sexies dl n. 416/1989, sono accolti nell’ambito dei progetti afferenti al Sai, il «Sistema di accoglienza e integrazione»[32] incardinato nelle autonomie locali. Un sistema originariamente deputato all’accoglienza di richiedenti e titolari, ridenominato ben tre volte in sei anni a seconda della platea dei beneficiari previsti (in origine Sprar, «Sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati»; nel 2018 Siproimi, «Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati»; dal 2020, Sai), che ha saputo reggere ai pesanti interventi operati nel 2018 e rinnovarsi a seguito della riforma del 2020, ampliando e potenziando la propria capacità di risposta ai bisogni imposti dagli arrivi degli ultimi anni[33]

Oggi, oltre ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati (tutti i minori, indipendentemente dallo status di richiedente protezione internazionale), possono essere accolti nei progetti territoriali del Sai, «qualora non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati», i titolari di altri permessi che prevedono una qualche forma di tutela. In primis i titolari di un permesso di soggiorno per “protezione speciale”, come ridefinita dalla legge di riforma, per i soggetti per i quali vige il divieto di respingimento o di espulsione ai sensi degli artt. 19, commi 1 e 1.1, Tui, rilasciabile all’interno del sistema della protezione internazionale qualora la commissione territoriale non ritenga sussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale[34]. Viene previsto, tuttavia, che siano esclusi dal Sistema di accoglienza e integrazione i titolari di protezione speciale che abbiano compiuto atti che integrano le cause di esclusione della protezione internazionale di cui agli artt.: 10, comma 2; 12, comma 1, lett. b e c; 16 d.lgs n. 251/2007[35]

Gli enti locali che prestano servizi di accoglienza per titolari e minori non accompagnati possono accogliere, nell’ambito dei medesimi servizi, anche i titolari di permesso di soggiorno per «cure mediche» (art. 19, comma 2, lett. d-bis, Tui) rilasciato al cittadino straniero che si trova in «gravi condizioni psico-fisiche o derivanti da gravi patologie», tali da ritenere che il rientro nel Paese di origine o provenienza possa determinare un pregiudizio per la sua salute. E, ancora, i titolari di un permesso di soggiorno: per «protezione sociale» relativa a vittime di violenza o grave sfruttamento (ex art. 18 Tui); per vittime di «violenza domestica» (ex art. 18-bis Tui); «per calamità» (ex art. 20-bis Tui); per vittime di «particolare sfruttamento lavorativo» (ex art. 22, comma 12-quater, Tui); per «atti di particolare valore civile» (ex art. 42-bis Tui); per «casi speciali» (ex art. 1, comma 9, dl n. 113/2018); ovvero i titolari di permesso di soggiorno transitorio previsto a seguito delle modifiche recate dal “decreto sicurezza”, che ha riguardato gli stranieri già titolari di permesso umanitario, abrogato nel 2018, o in attesa di riconoscimento, avendo presentato la domanda prima dell’entrata in vigore del dl n. 113/2018. Oltre ai titolari appena richiamati, al comma 1-bis dell’art. 1-sexies dl n. 416/1989 è stato specificato che possono essere accolti nel Sai gli stranieri affidati ai servizi sociali al compimento della maggiore età con le modalità di cui all’art. 13, comma 2 della legge 7 aprile 2017, n. 47. (cd. “prosieguo amministrativo”). Questa disposizione prevede l’affidamento ai servizi sociali, anche oltre il compimento dei 18 anni e fino all’età massima di 21 anni, per effetto di un decreto adottato dal tribunale per i minorenni, dei neo-maggiorenni che necessitino di un supporto prolungato finalizzato al buon esito del percorso di inserimento sociale intrapreso.

A questa vasta gamma di titolari di permessi perlopiù collegati a una forma specifica di protezione/tutela, come anticipato nel paragrafo dedicato ai richiedenti, si aggiungono i cittadini ucraini titolari di un permesso di soggiorno per protezione temporanea[36], i quali possono essere accolti nell’ambito delle strutture territoriali del Sai così come nei centri governativi e temporanei, o nell’ambito delle progettualità e degli interventi predisposti dalla Protezione civile.

Dal punto di vista della modalità di accoglienza, le misure previste nell’ambito dei progetti degli enti locali riservate ai titolari sono contemplate dal comma 2-bis dell’art. 1-sexies dl n. 416/1989, e riguardano prestazioni che si articolano in servizi di primo livello, tra i quali si comprendono, oltre alle prestazioni di accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio, e servizi di secondo livello, finalizzati all’integrazione, che comprendono l’orientamento al lavoro e la formazione professionale[37]. Questa distinzione in livelli prestazionali all’interno del Sai è legata alla disciplina dell’accoglienza, che differenzia le misure in relazione alle categorie di utenza, in quanto ai servizi di primo livello accedono i richiedenti protezione internazionale che ancora oggi possono accedere alla rete dei progetti degli enti locali (richiedenti vulnerabili, entrati a seguito di programmi di evacuazione, reinsediamento o corridoi umanitari), mentre a quelli di secondo livello i titolari protezione internazionale, i minori stranieri non accompagnati, tutti i titolari dei permessi di soggiorno sopra richiamati che possono accedere al Sai e, infine, i cittadini ucraini in virtù della condizione di protetti temporanei.

In merito al diritto di accoglienza è, infine, necessario evidenziare che la forza riformatrice della legge n. 50/2023 non ha risparmiato neppure i titolari di protezione internazionale e i titolari degli altri permessi di soggiorno speciali che valgono ai fini dell’accesso alla rete Sai (art. 1-sexies, comma 1, dl n. 416/1989), in quanto il comma 1, lett. c dell’art. 5-ter l. n. 50/2023 ha introdotto una disposizione (1-quater, all’art. 1-sexies, comma 1) con la quale si prevede che possano decadere dalle relative  misure di accoglienza allorquando non si presentino presso la struttura di destinazione entro sette giorni dalla comunicazione, che viene loro trasmessa dal Servizio centrale. La decadenza dalle misure di accoglienza non opera in casi di forza maggiore, o al ricorrere di obiettive e motivate ragioni di ritardo, valutate dal prefetto della provincia di provenienza del beneficiario[38]. Questa previsione lascia indubbiamente spazi di perplessità, in quanto rischia di costituire un “automatismo” che andrebbe a sostituire quanto previsto dalla normativa sinora vigente sulla revoca in caso di ingiustificata mancata presentazione del beneficiario nella struttura, la quale richiede invece un apposito provvedimento amministrativo, impugnabile in sede giurisdizionale. 

 

6. Prime riflessioni conclusive

Il quadro tracciato, seppur non esaustivo e limitato all’analisi dei principali interventi operati dalla legge n. 50/2023, ci pone di fronte a una fotografia tutt’altro che nitida e rassicurante sull’impianto normativo che riguarda il nostro sistema di accoglienza. 

Un primo elemento che ne offusca la visione è legato al senso, alle ragioni che hanno portato a questa riforma, dal momento in cui manca, nella relazione illustrativa alla legge, qualunque tipo di riferimento ad analisi sulla situazione presente, valutazioni sull’andamento dell’esperienza pregressa, o semplicemente il rinvio a interventi e modelli di accoglienza che facessero comprendere la necessità di operare tale cambio di paradigma. 

Un secondo elemento legato al contesto, riguarda la rinnovata e qualificata centralità delle strutture straordinarie, le quali non sono più riservate all’accoglienza temporanea dei richiedenti asilo, bensì costituiscono, al fianco dei centri governativi di accoglienza, l’asse portante del sistema. E, questo, in un momento in cui gli interventi volti a potenziare il sistema ordinario (diffuso e non emergenziale) e a ridurre progressivamente la presenza dei centri straordinari aveva diminuito lo squilibrio tra la percentuale delle persone accolte nel circuito ordinario e in quello delle strutture temporanee. 

Un terzo elemento, legato allo spazio, riguarda l’ampliamento e la moltiplicazione dei luoghi deputati all’accoglienza. Oltre alla presenza di hotspot, centri governativi, centri di accoglienza straordinaria e strutture afferenti al Sistema di accoglienza e integrazione per titolari, la legge n. 50/2023 prevede la predisposizione di «appositi locali» presso gli hotspot, finalizzati al trattenimento del richiedente asilo per il tempo necessario ad accertare il relativo diritto a entrare nel territorio dello Stato (art. 6-bis, comma 4, d.lgs n. 142/2015); l’ampliamento di «spazi analoghi» agli hotspot da attivare su tutto il territorio nazionale, dedicati alle attività di soccorso, prima assistenza e identificazione (comma 1-bis dell’art. 10-ter Tui), nonché l’attivazione di «strutture di accoglienza provvisoria» nelle quali collocare i richiedenti in caso di indisponibilità nei centri governativi e nelle strutture straordinarie (art. 11, comma 2-bis, d.lgs n. 142/2015). 

Un quarto elemento, legato allo status, riguarda il trattamento differenziato riservato alle persone in base al titolo di soggiorno o all’appartenenza a categorie specifiche. La riforma reintroduce la logica binaria che separa i percorsi dei richiedenti asilo dai titolari di protezione internazionale che possono accedere al Sai e amplia la previsione di casi particolari, a cui corrispondono percorsi e misure differenti. Questa molteplicità di status socio-giuridici, accompagnata dalla creazione di specifici dispositivi che regolano l’accesso all’accoglienza, impedisce una visione d’insieme del sistema e alimenta la frammentazione e la stratificazione dei diritti.

Un quinto e ultimo elemento, legato all’esigibilità del diritto di accoglienza, riguarda il passaggio da richiedenti protezione internazionale a titolari, e dunque il diritto a essere accolti nell’ambito del Sai quale luogo deputato ad accogliere, prioritariamente, i titolari di protezione internazionale nonché i minori stranieri non accompagnati, e parte integrante del più ampio sistema di accoglienza previsto dalla normativa vigente. Quanto previsto presuppone, infatti, che lo straniero già richiedente asilo, cui venga riconosciuta una delle tre forme di protezione previste dall’ordinamento, ha diritto, se ne fa richiesta, di accedere al Sai per proseguire il percorso di accoglienza; in verità, ciò avviene solo nell’ambito dei posti disponibili e, pertanto, risulta complicato sostenere che nell’ordinamento italiano sussista un diritto pieno di accedere a una misura di accoglienza per i titolari di protezione. Per rendere effettive le previsioni contenute nell’art. 1-sexies sarebbe dunque necessario ampliare, nella misura del fabbisogno reale, la disponibilità dei posti afferenti al Sistema di accoglienza e integrazione[39].

La frammentazione e la moltiplicazione di luoghi e di status non solo impediscono di rinvenire il senso ontologico dell’accoglienza (inteso come organicità, e che, insieme alle procedure - oggi parimenti frammentate -, dovrebbe garantire effettività al complessivo sistema asilo), ma che impongono una profonda riflessione sul ruolo del diritto “nell’amministrazione dei corpi” e sull’“immanenza” della norma nella vita dello straniero[40]. La norma, dunque, come imprescindibile elemento di riferimento per un’analisi relativa alle questioni della normalizzazione, del disciplinamento, del processo di legittimazione del potere e, soprattutto, delle sue dinamiche di esercizio finalizzate alla produzione del reale, mentre spazio e soggetti divengono «“categorie”[,] intorno alle quali[,] si definiscono i dispositivi di potere e le tecnologie legate alla norma», ovvero «categorie attraverso le quali si può provare a leggere le dinamiche politiche e giuridiche odierne»[41].

La prolifica produzione – oseremmo dire, quasi ossessiva – di dispositivi e disposizioni sul tema dell’accoglienza dei migranti, pochi attimi prima della pubblicazione del presente contributo, è giunta a prevedere, nel novero delle «opere destinate alla difesa nazionale e alla sicurezza nazionale» contemplate dall’art. 233 dell’ordinamento militare (d.lgs n. 66/2010), le strutture di accoglienza e trattenimento per migranti: centri governativi di accoglienza, strutture di accoglienza straordinarie (ex artt. 9 e 11 d.lgs n. 142/2015), hotspot, centri di permanenza per il rimpatrio (artt. 10-ter e 14 d.lgs n. 286/1998). Per la realizzazione di tali opere è stato inoltre previsto, sempre dall’art. 21 dl 19 settembre 2023, n. 124[42], che integra con il comma 1-ter l’art. 233 d.lgs n. 66/2010, che il Ministero della difesa sia autorizzato ad avvalersi delle «procedure di somma urgenza e di protezione civile»[43] (ex art. 140 d.lgs 31 marzo 2023, n. 36). Al contempo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell’interno e della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è approvato il Piano straordinario per l’individuazione delle aree interessate alla realizzazione di un numero idoneo di hotspot, Cpr, centri governativi e strutture straordinarie, «anche attraverso la valorizzazione di immobili già esistenti». E, ancora, si prevede che il Ministero della difesa, mediante le proprie competenti articolazioni del Genio militare, l’impiego delle Forze armate e avvalendosi di Difesa Servizi SpA, è incaricato della progettazione e della realizzazione delle strutture individuate dal piano, dislocate sul territorio nazionale. Per la realizzazione del Piano, nello stato di previsione del Ministero della difesa, è istituito un apposito fondo, con una dotazione di 20 milioni di euro per il 2023. 

La portata di questa previsione, sotto il profilo sia simbolico che sostanziale, è di notevole rilievo, in quanto si giungono a considerare le strutture di accoglienza per richiedenti asilo nell’alveo degli strumenti (opere) di difesa e sicurezza nazionale, come le basi missilistiche e navali, le caserme, i poligoni, i depositi di munizioni. Strutture per migranti, senza distinguo, da quelle finalizzate all’accoglienza a quelle dedicate al trattenimento e alla privazione della libertà, che si realizzeranno adottando «procedure di somma urgenza», cristallizzando in tal modo il sistemico approccio emergenziale. Centri e strutture che verranno realizzate in base a un piano adottato in Consiglio dei Ministri sulla base delle indicazioni fornite dal Ministro dell’interno e da quello della Difesa, in perfetta distonia con quanto previsto dal d.lgs n. 142/2015 in termini di programmazione e concertazione, e dimenticando che «il sistema di accoglienza per richiedenti protezione internazionale si basa sulla leale collaborazione tra i diversi livelli di governo interessati» (art. 8 d.lgs n. 142/2015). 

 

 

1. Per una ricostruzione relativa all’evoluzione del sistema di accoglienza in Italia, si permetta di rinviare a M. Giovannetti, La frontiera mobile dell’accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati. Vent’anni di politiche, pratiche e dinamiche di bilanciamento del diritto alla protezione, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2019, pp. 1-29; Giro di boa. La riforma del sistema di accoglienza e integrazione per richiedenti e titolari di protezione internazionale, ivi, n. 1/2021, pp. 27-49.

2. Per tale ragione, nel corso del presente contributo ci riferiremo sempre alla legge di conversione n. 50/2023 anziché al dl n. 20/2023, convertito con la legge anzidetta.

3. Il sistema di accoglienza dei migranti nel territorio italiano è oggi disciplinato dal decreto legislativo n. 142/2015, adottato in attuazione delle direttive europee 2013/32/UE e 2013/33/UE. Successivamente, alcune integrazioni e modifiche sono state apportate dapprima dal dl n. 13/2017, che ha previsto alcuni interventi urgenti in materia di immigrazione, poi dalla l. n. 47/2017 sui minori stranieri non accompagnati e dal d.lgs n. 220/2017. E ancora, nelle recenti legislature, dapprima il dl n. 113/2018, successivamente il dl n. 130/2020 e, infine, la legge n. 50/2023 hanno introdotto ulteriori significative modifiche. 

4. Questi appositi punti di crisi sono stati allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito con modificazioni dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, ossia i Cda (centri di accoglienza che erano istituiti per rispondere alle emergenze degli sbarchi dei profughi provenienti dall’ex-Jugoslavia) e/o all’interno delle strutture di prima accoglienza, come disciplinate all’art. 9 d.lgs n. 142/2015, che adempiono anche alle esigenze di espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero. Il 17 maggio 2016, il Ministero dell’interno (Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione e Dipartimento della pubblica sicurezza) ha pubblicato le Procedure Operative Standard (SOP) applicabili negli hotspot italiani, che forniscono indicazioni esemplificative relative alle attività da organizzare e alla loro sequenza. Nel documento si precisa che il periodo di permanenza nella struttura, dal momento dell’ingresso, viene indicato come «il più breve possibile, compatibilmente con il quadro normativo vigente» e altresì che tali linee operative sono di portata potenzialmente generale e, pertanto, applicabili anche in situazioni diverse da quelle degli hotspot formalmente identificati, come ad esempio i luoghi di sbarco diversi dagli hotspot attivi e, comunque, quale modello per la gestione di qualsiasi flusso misto di ingresso di migranti (www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/hotspots_sops_-_versione_italiana.pdf). Al momento, dei 6 luoghi/porti individuati (Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Augusta, Taranto) ne sono stati attivati 5 (Lampedusa, Messina, Pozzallo, Taranto e Trapani), ma nel 2022 risultavano operativi solo gli hotspot di Lampedusa, Messina, Pozzallo e Taranto, ove hanno fatto ingresso oltre 55.000 persone, di cui 7341 minori stranieri non accompagnati. Vds. la Relazione al Parlamento 2023 del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1687157959_relazione-al-parlamento-2023.pdf).

5. L’«Agenda europea sulla migrazione», presentata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea, che sancisce un approccio globale per migliorare la gestione della migrazione in tutti i suoi aspetti, prefigura, in primo luogo, l’istituzione di un nuovo metodo basato sui punti di crisi (hotspot). Tale metodo prevede che l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri (Frontex) e l’Ufficio di Polizia europeo (Europol) lavorino sul campo, in prima linea con gli Stati membri, per condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo. In secondo luogo – come strategia di medio e lungo periodo – nell’Agenda si prevede di attuare un sistema europeo comune di asilo, promuovendo fra l’altro su base sistematica l’identificazione e il rilevamento delle impronte digitali, contrastando le domande di asilo radicalmente infondate, e infine valutando ed eventualmente riesaminando il regolamento “Dublino III” nel 2016. Nel medesimo documento, si prevede altresì l’attuazione di un innovativo programma di riallocazione e reinsediamento dei richiedenti asilo, che costituisce uno dei fondamentali tasselli di cui si compone il mosaico delle misure europee sul tema delle migrazioni.

6. Il cittadino straniero è sottoposto alle operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini del rispetto degli artt. 9 e 14 del regolamento Eurodac, reg. UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013. L’ adempimento dell’obbligo del fotosegnalamento e della trasmissione dei dati al Sistema centrale Eurodac è volto a consentire il controllo incrociato delle impronte digitali e stabilire così quale sia lo Stato membro di primo ingresso del richiedente asilo competente, in base al criterio generale stabilito dal regolamento Dublino III, a esaminare la domanda di protezione e a prendere in carico il cittadino straniero.

7. Nel corso dell’anno 2022, sono state 6383 le persone transitate dai Cpr; di queste, 3154 sono state effettivamente rimpatriate e perlopiù il provvedimento ha riguardato cittadini tunisini, in quanto ne sono stati rimpatriati 2248 (su 3284 cittadini tunisini complessivamente transitati nei Cpr). Al momento, i Cpr sono 10 e si trovano a Bari-Palese, Brindisi-Restinco, Caltanissetta-Pian del Lago, Gradisca d’Isonzo (GO), Macomer (NU), Palazzo S. Gervasio (PZ), Roma-Ponte Galeria, Torino, Trapani-Milo, Milano (vds. Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Relazione al Parlamento 2023, op. cit.).

8. L’art. 7-bis dl n. 20/2023, convertito con la legge 50, interviene sulle procedure relative al riconoscimento della protezione internazionale. Il comma 1, in particolare, incide su profili concernenti le procedure accelerate alla frontiera. Il comma 2 amplia le ipotesi di trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, prevedendo, in primo luogo, che possano essere trattenuti nei centri di permanenza e rimpatrio (Cpr), nei limiti dei posti disponibili e anche qualora ciò sia necessario per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale, che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento. Inoltre, viene ampliato il novero delle circostanze per la valutazione del rischio di fuga, che comporta il trattenimento, prevedendo che esso sussista anche in caso di mancato possesso del passaporto e in caso di falsa attestazione delle proprie generalità da parte del richiedente asilo. In secondo luogo, si introduce la possibilità del trattenimento del richiedente asilo – al solo scopo di accertare il diritto a entrare nel territorio dello Stato – nel caso di presentazione della domanda alla frontiera dopo avere eluso i relativi controlli o se proviene da un Paese di origine sicuro. Pertanto, l’art. 6-bis, comma 1, d.lgs n. 142/2015, inserito dall’art. 7-bis, comma 2, lett. b della legge n. 50/2023, recita: «Fuori dai casi di cui all’articolo 6, commi 2 e 3-bis e nel rispetto dei criteri definiti all’articolo 14, comma 1.1 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il richiedente può essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura in frontiera di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lett. b) e b-bis), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 e fino alla decisione dell’istanza di sospensione di cui all’articolo 35-bis, comma 4, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato». Infine, con l’art. 7-bis viene anche introdotta la possibilità del trattenimento nei Cpr, se sussiste un notevole pericolo di fuga, del richiedente asilo in attesa del suo trasferimento nello Stato competente a esaminare la domanda secondo la cd. “procedura Dublino”. Sul tema del trattenimento e delle procedure accelerate, tra i contributi più recenti si rinvia a M. Flamini, La protezione dei cittadini stranieri provenienti da cd. «Paesi sicuri» in seguito alle modifiche introdotte dal dl n. 20 del 2023, in questo fascicolo; F. Vassallo Paleologo, Quali convalide giurisdizionali per il trattenimento amministrativo dopo la legge 50/2023?, in ADIF – Diritti senza frontiere, 22 maggio 2023 (www.a-dif.org/2023/05/22/quali-convalide-giurisdizionali-per-il-trattenimento-amministrativo-dopo-la-legge-50-2023/); A. Brambilla, Le nuove procedure accelerate di frontiera. Quali prospettive in un’ottica di genere?, in questo fascicolo.

9. L’art. 19, comma 3-bis, dl n. 13/2017 prevede: «La realizzazione dei centri di cui al comma 3 è effettuata, fino al 31 dicembre 2025, anche in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. Nell’ambito delle procedure per l’ampliamento della rete dei centri di permanenza per i rimpatri di cui all’articolo 14, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) assicura, ove richiesto, l’attività di vigilanza collaborativa ai sensi dell’articolo 213, comma 3, lettera h), del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50». La relazione illustrativa della legge n. 50/2023, nel merito, chiarisce che la deroga riguarda le disposizioni del codice dei contratti pubblici (ora d.lgs 31 marzo 2023, n. 36), il quale disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione. Si tratta di una disciplina che, per i contratti di importo superiore alle soglie indicate dalle direttive europee in materia (per esempio, per gli appalti di lavori, l’importo della soglia previsto dalla direttiva 2014/24/UE è pari a 5382 milioni di euro), recepisce le disposizioni recate dalle medesime direttive.

10. Risorse nello stato di previsione del Ministero dell’interno ex art. 1, comma 679, l. n. 197/2022 (legge di bilancio 2023), al fine di ampliare la rete dei centri di permanenza per i rimpatri, per assicurare la più efficace esecuzione dei decreti di espulsione dello straniero, come previsto dal comma 678 del medesimo art. 1, ha incrementato di 5.397.360 euro per l’anno 2023, di 14.392.960 euro per l’anno 2024 e di 16.192.080 euro per l’anno 2025 le risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’interno, relative alle spese per la costruzione, l’acquisizione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione di immobili e infrastrutture destinati a centri di trattenimento e di accoglienza. Vds. Camera dei deputati, Verifica delle quantificazioni. Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare (conversione in legge del DL n. 20/2023, approvato dal Senato A.S. 591), n. 59, 2 maggio 2023 (https://documenti.camera.it/leg19/dossier/Pdf/VQ1112.pdf).

11. L’hotspot di Lampedusa risulta quello maggiormente interessato da eventi di sbarco se si considera che, nel corso dell’anno 2022, sono state oltre 46.000 le persone migranti che vi hanno fatto ingresso su poco più di 55.000 di quelle complessivamente entrate negli hotspot italiani nello stesso periodo temporale.

12. Tra le prestazioni che tale schema di capitolato (adottato in base all’art. 12 d.lgs n. 142/2015 con decreto del Ministro dell’interno del 24 febbraio 2021) prevede debbano essere assicurate dall’ente gestore, figurano: il servizio di gestione amministrativa; il servizio di assistenza generica alla persona; il servizio di assistenza sanitaria; la fornitura, il trasporto e la consegna di beni.

13. Il comma 2 dell’art. 6-bis l. n. 50/2023 prevede, inoltre, che l’«Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà» (INMP), sentito il Ministero della salute, stipuli – sempre entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione – un protocollo d’intesa con il Ministero dell’interno, la Regione siciliana, il Comune di Lampedusa e la Capitaneria di porto Guardia costiera, finalizzato a garantire alla suddetta postazione medicalizzata l’apporto di adeguate professionalità, la strumentazione tecnica necessaria, nonché i protocolli di presa in carico e assistenza della popolazione migrante. 

14. Con il dl n. 130/2020 (conv. in l. n. 173/2020) si era riaffermata l’accoglienza in filiera prevedendo: 1. le procedure di soccorso e identificazione dei cittadini stranieri, rintracciati in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunti nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare, da svolgersi presso i cd. “punti di crisi” (hotspot) di cui all’art. 10-ter del Testo unico in materia di immigrazione; 2. le funzioni di prima assistenza, assicurate nei centri governativi e nelle strutture temporanee di cui agli artt. 9 e 11 del decreto accoglienza; 3. l’accoglienza nel Sai, sia per i richiedenti protezione internazionale sia per titolari di altri permessi di soggiorno esclusi o non contemplati dal dl n. 113/2018.

15. In base a quanto previsto dall’art. 14 d.lgs n. 142/2015, il richiedente protezione internazionale che ha formalizzato la domanda e che risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso, con i familiari, alle misure di accoglienza. La valutazione dell’insufficienza dei mezzi di sussistenza di cui al comma 1 è effettuata dalla prefettura-ufficio territoriale del Governo con riferimento all’importo annuo dell’assegno sociale. Le misure di accoglienza sono assicurate per la durata del procedimento di esame della domanda da parte della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e, in caso di rigetto, fino alla scadenza del termine per l’impugnazione della decisione. In caso di ricorso giurisdizionale, il ricorrente, privo di mezzi sufficienti, usufruisce delle misure di accoglienza per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 35-bis, commi 3 e 4 del d.lgs n. 25/2008.

16. I centri governativi di accoglienza sono istituiti, a livello regionale o interregionale, con decreto del Ministro dell’interno, sentita la Conferenza unificata, secondo la programmazione e i criteri individuati dal Tavolo di coordinamento nazionale, e la loro gestione può essere affidata a enti locali,  a enti pubblici e privati che operano nel settore dell’immigrazione o dell’assistenza sociale, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici (art 19, comma 1, d.lgs n. 142/2015).

17. In base al comma 2 dell’art. 11 d.lgs n. 142/2015, le strutture straordinarie sono individuate dalle prefetture- uffici territoriali del Governo, previo parere dell’ente locale nel cui territorio è situata la struttura, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici. È consentito, nei casi di estrema urgenza, il ricorso alle procedure di affidamento diretto ai sensi del dl 30 ottobre 1995, n.  451, convertito con modificazioni dalla l. 29 dicembre 1995, n. 563, e delle relative norme di attuazione.

18. Secondo i dati diffusi lo scorso 1° marzo dal Ministro dell’interno nel corso dell’audizione presso la Commissione affari costituzionali della Camera sulle linee programmatiche del Dicastero, alla data del 21 febbraio 2023, la rete dei centri governativi è costituita da 9 centri governativi e 5408 strutture di accoglienza straordinaria (Cas) dislocate sul territorio nazionale. Dal Dossier del Viminale del 15 agosto 2023, risulta che i posti disponibili al 31 luglio siano 3454 nei centri governativi di accoglienza e 84.151 nei Cas (www.interno.gov.it/sites/default/files/2023-08/dossier_viminale_ferragosto_2023.pdf).

19. Nella circolare del Ministero dell’interno del 19 maggio 2023, n. 14100/113(14), viene specificato che, «al fine di assicurare il più rapido turnover nelle strutture di cui all’art. 10-ter TUI, il comma 4, dell’art. 5-bis, introduce la possibilità per i Prefetti, nelle more dell’individuazione di posti nei centri governativi e nei centri di accoglienza straordinaria (…)». Rispetto a questa tipologia di struttura, anche l’Unhcr esprime preoccupazione in merito all’assenza di una puntuale disciplina in relazione alle funzioni svolte in tali strutture, ai tempi di permanenza nelle stesse e ai diritti delle persone ospitate, inclusi gli standard minimi applicabili per garantire un trattamento dignitoso agli ospiti, nonché le specifiche condizioni di accoglienza da assicurare alle persone con esigenze particolari. Vds. il commento alla legge n. 50/2023: Unhcr, Nota tecnica dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, maggio 2023 (www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2023/05/Nota-tecnica-di-commento-legge-Legge-5-maggio-2023-n.-50.pdf).

20. In base alle previsioni contenute nell’art. 15 d.lgs n. 142/2015, la prefettura-ufficio territoriale del Governo provvede all’invio del richiedente nella struttura individuata, anche avvalendosi dei mezzi di trasporto messi a disposizione dal gestore. L’accoglienza è disposta nella struttura individuata ed è subordinata all’effettiva permanenza del richiedente in quella struttura, salvo il trasferimento in altro centro, che può essere disposto, per motivate ragioni, dalla prefettura-ufficio territoriale del Governo in cui ha sede la struttura di accoglienza che ospita il richiedente. Il trasferimento in un centro collocato in una provincia diversa è disposto dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno.

21. All’art. 11 d.lgs 18 agosto 2015, n. 142, dopo il comma 2, l’art. 5-bis, comma 4 della legge n. 50/2023 ha inserito il seguente comma:
«2-bis. Nelle more dell’individuazione di disponibilità di posti nei centri governativi di cui all’articolo 9 o nelle strutture di cui al presente articolo, l’accoglienza può essere disposta dal prefetto, per il tempo strettamente necessario, in strutture di accoglienza provvisoria individuate con le modalità di cui al comma 2. In tali strutture sono assicurate le prestazioni concernenti il vitto, l’alloggio, il vestiario, l’assistenza sanitaria e la mediazione linguistico-culturale, secondo le disposizioni contenute nello schema di capitolato di gara di cui all’articolo 12».

22. Vds. la circolare del Ministero dell’interno del 19 maggio 2023, n. 14100/113(14).

23. L’art. 17 d.lgs n. 142/2015 riprende quanto previsto nell’art. 21 della direttiva 33/2013/UE, la quale recita: «nelle misure nazionali di attuazione della (…) direttiva, gli Stati membri tengono conto della specifica situazione di persone “vulnerabili”», così identificate: «i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali femminili».

24. Vds. il combinato disposto tra il comma 2-bis lett. a dell’art. 1-sexies dl n. 416/1989, riformato dall’art. 5-ter, comma 1 della l. n. 50/2023, e il comma 1-bis dell’art. 9 d.lgs n. 142/2015, inserito dal comma 2, lett. b, n. 2 dell’art. 5-ter l. n. 50/2023.

25. Il comma 3 dell’art. 17 d.lgs n. 142/2015 dispone che «Nei centri di cui all’articolo 9 (centri governativi) sono previsti servizi speciali di accoglienza delle persone vulnerabili portatrici di esigenze particolari, individuati con il decreto ministeriale di cui all’articolo 12, assicurati anche in collaborazione con la ASL competente per territorio. Tali servizi garantiscono misure assistenziali particolari ed un adeguato supporto psicologico».

26. Tra tutte le categorie di vulnerabilità, preme in questa sede ricordare che disposizioni particolari sono riservate all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, a prescindere dalla tipologia del titolo di soggiorno. A proposito di minori, ci pare interessante evidenziare che la circolare del Ministero dell’interno del 16 giugno 2023, relativa all’accoglienza nella rete Sai, specifica che i minori (accompagnati) rientrano tra coloro che possono accedervi e, in ragione del diritto all’unità familiare, anche i familiari degli stessi. Per lo stesso principio, nella circolare, i richiedenti protezione internazionale, familiari di titolari di protezione internazionale, o altro titolo di soggiorno idoneo all’accoglienza nel Sai, possono essere inseriti all’interno dei progetti della rete degli enti locali.

27. Con l’espressione “corridoi umanitari” si intendono le iniziative di collaborazione tra settore pubblico e soggetti privati o non governativi, che consentono il trasferimento di persone bisognose di protezione internazionale dal Paese di primo asilo, dove risiedono, in Italia. I beneficiari sono accolti presso strutture individuate e finanziate dalle associazioni proponenti, che garantiscono anche i percorsi di integrazione  socio-culturale, senza oneri a carico dello Stato. Si distinguono dai “corridoi umanitari” altre forme di accesso legale di rifugiati e richiedenti asilo in Italia, che tuttavia presentano caratteristiche  e procedure diverse. In primo luogo, il «Programma nazionale di reinsediamento», che consiste nel trasferimento di rifugiati, su richiesta dell’Unhcr, dai Paesi di primo asilo verso l’Italia, dove sono ospitati presso strutture Sai. Per il Programma è previsto un sostegno finanziario da parte dei fondi Fami («Fondo asilo, migrazione e integrazione»).Un’ulteriore forma di ammissione legale e sicura si realizza con le cd. “evacuazioni umanitarie”, finalizzate al trasferimento rapido di persone in situazioni di emergenza, potenzialmente bisognose di protezione internazionale.

28. Nonostante le motivazioni addotte, il trattamento differenziato per coloro che siano giunti attraverso canali protetti rispetto ai richiedenti giunti tramite sbarco o attraversamenti di frontiera terrestre, desta perplessità in merito alla disparità di trattamento in termini di prestazioni e servizi. È, inoltre, necessario evidenziare gli aspetti di aleatorietà dell’attuale sistema, in quanto, in base a ciò che si prevede, potremmo trovarci di fronte, ad esempio: un cittadino afghano giunto tramite sbarco, accolto nei centri governativi, cui sono riservati servizi di mediazione linguistica, assistenza sanitaria e sociale; o accolto in un centro di accoglienza provvisorio, dove riceverà servizi di mediazione linguistica e assistenza sanitaria; oppure giunto tramite un programma di reinsediamento o evacuazione o corridoio umanitario, che potrà essere accolto, oltre che nei centri governativi, anche nel Sai, e dunque vedersi qui assicurate prestazioni relative all’assistenza sanitaria, assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e servizi di orientamento legale e al territorio. 

29. L’orientamento espresso dalla giurisprudenza europea e nazionale ha portato alla declaratoria di illegittimità dell’ipotesi di revoca prevista dall’art. 23, comma 1, lett. e, d.lgs n. 142/2015, per i casi in cui il richiedente abbia violato in modo grave o ripetuto le regole della struttura di accoglienza ovvero abbia avuto comportamenti gravemente violenti, in quanto ritenuta incompatibile con l’art. 20, parr. 4 e 5 della direttiva 2013/33/UE. La giurisprudenza nazionale, considerata l’efficacia diretta delle pronunce della Corte UE nell’ordinamento interno, ha pertanto disapplicato la normativa nazionale in contrasto con il diritto eurounitario, determinando di fatto un vuoto normativo per la fattispecie contemplata dalla previgente disposizione e invitando il legislatore ad apprestare una disciplina che adeguasse il regime delle sanzioni sia alle esigenze di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, sia al particolare status dei richiedenti protezione internazionale (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 11277/2022). Si vedano le sentenze della Corte di giustizia del 12 novembre 2019 (C-233/2018) e del 1° agosto 2022 (C-422/2021).

30. I provvedimenti di revoca, ex art. 23 d.lgs n. 142/2015, possono essere adottate con decreto del prefetto qualora il richiedente asilo: a) non si presenti presso la struttura individuata o abbandoni immotivatamente la struttura stessa senza comunicarlo alla prefettura; b) non si presenti all’audizione davanti all’organo che esamina la domanda; c) abbia già in precedenza presentato in Italia domanda di protezione internazionale, reiterata ai sensi dell’art. 29 d.lgs n. 25/2008; d) abbia mezzi economici sufficienti e accertati. Una ulteriore causa di revoca si verifica ove, successivamente all’invio in una struttura di accoglienza, emergano i presupposti per la valutazione di pericolosità del richiedente che giustifica il trattenimento nei Cpr. In tal caso, il prefetto dispone la revoca delle misure e ne dà comunicazione al questore ai fini dell’adozione del provvedimento di trattenimento. In ogni caso, in vista dell’adozione della revoca delle misure, si deve prendere in considerazione la complessiva situazione del richiedente, specie in riferimento a eventuali condizioni di vulnerabilità. Avverso il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza, il richiedente può proporre ricorso giurisdizionale avanti al tribunale amministrativo regionale competente.

31. In proposito, si richiama il punto 52 della sentenza Haqbin (C-233/18), 12 novembre 2019, in cui la Corte di giustizia ha sottolineato che gli Stati membri possono, nei casi di cui all’art. 20, par. 4 della direttiva 2013/33, imporre, a seconda delle circostanze del caso e fatto salvo il rispetto dei requisiti di cui all’art. 20, par. 5 di tale direttiva, sanzioni che non hanno l’effetto di privare il richiedente delle condizioni materiali di accoglienza, come la sua collocazione in una parte separata del centro di accoglienza, unitamente a un divieto di contatto con taluni residenti del centro o il suo trasferimento in altro centro di accoglienza o in altro alloggio, ai sensi dell’art. 18, par. 1, lett. c di tale direttiva. 

32. Il sistema di accoglienza territoriale dei migranti è stato istituzionalizzato dalla legge n. 189/2002, che ha modificato il dl n. 416/1989 (artt. 1-sexies e 1-septies) al fine di introdurre un sistema di accoglienza pubblico, diffuso su tutto il territorio italiano, con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali, secondo una condivisione di responsabilità tra Ministero dell’interno ed enti locali. Gli enti locali aderiscono al sistema su base volontaria e attuano i progetti con il supporto delle realtà del terzo settore. A coordinare il Sistema è il Servizio centrale, attivato dal Ministero dell’interno e affidato con convenzione all’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci). Ai sensi della normativa vigente, i progetti Sai sono presentati in occasione di avvisi pubblici, pubblicati dal Ministero dell’interno in base alle esigenze di posti di accoglienza all’interno del Sistema e sono sottoposti all’esame di una commissione di valutazione. Le modalità di presentazione e valutazione delle domande per l’accesso alle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo sono illustrate nelle linee-guida predisposte dal Ministero dell’interno. I titolari dei progetti sono gli enti locali, i quali possono presentare domanda di prosecuzione dei servizi di accoglienza già in essere oppure domanda per il primo ingresso all’interno del Sistema. L’accesso alle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, istituito dalla l. 30 luglio 2002, n. 189, che ha modificato il dl n. 416/1989, è regolato dalle graduatorie finali dei progetti ammessi a finanziamento. Le caratteristiche strutturali del sistema di accoglienza integrata poggiano su alcuni fondamentali capisaldi: la titolarità dei progetti affidata agli enti locali; la definizione di servizi minimi garantiti contemplati nelle linee-guida; il partenariato strategico con i soggetti del terzo settore, cui è spesso demandata la realizzazione dei progetti; il modello di accoglienza “diffusa” e per piccoli numeri, che interessa un numero significativo di piccoli comuni distribuiti su tutto il territorio nazionale; le modalità di funzionamento del Sistema, che sono regolate dalla linee-guida del Ministero dell’interno e che vedono la compartecipazione del Servizio centrale affidato all’Anci, oltre ovviamente agli enti attuatori delle singole iniziative progettuali; il coordinamento, monitoraggio e supporto alla rete a cura del Servizio centrale, attraverso il quale vengono garantiti trasparenza e standard di qualità.

33. Nel corso degli anni, lo Sprar/Siproimi/Sai ha registrato numerosi ampliamenti, innanzitutto a seguito delle varie disposizioni normative e amministrative che hanno seguito le variazioni dei flussi migratori provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente e, ultimamente, a seguito delle recenti guerre e crisi umanitarie in Siria, Afghanistan e Ucraina. Partito all’inizio degli anni 2000 con poco più di un migliaio di posti, dal 2013, in occasione della cd. “emergenza Nord Africa”, oltre al finanziamento di strutture straordinarie (all’epoca gestite dalla Protezione civile), sono state stanziate risorse anche per un rafforzamento dell’allora Sprar. All’epoca si è, pertanto, registrata un’importante crescita di posti (+161%) e di beneficiari (+61%), che è continuata a ritmo piuttosto sostenuto fino al 2018, quando complessivamente i dati si sono attestati a 35.881 posti e 41.113 beneficiari accolti nell’anno. A seguito dell’entrata in vigore del dl n. 113/2018, vi è stata una decrescita che ha portato a poco più di 31.000, interrotta nel 2021, con l’aumento dei posti, in particolare dedicati ai minori stranieri non accompagnati. Un trend di crescita proseguito nel successivo biennio e che ha portato oggi (settembre 2023) la rete Sai ad avere 43.449 posti finanziati di cui 36.455 per beneficiari di accoglienza ordinaria, 6207 per minori stranieri non accompagnati e 797 deputati all’accoglienza di persone con disagio mentale e/o con esigenze di assistenza sanitaria specialistica.

34. A tal proposito, si rinvia a N. Zorzella, La riforma 2023 della protezione speciale: eterogenesi dei fini?, in questo fascicolo.

35. Sulle cause di esclusione, vds. S. Celentano, Lo status di rifugiato e l’identità politica dell’accoglienza, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2018, pp. 67-84 (www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/lo-status-di-rifugiato-e-l-identita-politica-dell-accoglienza_534.php).

36. Le attività finalizzate ad assicurare soccorso e assistenza alla popolazione ucraina sul territorio nazionale, in conseguenza della grave crisi internazionale in atto, sono state introdotte con ordinanze di protezione civile e decreti-legge conseguenti alla deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale adottata dal Consiglio dei ministri il 28 febbraio 2022, fino al 31 dicembre 2022, la cui durata è stata prorogata dapprima con la legge di bilancio 2023 fino al 3 marzo 2023 (art. 1, comma 669, l. n. 197/2022) e, da ultimo, fino al 31 dicembre 2023 con deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 febbraio 2023, in conseguenza del perdurare della crisi internazionale. Le misure di cui si tratta sono state disposte in particolare ai sensi del dl n. 21/2022 (art. 31) e ulteriormente rafforzate e rimodulate ad opera dei successivi decreti-legge nn. 50 (art. 44) e 115 (art. 26) del 2022, in conseguenza degli sviluppi della crisi bellica. Da ultimo, la legge di bilancio 2023 (art. 1, comma 671, l. n. 197/2022) ha previsto una clausola di flessibilità attuativa, abilitando il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio fino al 3 marzo 2023 (all’epoca, termine di durata dello stato di emergenza) a rimodulare, sulla base delle effettive esigenze, le misure di assistenza e accoglienza in favore dei profughi ucraini previste dal dl n. 21/2022 per fronteggiare la situazione emergenziale.

37. Tutte le attività/prestazioni previste nel Sai sono realizzate con l’obiettivo di accompagnare ogni singola persona accolta lungo un percorso di (ri)conquista della propria autonomia, attraverso percorsi d’integrazione individualizzati. Nell’ambito del Sistema, sono inoltre previsti progetti specializzati per l’accoglienza e sostegno di persone portatrici di specifiche vulnerabilità o di esigenze peculiari: persone disabili o con problemi di salute (fisica e mentale), minori stranieri non accompagnati, vittime di tortura o di violenza, nuclei monoparentali, donne sole in stato di gravidanza, lgbtq+. Si tratta, quindi, di un’accoglienza differenziata e calibrata in funzione di ciascuna tipologia di utenza proprio al fine di garantire l’universalità nell’accesso ai servizi e la presa in carico olistica delle persone.

38. In proposito, si ricorda che il quadro normativo di riferimento contempla alcune ipotesi di revoca dell’accoglienza nel Sai che sono previste dall’art. 40 del decreto del Ministro dell’interno 18 novembre 2019, recante «Modalità di accesso degli enti locali ai finanziamenti del Fondo nazionale  per le politiche ed i servizi dell’asilo e di funzionamento del Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati (Siproimi, ora SAI) _allegato A». Tale disposizione prevede che l’accoglienza possa essere revocata nei seguenti casi: a) violazione grave o ripetuta del regolamento della struttura di accoglienza, compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti; b) ingiustificata mancata presentazione del beneficiario nella struttura individuata dal Servizio centrale; c) ingiustificato allontanamento del beneficiario oltre le 72 ore, senza previa autorizzazione dell’ente locale; d) applicazione nei confronti del beneficiario della misura della custodia cautelare in carcere. La revoca delle misure di accoglienza è disposta con provvedimento adottato dall’ente locale, da comunicare tempestivamente al Servizio centrale.

39. Uno dei nodi centrali del sistema di accoglienza in Italia, che neppure la riforma apportata dal dl n. 130/2020 ha affrontato, è costituto dall’adesione volontaria dei comuni al Sai, per cui l’accoglienza avviene nei limiti del numero dei posti disponibili. Questo aspetto, da tempo oggetto della dottrina, solleva perplessità sul piano costituzionale, in quanto l’attività dell’accoglienza rientrerebbe, secondo diversi autori, tra le «funzioni amministrative di assistenza ed inclusione (o di welfare) spettanti ex art. 118 della Costituzione anzitutto ai Comuni e, sussidiariamente, agli enti territoriali maggiori. Dato l’inscindibile nesso tra parte sostantiva (i diritti e i doveri) e parte organizzativa (i poteri pubblici) del testo costituzionale, basarsi sulla volontarietà dell’accoglienza determina un oggettivo impoverimento della protezione accordata allo straniero dal terzo comma dell’art. 10, oltre che da norme internazionali e UE» – vds. M. Nicolini e C. Panzera, Asilo, in Dizionario dei diritti degli stranieri, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020. E ancora: P. Bonetti, Accoglienza nell’emergenza: la recente evoluzione, in J. Woelk - F. Guella - G. Pelacani (a cura di), Modelli di disciplina dell’accoglienza nell’“emergenza immigrazione”. La situazione dei richiedenti asilo dal diritto internazionale a quello regionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016, pp. 113-161; F. Cortese, La crisi migratoria e la gestione amministrativa, in Rivista trimestrale di Diritto pubblico, n. 2/2019, pp. 435-448; L. Trucco, Luci ed ombre nel decreto legge n. 130/2020, in M. Giovannetti e N. Zorzella (a cura di), Immigrazione, protezione internazionale e misure penali. Commento al decreto legge n. 130/2020, Pacini Giuridica, Pisa, 2021, pp. 1-13.

40. Si rinvia ai seguenti testi di M. Foucault: Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 1977; Sicurezza, territorio, popolazione, Feltrinelli, Milano, 2005; Nascita della biopolitica – Cours au Collège de France 1978-79, Feltrinelli, Milano, 2005.

41. A. Tucci, Dispositivi della normatività, Giappichelli, Torino, 2018, p. 17.

42. Dl 19 settembre 2023, n. 124: «Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione».

43. In base all’art. 140 d.lgs 31 marzo 2023, n. 36, per «circostanze di somma urgenza» si intendono quelle «che non consentono alcun indugio, al verificarsi di eventi di danno o di pericolo imprevisti o imprevedibili idonei a determinare un concreto pregiudizio alla pubblica e privata incolumità, ovvero nella ragionevole previsione dell’imminente verificarsi degli stessi» e ancora quando «la ragionevole previsione dell’imminente verificarsi degli stessi, che richiede l’adozione di misure indilazionabili, nei limiti dello stretto necessario. La circostanza di somma urgenza, in tali casi, è ritenuta persistente finché non risultino eliminate le situazioni dannose o pericolose per la pubblica o privata incolumità derivanti dall’evento, e comunque per un termine non superiore a quindici giorni dall’insorgere dell’evento, oppure entro il termine stabilito dalla eventuale declaratoria dello stato di emergenza (…)».