Magistratura democratica
giurisprudenza costituzionale

La Corte costituzionale ritorna sul caso Abu Omar: il primato della ragione di Stato

di Pier Francesco Poli
Dottorando di ricerca in Diritto e Procedura Penale Università di Genova
Il difficile equilbrio tra tutela delle vittime e sicurezza nazionale
La Corte costituzionale ritorna sul caso Abu Omar: il primato della ragione di Stato

Il 13 febbraio 2014 la Corte costituzionale, con la sentenza n. 24, è ritornata sul tema del segreto di Stato nel processo Abu Omar. Come noto, il procedimento in questione ha vissuto vicende alterne e rilevanti “colpi di scena”, in special modo per quanto concerne l’applicazione della disciplina concernente il segreto di Stato. All’esito di alcuni ricorsi già presentati avanti al Giudice delle leggi, il quale aveva riconosciuto la legittimità dell’apposizione del segreto da parte della Presidenza del Consiglio su alcuni atti processuali, la Corte d’Appello di Milano emise sentenza di non doversi procedere per cinque ex funzionari dei servizi segreti italiani.

La Corte di Cassazione, avanti alla quale la Procura presentò ricorso, annullò però la decisione della Corte d’Appello milanese, osservando che l’apposizione di tale segreto, se non consentiva al giudice l’utilizzazione di atti e documenti da esso coperti, tuttavia non gli precludeva di accertare la responsabilità delle persone sottoposte a processo in altro modo. Rilevava altresì la Suprema Corte che il segreto apposto dalla Presidenza del Consiglio avrebbe riguardato i rapporti intrattenuti dai servizi segreti italiani con quelli stranieri, ma non l’atto specifico del sequestro dell’ex imam Abu Omar deducendo, da un punto di vista logico, che poiché il governo aveva nelle proprie asserzioni rilevato che gli agenti non avevano avuto alcun ruolo nel sequestro dell’ex Imam, eventuali iniziative prese da tali soggetti dovevano intendersi essere state prese a titolo individuale e come tali, ovviamente, non coperte da segreto.

Il Presidente del Consiglio, avverso tale decisione, ha presentato un nuovo ricorso alla Consulta per conflitto di attribuzioni, estendendolo successivamente anche ai provvedimenti assunti dalla Corte d’Appello milanese quale giudice del rinvio che nelle more del giudizio avanti al Giudice delle leggi aveva condannato gli ex funzionari del SISMI.

La Corte costituzionale, nella sentenza che qui si segnala, ha però nuovamente affermato il primato della ragione di Stato, di fatto ponendo nel nulla il provvedimento di annullamento della prima decisione del giudice di secondo grado assunto dalla Corte di Cassazione, prima, e quello di condanna emesso dalla Corte d’Appello di Milano quale giudice del rinvio, poi.

Il Giudice delle leggi ritorna infatti sul tema della sicurezza dello Stato e dell’apposizione, al fine di garantire la medesima, del segreto, osservando che in questo ambito il Presidente del Consiglio “gode di un ampio potere discrezionale, sul cui esercizio è escluso qualsiasi sindacato dei giudici comuni poiché il giudizio sul mezzi idonei a garantire la sicurezza dello Stato ha natura politica” e che tale potere “non è altro che il portato della già evidenziata preminenza dell’interesse della sicurezza nazionale, alla cui salvaguardia il segreto di Stato è preordinato, rispetto alle esigenze dell’accertamento giurisdizionale”. E’ solo al Presidente del Consiglio che spetta individuare l’oggetto e l’esatta delimitazione del segreto, ”senza che altri organi o poteri possano ridefinirne la portata, adottando comunque comportamenti nella sostanza elusivi dei vincoli che dal segreto devono – in relazione a quello specifico “oggetto” – scaturire, anche nell’ambito della pur doverosa persecuzione dei fatti penalmente rilevanti”.

Fatta questa premessa, il Giudice delle leggi osserva che, impregiudicato  il disvalore delle condotte eventualmente tenute dagli ex funzionari del SISMI, l’affermazione della Cassazione, secondo la quale il segreto non avrebbe coperto condotte extrafunzionali compiute dal SISMI in quanto l’operazione non era riconducibile né al Governo né al SISMI stesso, avrebbe comportato una modifica sostanziale del segreto apposto dal Governo, del suo oggetto e dei suoi limiti, giungendo alla conclusione che i provvedimenti assunti dalla Corte di Cassazione prima e dalla Corte d’Appello di Milano poi erano stati emessi in violazione dei principi in questione e come tali eccedendo le attribuzioni proprie della Magistratura. La Corte costituzionale annulla quindi le decisioni della Corte di Cassazione e della Corte d’Appello di Milano nelle parti in cui avevano affermato tali tesi, in sostanza aggirando la secretazione posta dalla Presidenza del Consiglio.

La materia oggetto della sentenza pone, è evidente, problemi delicatissimi di equilibrio tra poteri e tra beni costituzionalmente garantiti. Nonostante le numerose critiche apparse in varie sedi, tendenti soprattutto a sottolineare l’impunità conseguita per i soggetti che avevano sottoposto Abu Omar a sequestro ed il mancato accertamento della verità, va evidenziato come il ragionamento della Consulta muova non da un’apodittica presa di posizione, ma dalla necessità di tutelare un bene primario e fondamentale che viene individuato nella sicurezza nazionale. Si ritiene, cioè, che tale bene supremo imponga la necessità di lasciare al Governo la decisione, di natura squisitamente politica, di come gestire i rapporti concernenti i servizi segreti.

E’ solamente in virtù della necessità di tutelare questo bene supremo che i Giudici delle leggi ritengono ammissibile l’apposizione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, che di tale bene è tutore, del segreto di Stato, che risulta pertanto non volabile e non aggirabile in alcun modo, anche a costo, come nel caso di specie, di non accertare la verità su un fatto di rilievo penale lasciando quindi la vittima sfornita di tutela.

Le osservazioni critiche che possono essere mosse alla sentenza in alcuni casi trovano fecondo terreno di attecchimento, in particolare per quanto concerne il rispetto di pronunce di questo tipo con le indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, soprattutto per quanto concerne il tema della protezione della vittima, e dal Parlamento Europeo. Quanto a quest’ultimo organo, si veda sul punto la Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea del 27 febbraio 2014 in cui il Parlamento ha addirittura espresso preoccupazione per la “politicizzazione” di alcune Corti costituzionali, ritenuta esistente proprio in conseguenza della ritenuta legittimità dell’apposizione del segreto in alcuni procedimenti concernenti le renditions.

Va rilevato tuttavia che forse, per essere di aiuto ad una più generale riflessione sistematica, tali osservazioni dovrebbero prendere le mosse dall’esigenza di tutelare, oltre che le vittime dei reati – circostanza della quale nessuno dubita – la sicurezza nazionale, che è stata ritenuta decisiva dal Giudice delle leggi nell’assumere il provvedimento in oggetto al fine, per il futuro, di contribuire in modo effettivo alla ricerca del difficile equilibrio tra queste opposte, delicatissime, esigenze, nessuna delle quali può essere sacrificata.

 

30/04/2014
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