Il costo del prestito bancario:
un’equazione a molte incognite
A partire dalla metà degli anni ’90 l’ordinamento bancario ha rafforzato la tutela del cliente e, soprattutto, del risparmiatore. I forti interessi economici in gioco, però, hanno reso questo percorso non lineare. Anche i tempi di maturazione di interpretazioni condivise hanno contribuito, non poco, ad incrementare le incertezze. I giudici più accorti affidano ai consulenti tecnici d’ufficio quesiti alternativi, per garantirsi più soluzioni alternative, in vista della decisione finale. In pochi anni alcune questioni, come la commissione di massimo scoperto e gli altri costi accessori, sembrano marginalizzate, mentre altre, come la rilevanza degli interessi moratori o l’usura sopravvenuta, sono al centro del dibattito. Il legislatore, dopo aver abolito, senza troppa convinzione, l’anatocismo bancario, ha rapidamente fatto marcia indietro, aprendo volutamente una piega normativa utile alla sua generalizzata reintroduzione da parte delle banche.
1. Una stratigrafia normativa per un unico rapporto di durata
Nell’ordinamento italiano, dalla metà degli anni ’90, dopo oltre cinquanta anni di applicazione dell’anatocismo e di assenza di limiti normativi al saggio di interesse contrattuale, la disciplina degli interessi bancari è stata ripetutamente modificata attraverso numerosi interventi legislativi e giurisprudenziali.
Rispetto ad una condizione di assoluta libertà contrattuale di forma, pubblicità, contenuto del contratto, con un equilibrio contrattuale completamente sbilanciato a favore della banca, è stato progressivamente modificato il quadro giuridico di riferimento del rapporto banca-cliente, e ciò secondo una quadruplice linea di intervento:
- il formalismo ha pervaso l’intero rapporto bancario, a partire introduzione della disciplina della trasparenza bancaria (1992 - l. 154/1992, poi confluita nel Tub);
- l’usura è imperniata su una soglia, oltre la quale il profitto del banchiere diviene sempre e comunque provento di reato (art. 644 cpc) ed il prestito oneroso si trasforma in gratuito (art. 1815 cc - l. 108/1996 1996);
- è stata negata l’esistenza di un uso normativo di anatocismo (Cass. Sez. I n. 3096/1999 e Cass. Sez. III n. 2374/1999).
- il cliente è libero di svincolarsi dal mutuo, con la portabilità dei mutui (l. 140/2007).
Le norme sulla trasparenza bancaria e quelle sulla surroga dei mutui, hanno progressivamente favorito il risparmiatore (sul piano della tutela, le prime, su quello economico, le seconde). La regolamentazione degli interessi bancari e, in genere, dei diversi oneri a carico del cliente, invece, ha avuto un andamento poco lineare, dovuto a spinte provenienti da più direzioni: i mutamenti di giurisprudenza, il cambiamento del ciclo finanziario, la capacità di adattamento delle banche nel conservare i margini di profitto, la coagulazione degli interessi dei risparmiatori tramite le associazioni di categoria; la diffusione del know-how tra avvocati e consulenti per sfidare le banche nelle aule dei tribunali, l’offerta di prodotti finanziari inadeguati alle effettive esigenze del cliente avvantaggiandosi delle asimmetrie informative, la mancanza di una linea decisa di intervento da parte del legislatore.
2. Il contratto monofirma
Il formalismo imposto dal legislatore a favore tanto del risparmiatore (trasparenza bancaria) quanto a favore dell’investitore (disciplina dei servizi ed attività di investimento – d.lgs 58/1998) impone all’intermediario diversi obblighi di comunicazione e documentazione scritta già prima della nascita del rapporto contrattuale. Essi sono previsti sia dalle regole sui fogli informativi e sugli annunci pubblicitari delle banche, che impongono dettagliati obblighi di forma-contenuto[1] sia dalle norme sulle informazioni, comunicazioni pubblicitarie e promozionali degli intermediari, i quali devono fornire all’investitore le informazioni concernenti i termini del contratto «in tempo utile prima che sia vincolato da qualsiasi contratto»[2].
Nella fase precontrattuale, già prima della conclusione del contratto, la banca ha l’obbligo di consegnare al cliente, «su sua richiesta», una copia completa del suo testo idonea per la stipula o, in alternativa, il solo documento di sintesi[3].
Una parte del contenzioso bancario riguarda proprio gli inadempimenti formali della banca, in particolare, la mancata conclusione per iscritto del contratto bancario (art. 117 Tub che comporta la nullità del contratto. Avendo come effetto la sostituzione del tasso contrattuale con quello previsto dall’art. 117 Tub, il vizio di forma trasforma notevolmente l’equilibrio economico del rapporto.
La mancanza integrale del documento contrattuale era un’ipotesi che ricorreva prevalentemente in rapporti bancari sorti prima del 1992, e tardivamente giunti in fase contenziosa; negli ultimi anni, invece, le eccezioni di nullità del contratto bancario per difetto di forma hanno riguardato, soprattutto, il contratto cd. monofirma, sottoscritto dal cliente, ma non dal funzionario bancario competente.
Il problema nasce dall’improvvida prassi degli intermediari di custodire la copia del contratto sottoscritta dal cliente, senza la sottoscrizione del funzionario, che preclude alla banca di produrre in giudizio la copia del contratto sottoscritto da entrambi. Il cliente in tal caso si avvale della nullità di protezione ex art. 127 Tub, limitando la richiesta di pagamento della banca al solo tasso previsto calcolato in base all’art. 117, comma 7 Tub, esclusi gli interessi corrispettivi al saggio convenzionale, gli interessi di mora, le commissioni, e tutti gli altri oneri previsti dalla contrattazione standardizzata.
Per i contratti di investimento, invece, la mancanza del contratto quadro sottoscritto dal cliente (art. 23 Tuf), determina la nullità degli ordini di investimento successivi, consentendo al cliente di non vedersi addebitare le perdite derivanti dalla loro esecuzione.
Per alcuni il difetto di forma è tradizionalmente un vizio strutturale del negozio, per cui esso è inevitabilmente nullo; per altri, invece, diversamente dalla forma vincolata del tradizionale contratto immobiliare, la (sola) sottoscrizione del cliente preclude la declaratoria di invalidità, perché in tal caso è comunque garantita la funzione informativa a cui tende la trasparenza bancaria.
Nella consapevolezza della difficile conciliazione tra queste due posizioni, l’ordinanza interlocutoria della Prima sezione n.1044/2017 ha rimesso la causa alle Sezioni Unite, per comporre il contrasto interno alla Corte su tale questione.
L’ordinanza lascia trasparire una preferenza per la valorizzazione della specifica funzione delle forme negoziali imposte all’intermediario, Idola libertatis (N. Irti) di riequilibrio delle asimmetrie conoscitive. Senza dubbio essa evidenzia l’ingiustizia sostanziale della necessaria doppia sottoscrizione, soprattutto nei contratti di investimento, dove il cliente può operare un uso selettivo della facoltà concessagli dall’art. 23, comma 3 Tuf eccependo la nullità solo delle operazioni in perdita, preservando, invece, l’efficacia di quelle che sono risultate a lui favorevoli. Di qui l’esigenza, indicata nell’ordinanza, non considerando valido il contratto monofirma, di ovviare a tale stortura, considerando l’esecuzione del contratto da parte del cliente nella parte a sé favorevole come convalida del negozio nullo, oppure, di qualificare il cherry picking del cliente delle sole operazioni ad esito sfavorevole come condotta contraria a buona fede oppure come abuso del diritto, non consentiti dall’ordinamento.
Nell’attesa della decisione delle Sezioni Unite, è opportuno evidenziare che esse, se non si intenderanno accollare alle banche le conseguenze, anche ingiuste, di un certo superficialismo dei loro funzionari, dovranno riconoscere, in sostanza, con la validità del contratto monofirma, quella di un negozio bilaterale a forma vincolata unilaterale, potendo l’intermediario aderire al contratto con dichiarazione verbale o per facta concludentia mediante produzione in giudizio del contratto firmato dal solo cliente; altrimenti, evitando deviazioni rispetto alla tradizione del negozio giuridico, i giudici della Corte Suprema dovranno ricorrere alla formula salvifica, e di uso sempre più ricorrente, della contrarietà a buona fede della formulazione dell’eccezione di nullità per difetto di forma scritta del cliente che ha sottoscritto il contratto. Appare, invece, meno convincente l’ipotesi della convalida del negozio ai sensi dell’art. 1423 cc, non prevedendo la legge speciale espressamente tale possibilità.
3. Il saldo zero
Importanza ancora maggiore ha assunto la documentazione della fase esecutiva del rapporto contrattuale.
Nei contratti di investimento, il contenzioso si è sviluppato anche sul tema dell’informazione successiva alla conclusione del contratto e, segnatamente, dell’obbligo di monitoraggio dell’andamento degli investimenti del cliente (da diversificarsi a seconda della natura del contratto di investimento e dei prodotti che ne sono oggetto).
Nei contratti bancari, invece, l’attenzione dei giudici è stata sollecitata, soprattutto, non sul piano dell’informazione, quanto su quello della prova del rapporto, per la ricorrente incompletezza degli estratti conto prodotti dalle parti, incompletezza alla quale si è ovviato ricostruendo l’andamento del conto partendo dal cd. saldo zero oppure, ancora più radicalmente, rigettando la domanda dell’attore in caso di mancanza della serie completa degli estratti (dall’inizio del rapporto alla sua conclusione).
Opportunamente, però superandosi un atteggiamento iniziale di eccessivo favore verso i clienti, che addossava sempre e comunque alla banca le conseguenze negative di tale mancanza, anche nel caso essa in cui fosse convenuta in giudizio, la suprema Corte, ha aderito alle tesi di parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, dando rilevanza alla distribuzione dell’onere della prova tra attore e convenuto. Si è così affermato che, nel caso in cui la domanda sia proposta dalla banca e fondata su una serie di estratti successivi all’insorgere del rapporto, nella ricostruzione delle operazioni e del saldo debba partirsi da zero, e non dal saldo negativo iniziale, mentre nel caso in cui sia il cliente ad assumere la veste dell’attore, il consulente debba partire dal primo saldo, anche se negativo, e non da zero. (Cass. Sez. I, n. 550 dell’11 gennaio 2017).
Restano da verificare, tuttavia, alcune ipotesi particolari.
Può capitare, infatti, che a mancare siano gli estratti intermedi.
In questo caso, ritengo che per la banca-attrice debba partirsi non da zero, ma dall’estratto che risulta più favorevole per il cliente; in tal caso, la banca ha provato la sequenza delle operazioni annotate fino all’ultimo estratto prima del “buco” nella serie continua, salvo che, naturalmente, il primo estratto successivo alla serie mancante, non indichi che il saldo sia divenuto più favorevole al cliente e, quindi, provi la riduzione del suo debito (o l’incremento del saldo attivo).
Per il cliente-attore, al contrario, deve farsi riferimento esclusivamente al primo estratto successivo alla serie mancante, anche se a lui più sfavorevole, in quanto gravato dell’onere della prova del proprio diritto.
Ancora, può capitare che pur mancando solo il saldo iniziale, banca e cliente siano entrambi nella posizione di attore e di convenuto, perché l’uno ha proposto domanda riconvenzionale rispetto all’azione esercitata dall’altro: la banca agisce con decreto ingiuntivo ed il cliente si oppone, proponendo domanda riconvenzionale per il saldo; l’attore agisce per rideterminare il saldo effettivo del conto e la banca in riconvenzionale chiede il pagamento del saldo passivo.
Cosa fare? Dare prevalenza al criterio del saldo zero o negarlo? Ritengo che in questo caso debba procedersi al doppio calcolo del saldo.
Per la domanda della banca si applica il saldo zero, mentre per la domanda del cliente deve partirsi, invece, dal primo estratto acquisito agli atti. In tale modo, se il saldo zero determina un saldo finale negativo, la banca potrà chiederne il pagamento, ma se il saldo zero, invece, determina un saldo ricalcolato di segno positivo, il cliente non se ne potrà avvalere per la sua riconvenzionale di ripetizione dell’indebito, non avendo rispettato il proprio onere probatorio. Il saldo zero vale, quindi, a favore del cliente solo nella sua veste di convenuto, ma non in quella di attore in riconvenzionale.
Non senza difficoltà, interpretando in modo limitativo gli effetti del giudicato della sentenza che, applicando il saldo zero ed accertando un saldo finale positivo, abbia respinto la domanda della banca, può impedirsi, poi che il cliente, invece di proporre domanda riconvenzionale nel giudizio intentato dalla banca, agisca in un momento successivo per ottenere la condanna della banca al pagamento del saldo positivo preventivamente accertato nel precedente giudizio, così indirettamente avvantaggiandosi per la propria domanda di condanna dell’insuccesso nella prova del saldo finale passivo della banca attrice[4].
4. L’acquisizione processuale degli estratti conto e l’art. 119 Tub : diritto o limite processuale?
Sulla carta, il cliente vanta un diritto soggettivo perfetto ad ottenere dalla banca copia della documentazione di cui all’art. 119 d.lgs n. 385/1993[5], che non si estingue con lo scioglimento del rapporto[6] e, neppure, in caso di fallimento del cliente (art. 78 l.f.)[7].
L’esercizio di tale prerogativa in sede contenziosa è molto controverso, vuoi per iniziative poco zelanti dei correntisti, vuoi per la determinazione delle banche ad evitare azioni di ripetizione, vuoi anche per un atteggiamento progressivamente sempre più rigoroso della giurisprudenza, forse giustificato da numerose azioni pretestuose, ma talvolta trascendente in una ingiustizia sostanziale.
Tale diritto, infatti, intrecciandosi tra loro diritto sostanziale e processuale, viene esercitato alternativamente con:
a) la richiesta stragiudiziale ex art. 119 Tub antecedente al giudizio;
b) il ricorso al procedimento monitorio per la domanda di consegna di copia della documentazione del rapporto, da tempo ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza[8], superandosi le obiezioni[9], secondo cui il monitorio avrebbe ad oggetto un obbligo di fare e, ritenendosi, invece, che il facere assuma un ruolo ancillare[10];
c) l’istanza ai sensi dell’art. 696 bis cpc di accertamento tecnico preventivo, specie se formulata dopo la richiesta stragiudiziale ex art. 119 Tub di richiesta di esibizione alla banca della documentazione bancaria e di devoluzione ad un Ctu del compito della ricostruzione contabile del rapporto[11];
d) soprattutto, l’istanza di esibizione ex art. 210 cpc.
La giurisprudenza, con riguardo a quest’ultimo strumento, ha assunto un atteggiamento progressivamente sempre più restrittivo sui tempi e le modalità di esercizio di tale richiesta. Si è così limitato il diritto: (a) con riguardo al suo contenuto, affermandosi, ad esempio, che l’ordine di esibizione ex art. 210 cpc non possa essere concesso per il testo dei contratti bancari né per tutti gli estratti conto ma, eventualmente, solo per parte della documentazione; (b) nelle modalità, richiedendosi comunque che l’attore abbia depositato parte degli estratti conto e, quindi, che la loro mancanza sia parziale, e non totale; (c) negli adempimenti pregiudiziali, richiedendosi che il cliente provi di averne previamente fatto richiesta stragiudiziale alla banca ex art. 119 Tub.
In modo condivisibile, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. I, 11 maggio 2017, n. 11554) ha recentemente escluso che tale prerogativa sostanziale prevista dalla trasparenza bancaria possa limitare il potere di richiedere in sede processuale l’esibizione della documentazione. Ha affermato, infatti, che, nell'assegnare al cliente la facoltà di ottenere la documentazione dei propri rapporti bancari, «la norma del comma 4 dell'art. 119 Tub non contempla, o dispone, nessuna limitazione che risulti in un qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito (...) Il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi del comma 4 dell’art. 119 del vigente testo unico bancario, anche in corso di causa e a mezzo di qualunque modo si mostri idoneo allo scopo». Nel criticare la tesi limitativa di tale prerogativa, la suprema Corte, ne evidenzia anche il paradosso: «la stessa tende, in realtà, a trasformare uno strumento di protezione del cliente (...) in uno strumento di penalizzazione del medesimo: in via indebita facendo transitare la richiesta di documentazione del cliente dalla figura della libera facoltà a quella, decisamente diversa, del vincolo dell'onere». In conclusione, per tale sentenza, l’ordine processuale di esibizione ex art. 210 cpc, è proiezione processuale del diritto sostanziale, veicolabile in tale sede senza alcun vincolo di formule sacramentali o di modalità espressive, nel rispetto della sola barriera processuale delle preclusioni istruttorie.
5. Il divieto di anatocismo: quando è la legge a suggerire l’inganno
L’ennesima modifica dell’art. 120 Tub da parte della legge 49 del 2016 ha modificato nuovamente lo scenario normativo dell’anatocismo bancario, caratterizzato, a partire dal 1999 da continui ribaltamenti di fronte.
Se le decisioni della Corte di cassazione del 1999 avevano segnato una inaspettata vittoria per i clienti delle banche, immediata era stata la reazione del legislatore che, prima con la modifica dell’art. 120 Tub[12] e, poi, con la nota delibera Cicr attuativa del 9 febbraio 2000, ne ripristinava la vigenza, con il solo limite della clausola contrattuale di reciprocità.
Successivamente, dopo la breve vita delle norme incostituzionali del cd. decreto milleproroghe (art. 2, comma 61, legge n. 10 del 2011)[13], trascorsi quasi tre lustri, la legge stabilità del 2014[14] è intervenuta nuovamente sull’art. 120 comma 2 Tub, imponendo in sostanza, un perentorio divieto di anatocismo nei contratti bancari.
Per tutti i contratti bancari, il comma 2 del nuovo art. 120 faceva riferimento alle «operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria» e prevedeva che il Cicr non doveva più regolare, come in precedenza avveniva, la produzione degli interessi sugli interessi (ampiamente utilizzato con la delibera del 2000)[15] ma, più limitatamente, fissare le «modalità e criteri per la produzione di interessi», sempre con uguale periodicità del conteggio degli interessi debitori e creditori, precisando anche che «gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale» .
Queste misure, intese dalla dottrina prevalente come l’introduzione di un divieto di anatocismo delle banche, non si sono però tradotte in reali benefici perché, mal digerite dal sistema bancario e figlie, forse, di una accelerazione dei lavori parlamentari poco condivisa nella sostanza, sono rimaste in stato di sospensione per la mancata approvazione della delibera Cicr attuativa per oltre due anni[16].
Il dibattito sul carattere self-executing di tali norme, in assenza delle norme secondarie, che ha immediatamente diviso dottrina[17] e giurisprudenza[18] è destinato, tuttavia, ad avere un marginale rilievo, perché la legge n. 49 del 2016 è intervenuta nuovamente sul comma 2 dell’art. 120 Tub (con l’art. 17 bis), introducendo diverse disposizioni innovative[19].
Il legislatore del 2016 fissa la regola apparentemente conforme a quella restrittiva prevista dalla legge di stabilità del 2014: gli interessi non possono produrre nuovi interessi, salvo che non si tratti di interessi debitori[20].
Stabilito il principio per cui la banca non ha diritto agli interessi anatocistici, si è prevista, tuttavia, una deroga decisiva, assente nelle norme del 2014, e fortemente voluta dalle banche, visto che il cliente «può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo».
L’esclusione dell’anatocismo, quindi, da norma imperativa diviene dispositiva. Poiché di libertà negoziale nei rapporti standardizzati, ed a maggior ragione in quelli bancari, quale naturale conseguenza dell’innovazione, l’anatocismo/capitalizzazione degli interessi debitori diviene nuovamente la regola nei contratti tra banche e clienti, che aderiscono alla clausola di autorizzazione preventiva all’addebito degli interessi sul conto ed alla loro trasformazione in capitale. Le norme attuali, pertanto, ribadiscono il medesimo principio fissato dalla legge di stabilità del 2014, ma ne tradiscono completamente il contenuto.
Per il contenzioso, a questo punto, la successione normativa delle regole sugli interessi si arricchisce di un ulteriore segmento, determinandosi la seguente stratificazione: 1) la fase ante 2000 ove l’anatocismo manca per inesistenza del relativo uso normativo e la relativa clausola contrattuale è nulla; 2) la fase fino al 2010 ove l’anatocismo è consentito, ma a condizione di reciprocità; 3) la fase 2014-2016 dove l’anatocismo è del tutto vietato; 4) la fase dal 2016 in cui esso è vietato solo per gli interessi debitori, sebbene per iconti correnti affidati (di diritto o di fatto), tale divieto risulti derogabile mediante autorizzazione preventiva dei clienti.
6. Interessi moratori ed usura: un ventaglio di alternative rimediali
L’accertamento dell’usura in sede di contenzioso è attualmente imperniata sull’inclusione nel calcolo del tasso usurario di alcune voci di costo (come commissione di massimo scoperto, interessi di mora, costi di assicurazione e di mediazione), nonché sulla cd. usura sopravvenuta.
Può trascurarsi la rilevanza attuale della Cms, sia perché ridimensionata dalla legge n. 2 del 2009 e dall’attuale art. 120 Tub sia perché attualmente espressamente inclusa nella calcolo del Tegm. Uno spazio limitato meritano anche le voce relative a costi di assicurazione e mediazione, sia perché la suprema Corte già le considera parte del tasso usurario (Cass. civ. Sez. I, Sent., 05 aprile 2017, n. 8806) sia perché secondo le Istruzioni della Banca d’Italia, già a partire dal 2009, sono espressamente incluse nella base di calcolo, non solo le spese di mediazione, ma anche «le spese per assicurazioni o garanzie intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito ovvero a tutelare altrimenti i diritti del creditore, se la conclusione del contratto avente ad oggetto il servizio assicurativo è contestuale alla concessione del finanziamento ovvero obbligatoria per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte»[21].
Più delicata, invece, è la questione degli interessi moratori[22].
La Corte di cassazione penale (n. 350 del 9 gennaio 2013[23]), con una succinta motivazione ha affermato che gli interessi moratori rilevano ai fini del rispetto della soglia di usura, sia per ragioni di ordine letterale (ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 cc e dell’art. 644 cp, si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo), sia per l’unitarietà del criterio di accertamento del tasso usurario da parte della legge n. 108 del 1996, sia per il preesistente principio di omogeneità di trattamento degli interessi (che si evince dall’art. 1224, 1° comma, cod. civ., per il quale gli interessi moratori sono dovuti, in difetto di diversa disposizione contrattuale, nella stessa misura degli interessi convenzionali)[24].
La Banca d’Italia, invece, ha sempre adottato una tesi negativa, omettendo di rilevare ed inserire gli interessi moratori nel Tegm. Nei Chiarimenti del 3 luglio 2013 alle «Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura», afferma che «gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo» devono essere esclusi dal calcolo del Tegm, con una previsione poi confermata anche nelle Istruzioni del luglio 2016, che escludono espressamente dal calcolo «gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo».
La questione è ampiamente controversa in dottrina ed in giurisprudenza.
Contro la loro inclusione si sostiene, ad esempio, sia da parte della dottrina che della giurisprudenza di merito, che:
- l’inclusione degli interessi moratori innalzerebbe il Tegm danneggiando i clienti;
- si tratta di una fase di anomala del rapporto, conseguente all’inadempimento del cliente, mentre gli interessi corrispettivi riguardano l’aspetto commutativo e fisiologico, gli interessi moratori, invece, riguardano l’aspetto risarcitorio e patologico;
- la direttiva 2008/48/Ce del 23 aprile 2008, sui contratti di credito ai consumatori, all’art. 19, par. 2, esclude dal calcolo del Taeg (Tasso annuo effettivo globale) qualsiasi penale da inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora[25];
- il d.lgs 21 aprile 2016, n. 72, attuativo della direttiva 2014/17/Ue, al «Capo I-bis» del Tub, per il credito immobiliare ai consumatori" esclude dal calcolo del «Taeg», ovvero il «costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua dell'importo totale del credito» (art. 120 quinquies, comma 1) «le eventuali penali pagabili dal consumatore per l'inadempimento degli obblighi stabiliti nel contratto di credito» (comma 2);
- l’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata anche negli appositi decreti trimestrali del Mef i quali specificano che «“i tassi effettivi globali medi (...) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”;
- gli artt. 1815 cc e 644 cp si riferiscono ai soli interessi corrispettivi;
- i rilievi del Tegm si riferiscono ad operazioni della stessa natura, per cui non può confrontarsi il tasso corrispondente alla somma di corrispettivi e moratori;
- nei mutui a tasso fisso con piano di ammortamento va escluso che possa verificarsi una condizione legale di cumulo di interessi corrispettivi e moratori, visto che la rata del piano di ammortamento prevede capitale ed interesse e che, alla sua scadenza della rata, diviene tutto capitale[26].
L’orientamento della Corte di legittimità ha dalla sua parte, però, argomenti di tipo letterale, non secondari:
- l ’art. 1, comma 1°, del dl 29.12.2000, n. 394, convertito con la legge n. 24/2001, introdotto con la finalità essenziale di interpretare autenticamente gli artt. 644 cpc e 1815, comma 2, cc, dà rilevanza esclusiva al confronto tra tasso contrattuale e Tegm nel momento temporale della pattuizione, e non del pagamento, e fa riferimento agli interessi convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento;
- il comma 4 dell’art. 644 cp imponendo «Per la determinazione del tasso di interesse usurario» di tener «conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito», si basa su un criterio di omnicomprensività;
- la Relazione governativa che accompagna il decreto del 2000 fa un esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse, «sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio»;
- il comma 3 dell’art. 644 cp punisce anche il patto usurario che riguardi, oltre gli interessi, oneri similari che risultino comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, «quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria».
All’argomento della diversità funzionale tra interessi moratori ed interessi corrispettivi, è agevole replicare, inoltre, che anche le polizze assicurative ed i costi di mediazione (così come la commissione di massimo scoperto, o di istruttoria veloce, nelle diverse declinazioni) hanno una funzione del tutto diversa rispetto a quella remunerativa degli interessi corrispettivi e, ciò nonostante, rientrano espressamente nel calcolo usurario.
Appare superabile, ancora anche la questione, certamente rilevante, della disomogeneità del metodo di calcolo di Teg e Tegm, dovuta alla mancata rilevazione del saggio medio degli interessi di mora di mercato. Appare ammissibile, infatti, l’elaborazione di un duplice Tegm per ciascuna categoria di operazioni, ossia (a) il Tegm basato sugli interessi convenzionali (ed altri oneri) praticati sul mercato e (b) un secondo Tegm, inclusivo anche degli interessi di mora, da applicarsi per la stessa categoria di operazioni, ma solo in caso di inadempimento del cliente (determinato mediante Ctu ed, in subordine, con il correttivo dell’incremento del 2,1% basato sull’ultima rilevazione degli interessi di mora)[27].
Con tale duplice rilevazione, da un lato, si evita che il tasso convenzionale regolarmente pagato sia confrontato con i tassi di mercato incrementati dello spread mediamente praticato per la mora e, quindi, l’innalzamento del Tegm; dall’altro lato, si evita anche una comparazione disomogenea tra il tasso contrattuale inclusivo degli interessi moratori ed il Tegm che, invece, li esclude, pur essendo essi, invece, comunemente praticati da tutti gli operatori di mercato.
In questo modo gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori restano sul piano giuridico entità distinte che delineano un duplice ed alternativo regolamento di interessi, per la fase fisiologica del rapporto contrattuale i primi, per la fase patologica, i secondi.
In tal modo le conseguenze del superamento del tasso di usura in tal modo appaiono adeguatamente regolate. Il saggio usurario dei soli interessi moratori determina una nullità solo parziale del contratto ai sensi dell’art. 1419 cc, per cui restano dovuti gli interessi corrispettivi, indipendentemente dal fatto che la banca abbia o meno preteso gli interessi moratori.
Va respinta, pertanto, la tesi che, facendo leva sul principio di omnicomprensività del tasso usurario previsto dall’art. 644 cp[28], allorquando gli interessi di mora sono usurari, in modo alquanto meccanicistico, trasforma l’intero contratto di mutuo in un contratto gratuito ex art. 1815 cc.
Resta però il fatto che la Banca d’Italia continua a non rilevare ed inserire nel Tegm gli interessi di mora. In più, anche lo stesso legislatore sembra enfatizzare la diversità tra interessi corrispettivi ed altri oneri, avendo escluso dal Taeg, con il citato d.lgs 21 aprile 2016, n. 72, come si è detto, le penali previste nei contratti di credito immobiliare ai consumatori.
Parte della dottrina[29] successiva ha ritenuto, tuttavia, non determinante l’esclusione dal Taeg delle «eventuali penali pagabili» dal consumatore: escludendo la riconducibilità degli interessi di mora alla penale e ritenendo, inoltre, corretta la mancata rilevazione degli interessi di mora nel Tegm, e la loro inclusione, invece, nel calcolo del Teg (con ciò indirettamente negando la necessità del trattamento omogeneo), in virtù della diversità di scopo dei due istituti[30].
Esclusa la correttezza della trasformazione del prestito oneroso con interessi di mora usurari in prestito del tutto gratuito, la distanza, dal punto di vista pratico, tra la tesi che li include nel calcolo e quella che, invece, li esclude, non è però molta. Anche in questo secondo caso, viene, sia pur in altro modo, sanzionata la loro incidenza eccessiva nell’equilibrio del contratto attraverso lo strumento della riduzione, anche d’ufficio, della penale ex art. 1384 cc.
La tesi della nullità della sola clausola sugli interessi di mora per contrasto con l’art. 644 cp, implica l’applicazione al cliente dei soli interessi corrispettivi.
La tesi dell’applicazione dell’art. 1384 cc prevede, invece, una riduzione flessibile e discrezionale degli interessi moratori entro la soglia di usura (ma anche al disotto di tale soglia, quando lo spread aggiuntivo al tasso corrispettivo appaia comunque eccessivo).
Si è recentemente evidenziato che per l’art. 120 del Tub come novellato nel 2016[31], consente che gli interessi di mora siano calcolati, non solo sul capitale, ma anche sugli interessi debitori maturati: «gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».
La norma lascia nuovamente spazio all'adozione nei contratti di mutuo di clausole in tema di produzione degli interessi di mora sull'importo complessivo della rata (sia nella quota capitale sia nella quota interessi, quali entità inscindibili dopo la scadenza)[32].
7. Usura sopravvenuta: regole diverse per una definizione polisèmica
Poiché l’art. 644 cp si riferisce tanto al “farsi promettere” quanto al “farsi dare” interessi usurari, ci si è chiesti inizialmente se il carattere usurario dovesse essere accertato con riferimento al Tegm determinato al momento della pattuizione, oppure a quello del momento dell’addebito in conto o della riscossione delle rate di mutuo.
Cosa accade se nel corso del rapporto varia il Teg o varia il Tegm?
Il legislatore, dopo la legge n. 108 del 1996, recependo l’allarme delle banche sull’impatto delle tesi della Corte di cassazione sull’usurarietà sopravvenuta, ha successivamente emanato la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 1°, del dl 29.12.2000, n. 394, la quale stabilisce che: «ai fini dell'applicazione dell'art. 644 cp e dell'art. 1815 , comma 2, cc, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento».
La questione interpretativa dell’usura sopravvenuta sembrava in tal modo chiusa, ma così non è stato, perché si è continuato a discutere della rilevanza delle variazioni della soglia di usura nel corso del rapporto bancario.
In un momento successivo alla stipula del contratto può cambiare il tasso convenzionale. Nei rapporti bancari regolati in conto corrente, con apertura di credito (o comunque affidati), le banche si avvalgono del potere di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali. Non vi è dubbio, a riguardo, che l’usurarietà vada accertata al momento della variazione, perché, trattandosi di una modifica dell’accordo contrattuale, deve confrontarsi il nuovo Teg con il Tegm del periodo in cui tale variazione vi è stata: si tratta a tutti gli effetti di un nuovo contratto per la parte relativa agli interessi.
Inoltre, se anche resta invariato il tasso contrattuale, inevitabilmente cambia nel tempo il tasso di mercato.
In virtù dell’introduzione della norma di interpretazione autentica, la liceità del Teg non dovrebbe mai risentire delle fluttuazioni del Tegm successive alla stipula contrattuale.
L’insensibilità del primo alle variazioni del secondo, però, non è assoluta. Secondo parte della giurisprudenza e della dottrina, infatti, appare censurabile la richiesta di un tasso contrattuale che risulti nel corso del rapporto contrattuale superiore al saggio di usura determinato volta per volta, tanto da limitare l’esigibilità degli interessi corrispettivi entro tale soglia.
Del problema è stata investita, anche la Corte di cassazione (Cass. civ. Sez. I° - sent. 17 agosto 2016, n.17150) la quale ha ricordato che in un rapporto contrattuale di durata, l’introduzione di una nuova norma imperativa condizionante l'autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto, comporta che, da tale momento, esso deve ritenersi assoggettato all'efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, che si sostituisce ex art. art. 1339 cc alla clausola difforme[33]. Tale pronuncia, pur riferendosi ad ipotesi di contratti anteriori alla stessa legge sull’usura del 1996 (nei quali il tasso soglia è stato introdotto in corso di rapporto), comporta come logico corollario che il medesimo principio vada osservato nelle ipotesi in cui la soglia di usura discenda al di sotto del Teg, e sembra, pertanto, dare corpo alla tesi che limita il tasso contrattuale (divenuto) usurario al tasso soglia.
Per ovviare, tuttavia, a situazioni di eccesiva onerosità (sopravvenuta), si è da altri proposta l’applicazione, in alternativa alla sanzione della nullità, del principio buona fede in executivis, desumibile dall’art. 1375 cod. civ., con la conseguenza che diverrebbe inesigibile la pretesa del pagamento di interessi corrispettivi ad saggio divenuto superiore alla soglia di usura, nella parte eccedente tale limite [34].
Si obietta ad entrambe le tesi, però, che in tale modo venga operata una commistione tra il momento genetico del contratto, unico rilevante per il legislatore, e quello funzionale, per il quale troverebbe applicazione la normale alea bilaterale dei rapporti economico-giuridici.
La questione, tuttavia, resta aperta, posto che il contrasto sussiste anche nella suprema Corte[35], tanto che con ordinanza interlocutoria dell’8 novembre 2016 - 31 gennaio 2017, n. 2484, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite[36].
Il legislatore, introducendo venti anni fa la soglia di usura, voleva fissare un confine certo tra prestito lecito e prestito usurario, evitando l’incertezza del requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno (art. 644 cp, precedente formulazione). Certamente l’intervento sul reato di usura e la sanzione civilistica della gratuità del prestito hanno rappresentato delle innovazioni positive. L’obiettivo della chiarezza non è stato però efficacemente raggiunto: l’accertamento della soglia di illiceità e quello della misura della remunerazione del banchiere restano anche oggi equazioni a (plurime) incognite giudiziali.
[1] Regolati dalla Sez. II delle Istruzioni della Banca d’Italia in materia di Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti nel testo in vigore dal 1° novembre 2016 per effetto dell’attuazione della direttiva 2014/17/Ue in materia di credito immobiliare ai consumatori.
[2] Vedi Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 e successive modifiche.
[3] Sez. II, par. 6. Sez. III, par. 2 Istruz. Banca d’Italia.
[4] Qualora l’attore proponga domanda di accertamento negativo del diritto del convenuto e quest'ultimo non si limiti a chiedere il rigetto della pretesa avversaria ma proponga domanda riconvenzionale per conseguire il credito negato dalla controparte, ambedue le parti hanno l'onere di provare le rispettive contrapposte pretese. (così anche: Cass. n. 3374/2007; Cass. n. 12963/2005; Cass. n. 7282/1997; Cass. 9201/2015).
[5] L’accesso ad informazioni concernenti il rapporto con la banca è stato anche riconosciuto in base alla normativa sul trattamento dei dati personali, sebbene si tratti di ipotesi riguardante contratti di intermediazione finanziari . In base all’art. 7 d.lgs n.ro 196/2003 si è affermato che l’istituto di credito, titolare del trattamento dei dati personali ai sensi dell’art. 28 d.lgs n. 196/03, ove ne sia fatta richiesta, è quindi tenuto a: 1. dare conferma dell'esistenza presso i propri archivi dei dati personali del ricorrente afferenti operazioni di investimento mobiliare a far data dall'inizio del rapporto; 2.comunicare al richiedente tutti i dati e le informazioni personali che lo riguardano relative ad ogni atto, rapporto, documento ed operazione concernenti: a) il contratto originario di prestazione dei servizi di investimento e accessori e/o di gestione di portafogli di investimento e deposito titoli siglati inter partes, incluse eventuali successive modifiche e integrazioni; b) il contratto originario regolante il rapporto di conto corrente eventualmente in essere ed ogni sua eventuale modifica e integrazione; c) le operazioni di investimento, gli ordini di acquisto e gli acquisti di titoli, di qualsivoglia genere, specie e natura, compiuti dal richiedete presso o tramite ovvero con l'intermediazione dell'istituto di credito dall'inizio del rapporto, compresi i rendiconti, i movimenti e la composizione del deposito titoli regolati nell'anzidetto periodo. (es. Trib. Bologna 28.07.2005, in il caso.it).
[6]In quanto si tratta di un «diritto che promana dall'obbligo di buona fede, correttezza e solidarietà», Cass. civ. 13.07.2007, n. 15669, in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8; Giust. civ., 2008, 3, p.712.
[7] Già in precedenza si era affermato che «L'art. 119, comma 4, dl n. 385 del 1993, come sostituito dall'art. 24, comma 2, dl n. 342 del 1999, riconoscendo al cliente (...) il diritto di ottenere copia della documentazione relativa a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, si applica anche a situazioni soggettive che, se pur derivanti da un rapporto concluso, non hanno ancora esaurito nel tempo i loro effetti, con la conseguenza che detto diritto di copia è riconosciuto al cliente della banca e al suo successore prescindendo dall'attualità del rapporto a cui la documentazione richiesta si riferisce». Cass. civ. sez. I, 12 maggio 2006, n. 11004, Giust. civ. Mass. 2006, 5, BBTC, 2007, 6, p. 731.; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12093 del 27.09.2001; Cass. 191.0.1999, n. 11733; Cass. 22.05.1997, n. 4598; cfr. anche il provvedimento del 7.12.2006 del Garante per la protezione dei dati personali.
[8] Trib. Ferrara 04.06.2007, in ilcaso.it, Trib. Pisa 13.11.2007, in il caso.it.; nonché in fase fallimentare, si è ritenuto che il curatore del fallimento possa fare ricorso al procedimento monitorio, al fine di ottenere copia degli estratti conto relativi ai rapporti intrattenuti con gli istituti di credito dall'impresa fallita Trib. Milano 21.06.1996, in Foro it., 1996, I, p. 3200.
[9] A. Valitutti, Il procedimento di ingiunzione: le problematiche pratiche più controverse, in Giur. merito, 2010, 7-8, pp. 2032 ss.
[10] Ammette la consegna della documentazione inerente il cc es. il Trib. Patti, Sezione dist. di Sant'Agata di Militello del 21.04.2010, in dejure.giuffre.it.
[11] Trib. Napoli del 16.10.2007, in il caso.it.
[12] Dall'art. 25, commi 1 e 2 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342.
[13] Ugualmente dichiarato incostituzionale da C. Cost. n. 78, emessa il 02.04.2012 e pubblicata 05.04.2012.
[14] Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (in SO n.87, relativo alla G.U. 27/12/2013, n.302).
[15] Gli artt. 2, 3 e 4, prevedevano tutti la capitalizzazione periodica degli interessi scaduti.
[16] Proposta della Banca d’Italia di delibera Cicr era aperta per la consultazione fino al 23 ottobre 2015.
[17] Si veda a favore dell’immediata applicabilità, A. Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle clausole «da inadempimento»), in www.dirittobancario.it., 2015; V. Farina, Le recenti modifiche dell’art. 120 Tub e la loro incidenza sulla delibera Cicr 9 febbraio 2002, in www.dirittobancario.it, 2014; R. Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della Delibera Cicr 9/2/00. Dall’anatocismo sfilacciato al divieto dell’art. 1283 cc: nell’indifferenza dell’Organo di Vigilanza, l’intermediario bancario persevera nella capitalizzazione degli interessi, con oltre € 2 mil. di ricavi illegittimi nell’anno in corso, in www.ilcaso.it, 2014; M. Mazzola, La nuova disciplina dell’anatocismo bancario nella legge di stabilità: prime note, in www.dirittobancario.it, 2014; anche a P. Serrao D’Aquino,Questioni attuali in materia di anatocismo bancario, commissione di massimo scoperto ed usura, in Giur. Merito, Milano, 2011, pp. 1172-1203. Per la necessità, invece, di attendere la delibera, invece, U. Morera-G. Olivieri, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari nel nuovo art. 120, comma 2, Tub, in Banca borsa tit. cred., 2015, I; F. Maimeri, La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività, in www.dirittobancario.it, 2014; G. Mucciarone, La trasparenza bancaria, inV.Roppo, Trattato dei contratti, V, Milano, 2014, pp. 689 ss.; C. Colombo, Gli interessi nei contratti bancari, Roma, 2014, pp. 97 ss.
[18] Tra i primi orientamenti nell’immediato per un’immediata applicabilità il Tribunale di Milano (ma anche i Tribunali di Biella e di Cuneo) e contro il Tribunale di Torino. Per una cronistoria dettagliata dei vari orientamenti, favorevoli e contrari si veda. A. De Simone, in Anatocismo: il nuovo art. 120 Tub non ha efficacia immediatamente operativa, in expartecreditoris.it.
[19] Tale il testo attuale: Il Cicr [Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio] stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che), sostituendo le lettere a) e b) nel seguente modo: «a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti; b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo».
[20] Essa avviene fissando quattro principi generali: I.a) la pari periodicità della regolamentazione degli interessi debitori e creditori (comma 2, lettera a); I.b.) la scadenza non inferiore ad un anno; I.c.) la regolamentazione degli interessi al 31 dicembre o, comunque, al termine del rapporto; I.d.) l’applicazione di tali norme non più per le «operazioni in conto corrente» (art. 120 vecchio testo), ma i «rapporti di conto corrente ed i conti di pagamento» (art. 120 nuovo testo). La legge di stabilità del 2014 vietava, invece, l’anatocismo anche per gli interessi creditori.
[21] Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura-luglio 2016. Sono escluse, invece, quelle chiaramente individuabili come spese di mera consulenza.
[22] AA.VV., Gli interessi usurari, a cura di G. D'Amico, Torino, 2016.
[23] Vedi anche Cass. 11 gennaio 2013, n. 602 e n. 603.
[24] Cfr. Cass. 9 gennaio 2013, n. 350; Cass. 11 gennaio 2013, n. 602 e n. 603. In precedenza Cass. 4 aprile 2003, n. 5324, e Cass. 22 aprile 2000, n. 5286; anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 108 del 1996, da Cass. 7 aprile 1992, n. 4251.
[25] Una decisione dell’Abf Nord (Decisione n. 2427 del 16 aprile 2014.) evidenzia che il legislatore europeo considera l’esclusione contrattuale degli interessi moratori come una lesione della libertà contrattuale del creditore. Allo scopo richiama la direttiva 2011/7/Ue del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, attuata con decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, modificato dal d.lgs 9 novembre 2012, n. 192. In particolare, la citata decisione dell’Abf evidenzia che, nel 28° Considerando, si afferma che: «La presente direttiva dovrebbe proibire l’abuso della libertà contrattuale a danno del creditore. Di conseguenza, quando una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al periodo di pagamento, al tasso di interesse di mora o al risarcimento dei costi di recupero non sia giustificata sulla base delle condizioni concesse al debitore, o abbia principalmente l’obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, si può ritenere che si configuri un siffatto abuso. A tale riguardo e conformemente al progetto accademico di quadro comune di riferimento, qualsiasi clausola contrattuale o prassi che si discosti gravemente dalla corretta prassi commerciale e sia in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza dovrebbe essere considerata iniqua per il creditore. In particolare, l’esclusione esplicita del diritto di applicare interessi di mora dovrebbe essere sempre considerata come gravemente iniqua, mentre l’esclusione del diritto al risarcimento dei costi di recupero dovrebbe essere presunta tale».
[26] V. Trib. Napoli, III Sezione, 14.4.2014. Altri giudici di merito, ancora, hanno evidenziato che la giurisprudenza maggioritaria non ha mai autorizzato la sommatoria degli interessi di mora a quelli corrispettivi, ma ha semplicemente e correttamente sommato il tasso degli interessi corrispettivi con la maggiorazione (spread) prevista per calcolare i tassi moratori.(Gup Torino, 10 giugno 2014, in www.leggiditalia.it.).
[27] P. Serrao d’Aquino, Interessi moratori ed usura, in dirittobancario.it.
[28] App. Venezia, Sez. III Civ., 18 febbraio 2013, n. 342.
[29]A. Stilo, Interessi moratori e "principio di simmetria" nella determinazione del tasso usuraio, in Contratti, 2016, 11, p. 1043.
[30] Avendo il Tegm funzione statistica di fotografia del mercato fisiologico ed il Teg, invece, regolando in concreto il rapporto.
[31] A. Stilo, Interessi moratori e "principio di simmetria" nella determinazione del tasso usuraio, cit.
[32] Se, infatti, il vincolo al Cicr di poter regolare solo la produzione di interessi (e non degli interessi sugli interessi) porti ad escludere tale possibilità, può in alternativa sostenersi che, se gli interessi debitori possono produrre interessi moratori, il contratto può prevedere che, per le rate scadute, essi possono essere calcolati, tanto sul capitale quanto sugli interessi.
[33] Cass. Sez. 3, Sent. n. 1689 del 2006: «ne consegue che l’introduzione delle norme sul Teg determinano l’inefficacia ex nunc delle clausole dei contratti stessi, sulla base del semplice rilievo – operabile anche d'ufficio dal giudice – che il rapporto giuridico non si sia esaurito prima ancora dell'entrata in vigore di tali norme e che il credito della banca si sia anch'esso cristallizzato precedentemente».
[34] Decisione Abf, n. 77 del 10 gennaio 14, n. 77, ma anche n. 7936 del 16 settembre 2016.
[35] Sent. del 29 gennaio 2016 n. 801: «I criteri fissati dalla l. n. 108 del 1996, per la determinazione del carattere usurario degli interessi, non si applicano alle pattuizioni di questi ultimi anteriori all'entrata in vigore di quella legge, siano esse contenute in mutui a tasso fisso variabile, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nel dl. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, (conv., con modif., dalla l. n. 24 del 2001), che non reca una tale distinzione. Conf. Cass. 19/3/2007 n. 6514 (in motivazione) e 27/9/2013 n. 22204.
[36] Orientamento che facendo leva sull'interpretazione autentica intervenuta dl n. 394 del 2000, ex art. 1, convertito nella l. n. 241 del 2001, esclude che il superamento del tasso soglia in corso di esecuzione del rapporto possa determinare l’’invalidità degli interessi corrispettivi ex artt. 1339 e 1418 cc e la riconduzione entro il predetto tasso soglia.