Magistratura democratica

Comparizione delle parti e audizione del ricorrente nel giudizio di merito

di Luciana Sangiovanni

È configurabile un obbligo processuale sanzionabile di procedere all’audizione personale del richiedente, oltre a quello relativo alla comparizione delle parti? Il punto di vista del giudice.

1. Udienza di comparizione delle parti / 2. Il diritto allo svolgimento dell’udienza e al colloquio personale del richiedente la protezione internazionale nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia / 3. L’audizione del richiedente nel diritto nazionale

 

1. Udienza di comparizione delle parti

L’articolo 35-bis del d.lgs n. 25/2008 – come introdotto dal dl n. 13/2017, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 46/2017 – al comma 9 ha disciplinato il procedimento camerale di protezione internazionale e, ai commi 10 e 11, ha individuato i casi per i quali la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti possa o, in alternativa, debba essere disposta dal giudice del procedimento, che non ha una piena discrezionalità nella individuazione del modello processuale da applicare al caso concreto.

 In particolare, il comma 10 ha disposto che il giudice, nonostante la videoregistrazione di cui al comma 8, ha discrezionalità nel fissare l’udienza di comparizione delle parti nei soli casi in cui, visionata la videoregistrazione, ritenga «necessario» (cfr. infra) disporre l’audizione del richiedente o, in alternativa, «indispensabile» richiedere chiarimenti alle parti, o ancora disporre consulenza tecnica ovvero, «anche d’ufficio», assumere altri mezzi di prova.

Il comma 11 ha disciplinato la diversa ipotesi della indisponibilità della videoregistrazione del colloquio davanti alla commissione territoriale, che non consente al giudice alcuna discrezionalità nella fissazione o meno dell’udienza di comparizione delle parti, che deve sempre essere prevista; la discrezionalità non è riconosciuta anche nel caso in cui, nonostante la disponibilità della videoregistrazione, il richiedente «abbia fatto motivata richiesta nel ricorso» e il giudice ritenga «la trattazione del procedimento in udienza essenziale ai fini della decisione».

A queste due fattispecie si aggiunge la ulteriore previsione della impugnazione del diniego dell’autorità accertante su elementi di fatto allegati in ricorso «non dedotti» nel corso della procedura amministrativa, che costituiscono i cd. “nova” rispetto al narrato emerso dinanzi alla commissione territoriale (narrato che si può individuare dal complesso delle domande e delle risposte rivolte al richiedente dall’intervistatore, oltre che dalle dichiarazioni del primo nell’ambito delle domande cd. “aperte” come quelle genericamente formulate quali «i motivi della fuga dal paese di origine»).

In tali casi l’omissione della fissazione della udienza di comparizione delle parti costituisce una chiara violazione del principio del contraddittorio, con conseguente nullità del decreto decisorio emesso, risultando «(...) l’udienza quale elemento centrale del procedimento giudiziale, necessaria ogniqualvolta non sia documentato il colloquio con il richiedente in tutti i suoi risvolti, inclusi quelli non verbali, anche in ragione della natura camerale non partecipata della fase giurisdizionale» (cfr. in particolare Cass., sentenza n. 17717/2018, con riferimento all’ipotesi della indisponibilità tecnica della videoregistrazione).

Il tenore letterale delle disposizioni in commento e la mancata attivazione da parte dell’amministrazione del sistema della videoregistrazione consentono di ritenere che, allo stato, l’udienza di comparizione della parti deve sempre essere fissata e tale conclusione trova conferma nel quadro giurisprudenziale di riferimento che, dopo un orientamento di merito risultato sin da subito minoritario[1], è univoco nel ritenere necessaria la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti in ragione della natura camerale non partecipata del giudizio di protezione internazionale e della natura di diritto fondamentale delle posizioni soggettive coinvolte nelle relative controversie (tra le tante, Cass., sent. n. 32029/2018).

Alla indisponibilità tecnica della videoregistrazione di cui alla lett. a del comma 11 dell’art. 35-bis non va equiparata la diversa fattispecie disciplinata dal comma 6-bis dell’art. 14 d.lgs n. 25/2008, che riconosce al richiedente la facoltà di formulare istanza motivata «di non avvalersi» del supporto della videoregistrazione, rimettendo alla commissione territoriale la valutazione della utilizzazione o meno di tale strumento tecnico con provvedimento non impugnabile (cfr. art. 14, comma 6-bis, d.lgs n. 25/2008)[2].

Questa disposizione non ha trovato, sino ad ora, applicazione per la mancata attuazione del sistema della videoregistrazione, che non ha consentito la formazione di una giurisprudenza – anche solo di merito – nei casi di adesione (o meno) da parte della commissione territoriale alla istanza motivata di non procedere alla videoregistrazione del colloquio (preferendo le attuali modalità sintetiche del verbale sottoscritto dal richiedente e depositato nel fascicolo unitamente al provvedimento di diniego). Dal tenore della norma e dalla interpretazione sistematica delle disposizioni in commento non pare, tuttavia, potersi escludere che anche il provvedimento della commissione territoriale di rigetto della richiesta dell’istante deve essere “motivato” e, soprattutto, che al giudice della futura impugnazione sarà riconosciuta una minore discrezionalità nella valutazione della fissazione o meno dell’udienza di comparizione delle parti nei casi in cui il richiedente, sin dal primo colloquio davanti alla commissione, ha richiesto (inutilmente) di non utilizzare la videoregistrazione. A questo deve aggiungersi che la mancata previsione della difesa tecnica nella fase del primo colloquio davanti alla commissione territoriale limiterà, prevedibilmente, la concreta applicazione della disposizione e che le possibili “motivazioni” di tali istanze da parte dei richiedenti asilo saranno inevitabilmente circoscritte. Il complesso sistema introdotto dal legislatore non esclude, comunque, l’obbligo per la commissione di una informazione preventiva e specifica del sistema dell’utilizzazione o meno della videoregistrazione e delle sue ricadute sulla eventuale successiva fissazione dell’udienza di comparizione delle parti dinanzi al giudice dell’impugnazione, coerentemente con gli obblighi di informazione imposti alla autorità amministrativa per l’esame della domanda di protezione internazionale o per la determinazione dello Stato membro competente a esaminare tale domanda (cfr. artt. 4 e 5 del regolamento n. 604/2013). 

Ai fini dell’obbligatorietà o meno della fissazione dell’udienza, la fattispecie disciplinata dal comma 6-bis dell’art. 14 non pare comunque assimilabile alla diversa vicenda della mera indisponibilità tecnica della videoregistrazione: il tenore letterale del comma 11 dell’art 35-bis , lett. a, e la considerazione che l’indisponibilità della videoregistrazione per volontà della parte è situazione diversa dalla impossibilità tecnica di procedere alla videoregistrazione del colloquio, consentono di ritenere che il ricorrente che impugna il provvedimento di diniego della commissione territoriale che ha aderito alla sua richiesta di non videoregistrare il colloquio, dovrebbe comunque essere onerato dal formulare istanza motivata al giudice di fissazione di una udienza di comparizione delle parti – ai sensi di quanto previsto dal comma 11, lett. b –, sì da consentire all’autorità giurisdizionale di poter valutare la “essenzialità” della trattazione del procedimento in udienza «ai fini della decisione» individuando il modello processuale da applicare al caso concreto. Tale lettura appare conforme alla natura non impugnatoria del procedimento di protezione internazionale (ex plurimis, Cass., ord. n. 8819/2020), oltre che alla rilevanza del supporto tecnico per la valutazione della genuinità delle dichiarazioni rese dal richiedente all’autorità amministrativa (cfr. infra).

L’attuale indisponibilità tecnica della videoregistrazione del colloquio dinanzi alla commissione territoriale comporta che nei giudizi di protezione internazionale è sempre fissata l’udienza di comparizione delle parti che, alla luce dell’emergenza da Covid-19, è fissata anche in modalità cartolare (ex art. 221, comma 4, dl n. 34/2020, conv. in l. n. 77/2020) nei casi in cui il giudice non ritenga di dover disporre l’audizione del richiedente asilo – ovvero ritenga di chiedere chiarimenti alle parti o di disporre consulenza tecnica (fattispecie disciplinate dalle lettere b e c del comma 10 dell’art 35-bis) e gli atti delle parti e gli adempimenti istruttori consentono la valutazione della domanda di protezione internazionale sulla base del solo scambio cartolare e dell’eventuale deposito di specifica documentazione (come, ad esempio, la documentazione medica aggiornata per la verifica dello stato di salute del richiedente asilo al momento della decisione). L’udienza cartolare non esclude, comunque, che nelle memorie e repliche depositate in sostituzione dell’udienza “in presenza” le parti possano motivatamente richiedere la fissazione di un’udienza per la loro comparizione con la eventuale presenza personale del ricorrente per la sua audizione, e tale richiesta dovrà essere esaminata dal collegio, che difficilmente potrà disattenderla in caso di un successivo diniego della domanda di protezione internazionale per ritenuta non credibilità del racconto.

 

2. Il diritto allo svolgimento dell’udienza e al colloquio personale del richiedente la protezione internazionale nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è incentrata sul diritto a un’udienza perché l’art. 6, par. 1 della Convenzione espressamente prevede il diritto di ogni individuo a vedere la propria causa esaminata «pubblicamente»[3].

In via generale, la Corte ha una giurisprudenza consolidata nel ritenere che tale diritto, pur non avendo un carattere assoluto, può subire limitazioni solo in presenza di circostanze «eccezionali» che risultano necessarie per esigenze di economia processuale e, in ultima analisi, per garantire il diritto al giudizio in un termine ragionevole. Tali circostanze possono risiedere nella natura della questione trattata, ma non certo nella ripetitività dell’oggetto della controversia. Nella recente sentenza Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo (2018), la Corte ha precisato che il diritto all’udienza ha la finalità di assicurare all’istante la possibilità di esporre le proprie pretese davanti a un’autorità giurisdizionale e ha individuato le ipotesi per le quali lo svolgimento dell’udienza deve ritenersi necessario ai sensi dell’art 6, par. 1 della Convenzione. Si tratta, in particolare, dei casi in cui: 1) bisogna valutare se i fatti sono stati correttamente definiti dalla autorità amministrativa; 2) si rendano necessarie delle precisazioni su certi aspetti; 3) la controversia abbia ad oggetto la situazione personale del soggetto e la sofferenza morale da questi vissuta.

In tale pronuncia la Corte, richiamando la propria giurisprudenza in materia di diritto all’udienza, ha enucleato i casi specifici per i quali sussistono «circostanze eccezionali» che giustificano la mancata celebrazione dell’udienza e sono quelle in cui: a) la controversia non pone questioni di credibilità e la questione può essere decisa «equamente e ragionevolmente» sulla base del dossier; b) la controversia pone esclusivamente questioni di diritto non aventi particolare complessità; c) la controversia solleva questioni meramente tecniche. In tali casi, proprio in ragione del carattere non assoluto del diritto all’udienza inteso come diritto a poter esporre oralmente le proprie pretese davanti all’autorità giurisdizionale, le ragioni di economia processuale prevalgono sul «diritto di spiegare la propria situazione personale in un’udienza» (principio elaborato in relazione alla determinazione dell’indennizzo per giusta detenzione, ma sicuramente applicabile anche in tema di protezione internazionale perché incentrato sulla natura strettamente personale dell’esperienza della parte istante).

I principi evidenziati da questa pronuncia erano già stati elaborati dalla Corte con specifico riferimento al riconoscimento del diritto alle prestazioni di invalidità (cfr. Miller c. Svezia, ric. n. 55853/00, 8 febbraio 2005) o alla questione relativa alla determinazione dei benefici di sicurezza sociale (controversie che la Corte ha ritenuto avere natura estremamente tecnica che, in quanto tale, rende più agevole una loro trattazione per iscritto piuttosto che nell’ambito di un’udienza orale) o, ancora, relative alla determinazione dell’indennizzo per malattia professionale (cfr. Andersson c. Svezia, ric. n. 17202/04, 7 dicembre 2010).

Appare quindi corretto ritenere che, nella giurisprudenza della Corte Edu, il diritto alla celebrazione dell’udienza è riconducibile al diritto all’equo processo e tale diritto può essere limitato, in ultima analisi, solo in ragione della concreta natura della controversia (come potrebbe essere considerata una controversia di natura squisitamente tecnica), ma non certo quando i valori in gioco – come quelli che ricorrono nei procedimenti di protezione internazionale – riguardano le persone, la loro storia e i loro diritti fondamentali garantiti sempre e comunque dalle convenzioni internazionali e dalla nostra Costituzione. Coerentemente, in tali procedimenti non vi è spazio per una limitazione per ragioni temporali o addirittura soppressione del diritto del ricorrente a poter esporre la propria situazione personale nell’ambito di un’udienza.

Anche la Corte di giustizia, pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale in una controversia soggetta al rito sommario di cognizione[4], con riferimento alla direttiva 2013/32/UE e, in particolare, ai suoi articoli 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ha ritenuto che «non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’articolo 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva ai fini della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti e degli interessi del richiedente. Tale giudice può decidere di non procedere all’audizione del richiedente nell’ambito del ricorso dinanzi ad esso pendente solo nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale con il richiedente in occasione del procedimento di primo grado» perché in tal caso tale decisione si giustifica in funzione dell’interesse a una sollecita definizione del procedimento, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo della vicenda del richiedente. Nel caso in cui, invece, il giudice – prosegue la Corte – «consideri che sia necessaria un’audizione del richiedente onde poter procedere al prescritto esame completo ed ex nunc, siffatta audizione, disposta da detto giudice, costituisce una formalità cui esso non può rinunciare per i motivi di celerità menzionati al considerando 20 della direttiva 2013/32».

Con tale pronuncia la Corte ha altresì precisato che «l’obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, imposto al giudice competente dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, deve essere interpretato nel contesto dell’intera procedura d’esame delle domande di protezione internazionale disciplinata da tale direttiva, tenendo conto della stretta connessione esistente tra la procedura di impugnazione dinanzi al giudice e la procedura di primo grado che la precede».

La Corte di giustizia, con tale pronuncia, ha chiaramente sottolineato che l’esigenza di procedere all’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto imposto dall’art. 46 direttiva procedure deve essere interpretato nel contesto dell’intera procedura di esame delle domande di protezione, tenendo conto della stretta connessione esistente tra il primo grado che si svolge dinanzi all’autorità accertante (disciplinata dalle disposizioni di cui al capo III della direttiva) e la fase della impugnazione che si svolge davanti al giudice (disciplinata dalle disposizioni di cui al capo V della stessa direttiva). Tale esigenza è stata evidenziata e ripresa da ulteriori pronunce della Cgue intervenute nel 2018 (sentenza del 25 luglio 2018, Alheto e sentenza del 4 ottobre 2018, Nigyar Rauf Kaza Ahmedbekova), dove la Corte ha avuto modo di precisare la portata del diritto a un ricorso effettivo, il significato dell’esame «completo ed ex nunc» richiesto al giudice nella fase della impugnazione e l’esigenza della salvaguardia del contraddittorio sulle nuove dichiarazioni rese dalla parte in relazione a fatti successivi al provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di protezione o anche a fatti che l’autorità accertante avrebbe potuto conoscere sin dal primo colloquio (infra). 

La Corte di giustizia, peraltro, con una recente pronuncia adottata in data 19 marzo 2020 (nella causa C-406/18) sulla questione pregiudiziale di applicazione dell’art. 46, par. 3, direttiva procedure e con particolare riguardo alla indispensabilità dell’audizione del richiedente nei procedimenti di cui al titolo V della stessa direttiva, ha consolidato il suo orientamento in base al quale «in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei ricorsi giurisdizionali destinati a garantire la salvaguardia dei diritti dei soggetti dell’ordinamento, in forza del principio di autonomia processuale, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (sentenza del 15 marzo 2017, Aquino, C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 48 e giurisprudenza ivi citata)».

In tale pronuncia, dopo aver richiamato i principi di equivalenza ed effettività e la portata del diritto a un ricorso effettivo, la Cgue ha testualmente richiamato la sua pronuncia adottata in data 26 luglio 2017 (Sacko) ribadendo che «La Corte ha anche avuto occasione di rammentare che, in linea di principio, è necessario prevedere, nella fase giurisdizionale, un’audizione del richiedente, a meno che non ricorrano determinate condizioni cumulative (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Sacko, C‑348/16, EU:C:2017:591,punti 37 e da 44 a 48)».

Dal dialogo delle Corti emerge un quadro giurisprudenziale di riferimento chiaro e sostanzialmente consolidato che ritiene che il richiedente asilo sia sentito su tutti i fatti narrati attraverso il colloquio personale, che deve svolgersi, quanto meno (sì da risultare “necessario”) nella procedura di primo grado, davanti all’autorità competente (che in Italia è l’autorità amministrativa), ma che tale colloquio può essere rinnovato davanti all’autorità giurisdizionale ricorrendone i presupposti.

In particolare, il legislatore europeo ha lasciato al legislatore dei singoli Stati membri l’individuazione di specifiche modalità procedurali per la decisione dei ricorsi in sede giurisdizionale, nel rispetto dei principi di autonomia processuale – con i limiti sopra evidenziati –, effettività ed equivalenza, prevedendo la necessaria audizione del richiedente nella fase giurisdizionale non solo nei casi di non manifesta infondatezza della domanda, ma anche al di fuori di una motivata domanda della parte istante, riconoscendo al giudice del caso concreto di poter valutare di rinnovare l’audizione svolta nella procedura di primo grado «ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva procedure» (cfr. sentenza già citata).

In tale contesto normativo non pare esservi spazio, nella giurisprudenza delle corti, per una distinzione tra intervista/colloquio nella fase amministrativa e audizione nella fase giurisdizionale – così provando a individuare due distinte attività che possono essere entrambe espletate nelle due diverse fasi dell’unica procedura –, potendosi ritenere rilevante la sola distinzione, che può essere operata esclusivamente con riferimento alla concreta fattispecie sottoposta all’esame del giudice, tra una decisione che può essere adottata sulla base delle allegazioni e dei soli documenti delle parti («in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo») rispetto a un’altra dove – in presenza di un racconto con fattori di inclusione riconducibili alle possibili forme di protezione internazionale e non risultando sufficienti gli elementi acquisiti nel fascicolo – il giudice dovrà rinnovare l’audizione già svolta in primo grado dalla autorità amministrativa al fine di accertare, secondo criteri legislativamente predeterminati, la sussistenza o meno dei presupposti per l’accoglimento della domanda.

In tali casi la necessità di rinnovare l’audizione del richiedente nella fase giurisdizionale rende recessiva qualunque esigenza di economia processuale e di celerità del procedimento che il legislatore dell’Unione ha pur sempre considerato e valutato anche nei procedimenti di protezione internazionale i quali, avendo ad oggetto la tutela di diritti fondamentali, prevedono ampi poteri istruttori da parte del giudice adito per la valutazione di domande che non possono che ritenersi autodeterminate.

 

3. L’audizione del richiedente nel diritto nazionale

L’art. 35-bis del d.lgs n. 25/2008, ai commi 10 e 11, ha individuato le fattispecie per le quali sussiste l’obbligatorietà o meno da parte del giudice della fissazione della udienza di comparizione delle parti, ma nulla ha disposto con riguardo all’audizione del richiedente asilo che è prevista dal solo comma 10, lett. a, che richiede la fissazione di tale udienza quando il giudice, «visionata la videoregistrazione (…) ritiene necessario disporre l’audizione del ricorrente».

Il tenore della disposizione in commento – che costituisce recepimento della disciplina eurounitaria come interpretata dalle corti – consente di ritenere tuttavia che la decisione sulla “rinnovazione” dell’audizione (già disposta dalla autorità amministrativa e acquisita attraverso una videoregistrazione o, alternativamente, tramite il verbale sintetico) è rimessa alla decisione del giudice adito qualora venga ritenuta «necessaria» per poter procedere a un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto della domanda, attraverso il dovere di cooperazione istruttoria cui il giudice è obbligato ex lege. La decisione sulla necessità o meno dell’audizione anche nella fase giurisdizionale è quindi legata alla concreta fattispecie sottoposta alla valutazione del giudice, nel caso in cui gli atti e i documenti prodotti dalle parti non risultino sufficienti per un esame completo e attualizzato della domanda, e il giudice deve ricorrere ai suoi poteri istruttori officiosi previsti dall’art 3, comma 5, d.lgs n. 251/2007 (oltre che dall’art 8, comma 3, e dall’art 27, comma 1-bis, d.lgs n. 25/2008).

L’audizione nella fase giurisdizionale costituisce, pertanto, un’attività processuale essenziale esplicativa del dovere di cooperazione istruttoria del giudice con il richiedente – unitamente all’attività istruttoria di raccolta delle COI pertinenti e aggiornate al momento della decisione (cfr. art. 35-bis, comma 9) –, che deve essere svolta all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dinanzi all’autorità amministrativa nella prima fase della procedura e delle allegazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio di protezione internazionale (oltre che dei documenti acquisiti al fascicolo).

Il dovere di procedere all’audizione del richiedente asilo è in genere subordinato alla valutazione di credibilità soggettiva della storia personale narrata in commissione, integrata dalle allegazioni contenute nel ricorso giurisdizionale (senza alcuna preclusione in ragione della natura del giudizio), ma non può certo essere confusa con il dovere del giudice di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti per richiedere loro chiarimenti (fattispecie autonomamente disciplinata dalla lett. b del comma 10 dell’art. 35-bis) in assenza di videoregistrazione del colloquio. In tale ultimo caso, infatti, la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti costituisce un obbligo processuale previsto per legge la cui omissione comporta la violazione del principio del contraddittorio, e non ha alcuna commistione con la diversa e particolare attività istruttoria di “audizione” del ricorrente anche nella fase giurisdizionale, qualora risulti “necessario” all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dinanzi alla commissione e delle eventuali integrazioni/allegazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio. Non appare, pertanto, condivisibile quell’orientamento giurisprudenziale (peraltro rimasto isolato e non ripreso, in via generale, dalla giurisprudenza di merito e dalla stessa giurisprudenza di legittimità) che ha ritenuto sussistente, per la sola assenza della videoregistrazione, un dovere del giudice di «fissare l’udienza di comparizione personale del richiedente (...) al fine di consentire a quest’ultimo un contatto diretto con il suo giudice naturale (...) [per garantirgli] la facoltà [di] rendere le proprie dichiarazioni» (cfr., in particolare, Cass., ord. n. 7503/2020). Non vi è alcun dato normativo (rinvenibile nella legislazione nazionale e anche in quella eurounitaria) che consenta di ritenere sussistente una violazione del diritto di difesa nel caso in cui al richiedente – in assenza di videoregistrazione del suo colloquio – sia impedita la facoltà di «rendere le proprie dichiarazioni» nell’ambito di un’udienza di comparizione personale che deve essere sempre fissata. Dall’esame della pronuncia citata – solo in parte “ripresa” da una successiva pronuncia (cfr. Cass., ord. n. 18803/2020) – appare evidente la confusione tra le due fattispecie distintamente disciplinate dal legislatore: l’udienza di fissazione della comparizione delle parti (in assenza della videoregistrazione del colloquio) costituisce un obbligo processuale volto a garantire il principio del contraddittorio; l’audizione del richiedente («facoltà di rendere le proprie dichiarazioni») costituisce una peculiare attività istruttoria del giudizio di protezione internazionale alla quale il giudice è vincolato per l’esame nel merito della domanda (non risultando sufficienti gli atti del fascicolo) in presenza di certi presupposti e ambiti, e al di fuori dell’assenza o meno della videoregistrazione del colloquio reso in commissione. Senza voler tacere della rilevanza, tutta da dimostrare, della stessa videoregistrazione come misura idonea a consentire al giudice la valutazione della genuinità o meno delle dichiarazioni rese al fine del giudizio di credibilità (circostanza non solo priva di attuale riscontro, ma esclusa dalla maggior parte dei commentatori della norma e sopravvalutata dal legislatore in sede di previsione dello strumento tecnico). 

Con riferimento, invece, alla valutazione di credibilità soggettiva del racconto e ai suoi rapporti con il “dovere” di audizione del richiedente asilo, è necessario svolgere alcune riflessioni più articolate.

Il dovere del giudice di audizione del richiedente, costituendo una esplicazione del dovere di cooperazione istruttoria previsto dall’art. 3, comma 1, d.lgs n. 25/2008, è sicuramente svincolato dalla istanza di parte – come invece pare ritenuto dalla giurisprudenza almeno con riferimento ai nuovi temi introdotti nel ricorso (cfr. Cass., sent. n. 27073/2019) –, ma non può ritenersi svincolato da una narrazione ed eventuale successiva allegazione contenuta nell’atto introduttivo del giudizio di fatti storici rilevanti e pertinenti a renderne possibile la valutazione ai fini delle misure di protezione (anche non espressamente) richieste (cfr., in particolare, Cass., ordinanze nn. 16967/2020 e 15318/2020).

Un esame completo ed ex nunc della domanda non può prescindere, infatti, da un racconto del richiedente sufficientemente dettagliato e anche solo astrattamente rilevante che sia eventualmente integrato da un’allegazione difensiva specifica e pertinente al caso concreto oggetto di valutazione; in tale contesto, anche se la vicenda in esame risulta sfornita di prova perché non reperibile o anche solo non esigibile, il dovere di cooperazione officiosa deve sempre essere attivato dal giudice attraverso l’audizione del ricorrente (oltre che con le ricerca delle COI ove necessarie), non potendo procedersi all’esame del merito della domanda sulla base dei soli atti e documenti acquisiti al fascicolo.

Deve ritenersi, per contro, che di fronte a un racconto non solo sufficientemente dettagliato, ma anche credibile alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui all’art. 3 d.lgs n. 251/2007 o anche a un racconto che trovi riscontro nelle COI raccolte e aggiornate (cfr. art 35-bis, comma 9), l’attività di audizione del richiedente risulta del tutto superflua.

Ne consegue, pertanto, che il giudice deve procedere ad audire il richiedente non solo di fronte ai nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione oggetto del ricorso allegati nell’atto introduttivo del giudizio, ma anche rispetto a circostanze qualificanti verificatesi prima dell’adozione della decisione impugnata o addirittura prima della presentazione della domanda amministrativa che sono state taciute alla commissione (elementi che vanno qualificati come «ulteriore dichiarazione» ai sensi dell’art. 40, par. 1, direttiva 2013/32) o anche solo in relazione alla stessa vicenda raccontata in commissione e già esaminata dall’autorità amministrativa, ma erroneamente ritenuta non rilevante o non qualificata correttamente ai fini della richiesta di asilo.

Deve parimenti escludersi la necessità dell’audizione di fronte a una vicenda non significativa ai fini della protezione internazionale, che magari ha esaurito i suoi effetti perché non più attuale, o ancora perché i nuovi elementi di fatto allegati in ricorso non sono sufficientemente distinti dagli elementi di cui l’autorità accertante ha già potuto tenere conto (cfr. Cgue, sentenza Ahmedbekova) sulla base dei quali il giudice può decidere la domanda nel merito con il solo esame degli atti del fascicolo e di eventuali chiarimenti alle parti.

Ne consegue che, se è pur vero che la valutazione di non credibilità della narrazione alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva non può giustificare, ipso facto, il diniego di cooperazione istruttoria (cfr. la sentenza già citata, con riferimento alla situazione del Paese di origine), è altrettanto vero che l’attività di audizione non dovrebbe avere alcuna finalità esplorativa – o anche solo suppletiva di una insufficiente allegazione o di un racconto non significativo – poiché il dovere di cooperazione opera esclusivamente sul piano della prova senza investire il diverso profilo dell’allegazione dei fatti, la cui introduzione spetta al richiedente – almeno con riferimento alla domanda di rifugio politico, di protezione sussidiaria (d.lgs n. 251/2007, art. 14, lett. a e b) e della “vecchia” protezione umanitaria –, non potendo certo il giudice supplire con l’approfondimento istruttorio al mancato adempimento dell’onere di allegazione posto a carico della difesa del richiedente.

L’omessa audizione non si traduce, pertanto, in una violazione di legge, ma nella violazione del dovere di cooperazione officiosa che, in attenuazione al principio dispositivo, vincola il giudice a svolgere sempre – nei limiti e negli ambiti che si è provato a individuare – quella peculiare attività istruttoria per l’adozione di una corretta decisione nel merito della domanda di asilo.

 


1. Trib. Napoli, decr. n. 2646/2018.

2. La norma testualmente recita: «in sede di colloquio il richiedente può formulare istanza motivata di non avvalersi del supporto della videoregistrazione. Sull’istanza decide la Commissione territoriale con provvedimento non impugnabile».

3. «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole».

4. Moussa Sacko, C-348/16, sentenza del 26 luglio 2017.