Magistratura democratica

Comparizione delle parti e audizione del ricorrente

di Guido Federico

È configurabile un obbligo processuale sanzionabile di procedere all’audizione personale del richiedente oltre a quello relativo alla comparizione delle parti? Primo contributo su un tema di forte attualità.

1. Premessa / 2. L’obbligo di comparizione delle parti nella disciplina dell’art. 35-bis d.lgs n. 25/2008 / 3. Le questioni di legittimità costituzionale del nuovo procedimento / 4. La tutela del contraddittorio in caso di mancanza della videoregistrazione / 5. Udienza di comparizione e audizione del richiedente / 6. Nullità del decreto di fissazione dell’udienza / 7. Delegabilità dell’audizione del richiedente / 8. Ascolto del richiedente e nuovi motivi / 9. Il recente arresto della I sez. civile

 

1. Premessa

Il presente contributo concerne i rapporti tra la comparizione delle parti e l’audizione del richiedente asilo nel procedimento di protezione internazionale, nella prospettiva del giudice di legittimità, mediante un breve excursus delle pronunce più significative, nella consapevolezza che lo strumento processuale, in quanto impiegato in vista della realizzazione del diritto sostanziale, non può non influire sullo scopo e ne è (dovrebbe esserne) a sua volta condizionato: nell’ordinamento tutto si tiene e non è dato modificare una parte senza che l’intero sistema ne registri il riflesso[1].

Ciò è tanto più vero nel giudizio di protezione internazionale, che si caratterizza per la estrema variabilità, peculiarità e intensità delle vicende umane coinvolte e, soprattutto, per la rilevanza dei diritti che attraverso tale giudizio reclamano tutela e della situazione di disagio e fragilità dei soggetti che la sollecitano.

 

2. L’obbligo di comparizione delle parti nella disciplina dell’art. 35-bis d.lgs n. 25/2008

Il procedimento che regola l’impugnazione dei provvedimenti della commissione territoriale e della Commissione nazionale sulla concessione dello status di rifugiato, delineato, com’è noto, dall’art. 35-bis d.lgs n. 25 del 2008 (introdotto dall’art. 6, lett. g, l. n. 46/2017), presenta caratteri del tutto peculiari per la sua morfologia, per la previsione di specifici adempimenti e per il fatto di essere presidiato dai principi di attenuazione dell’onere della prova e del dovere di cooperazione del giudice.

Sin dai primi commenti alla novella legislativa venivano poste in evidenza, sotto il profilo strettamente procedimentale, due criticità del nuovo rito:

- l’adozione di un modello procedimentale camerale, tendenzialmente non partecipato;

- l’abolizione dell’appello[2].

 

3. Le questioni di legittimità costituzionale del nuovo procedimento

La Corte di legittimità ha escluso la non conformità a Costituzione di tali scelte legislative, dichiarando manifestamente infondate le relative eccezioni di legittimità costituzionale[3].

La sentenza della Suprema corte n. 17717 del 2018, in particolare, ha affrontato la questione della tutela del contraddittorio nel nuovo rito camerale, affermando che non potesse, in via generale, attribuirsi rilievo alla soppressione dell’udienza di comparizione, «sia perché essa è circoscritta a particolari frangenti, nei quali la celebrazione dell’udienza si risolverebbe in un superfluo adempimento, tenuto conto dell’attività in precedenza svolta, sia perché il contraddittorio è comunque pienamente garantito dal deposito di difese scritte».

 

4. La tutela del contraddittorio in caso di mancanza della videoregistrazione

La citata pronuncia ha peraltro affermato, completando l’inquadramento sistematico del nuovo procedimento, che, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio innanzi alla commissione territoriale, secondo quanto stabilito dall’art. 14, comma 1, d.lgs n. 25/2008, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio.

Due le rationes decidendi poste a fondamento di tale statuizione:

a) un argomento di carattere testuale, desunto dalla formulazione dell’art. 35-bis, comma 10, anche in relazione al diverso contenuto del comma 11;

b) un argomento di natura teleologica, fondato sulla centralità del colloquio con il richiedente nel nuovo procedimento, desumibile dalla previsione della sua videoregistrazione: se questa manca occorre dunque consentire il pieno dispiegamento del contraddittorio mediante lo svolgimento dell’udienza di comparizione delle parti.

Secondo la prospettazione della Corte, dunque, in mancanza di videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti nullità del decreto per inidoneità del procedimento così adottato a realizzare lo scopo del pieno contraddittorio.

La Corte ha altresì precisato, in via incidentale, ponendo le basi per una distinzione esplicitata nelle pronunce successive, che l’obbligo, a pena di nullità, di fissare l’udienza di comparizione non implica che si debba necessariamente dar corso all’audizione del richiedente, essendo sufficiente il primo adempimento.

E ciò, sia in forza dell’espresso dato normativo, che dell’orientamento della Corte di giustizia la quale, con la nota pronuncia C-348 del 26 luglio 2017, Moussa Sacko, aveva escluso la sussistenza di un obbligo incondizionato di audizione del richiedente in sede di ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata[4].

Ulteriore corollario della pronuncia è che in presenza di videoregistrazione del colloquio del richiedente davanti alla commissione territoriale non è richiesta neppure l’udienza di comparizione.

 

5. Udienza di comparizione e audizione del richiedente

La relazione tra udienza di comparazione e audizione del richiedente viene ripresa e affrontata in modo più approfondito dalla giurisprudenza di legittimità successiva, nella quale si afferma l’orientamento secondo cui l’obbligo per il giudice di fissare, a pena di nullità per violazione del contraddittorio, l’udienza per la comparizione delle parti, non implica l’automatica necessità di dare corso all’audizione[5].

Una importante precisazione di tale orientamento discende dalla sentenza n. 5973 del 2019.

Con tale pronuncia, premessa la necessità di inquadrare, sul piano sistematico, l’audizione del richiedente nell’ambito della normativa europea[6], si afferma, alla luce della giurisprudenza comunitaria, che il tribunale può esimersi dall’audizione del richiedente solo se:

- al richiedente sia stata data la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni davanti alla commissione territoriale e siano disponibili il verbale ovvero la trascrizione del colloquio e l’intera documentazione acquisita;

- la domanda sia manifestamente infondata sulla base delle circostanze risultanti dagli atti del procedimento amministrativo, oltre che da quelli eventualmente assunti nella fase giudiziale.

Ribadito dunque che la mancata audizione del richiedente non è ex se motivo di nullità del procedimento in materia di protezione internazionale e del decreto che lo definisce, la Suprema corte introduce un criterio di valutazione della facoltà del giudice di disporre o meno l’audizione.

Si sottolinea la rilevanza non solo della videoregistrazione del colloquio del richiedente davanti alla commissione territoriale e dell’udienza di comparizione (laddove tale videoregistrazione manchi), ma soprattutto dell’audizione del richiedente in sede giurisdizionale in tutte le ipotesi in cui, sulla base delle circostanze risultanti dagli atti, la domanda non sia manifestamente infondata.

Si riafferma, dunque, la centralità delle dichiarazioni rese dal richiedente in udienza e davanti a un giudice terzo, le quali non possono essere pienamente assimilate a quelle rese nell’audizione davanti alla commissione territoriale, pur essendo soggette alle medesime regole di valutazione.

Le dichiarazioni del richiedente costituiscono uno strumento peculiare di attuazione del diritto alla prova, necessariamente correlato alla speciale regola di valutazione, previsto dall’art. 4, comma 5, direttiva 2011/95/UE, attuato nel nostro ordinamento dall’art. 3, comma 5, d.lgs n. 251/2017, cardine del sistema di attenuazione dell’onere della prova.

E ciò in quanto, ai sensi dell’art. 47 Carta Ue, la piena tutela del diritto alla prova del richiedente nel giudizio di protezione internazionale trova una forma essenziale di attuazione proprio nelle sue dichiarazioni, che costituiscono – in deroga ai principi generali – fonte di prova in favore del dichiarante e possono integrare piena prova dei fatti allegati[7].

Nel procedimento delineato dall’art. 35-bis, la previsione (eventuale) dell’udienza di comparizione non discende dalla natura camerale del procedimento, posto che, secondo il più recente indirizzo del giudice di legittimità le forme del rito camerale consentono, nei procedimenti di natura contenziosa, il pieno dispiegamento del contraddittorio e dell’iniziativa istruttoria delle parti anche quando difetti la celebrazione di un’udienza[8].

In tale procedimento, dunque, l’udienza, in quanto prevista solo in caso di mancanza di videoregistrazione, deve ritenersi funzionale a compensare tale carenza, sul presupposto che non solo il contenuto delle dichiarazioni del richiedente (evidentemente desumibile dal relativo verbale), ma anche il contegno da questi tenuto nella narrazione costituiscano l’elemento essenziale, ed anzi normalmente l’unico (in assenza di riscontri documentali), a disposizione del giudice ai fini della valutazione di credibilità del racconto e della fondatezza della domanda di protezione.

Da ciò la conseguenza che dall’audizione in sede giurisdizionale del richiedente si possa prescindere (solo) in caso di manifesta infondatezza della domanda o di evidente mancanza di credibilità dei fatti posti a fondamento della domanda stessa, poiché in tali ipotesi l’esame del richiedente sarebbe superfluo.

 

6. Nullità del decreto di fissazione dell’udienza

In continuità con l’arresto appena evidenziato, la Suprema corte, con l’ordinanza del 24 luglio 2020, n. 15954 ha affermato che è nullo, per violazione dell’art. 35-bis, commi 10 e 11, d.lgs n. 25/2008, il provvedimento del giudice di merito che, in assenza della videoregistrazione del colloquio del richiedente innanzi alla commissione territoriale, fissi l’udienza di comparizione escludendo, in via preventiva, la necessità di procedere all’audizione del cittadino straniero.

La Corte ha tuttavia previsto che, in tal caso, è onere del richiedente procedere all’immediata contestazione della nullità ex art. 157, comma 2, cpc, dovendosi, in difetto, ritenere integrata la sanatoria del vizio.

Secondo tale arresto è evidente che la ratio della norma che impone la fissazione dell’udienza in ogni caso in cui non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa risiede nell’esigenza di consentire l’effettivo incontro tra richiedente e giudice, onde consentire il pieno estrinsecarsi del potere-dovere di cooperazione istruttoria.

Da ciò discende che il decreto con il quale il giudice di merito, non avendo a disposizione la videoregistrazione, decida comunque di escludere a priori la possibilità stessa dell’ascolto del richiedente, è contrario allo spirito della norma e affetto da nullità, poiché in tal modo si svuotano di significato concreto le disposizioni di cui ai commi 10 e 11 dell’art. 35-bis d.lgs n. 25/2008.

La nullità di tale decreto di fissazione dell’udienza integra peraltro una nullità relativa, con la conseguenza che laddove all’udienza di comparizione la nullità non sia stata eccepita la stessa risulta sanata ex art. 157, comma 2, cpc.

La pronuncia appena citata lascia forse aperta la possibilità di censurare, in sede di ricorso per cassazione, indipendentemente dal rituale rilievo della nullità relativa, la mancata audizione del richiedente, disattesa pur a fronte di una specifica istanza rivolta al giudice, sotto un diverso profilo: vale a dire come violazione degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione alla corretta applicazione del dovere di cooperazione istruttoria, con l’onere, peraltro, di indicare, ai fini della necessaria specificità del ricorso, gli elementi rilevanti ai fini dell’accoglimento della domanda che il richiedente avrebbe potuto riferire se fosse stato ascoltato dal giudice.

 

7. Delegabilità dell’audizione del richiedente

Considerata la centralità dell’audizione, diverse sezioni specializzate in materia di immigrazione hanno adottato un assetto organizzativo che, alla luce della flessibilità consentita dal rito camerale, prevede la normale audizione del richiedente in sede giurisdizionale.

In considerazione del rilevantissimo numero dei procedimenti, in diversi uffici giudiziari si è, in particolare, fatto ricorso ai got, ai fini di tale essenziale adempimento.

Nello schema solitamente utilizzato, il presidente della sezione specializzata designa un componente del collegio per l’istruzione della causa e quest’ultimo, ove non ritenga di procedere direttamente, delega per il compimento di singoli atti istruttori, e segnatamente per l’audizione del richiedente, un got.

La Corte di cassazione, con la pronuncia n. 3356 del 2019, ha ritenuto legittima l’adozione di tale modulo procedurale, affermando che non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale abbia proceduto, secondo il modello del cd. “affiancamento”, all’audizione del richiedente, ferma la successiva rimessione della causa per la decisione al collegio della sezione specializzata.

Premesso che nell’“affiancamento” vengono specificamente indicate le attività delegate al got e il magistrato delegante vigila sul loro espletamento, mantenendo la responsabilità del procedimento, la legittimità (ed anzi opportunità) dell’applicazione di tale modello organizzativo anche alla sezione specializzata in materia di immigrazione è stata affermata dal Csm nella delibera del 15 giugno 2017.

La delega al got per l’audizione del richiedente non contrasta, inoltre, con il principio di immutabilità del giudice di cui all’art. 276 cpc, che, secondo il consolidato indirizzo della Suprema corte, va interpretato nel senso che i giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi innanzi ai quali sono state precisate le conclusioni o si è tenuta l’udienza di discussione.

L’espletamento dell’audizione del richiedente, dunque, quale specifico adempimento istruttorio cui segue la rimessione della causa all’organo giudicante per la decisione in camera di consiglio, non integra alcuna violazione del principio di immutabilità.

 

8. Ascolto del richiedente e nuovi motivi

Un’ulteriore questione in materia di ascolto del richiedente su cui si è pronunciata la Corte di cassazione riguarda l’ipotesi in cui, nel ricorso in sede giurisdizionale, il richiedente abbia posto a fondamento della domanda di protezione «motivi nuovi» o «elementi di fatto nuovi» rispetto a quelli fatti valere innanzi alla commissione.

La Suprema corte, con la pronuncia del 23 ottobre 2019, n. 27073, ha al riguardo affermato che, ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione contenga motivi o elementi di fatto nuovi, il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità del racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria.

E ciò, in quanto l’art. 35-bis d.lgs n. 25/2008 dev’essere letto alla luce del disposto dell’art. 46, par. 3 della direttiva 2013/32/UE nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia Ue.

La Corte di giustizia ha evidenziato che, ai sensi dell’art. 17, par. 2 della direttiva 2013/32, sussiste l’obbligo del giudice di procedere a una valutazione che tenga conto dei nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione oggetto del ricorso (valutazione cd. ex nunc) ed è altresì tenuto a esaminare sia gli elementi che l’autorità accertante ha considerato, sia quelli intervenuti dopo l’adozione della decisione da parte dell’autorità medesima (sentenza C-585/16 del 25 luglio 2018, Aheto).

Il richiedente protezione può inoltre modificare le ragioni della sua domanda, come pure le circostanze del caso di specie, invocando, durante il procedimento, un motivo di protezione internazionale che, pur essendo relativo a eventi o minacce verificatisi prima dell’adozione della decisione dell’autorità o addirittura prima della presentazione della domanda, è stato taciuto dinanzi a questa autorità.

In tal caso il nuovo motivo o i nuovi elementi di fatto devono essere qualificati come «ulteriore dichiarazione», ai sensi dell’art. 40, par. 1, direttiva 2013/32, con la conseguenza che il giudice investito del ricorso è, in linea di principio, tenuto a esaminare tale motivo o tali nuovi elementi di fatto, dopo aver richiesto un ulteriore esame di tali elementi da parte dell’autorità accertante.

Dal quadro giurisprudenziale di riferimento discende, dunque, che il richiedente dev’essere sentito su tutti i fatti da lui narrati: se ciò non avviene innanzi alla commissione, l’audizione, anche per ragioni di celerità ed economia processuale, non potrà che esperirsi in sede giurisdizionale.

Pure tale arresto conferma che, in materia di protezione internazionale, l’audizione e il confronto diretto costituisce un mezzo di prova fondamentale e il principale strumento per illustrare e dare concretezza alla pretesa del richiedente, e deve dispiegarsi su tutti i fatti oggetto della narrazione.

Se dunque i nuovi motivi o i nuovi elementi di fatto risultano sufficientemente circostanziati e rilevanti, il giudice non può sottrarsi, se richiesto, all’audizione del richiedente quale strumento per verificare, anche su tali questioni che integrano il thema decidendum e sulle quali il richiedente non è stato sentito dalla commissione territoriale, coerenza e plausibilità del racconto quali necessari presupposti per attivare, se del caso, il dovere di cooperazione istruttoria.

 

9. Il recente arresto della I sez. civile

Con diverse ordinanze interlocutorie ex artt. 380-bis e 380-bis 1 cpc (nn. 34044/19, 32367/19, 33389/19 e nn. 18226, 18227, 18228, 18229, 18230, 18231/20), la I sezione della Cassazione ha rimesso alla discussione in pubblica udienza la questione sulla necessaria audizione in sede giurisdizionale del richiedente, quale condizione essenziale del giudizio di attendibilità della narrazione e dell’esercizio del diritto di difesa.

Le numerose ordinanze interlocutorie della I sez. civile, rese da collegi di diversa composizione, esprimono dunque l’esigenza, generalmente condivisa, di una verifica della “tenuta”, a oltre due anni dalla sua formulazione, e anche alla luce dell’evoluzione del diritto comunitario applicato e delle differenziate posizioni maturate nella giurisprudenza di merito, dell’indirizzo introdotto dalla Suprema corte con la citata pronuncia Cass., n. 17717 del 2018 (su cui vds. par. 5) formulato “a caldo”, pochi mesi dopo l’emanazione del d.lgs 17 febbraio 2017, n. 13, conv. con modificazioni dalla legge 13 aprile 2017, n. 46.

Del tutto condivisibile, dunque, considerata la particolare rilevanza della questione, la scelta di prevedere la trattazione in pubblica udienza, dotata di particolare rilievo nomofilattico, ai sensi dell’art. 375, ultimo comma, cpc, al fine di garantire una tendenziale stabilità alla pronuncia.

Con la recente pronuncia n. 21584 del 7 ottobre 2020, la I sezione civile, all’esito di un ampio e convincente excursus delle principali pronunce della Corte di giustizia e della stessa giurisprudenza di legittimità, in continuità con la precedente sentenza della I sez. civile, n. 27073 del 2019, ha introdotto rilevanti limiti all’arresto originario, in forza del quale l’obbligo per il giudice di fissare, a pena di nullità, l’udienza per la comparizione delle parti non implica l’automatica necessità di dare corso all’audizione.

Con la sentenza n. 21584 del 2020 la Cassazione ha infatti affermato che, nei giudizi di protezione internazionale, il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione ma non anche quello di disporre l’audizione del ricorrente, a meno che:

a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda;

b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente;

c) il richiedente ne faccia istanza nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.

Si esclude dunque, in assenza di videoregistrazione, un obbligo generalizzato di audizione del richiedente, ponendosi peraltro un onere motivazionale da parte del giudice di merito, a fronte della specifica richiesta di audizione del richiedente.

Di contro, sembra ravvisabile un onere del ricorrente in cassazione, ai fini della necessaria specificità del ricorso ex art. 366 cpc, di riportare nel corpo del ricorso, in relazione alla denuncia di nullità della sentenza di primo grado per violazione del contraddittorio, il passo del ricorso introduttivo davanti al giudice di primo grado da cui risulta:

- l’allegazione di fatti nuovi, specificamente evidenziati, rispetto alla domanda alla commissione territoriale;

- la richiesta di audizione;

- l’indicazione specifica degli aspetti ed elementi della narrazione sui quali intendeva fornire, in sede di audizione, i necessari chiarimenti, con conseguente lesione – in conseguenza della mancata audizione – del suo diritto di difesa.

È mia personale convinzione che questi limiti, espressamente affermati con la citata pronuncia, che per la sua rilevanza appare destinata a delineare una sorta di paradigma dell’audizione del richiedente in sede giurisdizionale, in relazione all’ipotesi di mancanza della videoregistrazione, considerata la differenza sostanziale tra audizione innanzi alla commissione e audizione in sede giurisdizionale, potrebbero in buona parte sopravvivere anche se e quando la videoregsitrazione sarà effettivamente introdotta.

«Ma quella è un’altra storia»[9].

 

 

1. Così N. Irti, Calcolabilità e brevità per i processi civili, in Il Sole 24 ore, 4 agosto 2020.

2. A. Consentino, L’Anm della Cassazione sul dl n. 13/2017, in materia di protezione internazionale e di contrasto dell’immigrazione illegale, in questa Rivista online, 8 marzo 2017, www.questionegiustizia.it/articolo/l-anm-della-cassazione-sul-d_l_n_132017_in-materia_08-03-2017.php. 

3. Cass., 30 ottobre 2018, n. 27700 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35-bis, comma 13, d.lgs n. 25/2008, per violazione degli artt. 3, comma 1, 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado.
Cass., n. 17717/2018, ha affermato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, dell’art. 35-bis, comma 1, d.lgs n. 25/2008 poiché il rito camerale ex art. 737 cpc, che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza.

4. Corte di giustizia, C-346/16, Moussa Sacko c. Commissione territoriale di Milano, secondo cui: la direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente, qualora le circostanze di fatto non lascino dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità all’art. 17, par. 2 della direttiva medesima e, d’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, contemplato dall’art. 46, par. 3 di tale direttiva.

5. Vds. al riguardo Cass., 13 dicembre 2018, nn. 32318 e 32319; Cass., 31 gennaio 2019, n. 2817.

6. Tra le fonti più significative, va anzitutto menzionata la direttiva 2013/32/UE del 26 giugno 2013 (cd. “direttiva procedure”) – e, in particolare, gli artt. 12, 14, 31 e 46 –, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (che afferma il cd. principio di effettività).

7. Così L. Minniti, La valutazione di credibilità del richiedente asilo tra diritto internazionale, dell’UE e nazionale, in questa Rivista online, 21 gennaio 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/la-valutazione-di-credibilita-del-richiedente-asilo-tra-diritto-internazionale-dell-ue-e-nazionale_21-01-2020.php.

8. Cass., 21 marzo 2019, n. 8046.

9. Moustache, in Irma La dolce di Billy Wilder, Usa, 1963.