Magistratura democratica

Le impugnazioni civili dopo il d.lgs 10 ottobre 2022, n. 149

di Luca Passanante

Il contributo offre una prima lettura delle norme sulle impugnazioni civili, così come modificate dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, in attuazione della legge delega 26 novembre 2021, n. 206. Nelle conclusioni si sottolinea come la riforma delle impugnazioni appaia insufficiente a cambiare radicalmente le sorti dell’amministrazione della giustizia, non solo per la mancanza di scelte radicali, ma anche per la necessità di incidere contemporaneamente anche sulla formazione culturale di magistrati e avvocati e anche sulle troppo spesso trascurate regole di accesso alla professione.

1. Premessa / 2. Disciplina transitoria / 3. Termini per impugnare / 4. Inefficacia dell’impugnazione incidentale tardiva / 5. L’appello / 5.1. L’inibitoria / 5.2. L’atto introduttivo / 5.3. Costituzione dell’appellato e appello incidentale / 5.4. Improcedibilità dell’appello / 5.5. Soppressione del filtro in appello e decisione semplificata / 5.6. Nomina del consigliere istruttore e trattazione “monocratica” / 5.7. Appello “multi-track / 5.7.1. “Rito presidenziale” / 5.7.2. Decisione semplificata per inammissibilità o manifesta infondatezza / 5.7.3. Decisione semplificata per manifesta fondatezza, ridotta complessità della causa o per ragioni di urgenza / 5.7.4. Decisione semplificata su istanza inibitoria / 5.7.5. “Rito ordinario”/ 5.8. Appello nel rito del lavoro / 5.9. La rimessione della causa al primo giudice / 6. Il giudizio di cassazione / 7. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione / 8. La revocazione della sentenza per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo / 9. Conclusioni

 

1. Premessa

La riforma delle norme del codice di rito – che, come si vedrà, non aspira a ridisegnare radicalmente il sistema dei mezzi d’impugnazione, ma piuttosto a ristrutturare, ancorché significativamente, specie in Cassazione, l’esistente – si associa ad alcune rilevanti prescrizioni di carattere ordinamentale che interessano soprattutto il cd. «Ufficio per il processo»[1], destinato, quantomeno nelle intenzioni, a diventare il fulcro della gestione del contenzioso, finalmente intesa come attività che si pone (anche) a monte della cognizione, che dovrebbe consentire, in quest’accezione, una distribuzione più razionale dei ruoli e dei carichi di lavoro. Ma l’attività dell’ufficio per il processo dovrà essere anche volta a uno studio preliminare delle singole controversie (oggi quasi sempre trascurato per forza di cose) tale da creare le condizioni – almeno così pare dovrebbe essere a chi scrive – affinché il giudice possa essere vero case manager, in grado finalmente di governare il contenzioso, anziché restarne per molti versi vittima, emancipandosi da quel ruolo tendenzialmente passivo, al quale sovente è costretto per tutto il corso del processo, per poi dover concentrare tutte (o quasi) le proprie risorse nella stesura della sentenza.

L’ufficio per il processo[2], già istituito presso numerosi uffici giudiziari, dovrebbe essere destinato a ricevere, tanto nei tribunali quanto nelle corti d’appello, un forte impulso già dalla legge delega, prevedendone l’istituzione di analogo Ufficio presso la Corte di cassazione nonché di Ufficio spoglio nella Procura generale presso la Corte di cassazione.

A reclutamento avvenuto degli addetti all’ufficio per il processo – figure per loro natura transitorie, per non dire precarie – è forse lecito dubitare che un simile disegno, a tratti velleitario, possa effettivamente realizzarsi.

 

2. Disciplina transitoria 

L’inaspettata anticipazione dei tempi dell’entrata in vigore della riforma della giustizia civile, determinati dall’art. 1, comma 380 della l. 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023), entrata in vigore il 1° gennaio 2023, e la proroga di alcune delle prescrizioni relative alla disciplina emergenziale, dettata dal dl 29 dicembre 2022, n. 198 (cd. “milleproroghe”), entrato in vigore il 31 dicembre 2022, suggeriscono di chiarire in apertura quale sia la disciplina transitoria degli istituti presi in esame dal presente contributo[3]

L’art. 1, comma 380, l. 29 dicembre 2022, n. 197 ha modificato la disciplina transitoria della riforma, contenuta all’art. 35 d.lgs 10 ottobre 2022, n. 149.

Ferma la regola generale prevista del novellato art. 35, comma 1, d.lgs n. 149/2022, per cui, se non diversamente disposto, le norme del decreto delegato hanno effetto dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati dopo tale data (mentre ai procedimenti instaurati in precedenza si applicano le norme vigenti anteriormente), si offrono qui di seguito in forma schematica alcune indicazioni relative alle disposizioni rilevanti in tema di impugnazioni.

È opportuno precisare che, già prima della modifica della disciplina transitoria della riforma dettata dalla legge di bilancio 2023, le nuove norme che disciplinano il processo in Cassazione avrebbero dovuto entrare in vigore il 1° gennaio 2023, sicché tutte le udienze pubbliche civili si sarebbero dovute tenere con trattazione orale, cessando il 31 dicembre 2022 la disciplina emergenziale da pandemia Covid. Tuttavia, nel frattempo, l’art. 8 dl 29 dicembre 2022, n. 198 (decreto “milleproroghe”) ha prorogato la disciplina emergenziale fino al 30 giugno 2023. Ciò ha determinato l’ultrattività dell’art. 23, comma 8-bis dl n. 137/2020, convertito in l. n. 176/2020. L’art. 8 del “milleproroghe” precisa espressamente che la proroga ha luogo anche in deroga alle disposizioni di cui al d.lgs 10 ottobre 2022, n. 149, con la conseguenza che la disciplina emergenziale prevale sulla novella e si applica (quantomeno) anche alle udienze pubbliche fissate dopo il 1° gennaio 2023. La proroga della disciplina emergenziale opera su due fronti: da un lato, le udienze pubbliche continueranno a svolgersi fino al 30 giugno 2023 in camera di consiglio, salvo che una delle parti o il procuratore generale facciano richiesta scritta di discussione orale, da formularsi entro 25 giorni liberi prima dell’udienza. Poiché quest’ultima istanza per tutto il mese di gennaio non sarebbe stata formulabile in termini, il Primo presidente della Corte di cassazione, in data 3 gennaio 2023, ha diramato una nota[4], precisando che tutte le udienze pubbliche fissate per giorni precedenti al 30 gennaio 2023 si sarebbero svolte con trattazione orale, anche in assenza di richiesta scritta delle parti o del pg. La nota del Primo presidente, poi, prosegue precisando che, poiché la proroga interessa anche la seconda parte dell’art. 23, comma 8-bis dl n. 137/2020, fino al 30 giugno 2023 resteranno fermi anche i termini, da computarsi a ritroso prima dell’udienza, per il deposito delle conclusioni scritte del procuratore generale (15 gg.) e delle memorie di parte ex art. 378 cpc (5 gg.). In sostanza, in forza di questa lettura, l’udienza cd. “cartolare pandemica” si estende a tutte le udienze fino al 30 giugno 2023, salvo che una delle parti o il pg non facciano richiesta di discussione orale.

Qualche dissenso è già emerso in dottrina circa l’effettiva idoneità della proroga in Cassazione del rito emergenziale a posticipare di fatto in parte qua l’entrata in vigore della novella[5]. Si è, infatti, già sostenuto che la disciplina introdotta dal “milleproroghe” riguardi i soli ricorsi per i quali sia stata fissata udienza pubblica prima dell’entrata in vigore del d.lgs n. 149/2022, ossia quelli fissati fino al 31 dicembre 2022[6]. Tuttavia, depone letteralmente in senso contrario la precisazione di cui all’incipit dell’art. 8, comma 8 del milleproroghe, il quale esplicitamente dispone la proroga della disciplina emergenziale «Anche in deroga alle disposizioni di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149». Sicché non può che aderirsi all’interpretazione di cui alla nota del Primo presidente[7].

 

3. Termini per impugnare

La prima norma riformata nella quale ci si imbatte, prendendo in esame il capo I del titolo III del libro II, dedicato alle impugnazioni in generale, è l’art. 326 sulla decorrenza dei termini, il quale, recependo un principio già enunciato dalle sezioni unite, prevede ora espressamente che il termine breve per le impugnazioni decorra dal momento in cui la sentenza è notificata anche per la parte che procede alla notifica, con la precisazione che il dies a quo, tanto per il notificante quanto per il destinatario della notificazione, è rappresentato dal momento in cui il relativo procedimento si perfeziona per il destinatario[8]. Si tratta, in sostanza, della codificazione di un orientamento formatosi in composizione di un pregresso contrasto giurisprudenziale[9]

 

4. Inefficacia dell’impugnazione incidentale tardiva

Si prevede, inoltre, che l’impugnazione incidentale tardiva perda efficacia anche quando l’impugnazione principale sia dichiarata improcedibile. Quest’ultimo intervento colma il vuoto legislativo di cui soffriva l’art. 334, comma 2, cpc, il quale prevedeva la perdita di efficacia dell’impugnazione incidentale tardiva solo nel caso di declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione principale, tacendo invece circa le conseguenze in caso di declaratoria di improcedibilità. Anche in questo caso si tratta, in sostanza, del recepimento di un orientamento giurisprudenziale che, dopo un periodo di incertezza, si è consolidato grazie a un ormai piuttosto risalente intervento delle sezioni unite[10]

 

5. L’appello

Sull’appello la riforma è intervenuta in modo rilevante, rimodulando l’inibitoria, sopprimendo il “filtro”, prevedendo modelli decisori differenziati attraverso una complessiva ristrutturazione del rito, che per certi versi apporta alcune forse inutili complicazioni, tanto da aver suscitato critiche anche severe[11].

 

5.1. L’inibitoria

Il d.lgs n. 149/2022 ha modificato il regime dell’inibitoria in appello, novellando l’art. 283 cpc. Ferma la regola della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, sancita dall’art. 282 cpc, il novellato art. 283 cpc prevede, in conformità a quanto previsto dalla legge delega[12], una più analitica e puntuale descrizione dei presupposti per la concessione dell’inibitoria, originariamente condensati nei «gravi e fondati motivi» del testo previgente. 

Nel nuovo primo comma dell’art. 283 cpc i requisiti per la concessione della sospensiva appaiono, secondo la lettera della disposizione, due, distinti e alternativi: la nuova norma stabilisce infatti che il giudice d’appello, su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o incidentale, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione, se: 

a) l’impugnazione appare manifestamente fondata o

b) dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna abbia ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti.

La disposizione, che non brilla per linearità, pare proprio determinare una scissione alternativa dei requisiti del fumus e del periculum, sì da dover essere letta nel senso che la manifesta fondatezza dell’appello, per quanto di rara verificazione, sia già di per sé sufficiente a concedere l’inibitoria[13]. Per converso, quand’anche l’impugnazione dovesse apparire non manifestamente fondata, ma dall’esecuzione della sentenza potesse derivare un pregiudizio grave e irreparabile, parimenti sussisterebbero i presupposti per la concessione della misura inibitoria. In tale ultimo caso, il pregiudizio grave e irreparabile potrebbe anche derivare dal pagamento di una somma di denaro, qualora una delle parti versi in una situazione di insolvenza. Il termine «insolvenza» può rappresentare un’ambiguità, posto che si tratta di uno dei presupposti previsti nell’ambito delle procedure concorsuali, ma pare evidente che in questo contesto il presupposto debba essere interpretato in senso non tecnico e, quindi, come generico pericolo concreto che la situazione in cui versa la parte (provvisoriamente) vittoriosa impedisca le eventuali giuste restituzioni in ipotesi di accoglimento del gravame.

Vengono, quindi, rimodulati i presupposti per la concessione della sospensione dell’esecuzione o dell’esecutività della sentenza di prime cure, attraverso una esplicitazione della necessità di fondare la concessione del rimedio – che parrebbe a questo punto avere una funzione ora cautelare, ora anticipatoria – alternativamente su un giudizio prognostico di manifesta fondatezza del gravame o sul pregiudizio grave e irreparabile. La riforma, per un verso, consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’indagine sul pregiudizio, anche sulla base della precedente formulazione della norma (che si esprimeva in termini di «gravi e fondati motivi»), non deve intendersi limitata alla verifica della sussistenza di un pregiudizio grave, ma va estesa alla sua irreparabilità. Per altro verso, però, essa dissocia del tutto – rendendoli, anche logicamente, alternativi – i requisiti del periculum e del fumus, posto che la sussistenza anche solo dell’uno o dell’altro consente al giudice d’appello di concedere la sospensione, portando ad estreme conseguenze l’orientamento, già formatosi nella vigenza del vecchio testo, secondo cui quando uno dei due requisiti fosse stato sussistente in grado elevato avrebbe potuto essere considerato assorbente, così da consentire la concessione della sospensiva a prescindere dalla sussistenza dell’altro[14].

Resta, infine, invariata la previsione della condanna a una pena pecuniaria non inferiore a euro 250 e non superiore a euro 10.000 nei confronti della parte che abbia proposto un’istanza inammissibile o manifestamente infondata, con la precisazione – prima assente – che la pena pecuniaria andrà versata a favore della cassa delle ammende.

Si prevede, poi, al secondo comma dell’art. 283 cpc, che l’istanza di inibitoria possa essere proposta o riproposta nel corso del giudizio d’appello se si verificano mutamenti nelle circostanze, mutamenti che devono essere, a pena d’inammissibilità, specificatamente indicati nel ricorso. Poiché la norma discorre di «proporre o riproporre», parrebbe possibile chiedere l’inibitoria per la prima volta anche in un momento successivo rispetto alla proposizione del gravame. Prudenza, tuttavia, vuole che l’inibitoria sia chiesta fin dall’inizio, ove ne sussistano i presupposti. La richiesta di inibitoria potrà essere proposta per la prima volta in un momento successivo solo quando i mutamenti nelle circostanze abbiano determinato l’insorgenza dei presupposti per la sua concessione nel corso del giudizio d’appello. La riproposizione, parimenti, potrà aver luogo solo ove nuove circostanze di fatto, non sussistenti al momento dell’atto introduttivo e quindi non allegate (né allegabili) nella prima istanza, né, quindi, a fortiori esaminate, facciano sorgere i presupposti per la concessione dell’inibitoria. La riproposizione in un momento successivo è riservata alla sola parte ricorrente e non alla parte resistente, che non può ottenere, in caso di mutamento delle circostanze, una revoca dell’inibitoria eventualmente concessa[15].

Sull’istanza, il giudice provvede con ordinanza non impugnabile nella prima udienza ma, quando il processo pende davanti alla corte d’appello, i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria sono adottati con ordinanza collegiale. In corte d’appello può accadere che l’udienza si svolga davanti al presidente o davanti all’istruttore, i quali in ogni caso riferiscono al collegio, che darà poi con ordinanza i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria. Quando, invece, sia stato nominato il relatore, l’udienza si terrà direttamente davanti al collegio.

In questa sede, come si vedrà meglio oltre[16], è possibile che, ove la causa sia matura per la decisione, la stessa sia decisa ai sensi dell’art. 281-sexies cpc e quando il procedimento pende davanti alla corte d’appello, se l’udienza è stata tenuta dall’istruttore, il collegio, con l’ordinanza con cui adotta i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, può fissare davanti a sé un’udienza per la precisazione delle conclusioni e per la discussione orale, assegnando alle parti un termine per le note conclusionali.

Resta sempre la possibilità che, ove ricorrano giusti motivi di urgenza, il presidente del collegio o il tribunale dispongano provvisoriamente, con decreto, l’immediata sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza, fissando con il medesimo provvedimento l’udienza per la comparizione delle parti in camera di consiglio, ove si adotterà un’ordinanza di conferma, modifica o revoca del decreto.

 

5.2. L’atto introduttivo

L’atto introduttivo dell’appello conserva la forma della citazione a udienza fissa, e il nuovo art. 342, comma 1, cpc – rimasto invariato nel primo periodo – continua a prevedere che la citazione debba contenere le indicazioni prescritte dall’art. 163 cpc[17]. Il nuovo comma 3 dello stesso art. 342 cpc prevede, poi, che tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione debbano intercorrere termini liberi non minori di 90 o 150 giorni (se la notifica è da farsi all’estero). L’art. 343, comma 1, cpc prevede, inoltre, che l’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta depositata almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione. Con il che appare evidente che la fase introduttiva del processo d’appello debba restare modellata su quella del vecchio rito. Una disciplina perspicua sul punto sarebbe stata certamente opportuna e se ne deve caldeggiare l’introduzione in sede, se del caso, correttiva.

Scompare, nel secondo periodo del comma 1 dell’art. 342 cpc, il riferimento alla «motivazione» dell’appello, maldestramente introdotto dalla riforma del 2012, restando la prescrizione secondo cui l’appello dev’essere motivato e la precisazione che per ciascuno dei motivi è necessario indicare, a pena d’inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico:

1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato;

2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado;

3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Il tenore del nuovo art. 342 cpc, oltre a prevedere un’insidiosa prescrizione, a pena d’inammissibilità, di un’esposizione chiara, sintetica e specifica dei motivi d’appello[18], risulta più analitico rispetto alla formulazione originaria. In particolare, la norma nuova, anziché discorrere di «parti» del provvedimento, si esprime in termini di «capo della decisione». Si tratta di due parole che, in sostanza e a questi fini, potranno ritenersi equivalenti, sicché per «capo» dovrà intendersi tanto la parte di decisione che decide sulla domanda, quanto quella che decide su una questione di rito o di merito[19], con ciò dovendosi ritenere incluso nel capo anche quel che in dottrina è stato definito il micro-capo[20]. Nel dubbio, nella redazione dell’atto introduttivo parrebbe preferibile un approccio maggiormente analitico, senza che questo necessariamente si traduca in una copiatura all’interno dell’atto d’appello di brani della sentenza gravata, come pure era stato in un primo momento ipotizzato, a seguito della riforma del 2012. Individuati i capi della sentenza impugnati, la parte appellante dovrà poi analiticamente specificare le censure in fatto e in diritto alla sentenza di prime cure.

Identiche considerazioni valgono per l’atto introduttivo dell’appello nel rito del lavoro – che nel complesso conserva la sua fisionomia[21] – a seguito di analoga modifica apportata all’art. 434 cpc, che nel nuovo testo prevede:

«Il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall’art. 414. L’appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico:

1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato;

2) le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado;

3) le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Il ricorso dev’essere depositato nella cancelleria della Corte d’appello entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, oppure entro quaranta giorni nel caso in cui la notificazione abbia dovuto effettuarsi all’estero».

 

5.3. Costituzione dell’appellato e appello incidentale

Il rito in appello, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 347, comma 1, cpc, dovrebbe prevedere la costituzione delle parti secondo le forme e i termini che disciplinano il procedimento davanti al tribunale. Senonché, a seguito della riforma, il rito di primo grado, mentre continua a prevedere all’art. 165, comma 1, cpc che la costituzione dell’attore debba avvenire entro 10 giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, per quest’ultimo il termine di costituzione – in conseguenza della radicale ristrutturazione del rito, con deposito anticipato delle memorie rispetto alla prima udienza[22] – è di almeno 70 giorni da computarsi a ritroso dalla data di quest’ultima.

La ricostruzione del rito in appello, con riferimento allo snodo della costituzione delle parti, richiede allora un’opera esegetica che, per un verso, salvi il richiamo mobile alle norme sul rito di primo grado che regolano la costituzione di parte attrice e, per altro verso, limiti il rimando generale contenuto nell’art. 347, comma 1, cpc alla sola costituzione dell’appellante, lasciando che la costituzione di parte appellata avvenga secondo forme e termini ricavati in via d’interpretazione sistematica. A tal proposito, soccorre il novellato 343 cpc, in forza del quale l’appello incidentale va proposto con comparsa di costituzione e risposta da depositarsi almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione o dell’udienza eventualmente differita dal presidente della corte o dal consigliere istruttore ai sensi dell’art. 349-bis cpc, secondo comma. Ebbene, va da sé che, se al fine di proporre appello incidentale è sufficiente depositare la comparsa di costituzione e risposta nel termine di almeno 20 giorni prima dell’udienza, la costituzione dell’appellato dovrà aver luogo sostanzialmente secondo le norme davanti al tribunale del “vecchio” rito. In tal senso depone anche il novellato ultimo comma dell’art. 342 cpc, il quale dispone che tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di 90 giorni o 150, ove il luogo della notificazione si trovi all’estero. Pare, quindi, inevitabile ritenere che la parte appellata possa sempre costituirsi fino all’udienza[23], salvo che non intenda proporre impugnazione incidentale, nel qual caso dovrà costituirsi nel termine previsto dal novellato art. 343 cpc.

 

5.4. Improcedibilità dell’appello

La riforma non ha inciso sui presupposti per la declaratoria d’inammissibilità dell’appello, che pertanto restano quelli “classici”, ossia, essenzialmente, la mancata costituzione dell’appellante nelle forme e nei termini di cui all’art. 347 cpc e la mancata comparizione alla prima udienza dell’appellante costituito (art. 348, comma 1, cpc), seguita dalla reiterata mancata comparizione alla nuova udienza fissata dal collegio con ordinanza non impugnabile (art. 348, comma 2, cpc)[24]. Essa, tuttavia, modifica la forma della pronuncia dell’improcedibilità, prevedendo al nuovo terzo comma che quest’ultima continui a essere dichiarata con sentenza, salvo che nei giudizi avanti la corte d’appello, quando sia stato nominato il giudice istruttore. In tal caso l’istruttore dichiarerà l’improcedibilità con ordinanza reclamabile al collegio ai sensi dei commi 3, 4 e 5 dell’art. 178 cpc. L’art. 178 cpc non ha subìto modifiche dalla riforma, sicché il reclamo dovrà essere proposto, nel termine perentorio di 10 giorni dalla pronuncia dell’ordinanza, se avvenuta in udienza, o dalla sua comunicazione negli altri casi. Il reclamo andrà proposto con dichiarazione resa a verbale in udienza (circostanza evidentemente di difficile verificazione) o con un ricorso al giudice istruttore. In tale ultimo caso, il ricorso è comunicato alle altre parti a cura della cancelleria, unitamente al decreto con il quale il giudice istruttore avrà assegnato un termine per la comunicazione dell’eventuale memoria. Scaduti i termini, il collegio provvederà nei 15 giorni successivi, adottando, ai sensi dell’art. 308, secondo comma, cpc: 

1) ordinanza non impugnabile se accoglie il reclamo 

2) sentenza se respinge il reclamo.

A tal proposito, è opportuno rammentare che, mentre contro l’ordinanza con la quale in camera di consiglio il collegio accoglie il reclamo non è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Costituzione, restando detto provvedimento sindacabile soltanto in sede di ricorso ordinario per cassazione contro la sentenza di merito, viceversa la sentenza con la quale il collegio respinge il reclamo è all’evidenza immediatamente ricorribile per cassazione.

 

5.5. Soppressione del filtro in appello e decisione semplificata

La l. n. 206/2021, lasciato libero il legislatore delegato di decidere con quale forma debbano essere pronunciati i provvedimenti di cui all’art. 348 cpc[25], prevedeva che si dovessero modificare gli artt. 348-bis e 348-ter cpc nel senso che l’impugnazione, priva di una ragionevole probabilità di essere accolta, debba essere dichiarata manifestamente infondata a seguito di trattazione orale, con sentenza succintamente motivata anche mediante rinvio a precedenti conformi[26]

Per dar corso alla delega, il d.lgs n. 149/2022 ha anzitutto soppresso il cd. “filtro” in appello. Si tratta di un istituto che non ha mai riscosso i favori della prassi, restando certamente sottoutilizzato rispetto alle aspettative e per questo ritenuto meritevole di soppressione[27]. Al suo posto è stato introdotto un modello decisorio semplificato che porta, anziché a una declaratoria d’inammissibilità con ordinanza, a una decisione semplificata di merito, da pronunciarsi con sentenza. Scompare così la cd. “inammissibilità di merito”, autentico ossimoro foriero di non pochi dubbi e danni, aggravati dai contorti e incerti meccanismi impugnatori a suo tempo tracciati dagli artt. 348-bis e 348-ter cpc.

 

5.6. Nomina del consigliere istruttore e trattazione “monocratica”

Premesso che il nuovo art. 350 cpc conferma la regola generale dell’appello monocratico in tribunale, un’importante novità del “nuovo” appello in corte è rappresentata dalla figura del consigliere istruttore, introdotta dall’art. 349-bis cpc. In realtà si tratta di un ripristino, posto che il consigliere istruttore era a suo tempo previsto dall’art. 349 cpc, poi abrogato dall’art. 55 l. 26 novembre 1990, n. 353[28]. Il consigliere istruttore finisce però, per la verità, per avere importanti poteri: in attuazione della legge delega, il legislatore delegato, all’art. 350, comma 2, cpc, ha previsto che la trattazione in corte d’appello si svolga dinanzi a quest’ultimo, al quale vengono conferiti sia il potere di dichiarare la contumacia dell’appellato, di procedere alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza, nonché al tentativo di conciliazione, sia il potere di ammettere i mezzi di prova, di procedere all’assunzione degli stessi e di fissare udienza di discussione della causa davanti al collegio, anche ai sensi dell’art. 281-sexies cpc. Per quanto resti fermo il potere del collegio di impartire provvedimenti per l’ulteriore istruzione e di disporre, anche d’ufficio, la riassunzione davanti a sé di uno o più mezzi di prova, va detto che, almeno sulla carta, la riforma va nella direzione di una monocratizzazione de facto del giudizio d’appello.

 

5.7. Appello “multi-track

Il legislatore delegato ha ritenuto di differenziare, formalmente sotto un unico rito, una pluralità di modelli di trattazione e decisione della causa in appello. Si tratta di una disciplina già in parte sperimentata con la riforma del 2012, oggi ulteriormente portata a compimento con l’ultima novella. Il governo del rito spetta al giudice e tendenzialmente sfugge al dominio delle parti, le quali tuttavia, quantomeno per il caso previsto dall’art. 350-bis (decisione a seguito di discussione orale: vds. infra), dovranno essere sentite. La decisione verso quale “track” dirottare il rito in sede di gravame, infatti, è rimessa al presidente o al consigliere istruttore. Eppure, proprio l’art. 350-bis cpc è singolarmente richiamato dall’art. 1-ter, comma 1, l. 24 marzo 2001, n. 89, modificato dall’art. 15, comma 1, d.lgs n. 10 ottobre 2022, n. 149, quale rimedio preventivo volto a impedire la violazione del termine di ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 6 della Cedu[29]

I modelli decisori sono tre: un primo, che potremmo chiamare “presidenziale”, che prevede la discussione diretta davanti al collegio senza nomina del consigliere istruttore; un secondo, al quale si può ricorrere in una pluralità di casi, che prevede la decisione semplificata a seguito di discussione orale; un terzo, che potremmo denominare “ordinario”, molto simile al modello previsto dalla disciplina attuale.

 

5.7.1. “Rito presidenziale”

La disciplina del primo modello procedimentale si ricava dalla lettura a contrario dell’art. 349-bis cpc, primo comma, in forza del quale il presidente, anziché procedere alla designazione del consigliere istruttore per la trattazione e l’istruzione della causa (ipotesi che, a seguito della riforma, dovrebbe rappresentare la normalità e non già l’eccezione), nomina direttamente il relatore e dispone che le parti compaiano dinnanzi al collegio per la discussione orale. Si tratta di una deviazione rispetto alla nomina dell’istruttore, che apre la via a un rito rapidissimo, di cui astrattamente qualche presidente zelante potrebbe far uso anche frequente in tutti i casi in cui l’appello possa essere deciso immediatamente. Non pare, tuttavia, verosimile che una tale “scorciatoia” possa essere di frequente utilizzo, posto che determinerebbe una tale compressione dei tempi di decisione del gravame da compromettere – se utilizzata massicciamente – il regolare funzionamento della corte[30].

 

5.7.2. Decisione semplificata per inammissibilità o manifesta infondatezza

Un secondo modello è quello che, in sostanza, ha sostituito il cd. “filtro” in appello. 

Il comma 8, lett. e della legge delega prevedeva, infatti, l’eliminazione del filtro in appello così come introdotto dalla novella del 2012, con contestuale introduzione di un modello decisorio semplificato per i casi in cui l’appello si riveli manifestamente infondato. La modifica – chiarisce ora la Relazione illustrativa ai decreti delegati – discende da istanze di efficienza, posto che, a parità di tempo necessario per l’esame del fascicolo e per la stesura del provvedimento da parte del giudice, è preferibile che l’appello, anziché terminare con una declaratoria di mera inammissibilità, venga deciso nel merito con le forme semplificate di cui all’art. 281-sexies cpc.

Il legislatore delegato ha, quindi, riscritto, in attuazione del principio di cui alla legge delega, l’art. 348-bis cpc, introducendo una decisione semplificata tanto per gli appelli manifestamente infondati, quanto per quelli inammissibili: quando, infatti, il giudice ravvisi l’inammissibilità o la manifesta infondatezza dell’impugnazione principale, nonché dell’impugnazione incidentale, ove proposta, dispone che la causa venga discussa oralmente ai sensi del nuovo art. 350-bis cpc, il quale prevede che l’udienza di discussione orale si svolga nelle forme di cui all’art. 281-sexies cpc[31].

In tal caso, ove il giudizio si svolga avanti la corte d’appello, il giudice istruttore fa precisare le conclusioni e fissa udienza dinnanzi al collegio, assegnando alle parti un termine (di cui la legge non indica l’entità né la natura) anteriore alla data dell’udienza per il deposito di note conclusionali. L’udienza si svolgerà oralmente, previa relazione, sempre in forma orale, del giudice istruttore. La sentenza, che, ai sensi del novellato art. 281-sexies cpc, potrà essere resa direttamente in udienza con lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione oppure depositata nei successivi 30 giorni, è motivata in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi. Ciò comporta un’accentuazione del cd. “principio della ragione più liquida”[32], in applicazione del quale il giudice d’appello potrà motivare anche facendo menzione esclusiva della questione di fatto o di diritto che risulti assorbente rispetto a tutti i motivi di appello.

 

5.7.3. Decisione semplificata per manifesta fondatezza, ridotta complessità della causa o per ragioni di urgenza

Al medesimo modello di decisione semplificata, regolato dal combinato disposto degli artt. 350-bis e 281-sexies cpc, il consigliere istruttore, ai sensi dell’art. 350, comma 2, cpc può accedere in ogni altro caso in cui l’appello risulti manifestamente fondato, quando si presti ad essere deciso nelle forme semplificate per la sua ridotta complessità, oppure quando il ricorso a tale modello di decisione, evidentemente più rapido, sia imposto da (per la verità, non meglio precisate) ragioni di urgenza. Queste ultime potrebbero, ad esempio, verosimilmente essere connesse all’inibitoria (vds. par. che segue).

 

5.7.4. Decisione semplificata su istanza inibitoria

Un terzo modello possibile è quello del transito diretto del procedimento dall’udienza di discussione sull’inibitoria al modello di decisione semplificato, di cui all’art. 281-sexies cpc, già previsto dall’art. 351, comma 4, cpc, che a seguito della riforma si arricchisce della precisazione che, quando il procedimento pende avanti la corte d’appello, qualora l’udienza sull’inibitoria si sia tenuta davanti al consigliere istruttore, questi, con l’ordinanza con cui adotta i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, fissa udienza davanti a sé per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale, assegnando alle parti un termine per le note conclusionali. Il nuovo ultimo comma dell’art. 351 cpc, peraltro, parrebbe dar luogo alla paradossale situazione per cui in corte d’appello le udienze sarebbero comunque due: una per la decisione sull’inibitoria e una per la decisione nel merito, con buona pace degli intenti semplificatori e acceleratori[33].

 

5.7.5. “Rito ordinario”

Resta, infine, il modello di rito che potremmo chiamare “ordinario”, in contrapposizione agli altri già sopra esaminati. In tal caso, il presidente della corte designa un componente del collegio quale consigliere istruttore. Come già anticipato, infatti, mentre la decisione in appello resta collegiale, la trattazione torna ad essere monocratica, affidata al consigliere istruttore[34]. L’istruttore, in prima udienza, effettua le verifiche formali e dà i provvedimenti necessari, già previsti dall’art. 350, comma 2, cpc, al quale si aggiunge la previsione espressa relativa alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza.

A questo punto, nella prima udienza di trattazione, il consigliere istruttore (o il giudice) può decidere di disporre la discussione orale della causa ai sensi dell’art. 350-bis cpc, e quindi dirottare il procedimento nelle forme del rito più rapido nelle ipotesi che abbiamo visto sopra, oppure restare nell’ambito di quello che abbiamo chiamato “rito ordinario”, nel qual caso la legge prevede (art. 350, ult. comma, cpc) che il giudice proceda ad esperire il tentativo di conciliazione disponendo, quando occorre, la comparizione personale delle parti. Qualora le parti abbiano formulato richieste istruttorie, il giudice dovrà provvedere sulle stesse, dando le disposizioni per l’assunzione davanti a sé delle prove eventualmente ammesse.

Una volta esaurita l’eventuale attività istruttoria, l’istruttore, sempre che non ritenga di procedere nelle forme semplificate/accelerate di cui all’art. 350-bis cpc, prosegue nelle forme ordinarie. Queste ultime, rispetto alla disciplina previgente, vedono la scomparsa dell’udienza di precisazione delle conclusioni, sostituita da un’udienza di rimessione della causa in decisione che l’istruttore fissa davanti a sé. Si tratta evidentemente di un’udienza vuota, che ricorda la cd. “udienza di spedizione” disciplinata dall’art. 275 cpc del vecchio rito civile nella versione anteriore alla riforma del 1990. L’unica funzione dell’udienza di rimessione della causa in decisione pare essere quella di far decorrere il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza (art. 352, ult. comma, cpc).

L’udienza, al termine della quale la causa è trattenuta in decisione o, quando il procedimento pende davanti la corte d’appello, è riservata alla decisione al collegio, è preceduta da tre termini perentori per il deposito di scritti difensivi: 

1) un termine non superiore a 60 giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni;

2) un termine non superiore a 30 giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali;

3) un termine non superiore a 15 giorni prima dell’udienza per il deposito delle note di replica.

Si osservi che i termini sono acceleratori e fissati dal codice nel loro massimo, il che implica che possano anche essere significativamente ridotti, un’evenienza che non è lecito attendersi finché i carichi di lavoro resteranno invariati. Si noti, altresì, l’anomalia per cui le parti conosceranno la composizione del collegio solo con la pubblicazione della sentenza[35].

 

5.8. Appello nel rito del lavoro

Quanto alla nuova disciplina dell’appello nel rito del lavoro, già si è detto supra con riferimento alle novità dell’atto introduttivo. Nel tessuto del codice di rito è, poi, stato introdotto un nuovo art. 436-bis cpc, il quale prevede che, nei casi in cui l’appello sia inammissibile, improcedibile, manifestamente fondato o manifestamente infondato, all’udienza di discussione il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi. Vi è, quindi, anche nell’appello del processo del lavoro la previsione di un rito (astrattamente) più rapido che si conclude con la pronuncia della decisione in udienza. In tutti gli altri casi, la sentenza dev’essere depositata entro 60 giorni dalla pronuncia, di cui il cancelliere dà immediata comunicazione alle parti (art. 438 cpc).

 

5.9. La rimessione della causa al primo giudice

In attuazione dell’art. 1, comma 8, lett. o della legge delega, che prevede la riduzione delle fattispecie di rimessione della causa al primo giudice alle sole ipotesi di violazione del contraddittorio, il legislatore delegato ha provveduto a sopprimere due dei casi, da sempre tassativi, di rimessione della causa al primo giudice. Il primo caso soppresso è quello che era disciplinato dall’abrogato art. 353 cpc, il quale prevedeva che, quando il giudice d’appello avesse ritenuto sussistere la giurisdizione negata, invece, dal giudice di prime cure, avrebbe dovuto rimettere la causa a quest’ultimo. L’abrogazione dell’art. 353 cpc determina l’irrilevanza del protratto contrasto giurisprudenziale circa la natura definitiva[36] o non definitiva[37] della sentenza di appello che riconosca la giurisdizione negata dal giudice di prime cure. Il secondo caso soppresso è quello della rimessione al primo giudice in caso di riforma della sentenza di primo grado che avesse (erroneamente) dichiarato l’estinzione del processo, prima disciplinata dall’art. 354 cpc, ora modificato. In entrambi questi casi, ora il giudice d’appello deciderà la causa nel merito, consentendo alle parti lo svolgimento delle attività difensive – incluse quelle istruttorie – non espletate nel giudizio di prime cure. 

Resta la regola della rimessione al primo giudice:

a) quando è dichiarata la nullità della notificazione dell’atto introduttivo;

b) quando nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte;

c) quando è dichiara la nullità della sentenza di primo grado a norma dell’art. 161, secondo comma.

Il nuovo art. 354, comma 2, cpc prevede che, nei casi di rimessione al primo giudice, il processo debba essere riassunto nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza. Qualora contro la sentenza sia proposto ricorso per cassazione, però, detto termine è interrotto.

 

6. Il giudizio di cassazione

Per quanto attiene al giudizio davanti la Corte di cassazione, la legge delega, anzitutto, in consonanza con il progetto di riforma “Luiso”, ha disposto che il legislatore delegato introducesse una norma in forza della quale il ricorso debba contenere la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa e la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione[38]. Si tratta, anche in questo caso, del recepimento di quell’orientamento giurisprudenziale che ha introdotto, inventandolo, il principio di chiarezza e sinteticità del ricorso per cassazione[39]. La delega si è tradotta nella riforma dell’art. 366 cpc, in cui chiarezza dell’esposizione dei fatti di causa essenziali all’illustrazione dei motivi e chiarezza e sinteticità dell’esposizione dei motivi divengono prescrizioni di diritto positivo[40]. Qui appare, infatti, anche più stretta che in appello la relazione tra rispetto del canone di chiarezza e sinteticità e diligente articolazione dei motivi di ricorso. Potrebbe, così, risultare in qualche modo avallata dal codice l’attribuzione alla Corte di un rilevante potere discrezionale nella valutazione dei presupposti per la declaratoria di inammissibilità[41].

Non risultano recepite le specifiche indicazioni della Commissione Luiso sulla determinazione analitica degli elementi che consentirebbero di verificare il rispetto o meno del principio (anch’esso di creazione puramente pretoria) di autosufficienza[42].

Si prevede l’unificazione del procedimento camerale (poi, però, nuovamente sdoppiato - vds. infra - nella fase decisoria), con soppressione della distinzione tra quello disciplinato dall’art. 380-bis e quello disciplinato dall’art. 380-bis.1 cpc, e l’estensione del rito a tutti i casi in cui la Corte debba dichiarare l’improcedibilità del ricorso[43]. Il legislatore delegato ha inoltre provveduto alla soppressione della cd. sezione filtro, con attribuzione delle competenze alle sezioni semplici[44].

La ristrutturazione del rito camerale è completata: 

1) dall’introduzione di una fase decisoria camerale semplificata, in forza della quale al termine della camera di consiglio, l’ordinanza, succintamente motivata, può essere immediatamente depositata in cancelleria, ferma la possibilità per il collegio di riservare la redazione e la pubblicazione della stessa entro 60 giorni dalla deliberazione (così il novellato comma 2 dell’art. 380-bis.1, che ora regola il procedimento in camera di consiglio sia davanti alle sezioni unite che davanti alle sezioni semplici)[45];

2) dall’introduzione di un procedimento accelerato, sostanzialmente monocratico, rispetto all’ordinaria sede camerale, per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati (art. 380-bis cpc). In tali casi, il presidente di sezione o un consigliere da questi delegato formula una proposta di definizione del ricorso, da comunicarsi agli avvocati delle parti, con la sintetica indicazione delle ragioni dell’inammissibilità, dell’improcedibilità o della manifesta infondatezza ravvisata con riferimento al ricorso principale e incidentale eventualmente proposto. Qualora il ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di nuova procura speciale, non chieda entro 40 giorni dalla comunicazione che sia pronunciata la decisione, il ricorso s’intenderà rinunciato e il giudice pronuncerà un decreto di estinzione, liquidando le spese, con esonero della parte soccombente che non presenti la richiesta di fissazione dell’udienza del pagamento del doppio del contributo unificato[46]. Nel caso in cui il difensore del ricorrente chieda la decisione, la Corte procede nelle forme camerali di cui all’art. 380-bis.1 cpc e, qualora definisca il giudizio in conformità alla proposta del presidente o del consigliere delegato, in sede di condanna alle spese farà applicazione dell’art. 96, commi 3 e 4, cpc, condannando quindi la parte soccombente (parrebbe, stante la congiunzione «e») sia al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (comma 3) sia in favore della cassa delle ammende di una somma di denaro non inferiore a 500 e non superiore a 5.000 euro (nuovo comma 4).

Quanto al procedimento per pubblica udienza, da celebrarsi quando la questione di diritto sia di «particolare rilevanza», viene elevato a 60 giorni prima dell’udienza il termine per la comunicazione della data della stessa al pubblico ministero e agli avvocati (art. 377, comma 2, cpc), introducendosi la facoltà per il procuratore generale di depositare una memoria non oltre 20 giorni prima dell’udienza (art. 378, comma 1, cpc) e per le parti di depositare sintetiche memorie illustrative non oltre 10 giorni prima dell’udienza (art. 378, comma 2, cpc).

Si deve, quindi, rilevare che, a dispetto dell’ordine espositivo del novellato art. 375 cpc, ora rubricato «Pronuncia in udienza pubblica o in camera di consiglio», l’udienza pubblica resta evidentemente un modello residuale, da utilizzarsi solo nei casi che meritano attenzione in prospettiva nomofilattica, nonché nei casi di cui all’art. 391-quater cpc di nuovo conio, ossia in caso di revocazione della sentenza per contrarierà alla Cedu[47].

A seguito della riforma, si prevede che la discussione in pubblica udienza si svolga sempre in presenza (art. 379, comma 1, cpc)[48]. All’udienza, il relatore espone in sintesi le questioni della causa (art. 379, comma 2, cpc). Dopo la relazione, il presidente invita il pg a esporre oralmente le sue conclusioni motivate e, quindi, i difensori delle parti a svolgere le loro difese. Il presidente dirige la discussione, indicandone ove necessario i punti e i tempi (art. 379, comma 3, cpc). Continuano a non essere ammesse repliche. 

Anche l’adunanza in camera di consiglio si svolge in presenza. Tuttavia, dispone il nuovo art. 140-bis disp. att. cpc, il presidente del collegio, con proprio decreto, può disporre lo svolgimento della camera di consiglio mediante collegamento audiovisivo a distanza, per – non meglio precisate – esigenze di tipo organizzativo[49]

Si deve, infine, segnalare che sono soppresse tutte le disposizioni che prevedono i depositi presso la cancelleria della Corte, trattandosi di adempimenti non più necessari, stante l’introduzione del PCT anche in Cassazione e, per la medesima ragione, sono state anche soppresse le disposizioni che prevedevano la notifica del controricorso e del ricorso incidentale. Resta, così, irrisolto il problema dell’eventuale ricorso incidentale proposto contro parte diversa dal ricorrente in ipotesi di litisconsorzio facoltativo.

 

7. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione

Una menzione a parte merita l’introduzione dell’istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, previsto dall’art. 7, lett. g, legge delega e dall’art. 363-bis cpc. Si tratta di un istituto ispirato alla legislazione comunitaria e francese, che prevede la possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione, di sottoporne direttamente la decisione alla Corte suprema di cassazione[50]. Il funzionamento dell’istituto contempla l’esercizio, da parte del giudice di merito, del potere di rinvio pregiudiziale per la decisione di una questione esclusivamente di diritto sia subordinato alla sussistenza dei seguenti presupposti: 1) che la questione, necessaria alla definizione anche parziale del giudizio, non sia ancora stata risolta dalla Corte di cassazione; 2) che la questione presenti gravi difficoltà interpretative relative a una disposizione da applicare; 3) che la questione sia suscettibile di porsi in numerose controversie (carattere potenzialmente cd. seriale della questione). 

La decisione di dar corso al rinvio pregiudiziale dev’essere assunta dal giudice, sentite le parti costituite. L’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale è motivata, e con riferimento alle gravi difficoltà interpretative reca specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili. Essa è immediatamente trasmessa alla Corte di cassazione ed è comunicata alle parti. Il procedimento di merito è sospeso dal giorno in cui è depositata l’ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale (art. 363-bis, comma 2). Si prevede che, una volta ricevuta l’ordinanza di rimessione, il primo presidente della Cassazione, entro 90 giorni, la dichiari inammissibile qualora risultino insussistenti i presupposti per il rinvio pregiudiziale. Qualora, invece, non pronunci l’inammissibilità del rinvio, il primo presidente assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice tabellarmente “competente” (art. 363-bis, comma 3, cpc). La decisione della Corte, sia a sezioni unite, sia a sezione semplice, è sempre resa con procedimento in pubblica udienza, con requisitoria scritta del pg e facoltà per le parti costituite di depositare brevi memorie almeno 10 giorni prima dell’udienza (art. 363-bis, comma 4, cpc). La decisione della questione si risolve sempre nell’enunciazione del principio di diritto in esito[51]. Si prevede che il provvedimento con il quale la Corte di cassazione decide sulla questione sia vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione – con un meccanismo potenzialmente distorsivo del principio di cui all’art. 101 Cost. – e conserva tale effetto, ove il processo si estingua, anche nel nuovo processo che è instaurato con la riproposizione della medesima domanda nei confronti delle medesime parti (art. 363-bis, comma 6, cpc). In tale ultimo caso, però, ove il rinvio pregiudiziale sia disposto in appello, sarà ben difficile che trovi qualche spazio significativo la vincolatività del principio fissato dalla Cassazione in sede di rinvio pregiudiziale. L’estinzione del giudizio d’appello, infatti, determinerà di regola il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, con conseguente soppressione di qualsiasi spazio utile per l’applicazione del principio stabilito dalla Corte suprema. 

Si tratta di un istituto volto a impedire che disposizioni di nuovo conio – siano esse sostanziali o processuali – possano generare una varietà di orientamenti di merito, determinando nocive incertezze, specie quando queste attengono alle regole del processo.

Ancora, ci si può legittimamente chiedere se le commissioni tributarie possano essere considerate «giudici di merito» ai sensi dell’art. 363-bis cpc e mi pare che, a questa domanda, la risposta, per ragioni di forma non meno che per ragioni di opportunità, debba essere di segno affermativo.

La novità può essere ragionevolmente salutata con favore, ma l’esperienza dell’accertamento pregiudiziale ex art. 420-bis cpc nel diritto interno, e gli esiti dell’analogo istituto introdotto nella legislazione francese fin dal 1991, ne evidenziano rilevanti limiti, che, piuttosto che sfociare in un’improbabile miriade di ricorsi, potrebbero impedire al promettente meccanismo di decollare sul serio[52]. Si tratta, in ogni caso, di un istituto da utilizzare con parsimonia, solo in casi scelti con cura e di sicura importanza[53].

 

8. La revocazione della sentenza per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo

La riforma, infine, prevede una nuova ipotesi di revocazione a seguito di sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo[54]. Nel tessuto del codice, in attuazione dei principi della legge delega, è stato inserito il nuovo art. 391-quater cpc, in forza del quale, contro le sentenze passate giudicato il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte Edu contrario alla Cedu ovvero a uno dei suoi Protocolli, è proponibile la revocazione, se non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente. La legittimazione attiva spetta, sorprendentemente, solo alle parti del processo svoltosi innanzi la Corte europea dei diritti dell’uomo, ai loro eredi o aventi causa e al pubblico ministero, novero, pertanto, da cui restano (irragionevolmente) escluse le parti che, pur versando in situazione analoga a quella di chi è stato parte nel giudizio dinnanzi alla Corte di Strasburgo, a quel giudizio non abbia partecipato[55]. Nello specifico, si prevede che la revocazione sia proponibile se ricorrono le seguenti condizioni, che devono ritenersi cumulative e non alternative: 1) se la violazione accertata dalla Corte europea ha pregiudicato un diritto di stato della persona; 2) se l’equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell’art. 41 della Convenzione non è idonea a compensare le conseguenze della violazione. 

L’intento è quello di tenere stretti i margini di applicazione dell’istituto, ma esso risulta solo parzialmente riuscito, da un lato, non essendo del tutto chiaro che cosa si intenda per “diritto di stato”, e, dall’altro lato, in quanto l’art. 391-quater cpc non richiede, ai fini della revocazione, la violazione di norme poste a tutela di diritti di stato della persona, ma solo che la violazione di (evidentemente qualunque) norma della Cedu, accertata dalla Corte europea, abbia determinato un pregiudizio su diritti di stato della persona. Con la conseguenza che anche una violazione, ad esempio, dell’articolo 6 della Cedu, che abbia determinato un pregiudizio su un diritto di stato, consentirà alla parte pregiudicata accesso alla revocazione[56].

Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede che non hanno partecipato al processo svoltosi innanzi alla Corte Edu[57]. Il termine per proporre la revocazione è di 60 giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte Edu ai sensi del regolamento della Corte stessa (art. 391-quater, comma 1, cpc). Quando pronuncia la revocazione, la Corte di cassazione decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto; altrimenti, pronunciata la revocazione, rinvia la causa al giudice che ha pronunciato la sentenza revocata.

La revocazione, ai sensi dell’art. 397, ult. comma, cpc, può essere promossa anche dal procuratore generale presso la Corte di cassazione.

La legge delega non precisava – né precisa il d.lgs n. 149/2022 – le sentenze di quali giudici siano soggette a questa speciale ipotesi di revocazione. Stante l’ampiezza della delega, appare ragionevole ritenere il rimedio esperibile contro le decisioni passate in giudicato pronunciate da qualsiasi giudice.

 

9. Conclusioni

La riforma delle impugnazioni è animata – come gran parte del resto della riforma e fatta eccezione per quelle novità che attengono ai profili lato sensu ordinamentali e organizzativi, che prevedono finalmente anche l’immissione di risorse economiche nell’amministrazione della giustizia – dall’intento di ristrutturare l’esistente, senza ambire a interventi radicali e di sistema. Questo è, insieme alla clausola “a costo zero”, il limite più rilevante che ha segnato il flusso delle riforme – quasi sempre inutili, se non addirittura dannose, rispetto allo scopo dichiarato di accelerare i tempi della giustizia civile – degli ultimi vent’anni[58]. Pare difficile immaginare che le riforme del giudizio d’appello, per quanto apprezzabili, apportino benefici considerevoli nella direzione di una maggior efficienza del giudizio di gravame. Quanto al processo in Cassazione, anche in questo caso non sarebbe ragionevole attendersi miglioramenti significativi dall’ulteriore ristrutturazione dei riti, fatto salvo un massiccio ricorso al procedimento accelerato, che, tuttavia, non pare lecito augurarsi. La riforma della giustizia, anche quella delle impugnazioni, ad avviso di chi scrive, non può che muovere da una radicale revisione del giudizio di prime cure, a partire dall’istruzione probatoria – uno degli ambiti in cui la disciplina mostra i segni più evidenti del tempo – e dalla valorizzazione del processo come sede istituzionale di discussione e confronto tra le parti e il giudice, associata a un drastico ridimensionamento dell’importanza attribuita alla decisione della causa con sentenza. Quest’ultimo non è un risultato conseguibile solo attraverso l’introduzione di nuove regole del processo, anche se queste ultime possono avere un ruolo assai più cruciale di quanto si sia indotti a ritenere: è necessario soprattutto un mutamento culturale, che porti nella direzione di ravvisare nella pronuncia della sentenza un’extrema ratio. Ciò significa ripensare la giurisdizione, anche alla luce delle tante spinte verso un ruolo nevralgico – al quale, però, si crede sempre meno – delle alternative al processo, quale funzione non tanto avente come scopo ultimo la pronuncia di un provvedimento decisorio, quanto piuttosto quello di ridurre progressivamente nel corso del processo l’oggetto del contenzioso, fino a rendere superflua la pronuncia di una sentenza. Mi pare che in questa direzione potrebbe andare l’utilizzo delle risorse versate nella giustizia attraverso il personale addetto all’ufficio per il processo. Ma non basterebbe. Sarebbe con ogni probabilità necessaria una riscrittura del rito di prime cure con scelte più coraggiose, dirette a rendere più partecipato il processo nelle fasi iniziali e finalizzate a separare nettamente la fase della trattazione e dell’istruzione da quella decisoria, che potrebbe essere affidata a un giudice diverso da quello delle fasi precedenti – volendo, perfino al collegio – affinché il primo non soffra dei limiti derivanti dal divieto di anticipazione del giudizio. Ciò che si intende qui banalmente sostenere è che una maggior efficienza dei processi in appello e in Cassazione non potrà che derivare da una riduzione del numero dei gravami. Il che, a sua volta, in un sistema in cui vige il diritto all’appello e quello, costituzionalmente garantito, al ricorso per cassazione, non potrà che essere il frutto di una riduzione del numero di sentenze pronunciate in primo grado. Perché ciò si realizzi nel modo meno ingiusto possibile, è necessario che il processo – in modo solo apparentemente paradossale – diventi il miglior strumento per la risoluzione consensuale delle controversie[59]. Ma è anche indispensabile provvedere, non tanto con urgenza, quanto con serietà e coraggio, a una ristrutturazione complessiva dell’accesso alle professioni legali, con speciale attenzione all’avvocatura, pur senza trascurare l’importanza della formazione dei futuri (e degli attuali) magistrati. Diversamente, nessuna riforma potrà aspirare realisticamente a rendere l’amministrazione della giustizia più razionale e più giusta. Si tratta, evidentemente, di discorsi complessi, che non possono essere affidati a qualche riga di commento, e che richiedono una riflessione più profonda e un dibattito, anche culturale, di più ampio respiro. 

 

 

1. Cfr. art. 1, comma 18, l. 26 novembre 2021, n. 206. In argomento, vds. M Acierno e R. Sanlorenzo, La Cassazione tra realtà e desiderio. Riforma processuale e ufficio del processo: cambia il volto della Cassazione?, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, pp. 96-104 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/961/3-2021_qg_acierno-sanlorenzo.pdf).

2. Sul punto, tra i primi a sottolineare questo aspetto, P. Biavati, L’architettura della riforma del processo civile, BUP, Bologna, 2021, pp. 12 ss. Se si vuole, vds. anche L. Passanante, La riforma delle impugnazioni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., n. 4/2021, p. 993. Cfr. altresì A. Di Florio, L’ufficio per il processo, in G. Costantino (a cura di), La riforma della giustizia civile. Prospettive di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, Cacucci, Bari, 2022, pp. 121 ss., nonché S. Boccagna, Il nuovo ufficio del processo e l’efficienza della giustizia, tra buone intenzioni e nodi irrisolti, in Dir. proc. civ. it. e comp., n. 3/2021, pp. 261-264; F. De Santis di Nicola, Addetti al nuovo “ufficio del processo” (artt. 11 ss. D.L. n. 80 del 2021) vs. “assistant-lawyers” presso la Cancelleria della Corte europea dei diritti dell’uomo: due modelli a confronto, ivi, pp. 265-272; A. Salvati, Ufficio del processo anche per i giudici tributari?, in Riv. tel. dir. trib., 30 settembre 2021 (www.rivistadirittotributario.it/wp-content/uploads/2021/09/Salvati.pdf); E. Italia, Un giusto giudice per un giusto processo: giudici onorari tra collegio e ufficio del processo, in Minori giustizia, n. 3/2021, pp. 64-76.

3. Vds. ora, per un efficace e puntuale quadro di sintesi, la relazione del Massimario sulla disciplina transitoria (Roma, 8 febbraio 2023, www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rel_008_2023_NOV.__NORMATIVA_no-index.pdf).

4. La nota è reperibile in: www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/disciplina_udienze_pubbliche_settore_civile_2023-d.l_198_29.12.2022..pdf.

5. G. Fichera, Lo strano caso dell’udienza pubblica in Cassazione, in Judicium, 4 gennaio 2023, (www.judicium.it/lo-strano-caso-delludienza-pubblica-in-cassazione/).

6. Ibid.

7. In tal senso anche M. Farina, L’udienza pubblica in Cassazione: che succede fino al 30 giugno 2023?, in Judicium, 7 gennaio 2023 (www.judicium.it/ludienza-pubblica-in-cassazione-che-succede-fino-al-30-giugno-2023/), cui si rimanda anche per maggiori approfondimenti esegetici, alla luce della relazione governativa che accompagna il dl n. 198/2022. Per riflessioni sul punto, cfr. anche R. Frasca, Sulla proroga della cd. udienza pubblica civile in Cassazione, in Questione giustizia online, 30 dicembre 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/proroga-cassazione).

8. Cass., sez. unite, 4 marzo 2019, n. 6278, in Giusto proc. civ., n. 2/2019, pp. 489 e 494, con note – rispettivamente – di G. Monteleone e C. Mancuso.

9. Alla luce delle pronunce della Corte costituzionale che hanno sdoppiato gli effetti della notifica (Corte cost.: 26 novembre 2002, n. 477; 23 gennaio 2004, n. 28), infatti, una parte della giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto che il termine decorresse, per il notificante, dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e, solo per il notificato, dal momento della ricezione (19 gennaio 2004, n. 709; Cass., 16 gennaio 2006, n. 710; Cass. 6 febbraio 2007, n. 2565; Cass., 17 gennaio 2014, n. 883; Cass., 3 ottobre 2016, n. 19730; Cass., 6 marzo 2018, n. 5177), mentre altre pronunce avevano statuito o quantomeno lasciato intendere che i termini sfavorevoli al notificante avrebbero dovuto in generale decorrere solo dal perfezionamento del procedimento di notificazione (così già Cass., sez. unite, 13 gennaio 2005, n. 458, in Foro it., I, c. 699, con nota di R. Caponi, nonché Cass., 7 maggio 2015, n. 9258 e Cass., 29 gennaio 2016, n. 1662).

10. Cass., sez. unite, 14 aprile 2008, n. 9741, in Foro it., 2008, I, cc. 3633 ss., con nota di B. Gambineri; in Riv. dir. proc., con nota di E. Odorisio e in Giur. it, 2008, pp. 1082 ss., con nota di M. Dominici.

11. Tra i primi in tal senso, A. Proto Pisani, Note sparse vecchie e nuove sull’appello civile, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, pp. 83 ss. (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/959/3-2021_qg_protopisani.pdf).

12. Sul punto si vedano, con riferimento al testo della legge delega: G. Costantino, L’inibitoria: comma 8, lett. f), i) ed m), in Id. (a cura di), La riforma della giustizia civile, op. cit., pp. 234 ss.; P. Biavati, L’architettura della riforma, op. cit., p. 37; G. Tombolini, L’inibitoria processuale della sentenza di primo grado nella prospettiva di riforma, in R. Tiscini e F.P. Luiso (a cura di), Scritti in onore di Bruno Sassani, tomo 1, Pacini, Pisa, 2022, pp. 456 ss.

13. In argomento vds. ora F.P. Luiso, Il nuovo processo civile. Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Giuffrè, Milano, 2022, pp. 140-141; A. Carratta, Le riforme del processo civile. D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in attuazione della L. 26 novembre 2021, n. 206, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 92-94; V. Violante, L’appello. Provvedimenti sulla provvisoria esecuzione, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Pacini, Pisa, 2023, pp. 464 ss.; A. Pappalardo, L’appello, in C. Cecchella (a cura di), Il processo civile dopo la riforma. D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Zanichelli, Bologna, 2023, pp. 337 ss.

14. In tal senso, vds. part. G. Tombolini, L’inibitoria, op. cit., p. 456.

15. Così P. Biavati, L’architettura della riforma, op. cit., p. 38 e V. Violante, L’appello, op. cit., p. 467, ove si ipotizza l’incostituzionalità della disciplina per violazione dell’art. 3 Cost.

16. Vds. infra, par. 5.6.4.

17. Cfr., in argomento, F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, op. cit., p. 156; A. Carratta, Le riforme del processo civile, op. cit., p. 95; A. Aniello, Forma dell’appello e appello incidentale, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile, op. cit., pp. 471 ss.; A. Pappalardo, L’appello, in C. Cecchella (a cura di), Il processo civile dopo la riforma, op. cit., pp. 342 ss.

18. Si è già detto che il principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali dovrebbe avere un impatto minimo, dovendo coniugarsi con il principio del raggiungimento dello scopo e, quindi, non incidendo sulla validità degli atti, ma sul regime delle spese (in tal senso, vds., oltre alla relazione finale della Commissione Luiso, anche P. Serrao D’Aquino, Semplificazione ed efficienza del processo civile nella legge 203/2021: note critiche e prospettive, in Giustizia insieme, 18 luglio 2022 (www.giustiziainsieme.it/en/processo-civile/2389-semplificazione-ed-efficienza-del-processo-civile-nella-legge-203-2021-note-critiche-e-prospettive?hitcount=0), nonché L.R. Luongo, Il «principio» di sinteticità e chiarezza degli atti di parte e il diritto di accesso al giudice (anche alla luce dell’art. 1, co. 17 lett. d ed e, d.d.l. 1662), in Judicium, 9 ottobre 2021 (www.judicium.it/il-principio-di-sinteticita-e-chiarezza-degli-atti-di-parte-e-il-diritto-di-accesso-al-giudice-anche-alla-luce-dellart-1-co-17-lett-d-ed-e-d-d-l-1662/). Tuttavia, benché in effetti il mancato rispetto dell’ormai cd. principio di “chiarezza e sinteticità” non possa avere un’incidenza diretta sulla validità (e quindi sull’ammissibilità) dell’appello, può invero spiegare un effetto indiretto, ove dovesse (malauguratamente) ripercuotersi sul requisito della specificità.

19. Vds. già S. Chiarloni, voce Appello (dir. proc. civ.), in Enc. giur., Treccani, Roma, 1995, pp. 2, 4 e 11; C. Ferri, voce Appello (dir. proc. civ.), in Dig. disc. priv., Agg. XII, Utet, Torino, 1995 (VI ed.), p. 571; A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Jovene, Napoli, 1999 (III ed.), p. 519. Da ultimo, in tal senso, B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, vol. II, Giuffrè, Milano, 2021 (VIII ed.), pp. 53-54, n. 19. 

20. Per il concetto di “micro-capo”, vds. C. Consolo, Osservazione sistematica sulla n. 21260. Il “vecchio” rapporto giuridico processuale ed i suoi (chiari e non tutti antichi) corollari: inter multos l’inammissibilità per carenza di legittimazione ad impugnare e la inanità dell’inerziale richiamo della figura dell’abuso del processo, in Corr. giur., n. 2/2017, pp. 270-271. Anteriormente, cfr. Id., Il cumulo condizionale di domande, Cedam, Padova, 1985, pp. 253 ss. e pp. 762 ss. 

21. L. De Angelis, Flashes a caldo su alcune recenti modifiche del processo del lavoro, in Lav. nella giur., suppl. dig. n. 1/2022 (Trent’anni di diritto del lavoro), pp. 152-153.

22. Vds. i nuovi artt. 171-bis, 171-ter e 183 cpc.

23. Cfr., sul punto, Cass., sez. unite, 21 marzo 2019, n. 7940.

24. Cfr. S. La China, voce Procedibilità (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXV, Giuffrè, Milano, 1986, pp. 794 ss.

25. Vds. par. precedente.

26. Cfr. sul punto, con riferimento alla legge delega, P. Biavati, L’architettura della riforma, op. cit., pp. 36 ss.

27. Il cd. “filtro” in appello ha dato luogo a una molteplicità di problemi (a mo’ d’esempio, si rammenti il contrasto giurisprudenziale - poi risolto - sull’impugnabilità dell’ordinanza ex art. 348-ter cpc) senza dare risultati concreti particolarmente apprezzabili. Per uno studio approfondito vds. S. Dalla Bontà, Contributo allo studio del filtro in appello, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, passim. Per un quadro aggiornato di dottrina e giurisprudenza, vds. F. Carpi e M. Taruffo, Commentario breve al codice di procedura civile, Cedam-Wolters Kluwer, Milano, 2018 (IX ed.), pp. 1429 ss.

28. Vds. A. Carratta, Le riforme del processo civile, op. cit., p. 99; G. Federico, Il giudizio di appello, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, par. 4, pp. 91-92 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/960/3-2021_qg_federico.pdf); A. Pappalardo, L’appello, in C. Cecchella (a cura di), Il processo civile dopo la riforma, op. cit., pp. 354 ss.

29. In particolare, l’art. 1-ter, comma 1 della l. 24 marzo 2001, n. 89 ora dispone quanto segue: «Nelle cause in cui non si applica il rito semplificato di cognizione, ivi comprese quelle in grado di appello, costituisce rimedio preventivo proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma degli articoli 275, commi secondo, terzo e quarto, 281-sexies e 350-bis del codice di procedura civile, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis». Poiché, però, la decisione sulla scelta del modello decisorio da adottare spetta pur sempre al giudicante, che a sua volta avrà margini di manovra limitati dal ricorrere dei presupposti di cui all’art. 350-bis, si fatica a collocare l’istanza di parte di trattazione con rito accelerato tra i “rimedi preventivi”.

30. Per una critica, vds. V. Violante, Rito in appello, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile, op. cit., pp. 485-488.

31. In argomento, vds. ora F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, op. cit., pp. 166 ss.; A. Carratta, Le riforme del processo civile, op. cit., p. 102; V. Violante, L’appello, op. cit., e Id., Rito in appello, op. cit., pp. 595 ss.; A. Pappalardo, L’appello, in C. Cecchella (a cura di), Il processo civile dopo la riforma, op. cit., pp. 357 ss.

32. In giurisprudenza, vds., ad esempio, Cass., sez. lav., 20 maggio 2020, n. 9309. In dottrina, vds. F. Ferrari, Sul principio della cosiddetta «ragione più liquida», in Judicium, 29 aprile 2021 (www.judicium.it/wp-content/uploads/2021/04/Ferrari-1.pdf).

33. Ad analoga conclusione giunge V. Violante, Rito in appello, op. cit., pp. 501-502.

34. In molte norme riformate (artt. 348, comma 3, 350, comma 1, 351, comma 1, cpc) compare, con riferimento all’istruttore, l’inciso «ove nominato», che parrebbe lasciare aperti spazi per la sopravvivenza di un rito in gran parte identico a quello previgente. Tuttavia, l’art. 349-bis, comma 1, cpc, precipuamente dedicato alla nomina dell’istruttore, prevede in maniera piuttosto perentoria che «il presidente, se non ritiene di nominare il relatore e disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale, designa un componente di questo per la trattazione e l’istruzione della causa», con la conseguenza che gli spazi dianzi prospettati parrebbero ridursi al minimo e sopravvivere nei soli casi in cui si vada direttamente verso la decisione accelerata ex art. 350-bis cpc. Anche in tal caso, avrebbe certo giovato una disciplina più perspicua e meno confusa. 

35. In senso critico sul punto, vds. B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in Giustizia insieme, 18 maggio 2021 (www.giustiziainsieme.it/en/news/74-main/121-processo-civile/1736-prime-note-sul-maxi-emendamento-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-di-bruno-capponi).

36. In tal senso, Cass., sez. unite, 22 dicembre 2015, n. 25774.

37. Così, invece, Cass., sez. unite, 20 giugno 2021, n. 10136.

38. A. Giusti, Le impugnazioni, in G. Costantino (a cura di), La riforma della giustizia civile, op. cit., pp. 242 ss.; P. Biavati, L’architettura della riforma, op. cit., pp. 40 ss.

39. In argomento, vds.: B. Capponi, Sulla “ragionevole brevità” degli atti processuali civili, in Riv. trim. dir. proc. civ., n. 3/ 2014, pp. 1080 ss.; I. Pagni, Chiarezza e sinteticità negli atti giudiziali: il protocollo d’intesa tra Cassazione e CNF, in Giur. it, n. 12/2016, pp. 2782 ss.; M. Taruffo, Note sintetiche sulla sinteticità, ivi, n. 2/2017, pp. 453 ss.; G. Scarselli, Sulla sinteticità degli atti nel processo civile, in Foro it., 2017, V, cc. 323 ss.; G. Raiti, Il principio di sinteticità e di chiarezza del ricorso per cassazione secondo la legge delega sulla riforma del processo civile, in Riv. dir. proc., n. 3/2022, pp. 1027 ss.

40. A. Giusti, Le impugnazioni, op. cit., pp. 252 ss.

41. Per la fissazione dei limiti della declaratoria di inammissibilità conseguente al mancato rispetto del principio di chiarezza e sinteticità, vds. Cass., sez. unite, 30 novembre 2021, n. 37552. Criticamente sul punto vds., già con riferimento alla situazione ante riforma, V. Zeno-Zencovich, Il Ministero della giurisprudenza, in Foro it., V, 2022, cc. 214 ss.

42. In dottrina, vds. A. Giusti, Le impugnazioni, op. cit., p. 254, e ora A. Carratta, Le riforme del processo civile, op. cit., pp. 118 ss.

43. A. Giusti, Le impugnazioni, op. cit., pp. 243 ss.

44. Vds. G. Costantino, De profundis per la sezione filtro della Cassazione civile, in Questione giustizia online, 16 novembre 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/de-profundis-sez-filtro). 

45. Vds. F. Santagada (introduzione e commento agli artt. 380-bis.1 e 380-ter cpc), Il restyling del procedimento, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile, op. cit., pp. 584 ss.

46. A. Giusti, Le impugnazioni, op. cit., pp. 249 ss.; per una critica derivante dalla sostanziale monocraticità del procedimento de qua, vds. M Acierno e R. Sanlorenzo, La Cassazione tra realtà e desiderio, op. cit., p. 103.

47. Vds. F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, op. cit., pp. 200 ss.; A. Carratta, Le riforme del processo civile, op. cit., p. 126; P. Licci, Il rito in Cassazione, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile, op. cit., pp. 555 ss.; E. Bernini, Il procedimento innanzi la Corte di cassazione, in C. Cecchella (a cura di), Il processo civile dopo la riforma, op. cit., pp. 388 ss.

48. Sull’entrata in vigore di questa norma e sulla disciplina transitoria, da coordinarsi con la intervenuta proroga del regime emergenziale, vds. però supra, par. 2.

49. Per la disciplina transitoria, vds. ancora par. 2. 

50. In argomento, cfr. P. Biavati, L’architettura della riforma, op. cit., pp. 42 ss.; G. Trisorio Liuzzi, La riforma della giustizia civile: il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale, in Judicium, 10 dicembre 2021 (www.judicium.it/wp-content/uploads/2021/12/Trisorio.pdf); B. Capponi, È opportuno attribuire nuovi compiti alla Corte di Cassazione?, in Giustizia insieme, 19 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/en/processo-civile/1811-e-opportuno-attribuire-nuovi-compiti-alla-corte-di-cassazione-di-bruno-capponi); G. Scarselli, Note sul rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione di una questione di diritto da parte del giudice di merito, ivi, 5 luglio 2021 (www.giustiziainsieme.it/en/processo-civile/1838-note-sul-rinvio-pregiudiziale-alla-corte-di-cassazione-di-una-questione-di-diritto-da-parte-del-giudice-di-merito-di-giuliano-scarselli); C.V. Giabardo, In difesa della nomofilachia. Prime notazioni teorico-comparate sul nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione nel progetto di riforma del Codice di procedura civile, ivi, 22 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1815-in-difesa-della-nomofilachia-prime-notazioni-teorico-comparate-sul-nuovo-rinvio-pregiudiziale-alla-corte-di-cassazione-nel-progetto-di-riforma-del-codice-di-procedura-civile-di-carlo-vittorio-giabardo); E. Scoditti, Brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, pp. 105-111 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/962/3-2021_qg_scoditti.pdf); A. Briguglio, Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Cassazione, in Judicium , 21 dicembre 2022 (www.judicium.it/il-rinvio-pregiudiziale-interpretativo-alla-corte-di-cassazione/); V. Capasso, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione e il «vincolo» di troppo, in Riv. trim. dir. proc. civ., n. 2/2022, pp. 587 ss.; A. Mondini, Il rinvio pregiudiziale interpretativo, in Judicium, 27 dicembre 2022 (www.judicium.it/wp-content/uploads/2022/12/Mondini.pdf); A. Scarpa, Il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: una nuova «occasione» di nomofilachia?, in Giustizia insieme, 3 marzo 2023 (www.giustiziainsieme.it/en/riforma-cartabia-civile/2680-il-rinvio-pregiudiziale-ex-art-363-bis-c-p-c-una-nuova-occasione-di-nomofilachia). 

51. Per un approccio critico, vds. M. Fabiani, Rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione: una soluzione che non alimenta davvero il dibattito scientifico, in Riv. dir. proc., n. 1/2022, pp. 197 ss. Potrebbero porsi qui alcuni problemi che si sono evidenziati altrove: vds., se si vuole, L. Passanante, Il precedente impossibile. Contributo allo studio del diritto giurisprudenziale nel processo civile, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 61 ss. 

52. B. Capponi, È opportuno attribuire nuovi compiti alla Corte di Cassazione?, op. cit.

53. P. Biavati, L’architettura della riforma, op. cit., p. 44.

54. Cfr. P. Biavati, op. ult. cit., pp. 44 ss.; E. D’Alessandro, Revocazione della sentenza civile e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. proc., n. 1/2022, pp. 217 ss.; F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, op. cit., pp. 222 ss.; A. Carratta, Le riforme del processo civile, op. cit., pp. 127 ss.; A. Merone, Revocazione a seguito di sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile, op. cit., pp. 609 ss.; A. Mengali, La revocazione per contrarietà alla convenzione europea dei diritti dell’uomo, in C. Cecchella (a cura di), Il processo civile dopo la riforma, op. cit., pp. 403 ss.

55. Cfr. le osservazioni critiche di A. Merone, Revocazione, op. cit., pp. 612-613.

56. Il problema è segnalato da A. Briguglio all’incontro di formazione organizzato dalla Scuola superiore della magistratura in data 19 gennaio 2023.

57. Per maggiori dettagli sul tema, vds. A.D. De Santis, La tutela dei «terzi in buona fede che non hanno partecipato al processo» davanti alla CEDU, in G. Costantino (a cura di), La riforma della giustizia civile, op. cit., pp. 266 ss.; A. Merone, Revocazione, op. cit., p. 613.

58. Cfr., da ultimo, G. Scarselli, Mala tempora currunt. Scritti sull’ultima riforma del processo civile, Pacini, Pisa, 2023, passim.

59. Tornano qui in qualche modo di attualità alcuni risalenti discorsi svolti da chi scrive in L. Passanante, Modelli di tutela dei diritti. L’esperienza inglese e italiana, Cedam, Padova, 2007, passim, a cui, si vis, si rimanda.