Magistratura democratica

L’attuazione della legge di riforma per il giudizio di cassazione

di Rita Sanlorenzo e Maria Acierno

Con riguardo al giudizio in cassazione, il legislatore delegato si è limitato a formulare alcune norme di dettaglio che meglio precisano e mettono a fuoco lo schema processuale introdotto dalla legge delega. Nel contributo vengono elencati gli interventi legislativi più significativi, mettendone in luce i tratti salienti e le eventuali criticità applicative, anche sulla scorta della prima sperimentazione.

1. Premessa / 2. Il contenuto degli atti processuali / 3. Cameralizzazione e udienza pubblica. La procedura accelerata / 4. un nuovo modello di decisione / 5. L’eliminazione della sezione “filtro” / 6. La funzione dei protocolli d’intesa / 7. Il rinvio pregiudiziale e la revocazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo / 7.1. Il rinvio pregiudiziale / 7.2. La nuova ipotesi di revocazione

 

1. Premessa

Per ciò che concerne il giudizio in cassazione, può dirsi che il legislatore delegato si sia limitato a formulare alcune norme di dettaglio che meglio precisano e mettono a fuoco lo schema processuale introdotto dalla legge delega, senza innovare più di tanto, o tantomeno stravolgere, le linee portanti della riforma[1].

Ci si limiterà di qui in avanti ad elencare gli interventi legislativi più significativi per quel che concerne il giudizio sul ricorso per cassazione, cercando di evidenziarne i tratti salienti e le eventuali criticità applicative, sulla scorta anche di quella che è stata sin qui l’esperienza applicativa.

 

2. Il contenuto degli atti processuali

Il sintetico percorso illustrativo delle norme processuali di nuova introduzione prende le mosse dalla rimodulazione del contenuto del ricorso.

I numeri 3 e 4 e 6 dell’art. 366 cpc, che prima indicavano l’esposizione sommaria dei fatti di causa e le modalità di esposizione dei motivi, sono stati sostituiti con prescrizioni più specifiche in relazione ad entrambi i requisiti.

La rimodulazione della norma risulta incentrata sulla chiara volontà di imporre lo specifico obbligo di chiarezza e di sinteticità nella redazione degli atti introduttivi al giudizio, già oggetto di specifica prescrizione nel protocollo concluso con il Cnf nel 2015 e ulteriormente potenziato nel più recente, siglato il 1° marzo 2023, sia in relazione all’esposizione dei fatti che all’enunciazione dei motivi. In relazione alle modalità d’illustrazione delle censure, vige l’obbligo di fornire la specifica indicazione, per ciascuno di essi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali si fondano oltre che l’illustrazione del contenuto rilevante degli stessi.

Le modifiche illustrate costituiscono una specificazione dei criteri contenuti nell’art. 121 cpc in relazione a tutti gli atti processuali. La peculiarità per il giudizio di cassazione riguarda il requisito della “essenzialità”, che non si rinviene nella norma generale, centrata sulla chiarezza e sinteticità, e che esorta a illustrare solo ciò che ha una specifica incidenza sulla comprensione delle singole censure. Sulla pari importanza della essenzialità rispetto ai canoni della chiarezza e sinteticità, si fondano i criteri di redazione degli atti frutto del protocollo condiviso sottoscritto il 1° marzo 2023, di cui si dirà oltre.

Non sono previste specifiche sanzioni processuali per l’inosservanza delle prescrizioni, ancorché cogenti, di redazione del ricorso per cassazione, ma la giurisprudenza di legittimità ha stabilito una soglia di ammissibilità del ricorso in relazione ai requisiti di cui ai nn. 3, 4 e 6 del ricorso, tenendo conto negli orientamenti più recenti dei principi espressi dalla sentenza della Corte Edu del 28 ottobre 2021, caso Succi e altri contro Italia. Le sezioni unite, con la pronuncia n. 37552 del 2021, hanno ribadito l’obbligo della chiarezza e sinteticità, precisando che l’inosservanza di tali doveri può condurre a una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in un’esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cpc.  Successivamente è stato precisato, con espressa osservanza dei principi Cedu, che il principio di specificità del ricorso per cassazione, secondo cui il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia e il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa, deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della citata sentenza Corte Edu del 28 ottobre 2021, secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dal richiamo essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte e il diritto di accesso della parte a un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza. Può incorrere nel giudizio d’inammissibilità, pur in mancanza di sanzione espressa riferita alla lunghezza del ricorso, una esposizione così lunga da impedirne la comprensibilità (Cass., n. 8425/2020), come accade quando vengono affastellati, senza un preciso filo conduttore, stralci di atti di tutti i gradi del giudizio di merito e si perde di vista il canone della trascrizione essenziale degli e dei documenti rilevanti (Cass., n. 3612/2022).

I canoni della chiarezza e sinteticità costituivano già criteri di valutazione dell’ammissibilità del ricorso nella giurisprudenza di legittimità, e proprio ai principi sedimentati dagli orientamenti richiamati si è ispirato il legislatore. Resta fermo che la mera lunghezza espositiva, ove non impedisca la comprensione del fondo del motivo, non può essere oggetto di sanzione e che, in relazione alle criticità riscontrate in dottrina in ordine al requisito dell’autosufficienza del ricorso, la “trascrizione essenziale” del contenuto di un documento è, anche alla luce delle nuove disposizioni processuali, sufficiente per non incorrere nel difetto di specificità, dovendosi ritenere superati quegli orientamenti – peraltro minoritari – che richiedevano a pena d’inammissibilità una minuziosa indicazione delle modalità di reperimento dell’atto, pur se prodotto secondo i dettami dell’art. 369 cpc.

Gli atti processuali, e in particolare il ricorso, devono essere depositati telematicamente. L’obbligo è a pena d’improcedibilità (art. 369 cpc, artt. 35, comma 2, d.lgs n. 149/2022 e 196-quater disp. att. cpc). Ciò a far data dal 1° gennaio 2023. Il deposito telematico ha fatto venir meno l’obbligo di notifica del controricorso.

 

3. Cameralizzazione e udienza pubblica. La procedura accelerata

L’art. 379 cpc stabilisce che la pubblica udienza si debba svolgere sempre in presenza delle parti e del procuratore generale. Questa regola troverà piena ed esclusiva applicazione una volta andata a regime la riforma, posto che ancora operano (fino al 30 giugno 2023) le regole dettate in fase di emergenza Covid, concernenti la possibilità di svolgere udienza cartolare non partecipata anche per i fascicoli fissati in pubblica udienza, salvo istanza delle parti formulata entro uno sbarramento temporale predeterminato.

L’utilizzazione dell’udienza pubblica ha tuttavia carattere residuale, dovendo limitarsi (oltre al caso di cui all’art. 391-quater cpc, su cui vds. infra) ai ricorsi nei quali la questione di diritto sia «di particolare rilevanza» (art. 375 cpc).

Risulta sempre più centrale l’attività di spoglio, da svolgersi attraverso le strutture endosezionali dell’ufficio del processo che si avvale dei funzionari cd. “Upp”, anche in relazione alla selezione dei ricorsi di rilievo nomofilattico, troppo spesso assorbiti dalla cameralizzazione massiva dei ricorsi civili e dalle necessità conseguente di speditezza della trattazione e della decisione.

Uno spoglio accurato deve, invece, intercettare quei ricorsi che meritano l’attenzione del procuratore generale e della complessiva dialettica della pubblica udienza, il cui svolgimento celere e spedito è garantito dalla direzione del presidente che, secondo la nuova norma, «indica ove necessario i punti ed i tempi».

Ancora più cruciale si rivela la funzione degli uffici spoglio in relazione all’intercettazione dei ricorsi perfettamente speculari a quelli di rilievo nomofilattico, ovvero ai ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati che possono confluire nel binario processuale dei procedimenti accelerati. 

La normativa di dettaglio per ciò che concerne questo rito di nuova introduzione, ossia il cd. procedimento per la decisione accelerata dei procedimenti, a cui può farsi ricorso, come già osservato solo in caso di inammissibilità, improcedibilità, o manifesta infondatezza del ricorso (art. 380-bis cpc), è una ulteriore innovazione legislativa processuale. Rispetto a quanto indicato dalla legge delega, si aggiunge la previsione concernente la necessità per il difensore che, a fronte della notifica della proposta di definizione del giudizio, intende chiedere la decisione, di munirsi di «nuova procura speciale»: in mancanza di istanza, ma, deve intendersi, anche di procura conferita ad hoc, il ricorso si intende rinunciato e la Corte provvede ai sensi dell’art. 391 cpc. Se, viceversa, la richiesta di decisione viene regolarmente presentata nei quaranta giorni dalla comunicazione della proposta di definizione, la Corte procede in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cpc e se definisce il giudizio in conformità alla proposta, applica in punto spese il regime della responsabilità aggravata di cui al terzo e quarto comma dell’art. 96 cpc.

La destinazione dei ricorsi inammissibili, improcedibili e manifestamente infondati al canale cd. “accelerato” è organizzata nelle sezioni civili, come già accennato, mediante gli uffici spoglio posti a presidio organizzativo di ciascuna delle aree di specializzazione di ogni sezione civile. Il presidente o, più spesso, uno o più consiglieri delegati, avvalendosi dell’ufficio per il processo, provvedono alla selezione dei ricorsi e alla formulazione della proposta. Contestualmente, sul piano organizzativo si prefigura lo svolgimento di un’adunanza camerale nella quale potranno confluire, tra le altre, le proposte per le quali è stata chiesta la decisione e anche altri ricorsi di natura seriale che, tuttavia, per le materie cui pertengono, per esclusione normativa (ricorsi manifestamente fondati) o per altre ragioni, possono essere assimilati sia sul piano della mancanza di complessità che per affinità tematiche alle proposte da assumere in decisione. Così operando, la selezione dei ricorsi da avviare al procedimento accelerato può costituire uno snodo centrale e polifunzionale dell’attività di spoglio.

 

4. Un nuovo modello di decisione

La specificazione, per quel che concerne il rito di cui all’art. 380-bis.1, che all’esito della camera di consiglio diventi regola il deposito dell’ordinanza, sinteticamente motivata, determina l’introduzione di un modello di decisione o, più esattamente, di trattazione del sub-procedimento decisorio e di deposito del provvedimento, del tutto inedita nel giudizio di cassazione. Rimane una facoltà e non un obbligo, tanto che al collegio è consentito di «riservarsi il deposito nei successivi sessanta giorni».

Lo strumento acceleratorio ipotizzato dal legislatore è stato ampiamente sperimentato nel primo e secondo grado del giudizio, con eccellenti risultati e qualche criticità in relazione ai tempi d’impugnazione del provvedimento così depositato, a causa delle prassi largamente invalse tra i giudici di merito di non leggere all’esito della discussione e salvo il tempo di deliberazione, la motivazione e il dispositivo.

La sua introduzione nel giudizio di legittimità non può determinare criticità neanche rispetto ai limitati mezzi d’impugnazione del provvedimento di legittimità e ai tempi d’instaurazione del giudizio di rinvio, perché non è prevista la lettura del provvedimento che ne determina la data di deposito e pubblicazione. La norma prevede il deposito (telematico) all’esito della camera di consiglio, il cui termine finale è certificato dal presidente e, di conseguenza, non dovrebbero verificarsi quegli inconvenienti, determinati dalla scissione temporale di eventi endoprocessuali, che il legislatore ha indicato come contestuali. Tuttavia, permangono perplessità sull’adattabilità di questo modello decisionale contratto in sede di giudizio di legittimità, perché il canale processuale camerale è un contenitore di ricorsi solo in minima parte davvero seriali, tendenzialmente caratterizzati da un grado di complessità non modesto. Infine, la motivazione costituisce uno snodo essenziale del procedimento anche in considerazione della funzione costituzionale e ordinamentale della Corte di legittimità.

 

5. L’eliminazione della sezione “filtro”

La scelta, già giudicata come opportuna, relativa all’avvenuta soppressione del “filtro” costituito dalla opzione costituita dal rito non partecipato presso la VI sezione civile (art. 380-bis cpc nel testo ante riforma), radicalizza in qualche misura le ragioni della scelta di destinare i procedimenti alla trattazione pubblica, ovvero a quella in camera di consiglio. La prima delle due possibilità – imposta dal legislatore in caso di «particolare rilevanza» della questione – determina lo svolgimento del giudizio in pubblica udienza, nella pienezza del contraddittorio (nonché della conoscenza dell’oggetto del contendere da parte dei componenti del collegio, a seguito della relazione introduttiva del relatore); la seconda affida al segreto della camera di consiglio un giudizio che segue a una trattazione sicuramente più rapida, a cui addirittura dovrebbe far seguito immediato, quanto meno nella maggior parte dei casi, il deposito del provvedimento. 

La nettezza delle conseguenze della scelta a monte discende, e si giustifica, proprio in base a quella clausola generale riguardante la «particolare rilevanza» rispetto alla quale, però, sarebbe necessaria l’adozione da parte delle varie sezioni di criteri omogenei. Sin qui, deve dirsi, si è registrata la massima varietà di atteggiamenti, tali da comportare divergenze numeriche molto salienti (nei primi tre mesi del 2023, sono state trattate in pubblica udienza presso la prima sezione 52 cause, 150 presso la seconda, 103 presso la terza, 190 presso la sezione lavoro e 615 presso la tributaria). 

D’altronde, pare potersi dire che il disegno del legislatore possa rivestire una sua razionalità e, soprattutto, una sua coerenza rispetto ai canoni dell’art. 24 della Carta costituzionale, solo a patto di una condivisa applicazione dei criteri che determinano l’adozione di uno piuttosto che dell’altro rito; e che anche in vista del notevole incremento delle trattazioni camerali “ordinarie”, a seguito della già richiamata soppressione della sezione “filtro”, si potesse, all’esito di una riflessione comune e partecipata all’interno della Corte, acquisendo anche il parere della Procura generale, pervenire a indicazioni omogenee e trasparenti vincolanti per tutte le sezioni in sede di spoglio, salvo una residua discrezionalità rimessa alla peculiarità delle materie e delle specializzazioni. Sarebbe importante pervenire a una definizione comune, e soprattutto resa pubblica, dei criteri sulla scorta dei quali si opta per l’una o per l’altra destinazione, proprio in considerazione dell’importanza delle conseguenze che la scelta comporta rispetto alla pienezza del contraddittorio.

 

6. La funzione dei protocolli d’intesa

Il 1° marzo 2023, con l’entrata in vigore della riforma, la Corte di cassazione, la Procura generale, il Consiglio nazionale forense hanno sottoscritto un Protocollo d’intesa sul processo civile in cassazione che, tenuto conto della riforma processuale e della generale adozione del mezzo telematico, ha inteso disciplinare una prassi organizzativa comune tra tutti i soggetti protagonisti del processo[2] a partire dalla previsione di regole per la redazione degli atti processuali, in particolare per l’attuazione dei principi di specificità e di localizzazione, con la previsione di limiti di lunghezza degli atti il cui mancato rispetto però, si specifica a verbale, non costituisce causa di improcedibilità o di inammissibilità. Viene richiesta comunque l’esplicitazione delle ragioni in base alle quali non è stato possibile il contenimento della dimensione dell’atto nei limiti convenuti.

Il protocollo prevede anche regole minime di redazione della proposta di definizione del giudizio ex art. 380-bis cpc che, in caso di ritenuta inammissibilità o improcedibilità del ricorso, dovrà indicare a quale specifica ipotesi si intende fare riferimento; mentre, laddove si ravvisino gli estremi della manifesta infondatezza, dovrà riportare i precedenti giurisprudenziali a cui si ispira e le ragioni del giudizio prognostico sui motivi «anche mediante una valutazione sintetica e complessiva degli stessi, ove ne ricorrano i presupposti».

 

7. Il rinvio pregiudiziale e la revocazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo

Il legislatore delegato ha poi provveduto a disciplinare due nuovi istituti: uno, disciplinato all’art. 363-bis cpc, introdotto per consentire ai giudici di merito di richiedere alla Corte di legittimità la risoluzione anticipata (in corso di giudizio) di una questione esclusivamente di diritto che sia rilevante per il giudizio a quo, presenti difficoltà interpretative e sia destinata a ripetersi in numerose controversie; l’altro, all’art. 391-quater cpc, che introduce il ricorso per revocazione avverso decisioni passate in giudicato, il cui contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Cedu. Il legislatore, con questa norma, cerca di porre rimedio alla limitatezza, se non irrilevanza, del giudicato Edu rispetto a quello civile anche di legittimità verso il quale si sia diretta la condanna della Corte. Fino ad ora, la carenza di efficacia diretta è stata inversamente proporzionale all’incidenza dei principi Edu nel sistema delle fonti per i giudizi aventi ad oggetto la tutela dei diritti fondamentali, ma l’operatività si è manifestata più significativamente in decisioni relative a procedimenti diversi da quello a quo, salvo l’indennizzo, davvero insufficiente in relazione a diritti a contenuto non patrimoniale.

 

7.1. Il rinvio pregiudiziale

Quanto al primo istituto, ci si richiama per la sua illustrazione agli altri articoli sul tema già pubblicati da questa Rivista[3]: vale la pena, però, di segnalare che non sembrano fondati sin qui i timori di una sua sostanziale disapplicazione da parte dei giudici di merito, posto che la Corte è già stata investita, a partire dal 1° marzo 2023, di alcune questioni di vario contenuto e che in relazione a tre di esse (una medesima questione è stata posta in due ricorsi provenienti dalla stessa corte d’appello), la prima presidente ha già valutato positivamente l’ammissibilità delle questioni di diritto prospettate e la conseguente assegnazione alla sezione competente per materia, per le prime due, e alle sezioni unite per l’ultima, che involge l’interpretazione di una norma sulla giurisdizione[4].

Al riguardo, è stato costituito con decreto presidenziale n. 16 del 2023 l’Ufficio questioni pregiudiziali (Uqp), composto dal membro stabile delle sezioni unite, il direttore del Massimario e il direttore del Ced (Centro elettronico di documentazione), con il compito di verificare prima facie la natura e l’ammissibilità dell’istanza, la predisposizione di una breve relazione illustrativa e la trasmissione al presidente della sezione o delle sezioni cui è attribuita la competenza sulla materia oggetto dell’istanza per una successiva valutazione. All’esito di questo complessivo esame preliminare, il primo presidente emetterà decreto d’inammissibilità o la trasmissione alle sezioni unite o alla sezione semplice che, come previsto dall’art. 137-ter, n. 1, disp. att. cpc, sarà pubblicato sul sito web della Corte. 

 

7.2. La nuova ipotesi di revocazione

Per ciò che concerne il nuovo istituto della revocazione delle decisioni passate in giudicato, il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte di Strasburgo contrario alla Cedu ovvero a uno dei suoi Protocolli, il nuovo art. 391-quater pone alcune precise condizioni per la sua accessibilità: innanzitutto, la violazione accertata dalla Corte europea deve aver pregiudicato un diritto di stato della persona; inoltre, l’equa indennità eventualmente accordata dalla Corte ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione non deve essere idonea a compensare le conseguenze della violazione. 

La norma prevede che il ricorso si possa proporre nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea ai sensi del regolamento della Corte stessa. Viene richiamato il disposto dell’art. 391-ter, secondo comma, per cui la Corte, ritenuto fondato il ricorso, qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, decide la causa nel merito, ovvero, dichiarata ammissibile la revocazione, rinvia la causa al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. In ogni caso, la novella si preme di precisare che l’accoglimento della revocazione non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede che non hanno partecipato al giudizio svoltosi innanzi alla Corte europea. 

Altra saliente novità è quella che riguarda, al secondo comma dell’art. 397, l’introduzione della legittimazione del procuratore generale presso la Corte di cassazione nel promuovere tale specifica ipotesi di revocazione. 

L’introduzione di tale nuova ipotesi di revocazione rappresenta un’iniziativa legislativa di notevole spessore politico, capace di superare il dogma dell’intangibilità del giudicato in presenza di una pronuncia della Corte Edu di condanna dello Stato italiano per mancato rispetto dei principi convenzionali, nel rispetto della sovraordinazione della Carta europea e della vincolatività dei principi che vi sono affermati.

Anche in questo caso, sarà di massimo interesse seguire l’effettiva ricaduta della nuova previsione e la sua reale praticabilità. Si evidenzia la necessità di precisare l’ambito dei presupposti, primo fra tutti quello del pregiudizio al «diritto di stato della persona», dovendosi meglio intendere se la norma allude a ogni status personale, compreso quello professionale, o anche patrimoniale.

La procura generale, la cui iniziativa è espressamente prevista dalla norma, ha già sottoscritto un protocollo con l’Avvocatura di Stato, l’Agente del governo della Corte Edu, per istituire un canale diretto di trasmissione di tutte le decisioni che implicano la condanna dello Stato italiano, al fine di poter reagire con tempestività esercitando le attribuzioni che le sono conferite. L’immediata conoscenza del contenuto delle pronunce rappresenta il presupposto primo e indefettibile per l’attivazione della facoltà di azione, nei termini contenuti previsti dalla legge.

 

 

1. Per un esame a prima lettura dei contenuti della legge delega, sia consentito il rinvio a M. Acierno e R. Sanlorenzo, La Cassazione tra realtà e desiderio. Riforma processuale e ufficio del processo: cambia il volto della Cassazione?, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, pp. 96-104 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/961/3-2021_qg_acierno-sanlorenzo.pdf). 

2. Vds. www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Protocollo_di_intesa_sul_processo_civile_in_Cassazione__-_01.03.2023.pdf.

3. E. Scoditti, Brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, pp. 105-111 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/962/3-2021_qg_scoditti.pdf).

4. Vds.: www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/6534_03_2023_PPP_oscuramento_no-index.pdf ; www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rg_6803_23_Provv_Primo_Presidente_questione_pregiudiziale_oscuramento_no-index.pdf; www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rg_7201_23_Provv_Primo_Presidente_questione_pregiudiziale_no-index.pdf