Magistratura democratica

La vendita diretta

di Giulio Cataldi

Tra le novità introdotte dalla riforma in materia esecutiva, la vendita diretta è sicuramente quella più interessante, ma non ne è scontato il suo successo come strumento negoziale efficace di composizione tra gli interessi del ceto creditorio e quelli dell’esecutato. Le prassi potranno suggerire aggiustamenti pratici in grado di rendere appetibile il nuovo strumento.

1. La stagione delle riforme processuali imposte dall’urgenza di dare attuazione al PNRR ha coinvolto (e non poteva essere diversamente) anche il processo esecutivo. Proprio il Piano nazionale di ripresa e resilienza, pur escludendo le procedure esecutive individuali e concorsuali, oltre che la volontaria giurisdizione, dai propri ambiziosi obiettivi quantitativi (riduzione del 45% dell’arretrato ultratriennale e del 65% del cd. “disposition time” entro il 2024), trattandosi di procedimenti la cui durata è fortemente condizionata da fattori esterni, indica il settore dell’esecuzione forzata come meritevole di particolare attenzione «in ragione della centralità della realizzazione coattiva del credito ai fini della competitività del sistema paese»[1].

La legge delega (l. n. 206/2021) di riforma del processo civile dedica, per lo più, al settore dell’esecuzione «un intervento di dettaglio, volto a trasformare in norme di legge alcune soluzioni adottate nella prassi, a ridurre ulteriormente i termini per le parti, i giudici e gli ausiliari, a eliminare previsioni che appaiono obsolete, a correggere alcune criticità evidenziate nell’applicazione della disciplina vigente»[2]; ma introduce anche alcune novità significative, come l’ampliamento del cd. “astreinte”, salutato in genere con favore dagli operatori, o la cd. “vendita diretta”.

 

2. Probabilmente è il carattere del tutto nuovo, per il nostro ordinamento, dell’istituto introdotto con il d.lgs n. 149/2022 che può spiegare l’interesse che pare circondare la vendita diretta, almeno nei primi convegni di studio sulla riforma del processo esecutivo; interesse che, altrettanto probabilmente, si rivelerà inversamente proporzionale all’effettiva applicazione pratica dello stesso.

L’istituto, esplicitamente ispirato al modello francese della “vente privée”, ha palesato subito – nella trasposizione dei criteri ispiratori della legge delega nell’articolato del d.lgs n. 149/2022 – non semplici problemi di compatibilità col sistema. È comunque rilevante che anche all’interno della disciplina dell’espropriazione forzata, e in particolare dell’espropriazione immobiliare che colpisce con assoluta prevalenza la casa di abitazione di mutuatari in difficoltà economica, si manifesti la tendenza – già presente nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs n. 14/2019) e, prima ancora, nella legge sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento (l. n. 3/2012) – al superamento di un approccio meramente esecutivo e liquidatorio a favore di una concezione incentrata sulle possibilità di individuazione degli strumenti per superare la situazione di crisi del debitore; e dunque il passaggio, sul piano procedimentale, dal processo al negozio come strumento di composizione tra i contrapposti interessi del ceto creditorio e del debitore esecutato. 

 

3. La delega prevedeva, tra le altre cose, la facoltà per il debitore di presentare una proposta irrevocabile di acquisto, basata sulla stima dell’immobile, da porre in competizione con eventuali altre e accompagnata dall’immediata liberazione del bene pignorato. Come si è fatto osservare in dottrina, peraltro, il “furore analitico” nella stesura delle disposizioni normative (in questo caso, persino dei principi e dei criteri direttivi del ddl delega) non giova alla chiarezza delle idee e alla sicurezza delle soluzioni, creando, al contrario, «questioni esegetiche e problemi ermeneutici»[3].

Il legislatore delegato ha, perciò, compiuto una netta e trasparente scelta di superamento di alcuni paletti posti dalla delega, nella consapevolezza che questa «introduceva un meccanismo di nessun interesse per la parte debitrice, che non avrebbe mai avuto alcun interesse ad utilizzare l’istituto così come delineato nella legge delega»[4].

Per ragioni di coerenza sistematica, ha innanzitutto previsto che la richiesta al giudice di vendita diretta da parte del debitore vada presentata almeno dieci giorni prima dell’udienza prevista dall’art. 569 cpc, udienza tendenzialmente unica nella procedura esecutiva, escludendo la necessità della previa liberazione dell’immobile che avrebbe azzerato l’interesse degli esecutati verso l’istituto. Il meccanismo introdotto realizza una vendita diretta a prezzo base (dunque, senza la riduzione del 25% di cui all’art. 572 cpc) che, in caso di mancata opposizione dei creditori titolati o intervenuti ai sensi dell’art. 498 cpc, consente al debitore (e al suo offerente “non ostile”) di conservare la disponibilità dell’immobile affrancandolo dalla procedura esecutiva, e al tempo stesso offre ai creditori una definizione rapida della procedura esecutiva.

Certo, ci si può chiedere quale possa essere l’interesse per il debitore a perseguire questa strada piuttosto che un accordo con il creditore procedente (come pure a volte avviene) attraverso una vendita stragiudiziale con l’attribuzione del ricavato al creditore, contestuale rinuncia di quest’ultimo alla procedura ed effetto integralmente estintivo della debitoria; o, ancora, quale possa essere l’interesse dell’offerente “non ostile” ad acquistare a prezzo pieno, piuttosto che prendere parte all’ordinaria asta, potendo fare affidamento in tale seconda ipotesi sul prezzo minimo di offerta inferiore del 25% rispetto al prezzo base. Ma si tratta di obiezioni di merito, la cui fondatezza potrà essere dimostrata o smentita solo dall’esperienza pratica. In questa fase, si può osservare, quanto alla prima, che la vendita stragiudiziale implica una maggiore capacità negoziale e di contrattazione con gli enti creditori e i loro procuratori, di cui non sempre il debitore dispone; e che, con riferimento alla seconda, la partecipazione all’asta lascia aperta l’alea dei possibili rilanci anche oltre il “delta” del 25%.

Nel caso, invece, in cui venga sollevata opposizione da parte di uno dei creditori, si apre una procedura competitiva non dissimile da quella della ordinaria procedura di vendita, salvo un’ulteriore riduzione dei termini. 

L’ultimo comma dell’art. 569-bis cpc, infine, prevede che, su istanza dell’aggiudicatario, il giudice autorizzi il trasferimento dell’immobile mediante atto notarile, provvedendo comunque alla cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli.

 

4. Di fronte a ogni modifica processuale, e fino a quando non si formi una prassi applicativa sorretta da pronunce giurisprudenziali, spetta certamente all’interprete il compito di mettere in luce possibili punti oscuri e individuare problemi di coordinamento delle nuove norme. Tutto ciò, però, può e deve avvenire con un approccio volto a ricercare le modalità per far funzionare al meglio i nuovi istituti. Occorre, cioè, essere consapevoli che, se è vero che non è (solo) dal rito che deriva l’efficienza, è ugualmente vero che anche la norma processuale di migliore fattura può essere vanificata da un atteggiamento ostile degli operatori e, viceversa, anche una norma poco chiara o, peggio, scritta male, può dar luogo ad applicazioni virtuose.

Nel caso della vendita diretta, potrà ad esempio essere opportuno introdurre nella modulistica abitualmente adoperata per gli avvisi al debitore esecutato (solitamente forniti dal custode sin dal primo accesso all’immobile) un chiaro riferimento alle facoltà concessegli della vendita diretta e individuare, poi, sistemi per rendere il più agevole possibile l’accesso alla stessa.

È, dunque, con questo spirito che si possono mettere in luce alcune tra le principali questioni che, a prima lettura, la disciplina della vendita diretta lascia aperte.

Innanzitutto, l’art. 468-bis cpc prevede che l’istanza deve essere depositata dal debitore; ma nulla dice circa le modalità con cui tale deposito possa avvenire.

Trattandosi di un’attività negoziale, parrebbe non indispensabile l’assistenza di un avvocato; e, tuttavia, l’istanza depositata, per poter essere portata a conoscenza del giudice dell’esecuzione, dovrà necessariamente transitare telematicamente sulla consolle del magistrato. E allora, fatta ovviamente salva l’assistenza di un difensore quanto meno come presentatore della richiesta da parte dell’esecutato, le prassi dei singoli uffici giudiziari potranno elaborare strumenti per agevolare l’accesso del debitore esecutato personalmente alla facoltà di richiedere la vendita diretta, prevedendo, ad esempio, che le cancellerie accettino anche mere richieste cartacee, da scansionare e trasferire telematicamente all’attenzione del giudice dell’esecuzione.

L’art. 469-bis cpc contempla l’ipotesi che il creditore titolato, o uno di quelli intervenuti di cui all’art. 498 cpc, si opponga all’aggiudicazione in favore dell’offerente presentato dal debitore, dando così luogo al procedimento competitivo. Nulla, però, dice circa i motivi della possibile opposizione. Sarà dunque compito dell’interprete stabilire se la contrarietà palesata da uno dei creditori all’aggiudicazione diretta possa anche essere del tutto immotivata, o se debba essere sorretta quanto meno da un interesse giuridicamente apprezzabile. Parrebbe, in linea di principio, da preferire tale seconda ipotesi: ad evitare atti di mera ostilità fine a se stessa, i creditori dovrebbero giustificare la loro opposizione con riferimento alle aspettative di soddisfazione del loro credito, così che certamente sarà da escludere, in quanto non sorretta da un interesse apprezzabile, l’opposizione sollevata da un creditore ipotecario di primo grado il cui credito possa essere integralmente soddisfatto dal ricavato dalla vendita negoziata.

L’ultimo comma dell’art. 469-bis cpc prevede che l’aggiudicatario possa chiedere al giudice, che in tal caso dovrà autorizzare (senza poter compiere alcuna valutazione discrezionale) il trasferimento dell’immobile mediante atto negoziale. Il rapporto tra la procedura giudiziale e l’atto negoziale appare alquanto nebuloso. Innanzitutto, non si riesce a ravvisare un solo valido motivo per cui l’aggiudicatario possa preferire, al decreto di trasferimento emesso dal tribunale, l’atto di trasferimento notarile (con i relativi costi). In secondo luogo, in una procedura scandita da termini sempre più stringenti non è indicato alcun termine entro il quale il notaio debba procedere al rogito e, poi, alla trasmissione dell’atto al cancelliere o al professionista delegato per il deposito nel fascicolo della procedura, con conseguente possibile stallo della stessa; e ciò malgrado la relazione ravvisi la finalità dell’intervento notarile proprio nell’accelerazione della chiusura della procedura di vendita. Infine, se il notaio non interviene nelle vesti di delegato del giudice (e così certamente non è, perché a tal fine opera il professionista delegato) e, dunque, stipula un normale atto di trasferimento, sono ipotizzabili contrasti tra la natura negoziale pura di tale atto e quella con rilevante impronta pubblicistica propria del decreto di trasferimento (una fra tutte, la mancanza nel secondo della garanzia per vizi), forieri di possibile ulteriore contenzioso. 

 

 

1. «Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza» («Next Generation Italia»), p. 64.

2. Cfr. F. Vigorito, Gli interventi sul processo esecutivo previsti dal ddl delega AS 1662/XVIII collegato al «Piano nazionale di ripresa e resilienza», in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, p. 123 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/964/3-2021_qg_vigorito.pdf).

3. A. Tedoldi, Gli emendamenti in materia di esecuzione forzata al d.d.l. delega AS 1662/XVIII, in Giustizia insieme, 23 giugno 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1819-gli-emendamenti-in-materia-di-esecuzione-forzata-al-d-d-l-delega-as-1662-xviii-di-alberto-tedoldi).

4. Cfr. la relazione illustrativa al d.lgs 10 ottobre 2022, n. 149, pubblicata in G.U., serie generale, 19 ottobre 2022, n. 245, suppl. straordinario n. 5.