Magistratura democratica

La riforma del processo in materia di persone, minorenni e famiglie dopo il d.lgs n. 149/2022

di Claudio Cecchella

Il contributo esamina la disciplina che il d.lgs n. 149 offre al procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, con l’intento di risolvere alcuni nodi applicativi che già si profilano. Viene esaminata la disciplina dei poteri affidati al giudice, quando oggetto del processo sono diritti indisponibili, e il diverso regime quando oggetto dello stesso sono diritti relativamente disponibili, come i contributi di mantenimento;  delle preclusioni alle difese delle parti in materia di diritti disponibili e alle speciali riaperture concesse in corso di causa; delle misure provvisorie e del regime della loro modificabilità e reclamabilità; del giudizio finale e della sua attuazione, secondo modelli alternativi a quelli del libro III del codice di rito; nonché dell’appello. Speciale esame viene poi dedicato alla problematica disciplina del rilievo della violenza nel processo e al contraddittorio, con la partecipazione del pm e del curatore speciale del minore. Da ultimo, offre un tentativo di risolvere le problematiche del regime transitorio, alla luce della anticipazione – con la legge di bilancio di fine 2022 – dell’entrata in vigore della riforma.

1. Il rito unico / 2. Le ragioni della specialità del rito / 2.1. La diversificazione delle regole per i diritti indisponibili / 2.2. L’anticipazione degli effetti del giudizio finale e l’adeguamento delle misure alle variazioni della fattispecie / 2.3. Le particolarità sulla prova / 2.4. L’attuazione in deroga al libro III del codice di rito /3. La competenza / 3.1. Gli artt. 473-bis.11 e 473-bis.47 cpc / 3.2. La residua applicabilità temporale dell’art. 38 disp. att. cc / 3.3. La vis attractiva abbandona la perpetuatio iurisdictionis / 3.4. L’espansione oggettiva e soggettiva della vis attractiva / 3.5. La vis attractiva enigmatica dell’art. 709-ter cc: la necessità di un’interpretazione sistematica / 4. Il ricorso / 5. La costituzione del convenuto / 6. Le preclusioni alle attività difensive / 6.1. Gli atti introduttivi / 6.2. Le memorie integrative / 6.3. La domanda di divorzio in sede di separazione / 7. Le riaperture alle difese in corso di causa / 8. Il contraddittorio del minore e del pm / 9. Il rilievo delle misure provvisorie / 9.1. Le misure provvisorie inaudita altera parte / 9.2. I provvedimenti provvisori all’udienza / 9.3. Revoca, modifica e reclamo dei provvedimenti temporanei e urgenti / 10. L’istruttoria / 11. L’ascolto / 12. La mediazione familiare / 13. La decisione e le sue modifiche / 14. L’appello / 15. La necessità di una tutela differenziata in sede di attuazione delle misure / 15.1. Sull’attuazione dei provvedimenti economici / 15.2. Sul pagamento diretto del terzo / 15.3. Provvedimenti sull’affidamento e loro attuazione / 15.4. Sanzioni ulteriori alle inadempienze e violazioni / 16. Violenza di genere e tutela giurisdizionale civile / 16.1. Gli ordini di protezione / 16.2. Il dibattito in Commissione giustizia innanzi al Senato / 17. Il procedimento su domanda congiunta / 18. I procedimenti speciali sulla capacità e sul controllo giurisdizionale delle misure di cui all’art. 403 cpc / 19. Cenni al tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie / 20. Il regime transitorio

 

1. Il rito unico

In attuazione della legge delega n. 206 del 2021, con il d.lgs n. 149 del 2022, il Consiglio dei ministri ha approvato gli articolati sulla riforma del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie introducendo, nel libro II del codice di rito, con il titolo IV-bis, a partire dall’art. 473-bis cpc, un corpus unitario di norme.

La riforma, a seguito dell’elaborazione di una commissione ministeriale istituita dalla Ministra Cartabia, ha altresì abrogato numerose disposizioni processuali contenute nel codice civile, nel codice di procedura civile e nelle leggi speciali.

La scelta sovraintende a un preciso valore giuridico.

Il recupero di una codificazione unitaria, che il processo familiare e minorile non aveva mai conosciuto, come contributo alla certezza del diritto. L’introduzione di una disciplina sistematica e unitaria del processo di famiglia e minorile, nell’economia di 72 articoli, con abrogazione di più del doppio di norme sparse negli stessi codici e nelle leggi speciali.

Il nuovo titolo fa trasmigrare le norme processuali, per la parte inserita nel codice di rito, dal libro IV al libro II, nel segno evidente che il processo non è più regolato da un rito speciale sommario, com’era il procedimento per separazione e divorzio (artt. 706 ss. cpc, tutti abrogati) o il rito camerale (artt. 737 ss. cpc, per rinvio dell’art. 38 disp. att. cpc). Quest’ultima disposizione sopravvive, per i profili della sola competenza, per il tempo necessario all’entrata in vigore delle norme ordinamentali che introdurranno il nuovo «Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie».

Il nuovo rito, quindi, nella fase transitoria biennale, sarà celebrato sia innanzi al tribunale per i minorenni, sia innanzi al tribunale ordinario, entrando in vigore per entrambi in relazione ai ricorsi depositati dopo il 30 giugno 2023 (in realtà, dopo i recentissimi interventi della legge di bilancio, il 28 febbraio 2023)[1].

Il processo di cognizione è interamente riscritto, in linea con le garanzie del giusto processo imposte dall’art. 111, comma 2, Cost., e finalmente disciplinato interamente dal legislatore, senza la necessità di costruzioni costituzionalmente orientate della Suprema corte, che avevano contraddistinto il rito camerale. 

La diaspora dei riti viene ricomposta in un processo unitario, al quale sono avviate le controversie sullo stato delle persone, sui minorenni e sulle famiglie, attribuite alla competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni, con una soluzione che unifica le regole processuali nella direzione di una tutela differenziata e speciale, seppure a cognizione piena[2].

Ai sensi dell’art. 473-bis cpc («Ambito di applicazione») restano esclusi dal nuovo rito i procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, i procedimenti di adozione di minori di età e i procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea.

Non colgono nel segno le critiche[3], che pur emergono, sulla introduzione dell’ennesimo rito speciale, oltre a quello ordinario, del lavoro e il nuovo rito semplificato (artt. 281-decies ss., pure esso riformato, che ha preso il posto degli artt. 702-bis ss. cpc). In verità, i diritti oggetto di tutela giurisdizionale nel contesto delle controversie sulle persone, sui minori e sulle famiglie necessitano, forse più intensamente di altri (il ripensamento dovrebbe invero riguardare la diversità di riti come quello ordinario e quello del lavoro, che ormai con le ultime riforme paiono avvicinarsi)[4], di regole speciali sulla cognizione, sull’attuazione e sulle misure speciali, che ne giustificano una tutela giurisdizionale differenziata.

Il processo unitario si caratterizza dunque per la sua specialità, per cui, per quanto non espressamente regolato, valgono le regole del processo a cognizione piena di rito ordinario.

 

2. Le ragioni della specialità del rito

È necessario distinguere la riforma in esame dalle ragioni che hanno ispirato la riforma generale, dettata dai tempi imposti dall’Europa, in prospettiva PNRR, per una soluzione alla crisi della giustizia civile.

Essa è il risultato di una elaborazione a partire dagli anni novanta, sulla base di alcune suggestioni della dottrina processualistica e di una precisa presa di posizione dell’avvocatura, non senza importanti interventi della magistratura ordinaria, che trova la sua espressione nel testo elaborato in occasione della apertura di un tavolo di discussione presso il Cnf, negli anni 2016 e 2017[5] – nel quale furono tracciate le linee del rito attuale e della soluzione ordinamentale costruita sul modello del giudice di sorveglianza penale –, ma che non si giovò del voto dell’aula, per la fine della legislatura, con lo spirare del 2017.

Le peculiarità dei diritti alla cui tutela giurisdizionale è destinato il nuovo rito offre la ragione profonda del rito differenziato, ed esso costituisce il risultato di una elaborazione molto risalente.

 

2.1. La diversificazione delle regole per i diritti indisponibili

Anzitutto, il carattere indisponibile dei diritti del minore, che impone la deroga ai principi del processo dispositivo, in particolare della domanda e dell’allegazione dei fatti, accentuando i poteri officiosi. Ugualmente, il carattere “relativamente” indisponibile degli altri diritti, come il mantenimento del coniuge economicamente debole o del figlio maggiorenne non autosufficiente, i quali possono essere disposti solo quando sono sorti, ma non in via preventiva (divieto di patti pre-matrimoniali)[6], similmente ai diritti del lavoratore, rendono necessaria l’accentuazione dei poteri di iniziativa istruttoria del giudice, senza tuttavia scalfire i principi del processo dispositivo[7].

Ne nasce un rito la cui unitarietà non è affatto priva di adeguamenti, aprendosi alle variabili delle diverse situazioni tutelate. 

L’elasticità del rito dilegua le critiche a un modello processuale che si adatterebbe solo alla crisi familiare, ma non alla giustizia minorile[8].

La stessa elasticità impone, solo per i diritti disponibili, un regime di decadenze e preclusioni alle difese della parte, sino a imporre l’applicazione del divieto dei nova in appello (art. 473-bis.35 cpc), aprendo il rito ai principi del processo disponibile[9].

Il processo, dunque, ha regole che tengono conto della possibile diversità del suo oggetto.

 

2.2. L’anticipazione degli effetti del giudizio finale e l’adeguamento delle misure alle variazioni della fattispecie

Esiste poi un’esigenza di tutela anticipata e provvisoria, endemica alle controversie sui diritti della famiglia e dei minori. La regola concreta di comportamento da tenere nei rapporti familiari non può attendere l’esaurimento del giudizio di merito, ma deve essere data in limine, al punto che il periculum (sempre presente) diventa irrilevante ovvero irrilevante la sua cognizione (salvo la misura inaudita che può essere concessa al momento del deposito del ricorso introduttivo).

La stessa esigenza si ripropone lungo tutto il corso del processo, imponendosi un adeguamento delle misure anticipatorie alle continue variazioni della fattispecie, a fronte della sopravvenienza di fatti e circostanze nuove – art. 423-bis.23 cpc – oppure anche delle misure definitive e conclusive «qualora sopravvengano giustificati motivi» – art. 473-bis.29 cpc.

 

2.3. Le particolarità sulla prova

Il processo, inoltre, similmente al rito del lavoro, deve coordinarsi a regole speciali nella disciplina della prova o dei mezzi lato sensu istruttori, sia per la già veduta accentuazione dei poteri istruttori del giudice, a prescindere che il diritto sia indisponibile o disponibile, sia per l’introduzione di prove atipiche, ovvero tipizzate solo per lo speciale rito, sia per la funzione più accentuatamente probatoria della consulenza tecnica, particolarmente per la nuova disciplina introdotta dalla riforma[10].

 

2.4. L’attuazione in deroga al libro III del codice di rito

Infine, la razionalizzazione dei mezzi di attuazione delle misure giurisdizionali[11].

La specialità, in deroga alle regole del libro III del codice di rito, introdotta in modo non sistematico e con discipline casuali e diversificate nel regime previgente, viene definitivamente razionalizzata: la coincidenza del giudice dell’esecuzione con il giudice del merito, con possibilità di modifica della misura; a fronte di una tendenziale infungibilità della prestazione obbligata, in corrispondenza pure dei diritti economici, una generalizzata e migliorata disciplina delle misure coercitive civili e infine, in deroga al principio di esigibilità del diritto (art. 474, comma 1, cpc), una proiezione nel futuro della tutela attuativa, mediante (con uno sviluppo tutto stragiudiziale) il pagamento diretto del terzo debitor debitoris e (finalmente) l’applicazione, per i diritti personali, dell’art. 614-bis cpc[12].

Poi le ulteriori regole speciali, come la disciplina sull’allegazione e accertamento dei fatti di violenza di genere e domestica, le regole sulla separazione e il divorzio, le regole, infine, sulla interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno.

 

3. La competenza

 

3.1. Gli artt. 473-bis.11 e 473-bis.47 cpc

Resta la competenza per materia dell’art. 38 disp. att. cpc, direttamente novellato dalla legge n. 206 del 2021, sin tanto che, nel lasso di tempo di due anni, non entreranno in vigore le norme ordinamentali sull’istituzione del tribunale unico, che riunirà in sé la competenza per materia nelle controversie sulle persone, sui minorenni e sulle famiglie (vds. infra, par. 19).

Il riparto, pertanto, affida al tribunale per i minorenni una competenza integrale sulle controversie relative alla responsabilità genitoriale, mentre ogni altra controversia resta affidata al tribunale ordinario[13].

Ai sensi dell’art. 473-bis.1 cpc, entrambi gli organi giudicano in composizione collegiale, salvo delega per la trattazione e l’istruzione a uno dei componenti del collegio, delega che non può essere affidata ai giudici onorari presso il tribunale per i minorenni per l’ascolto del minore, l’assunzione delle testimonianze e gli altri atti riservati al giudice.

Territorialmente, la riforma privilegia (art. 473-bis.11 cpc), nelle controversie che riguardano un minore, la competenza del tribunale del luogo in cui il minore ha la residenza abituale, con accentuata attenzione al giudice di prossimità. Criterio che resta salvo qualora vi sia stato trasferimento del minore non autorizzato e purché non sia decorso un anno dallo stesso.

Nelle controversie che non hanno ad oggetto diritti del minore, la competenza è del tribunale del luogo di residenza del convenuto; nel caso di irreperibilità o residenza all’estero, il riferimento è alla residenza dell’attore e, nel caso in cui l’attore non abbia residenza in Italia, qualunque tribunale della Repubblica (art. 473-bis.47 cpc).

 

3.2. La residua applicabilità temporale dell’art. 38 disp. att. cc

L’art. 38 disp. att. cc, la cui abrogazione era salutata come soluzione a tanti problemi suscitati dalle forme della tutela giurisdizionale dei diritti del minore, si è detto, continua a rimanere in vigore almeno per un biennio.

La norma è stata novellata dalla legge n. 206 del 2021, con norme immediatamente cogenti.

Il legislatore, a fronte della scelta temporale, aveva due possibilità: quella di confermare il testo dell’art. 38 cit. che, nonostante i tanti problemi interpretativi, aveva avuto modo di essere applicato secondo un orientamento ormai consolidato del giudice di legittimità, destinato a sanare una tecnica legislativa molto incerta, ovvero intervenire sul testo, modificandolo.

È questa seconda via che il legislatore ha scelto, nel tentativo – si deve pensare – di migliorare il testo dovuto all’ultima riforma: ne è risultata una norma di dubbia opportunità e di rinnovata problematica applicazione. Il tutto certamente dovuto all’impossibilità di una scelta (a cagione della dilazione nell’entrata in vigore del nuovo tribunale unico) che, sola, avrebbe risolto ogni problema interpretativo, ovvero quella dell’abrogazione della norma. 

 

3.3. La vis attractiva abbandona la perpetuatio iurisdictionis

In occasione dell’ultima novella, dovuta alla riforma della filiazione con la l. n. 219 del 2012, al fine di tentare una soluzione al rischio del contrasto di giudicati tra giudizi sulla responsabilità genitoriale, di competenza del tribunale per i minorenni, e giudizi sull’affidamento del minore, di competenza del tribunale ordinario, era stata introdotta una sorta di attrazione per connessione verso il tribunale ordinario della controversia sulla responsabilità genitoriale, quando pendesse, dinnanzi all’organo attraente, il procedimento per separazione o divorzio («resta esclusa la competenza del Tribunale per i minorenni»).

Il testo, sul piano letterale, sembrava prescindere dalla litispendenza e dalla prevenzione: sarebbe stato sufficiente che, in un qualunque momento, fosse stato introdotto un procedimento per separazione o divorzio o un giudizio ai sensi dell’art. 316 cc, perché fosse esclusa la competenza concorrente del tribunale per i minorenni.

Ben presto la giurisprudenza ha superato la lettera della norma[14], ritenendo preferibile un’interpretazione che la calasse nei principi della perpetuatio iurisdictionis, per cui, se fosse stato preventivamente introdotto il procedimento innanzi al tribunale per i minorenni, l’attrazione non avrebbe potuto aversi e i due procedimenti si sarebbero conservati parallelamente, con buona pace del principio del coordinamento e dell’unità dei giudicati[15].

L’intervento legislativo dovuto alla l. n. 206/2021 costituisce un’evidente soluzione di continuità rispetto a quell’orientamento giurisprudenziale per cui, per i procedimenti introdotti dopo il 22 giugno 2022, si prescinde dalla prevenzione. Qualunque procedimento introdotto innanzi al tribunale ordinario – anche successivo – provoca, alla luce della nuova norma, l’effetto attrattivo, e il tribunale per i minorenni perde la competenza sui profili di responsabilità genitoriale.

La norma, al massimo, consente al giudice minorile la pronuncia di misure anticipatorie e urgenti, all’esito delle quali trasmette gli atti al tribunale ordinario, innanzi al quale il procedimento, previa riunione, continua (potendo il tribunale ordinario, con proprio provvedimento, confermare, modificare o revocare le misure adottate).

La soluzione è criticabile sul piano dell’opportunità, in quanto introduce un’ipotesi di forum shopping, potendo una delle parti liberamente introdurre un’azione innanzi al tribunale ordinario per esautorare la competenza del tribunale per i minorenni. 

Si tratta, tuttavia, di una soluzione che ha almeno il merito di risolvere il problema del contrasto di giudicati, che il possibile parallelismo dei procedimenti, proprio del regime previgente, non risolveva. Certo, il problema sarebbe stato più facilmente risolto se fosse stato adottato subito, con immediata entrata in vigore, il modello del tribunale unico.

 

3.4. L’espansione oggettiva e soggettiva della vis attractiva

Sotto altro profilo, la norma non fa altro che razionalizzare soluzioni dettate, a fronte delle gravi lacune – se non addirittura contraddizioni – del testo previgente, dalla giurisprudenza di legittimità.

Così, sul piano oggettivo, il richiamo ai procedimenti attratti innanzi al tribunale per i minorenni si estende anche agli artt. 330, 332, 334 e 335 cc (in buona sostanza, tutte le controversie che riguardano la responsabilità genitoriale, nessuna esclusa, mentre la norma richiamava, nel testo precedente alla novellazione, il solo art. 333 cc). Si trattava di una soluzione già recepita dalla giurisprudenza[16].

L’espansione oggettiva dell’attrazione riguarda anche l’ambito dei procedimenti innanzi al tribunale ordinario: non più solo il procedimento per separazione o divorzio, o il procedimento sulle controversie relative all’attuazione della responsabilità genitoriale (art. 316 cc), ma anche i procedimenti camerali innanzi al tribunale ordinario di revoca o modifica dei giudicati pronunciati in sede di separazione o divorzio, ai sensi degli artt. 710 cpc e 9 l. n. 898/1970[17].

Infine, sul piano soggettivo, l’effetto attrattivo non si produce solo quando la controversia è promossa dal genitore, ma anche quando è promossa dal pubblico ministero (ipotesi rimasta dubbia nel testo originario, oggi novellato)[18].

 

3.5. La vis attractiva enigmatica dell’art. 709-ter cc: la necessità di un’interpretazione sistematica

Era dubbio, invece, l’effetto attrattivo quando pendesse un procedimento ex art. 709-ter introdotto come incidente di esecuzione, qualora sorgessero problemi di attuazione delle misure relative all’affidamento dei minori.

Essendo la competenza, nell’incidente di esecuzione, affidata al «giudice del procedimento in corso», ovvero al giudice del merito, ed essendo possibile richiedere a quest’ultimo di «modificare i provvedimenti in vigore», era parso sul piano interpretativo che pure il procedimento ex art. 709-ter cc potesse originare l’effetto attrattivo.

Peraltro, la soluzione era indotta dalla scelta, già dovuta all’art. 6, comma 10, l. n. 898/1970, oggi trasmigrata nell’art. 337-ter cc – introdotto dalla riforma della legge sulla filiazione con il d.lgs n. 154/2013 –, secondo la quale: «all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito». Nell’ambito dei procedimenti familiari e minorili, infatti, come già accennato al par. 2.4., l’esecuzione delle misure concernenti l’affidamento dei figli in caso di controversia è affidata al giudice del merito, non distinguendosi – secondo il modello del libro III del codice di rito – tra un giudice dell’esecuzione e un giudice del merito. La ragione è evidente: si vuole che sia lo stesso giudice che ha giudicato sulla fattispecie e sugli interessi coinvolti in conflitto a determinare le forme attuative più adatte, in via breve, e si vuole, se necessario, che detto giudice modifichi i provvedimenti di merito da attuare quando essi rendano insuperabile il problema attuativo. Si tratta di una delle tante espressioni delle forme di tutela differenziata (rispetto al processo comune) nell’ambito dei procedimenti familiari e minorili[19].

L’art. 38 disp. att. cc risultato della novella del 2021, reca una disposizione che rischia di non essere in linea con la scelta esaminata poc’anzi: «il Tribunale per i minorenni è competente per il ricorso previsto dall’art. 709-ter del codice di procedura civile quando è già pendente o è instaurato successivamente, tra le stesse parti, un procedimento previsto dagli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile», qualora si dovesse ritenere affidata una competenza integrale del tribunale per i minorenni in sede esecutiva, anche quando il merito è affidato al tribunale ordinario.

Peraltro, siffatta interpretazione entrerebbe in rotta di collisione con i contenuti del primo comma novellato dello stesso articolo, il quale fissa il contrario principio dell’attrazione della controversia, sempre e comunque, innanzi al tribunale ordinario, ogni qualvolta penda il giudizio di merito innanzi a quest’organo.

S’impone, pertanto, un’interpretazione sistematica che tenga conto dei principi espressi in altre norme sull’attuazione delle misure in materia di affidamento del minore (art. 337-ter cc, oggi art. 473-bis.38 cpc) e nello stesso art. 709-ter cpc, che fissa nel giudice del procedimento in corso la competenza per le controversie sull’attuazione. 

Ne consegue la necessità di costruire una competenza del tribunale per i minorenni sui provvedimenti e le misure dell’art 709-ter cit. nei soli casi in cui penda o sia instaurato, in via autonoma ed esclusiva, un procedimento sulla responsabilità genitoriale, poiché solo in tal caso si può dire che il giudice del merito sia lo stesso tribunale per i minorenni.

Qualora, invece, penda ancora un giudizio di merito innanzi al tribunale ordinario ovvero sia successivamente instaurato, resta la piena competenza del tribunale ordinario medesimo in linea anche con quanto stabilito nello stesso primo comma dell’art. 38 disp. att. cc[20].

Non si può, quindi, affermare che quest’ultimo articolo, dopo la novella, fondi una generalizzata competenza del tribunale per i minorenni sull’attuazione delle misure adottate in qualunque sede di merito, anche innanzi al tribunale ordinario.

È la pendenza del giudizio di merito a fissare la competenza: se innanzi al tribunale per i minorenni, per una vicenda di responsabilità genitoriale, sarà il giudice minorile ad adottare le misure attuative, se, invece, innanzi al tribunale ordinario, o perché ancora pendente o perché instaurato successivamente, sarà quest’ultimo competente ai provvedimenti dell’art. 709-ter cpc.

Certamente, sarebbe stata auspicabile una soluzione più chiara sul piano letterale.

 

4. Il ricorso

La forma dell’atto introduttivo è quella del ricorso (art. 473-bis.12 cpc), con il contenuto tipico di un atto contenente la domanda di merito, salvo l’esplicita previsione di una «chiara e sintetica esposizione» della causa petendi e del petitum, secondo un principio che governa l’intero processo civile riformato.

In caso di eventuale violazione di tale disposizione, il sistema resta lacunoso, dovendosi in via sistematica intendere che le conseguenze non possono riguardare il merito, in difetto di espressa previsione (neanche con il rilievo dell’argomento di prova ex art. 116 cpc), mentre probabilmente le conseguenze restano confinate al solo ambito processuale, nell’applicazione degli artt. 91 cpc, sulle spese, e 96 cpc, sulla responsabilità processuale aggravata[21]

All’attore, come peraltro anche al convenuto qualora formuli domande riconvenzionali, sono imposti oneri speciali di lealtà e correttezza, dovendo precisare i procedimenti pendenti tra le stesse parti, aventi domande anche connesse, da intendersi con riferimento sia a quelli civili che a quelli penali, con produzione dei provvedimenti anche provvisori già adottati (ex art. 473-bis.18).

Si vuole in tal modo favorire un coordinamento delle misure dettate in procedimenti connessi oppure in relazione all’accertamento di fatti rilevanti in sede penale. Certamente, la generale digitalizzazione del processo civile e penale dovrebbe favorire automatismi di coordinamento dello stesso ufficio, senza dover ricorrere alle parti.

La disposizione si riferisce letteralmente alle sole controversie sui contributi economici, ma certamente deve applicarsi quando il processo verte su diritti indisponibili.

La mancanza di un obbligo di verità della parte, nel processo dispositivo su situazioni disponibili, si impone nella dialettica tra verità e menzogna che contraddistingue quel tipo di processo: quanto più si espande il contraddittorio, tanto più è consentito al giudice di raggiungere la verità. Nel processo su situazioni indisponibili, dove la verità è assicurata più dalle attività officiose del giudice che dalla dialettica delle parti, la parte (e il suo avvocato, sul piano deontologico) ha un dovere di dire la verità; questo spiega la diversa modulazione che dev’essere data all’obbligo di lealtà e probità della parte ai sensi dell’art. 88 cpc[22].

Se la domanda verte su un contributo economico, o in presenza di figli minori, oltre alle tre dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni, il ricorso dev’essere corredato da documentazione attestante i diritti reali su beni immobili o mobili registrati, quote sociali, ed estratti conto di rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni.

Non si giunge, come un filone per buona sorte minoritario della giurisprudenza[23], a imporre alla parte di dichiarare sotto sanzione penale fatti a sé sfavorevoli, in una sorta di atto notorio, ma la lealtà impone alla parte di produrre i documenti che attestano fatti economici e patrimoniali che la riguardano e la reticenza non rileva sul merito (con la flebile conseguenza poco applicata dell’argomento di prova) quanto sugli effetti processuali discendenti dalla regolamentazione delle spese e della responsabilità processuale aggravata.

Infine, quando sono coinvolti minori, al ricorso dev’essere allegato un piano genitoriale che indichi l’impegno scolastico dei figli, le attività extra-scolastiche, le frequentazioni abituali di parenti e amici, la tipologia di vacanze godute e, in genere, il percorso educativo.

Tutto ciò per favorire una comune allegazione, che faciliti il giudice nella pronuncia della misura anche provvisoria.

Anche il pubblico ministero vede fissati i contenuti del proprio ricorso nell’art. 473-bis.13 cpc; auspicio del legislatore per una maggiore sensibilità della parte pubblica a un’effettiva partecipazione alle attività processuali.

 

5. La costituzione del convenuto

Depositato il ricorso, il presidente del tribunale designa il relatore, al quale può delegare la trattazione e l’istruzione della causa, fissa l’udienza di comparizione delle parti e il termine per la costituzione del convenuto, termine non inferiore a trenta giorni prima dell’udienza (art. 473-bis.14 cpc). Nel decreto, il presidente precisa al convenuto che la costituzione oltre il termine implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 166 cpc, che la difesa tecnica è d’obbligo e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare domanda per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e informa le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare.

Il convenuto, che gode di un termine a difesa di sessanta giorni liberi, elevato a novanta in caso di notifica all’estero, deve costituirsi mediante deposito della comparsa di costituzione e risposta entro il termine fissato nel decreto del presidente, formulando domande riconvenzionali ed eccezioni riservate alla parte, a pena di decadenza, e ha gli stessi oneri di contenuto del ricorso quando formula domanda riconvenzionale che abbia ad oggetto contributi economici o diritti del figlio minore.

 

6. Le preclusioni alle attività difensive

 

6.1. Gli atti introduttivi

Il richiamo per il convenuto all’art. 167 cpc fa intendere che egli debba, come detto, a pena di decadenza, formulare in comparsa le domande riconvenzionali e le eccezioni riservate. Simmetricamente, l’attore dovrà esaurire nel ricorso introduttivo le allegazioni fattuali e l’indicazione dell’oggetto della domanda.

La legge delega n. 206 del 2021 aveva dettato un principio direttivo in forza del quale con gli atti introduttivi dovevano esaurirsi, a pena di decadenza, non solo domande ed eccezioni, ma anche le istanze istruttorie delle parti[24], ciò differentemente dall’opzione dello stesso legislatore, dovuta agli emendamenti in Commissione giustizia del Senato, riguardante l’introduzione del processo secondo le regole del rito ordinario. In tal caso, le prove non dovevano essere dedotte e prodotte con gli atti introduttivi, ma con le memorie successive. 

La Commissione che ha elaborato l’articolato in esame, interprete del potere dell’Esecutivo di razionalizzare e armonizzare il sistema, ha ritenuto di seguire le stesse regole, con una conseguente gradualità delle preclusioni, non essendo quelle probatorie fissate con gli atti introduttivi, sul modello del rito del lavoro[25].

L’art. 473-bis.17 cpc adotta quindi un modello graduale, facendo coincidere con gli atti introduttivi le attività difensive che fissano il thema decidendum e il thema probandum (domande, fatti costitutivi e fatti che costituiscono eccezione in senso stretto) solo con le memorie successive, da versare in atti prima dell’udienza, l’iniziativa probatoria delle parti e la replica ad essa.

In tal modo si evita di sottoporre gli atti introduttivi all’inutile iniziativa probatoria prima ancora che siano noti i fatti contestati, nell’eventualità che lo siano successivamente. Gradualità negata, invece, nel rito del lavoro e riti assimilati.

Resta il dubbio di una scelta, tutta contenuta nella legge delega a cui ha dovuto allinearsi il decreto legislativo, verso la necessità di una formulazione immediata delle domande, poiché alcune di esse, come la domanda di addebito o di risarcimento danni da responsabilità dovuta a illecito endo-familiare, potrebbero alimentare un conflitto che non è facile sopire, rendendo vano ogni tentativo di conciliazione o mediazione del giudice in prima udienza.

 

6.2. Le memorie integrative

L’art. 473-bis.17 cpc consente, pertanto, all’attore di depositare memoria venti giorni prima della udienza, nella quale avrà la facoltà di esercitare lo ius poenitendi (e cioè modificare e precisare le conclusioni, ovvero attività di mera emendatio), esercitare il contraddittorio sulle domande ed eccezioni formulate dal convenuto, potendo a sua volta formulare domande nuove ed eccezioni e, infine, indicare – questa volta a pena di decadenza – mezzi di prova o produrre documenti.

A sua volta il convenuto può depositare un’ulteriore memoria dieci giorni prima dell’udienza, con la quale, a pena di decadenza, può esercitare lo ius poenitendi, dare svolgimento al contraddittorio rispetto alle domande o alle difese svolte dall’attore in prima memoria e indicare, a pena di decadenza, mezzi di prova e produrre documenti, anche a prova contraria rispetto alle prove dedotte dall’attore.

Infine, cinque giorni prima della data di udienza, l’attore ha facoltà di depositare ulteriore memoria per le sole indicazioni di prova contraria rispetto ai mezzi istruttori richiesti dal convenuto nella sua memoria.

Il processo giunge all’udienza di trattazione, alla quale devono comparire le parti, dopo aver esaurito la trattazione delle difese delle parti – rispetto a preclusioni ormai maturate, anche nelle speciali riaperture dei termini possibili per ius poenitendi e contraddittorio –, consentendo al giudice, senza ulteriori rinvii, di assumere le decisioni più opportune in ordine all’immediata rimessione in decisione della causa, ovvero all’apertura di un’attività istruttoria.

In sostanza, evitando due rinvii di udienza, le memorie di cui all’attuale art. 183, comma 6, cpc vengono anticipate prima dell’udienza, seppure con uno sviluppo di due sole memorie, una per parte, e un’ultima memoria consentita all’attore per l’esercizio del contraddittorio sulla prova.

Così facendo, è opportuno aggiungere, il sistema tiene conto della delicatezza dei diritti, anche economici, facenti capo ai componenti della famiglia, per i quali è necessaria la gradualità di maturazione delle decadenze, particolarmente in ordine alla prova, nel momento in cui sia esercitato ed esaurito il contraddittorio sulle domande e sui fatti e si conosce quanto viene effettivamente contestato. 

Tale previsione, tuttavia, vale solo per le domande aventi ad oggetto diritti disponibili (art. 473-bis.19 cpc), poiché per le controversie relative all’affidamento e mantenimento dei figli minori o altri diritti indisponibili (ad esempio, l’integrità fisica e psicologica della persona o la sua libertà, nei processi in cui ha modo di rivelare la violenza), le parti non hanno limiti all’introduzione di nuove domande, nuove eccezioni e nuovi mezzi di prova lungo tutto l’arco del processo.

 

6.3. La domanda di divorzio in sede di separazione

L’art. 473-bis.49 abilita le parti all’esercizio immediato, in sede di procedimento di separazione, della domanda di divorzio o di scioglimento degli effetti civili del matrimonio.

La soluzione preannunciata all’art. 1, comma 23, lett. bb, l. n. 206/2021 è all’evidenza un forte ridimensionamento, almeno sul piano processuale (il legislatore non ha lo stesso coraggio sul piano sostanziale), del previo svolgimento di una fase di separazione prima che le parti possano ottenere gli effetti dello scioglimento del rapporto.

Naturalmente, come correttamente precisato nella disposizione, la domanda sarà procedibile solo dopo il decorso dei termini dalla comparizione in sede di separazione e con il passaggio in giudicato della sentenza parziale di separazione.

Il sistema delle preclusioni induce alla formulazione della domanda in limine, con gli atti introduttivi. Tuttavia, se la domanda di divorzio o di scioglimento degli effetti civili fosse, decorsi i presupposti ex lege per la procedibilità, successivamente formulata in separato procedimento, il giudice dovrebbe applicare l’art. 40 cpc sul simultaneo processo tra cause connesse o, se pendenti, innanzi allo stesso giudice sulla riunione ex art. 274 cpc.

In tal modo, il legislatore risolve un dibattito con alterne soluzioni a seguito della l. n. 55/2015, che ha abbreviato i termini per la proposizione della domanda di divorzio/scioglimento aprendo la concreta prospettiva della duplice pendenza tra domanda di separazione domanda di divorzio, che oggi viene risolta favorendo il cumulo delle domande nello stesso processo, in limine o, successivamente, mediante gli istituti della connessione e della riunione.

La duplice pendenza delle diverse domande aveva suscitato egualmente un dibattito sul coordinamento dei provvedimenti, anche provvisori, emessi contestualmente nei diversi procedimenti. Il tema è ripreso dalla disposizione in esame: «la sentenza emessa all’esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti».

Si era infatti sostenuto[26] che alcuni diritti (quelli facenti capo al minore) fossero egualmente regolati in relazione alle due diverse domande, per cui, accertato in una se non vi fossero state sopravvenienze di fatti rilevanti, non poteva non essere accertato nella stessa misura nell’altra (l’affidamento, il contributo economico al figlio). Altri, in particolare il contributo economico al coniuge, per la diversa disciplina in sede di separazione rispetto all’assegno divorzile, non ponevano problema di contrasti di giudicati, bensì semplicemente di diversa durata delle misure differentemente regolate. Ecco la ragione dei capi diversificati e della decorrenza dei diversi contributi economici.

Sotto questo profilo particolare, sul piano sostanziale nulla dovrebbe mutare rispetto al passato; sino al passaggio in giudicato della sentenza sullo status oggetto della domanda divorzile dovrebbe trovare vigenza il contributo di mantenimento determinato a seguito della domanda di separazione; dopo detto passaggio in giudicato, entra in vigore la nuova norma sull’assegno ex art. 5 l. n. 898/1970. Certamente il giudice non potrà far retrocedere l’assegno divorzile nel periodo antecedente alla sentenza parziale passata in giudicato sullo status.

 

7. Le riaperture alle difese in corso di causa

La possibilità di nuove difese nel corso del processo si riapre qualora si manifestino mutamenti delle circostanze oppure nuovi accertamenti istruttori, anche in relazione a domande aventi ad oggetto diritti disponibili, consentendo alle parti di proporre nuove domande, allegare nuovi fatti e dedurre nuovi mezzi di prova.

Il profilo degli effetti provocati dai mutamenti delle circostanze, che incidono anche sul giudicato, non costituisce certo una significativa novità, essendo il presupposto di nuove difese anche nel rito ordinario.

Laddove il presupposto della riapertura dei termini difensivi sia fondato invece su nuovi accertamenti istruttori, esso costituisce profilo originale che contraddistingue la tutela differenziata in materia di famiglia.

Ne consegue che, se nel corso di un’indagine di polizia tributaria, oppure di una consulenza patrimoniale, emergono fatti prima ignorati dalla parte, quest’ultima potrà formulare domande di contributo economico o assegno in favore proprio o di figli maggiorenni non economicamente indipendenti, che trovano fondamento su tali fatti, riscontrati per la prima volta in sede istruttoria, benché non sopravvenuti.

Ovviamente, resta l’applicazione – perché contenuta nel libro I e, quindi, di generale valenza – dell’art. 153, comma 2, cpc sulla remissione in termini delle difese, quando la decadenza nella quale sia incorsa la parte è dovuta a causa ad essa non imputabile.

Infine, l’intervento del terzo non è ammesso fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, ma può effettuarsi sino al termine di costituzione del convenuto, decorso il quale l’intervento non può più avere luogo, salvo che si integri il contraddittorio per pretermissione del litisconsorte necessario (art. 473-bis.20 cpc).

Il sistema testé descritto sulle preclusioni all’attività difensiva delle parti, in particolare sulle deduzioni istruttorie, deve coordinarsi con la previsione dell’art. 473-bis.2 cpc sui poteri del giudice, laddove il secondo comma della norma consente al giudice, con riferimento alla domanda di contributo economico, ovvero avente ad oggetto diritti disponibili, di «ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi, se del caso, della polizia tributaria».

I poteri del giudice prescindono ovviamente da limiti temporali di esercizio e dalle decadenze in cui sono cadute le parti nello loro iniziative[27].

Si pone così una regola assolutamente originale nelle controversie familiari e minorili, a differenziare il regime della prova quanto a preclusioni e iniziative di parte e del giudice.

 

8. Il contraddittorio del minore e del pm

Una delle novità, per la parte normativa dettata immediatamente dalla legge delega (entrata in vigore già il 22 giugno 2022), è la novellazione degli artt. 78 e 80 cpc: il processo minorile amplia le ipotesi[28] in cui il minore debba essere rappresentato tecnicamente nel processo da un difensore, e deve essere integrato il contraddittorio ai sensi dell’art. 102 cpc[29].

La normativa della legge delega è stata trasferita dagli artt. 78 e 80 cpc all’art. 473-bis.7 cpc.

La nomina del curatore speciale del minore, cui consegue la sua partecipazione come parte necessaria del processo, si impone nella controversia sulla decadenza dalla responsabilità genitoriale (se esercitata dal pm verso entrambi o di uno dei genitori verso l’altro), nelle controversie sull’allontanamento del figlio minore, soggetto a sindacato giurisdizionale ai sensi dell’art. 403 cc, e di affido preadottivo ai sensi degli artt. 2 ss. della l. n. 184/1983, nonché nei casi in cui ne faccia richiesta il minore che ha compiuto quattordici anni.

A tali ipotesi, i cui presupposti sono certi e determinati, se ne impone una dai contorni più generici: quando il livello di conflittualità in causa dei genitori induce il giudice a ritenere inadeguata la rappresentanza processuale del minore da parte di entrambi i genitori. La fattispecie descritta dalla norma lascia spazio a un’interpretazione, ma al giudice resta affidato un potere-dovere e non un potere discrezionale.

La conseguenza della violazione di tale ipotesi (con tutta la problematicità dei contorni generici dell’ipotesi), come delle altre, implica radicale nullità degli atti del procedimento. Ciò fa pensare a una certa propensione del giudice alla nomina del curatore speciale del minore e, dunque, alla sua costituzione formale nel processo come parte necessaria.

Il richiamo alla nullità non deve ritenersi richiamo alla mera nullità formale degli atti; piuttosto, a una nullità extraformale, inquadrabile nell’ambito della carenza dei presupposti processuali, in particolare del litisconsorzio necessario ex art. 102 cpc, con l’applicazione della relativa normativa in caso di violazione e con il richiamo alle norme sulla remissione in primo grado, qualora il vizio sia colto per la prima volta in appello o nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione (artt. 354, comma 1 e 383, comma 3, cpc).

Accanto a ipotesi necessitate di partecipazione formale del minore al processo, esiste un’ipotesi discrezionale, dovuta all’occasionalità dell’inadeguatezza del genitore a rappresentare il minore nel processo («per gravi ragioni temporaneamente inadeguati»), dove il provvedimento necessita di una motivazione particolare, come in tutti i casi in cui il giudice esercita un potere discrezionale.

Le norme sul curatore speciale del minore, rispetto alle quali nulla ha potuto il Governo nell’esecuzione della delega, perché già cogenti nei contenuti della legge delega, presentano ulteriori problematiche applicative di non poco conto.

In primo luogo, la previsione di un affidamento al curatore speciale del minore anche di «specifici poteri di rappresentanza sostanziale». La commissione ministeriale, quindi il Governo, nell’adozione del decreto legislativo, non hanno potuto far altro che differenziare, come la lettura del precedente art. 473-bis.7 cpc consente, il ruolo del curatore speciale del minore rispetto al ruolo del curatore del minore, la cui nomina è disposta all’esito o nel corso del procedimento di limitazione della responsabilità genitoriale. Quest’ultimo è munito di poteri di rappresentanza sostanziale più ampi, sostitutivi in tutto o in parte della responsabilità genitoriale, che non vanno confusi con i poteri di rappresentanza sostanziale del curatore speciale del minore, ai sensi della successiva norma in commento. Detti poteri, come precisa la norma, sono «specifici» e possono perciò riguardare singoli atti precisati dal giudice, ma non un potere di generica – parziale o totale – sostituzione della responsabilità genitoriale. Su tale aspetto, sarà la pratica applicativa a dare risposte.

Le prime esperienze applicative[30] hanno dato luogo a soluzioni molto opinabili e contrarie all’interpretazione che qui si è proposta.

Vi è un ulteriore aspetto problematico, costituito dai rapporti del curatore speciale del minore con il giudice. 

Il curatore speciale del minore è un difensore tecnico del minore, non un ausiliario del giudice. Egli deve esercitare il suo ministero in rigorosa applicazione dei principi di diligenza, autonomia e indipendenza imposti dal codice deontologico forense (anche in relazione ai difensori delle altre parti).

Pertanto, oltre a essere munito di una specifica preparazione nel delicato ruolo di rappresentanza del minore (si consideri che il curatore speciale deve procedere all’ascolto del minore che egli rappresenta), deve sapersi districare nel conflitto degli interessi tra i genitori, senza assecondare l’uno a scapito dell’altro, nella valutazione del supremo interesse del minore, ma soprattutto non è un ausiliario del giudice. 

Non potrà, pertanto, assistere il giudice in sede di attuazione delle proprie misure (essendo all’uopo previsto il ruolo degli assistenti sociali o del consulente tecnico); se necessario, potrà reclamare le misure provvisorie e appellare le sentenze conclusive di un grado di giudizio, nella sua autonoma e indipendente valutazione degli interessi del minore nella tutela giurisdizionale dei diritti.

Nulla muta, invece, sul contraddittorio del pm, non essendo modificati gli artt. 69 e 70 cpc, il quale conserva il suo diritto di azione innanzi al tribunale per i minorenni, come anche il ruolo di parte necessaria nei procedimenti relativi oppure in quelli di separazione e divorzio, in quelli sullo status e la capacità. Il regime del pm come parte necessaria deve essere inquadrato, come quello del curatore speciale rappresentante del minore, nei casi di litisconsorzio necessario, con il regime sanzionatorio relativo, la possibilità di sanatoria, la remissione in termini ex lege e la rimessione al giudizio di primo grado in sede di appello e di giudizio di cassazione (artt. 102, comma 2; 268, comma 2; 354, comma 1; 383, comma 3 cpc).

La partecipazione di una parte che rappresenta il minore, e di una parte che rappresenta l’interesse pubblico all’applicazione delle norme a tutela del minore, avrebbe potuto attenuare i poteri attribuiti nelle controversie minorili al giudice, sia in ordine a domande che a eccezioni rilevanti, ma le norme sul processo che ha ad oggetto situazioni indisponibili (vds. parr. 2.1. e 6), al contrario, affidano intensi poteri al giudice e costituiscono il segno della scarsa fiducia del legislatore verso curatore speciale e pm[31]. Ciò non toglie che, se il diritto vivente dovesse svolgersi diversamente, potrebbero essere attenuati de iure condendo i poteri di un giudice che rischia di fuoriuscire dalla terzietà per essere abilitato a iniziative in ordine a domande o allegazione dei fatti, essendovi nel processo parti in grado di svolgere le opportune iniziative difensive.

Il legislatore responsabilizza particolarmente anche il pm, affidandogli poteri investigativi (art. 473-bis.3 cpc) anche a mezzo dei servizi sociali e della polizia tributaria, e imponendogli in sede di ricorso vincoli di contenuto e di produzione, al pari dell’iniziativa introduttiva di una parte privata (art. 473-bis.13). Il difetto di indicazione degli elementi essenziali della domanda rende necessaria la sanatoria dell’art. 164 cpc.

 

9. Il rilievo delle misure provvisorie

Nella materia familiare e minorile, come peraltro nella materia delle persone, il giudice deve anticipare la regola concreta di comportamento alle parti rispetto alla sentenza finale, principio basilare della tutela differenziata, come già si è detto nel par. 2.2.

Si tratta di una necessità già presente nel regime previgente. Nelle controversie sulla crisi della famiglia – separazione e divorzio – il presidente, nella fase preliminare a cognizione sommaria, emette necessariamente misure provvisorie e urgenti.

L’istituto aveva indotto addirittura a forzare, innanzi al tribunale per i minorenni, il rito camerale, la cui esclusività escludeva, sul piano sistematico, l’ammissibilità di una tutela cautelare e urgente in via incidentale, coincidendo quel rito con un procedimento a cognizione sommaria, che non tollera la concorrenza con mezzi alternativi o contestuali. Oggi è innegabile, nel procedimento innanzi al tribunale per i minorenni, l’adozione di misure provvisorie e urgenti in limine litis, suscettibili di reclamo ex art. 739 cpc.

 

9.1. Le misure provvisorie inaudita altera parte

La riforma coglie il profilo differenziale del rito e introduce l’ammissibilità anche di una misura provvisoria inaudita altera parte, concessa al momento stesso del deposito del ricorso, quando vi è rischio di un pregiudizio imminente e irreparabile ovvero qualora la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento (art. 473-bis.15 cpc). La norma colma la lacuna del recente passato, che induceva il ricorrente a tentare la via del provvedimento d’urgenza nella fase che separava il deposito del ricorso e l’udienza presidenziale; nel contempo, costituisce un interessante richiamo alla disciplina dedicata all’istituto del processo cautelare uniforme (art. 669-sexies, comma 2, cpc).

In analogia a tale disciplina, il giudice, concessi i provvedimenti indifferibili, deve fissare l’udienza per la convalida, questa volta con il contraddittorio dell’altra parte, entro i successivi quindici giorni. I provvedimenti possono, in tutto o in parte, anticipare i provvedimenti di merito riguardanti i figli e, nei limiti delle domande proposte, le parti.

 

9.2. I provvedimenti provvisori all’udienza

All’udienza fissata, qualora il giudice non riesca a conciliare le parti con il loro contraddittorio e assunte, ove occorra, sommarie informazioni, offre con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse delle parti, in tal caso nei limiti delle domande proposte, e dei figli, potendo assumere in tale ultimo caso iniziative officiose, per il carattere indisponibile dei diritti facenti loro capo (art. 473-bis.22 cpc).

L’ordinanza è titolo esecutivo, titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, e conserva la sua efficacia anche dopo l’estinzione del processo (previgente art. 189 disp. att. cpc).

Con la stessa ordinanza, il giudice provvede sulle richieste istruttorie e, in caso di ammissione, fissa il calendario del processo. In difetto, fa precisare le conclusioni e ordina la discussione orale della causa nella stessa udienza ovvero, su istanza di parte, in un’udienza successiva, trattenendo all’esito la causa in decisione e rimettendo al collegio. Il giudice procede nello stesso modo qualora sia richiesta sentenza parziale sullo status, contro la quale è ammesso solo appello immediato.

 

9.3. Revoca, modifica e reclamo dei provvedimenti temporanei e urgenti

Superando le difficoltà interpretative, nel coordinamento tra gli artt. 708 e 709 cpc, in ordine al rapporto tra revoca, modifica e reclamo, dovuto quanto ai primi alla mancata previsione legislativa del presupposto delle sopravvenienze fattuali, la riforma rimodula la disciplina nell’art. 473-bis.23 cpc.

La revoca e modifica sono consentite, infatti, solo in presenza di circostanze sopravvenute, e non più ad libitum, oppure in caso di nuovi «accertamenti istruttori». Questi ultimi, oltre a riaprire i termini difensivi delle parti (art. 473-bis.19, comma 2, cpc - cfr. par. 7), consentono un adattamento dei provvedimenti provvisori ai mutamenti della fattispecie, ma anche all’acquisizione di diversi convincimenti dovuti allo svolgimento dell’istruttoria.

A prescindere dalla sopravvenienza, è comunque ammesso il reclamo avverso i provvedimenti provvisori emessi in udienza entro dieci giorni da quest’ultima, se vi è pronuncia immediata, ovvero, fuori udienza, dalla comunicazione o notificazione, se anteriore.

L’opportunità che aveva la riforma di modulare la disciplina del reclamo sulla disciplina del processo cautelare uniforme, ormai matura perché dettata oltre trent’anni orsono, che ha dimostrato buona prova di sé, anche in relazione ai tempi – art. 669-terdecies cpc –, non è stata presa in considerazione, preferendosi un modello speciale[32].

Il reclamo è proposto innanzi alla corte d’appello, soluzione anch’essa non opportuna (e ai limiti dell’eccesso di delega). Il decreto legislativo – in attesa dell’introduzione del tribunale unico, ove il reclamo dovrà essere proposto all’articolazione distrettuale collegiale dello stesso tribunale – avrebbe dovuto affidare il reclamo al collegio del tribunale, al quale non può partecipare il giudice che ha pronunciato la misura provvisoria.

Qui si pone un problema di allineamento alla delega, poiché la legge n. 206 del 2021, all’art. 1, comma 23, lett. r, recita: «disciplinando il regime della reclamabilità dinanzi al giudice, che decide in composizione collegiale» e, alla successiva lett. v, dispone: «modificare l’articolo 178 del codice di procedura civile introducendo una disposizione in cui si preveda che, una volta istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, l’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio». Orbene, il riferimento in entrambi i casi al collegio fa pensare all’articolazione collegiale dello stesso organo e non ad altro organo, qual è la corte di appello. Per quanto si dirà tra breve, è auspicabile che le corti di appello sollevino al giudice della legittimità della legge la questione dell’eccesso di delega.

L’affidamento alla corte d’appello potrebbe infatti riproporre il modello giurisprudenziale di un reclamo asfittico, ricondotto rigorosamente a una revisio prioris istantiae, che non ammette mezzi istruttori o deduzione di fatti nuovi e, infine, consente l’accoglimento, con interpretazione praeter legem, solo in caso di manifesta fondatezza (è l’esperienza del reclamo ex art. 708 cpc nei confronti dei provvedimenti presidenziali).

A rompere il rischio di tale filone interpretativo è la previsione espressa della possibilità per la corte d’appello, in sede di reclamo, di assumere «ove indispensabile ai fini della decisione», «sommarie informazioni». Almeno, l’aspetto della prova non sarà precluso[33].

Resta che l’eventuale fatto sopravvenuto, per espressa previsione, potrà essere dedotto solo davanti al giudice del merito.

Il reclamo non è ammesso solo contro i provvedimenti provvisori pronunciati in prima udienza, ma anche contro quelli emessi in corso di causa (superando l’attuale assetto contrario, nel caso dei provvedimenti del giudice istruttore in sede di separazione o divorzio[34]), nei limiti di contenuto coincidenti con i profili personali del rapporto tra figlio e genitore e, quindi, per il caso di sospensione o introduzione di sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale ovvero di rilevanti modifiche all’affidamento e alla collocazione del minore oppure, infine, di affidamento a soggetti diversi dai genitori.

Ne risulta, quindi, l’inammissibilità di reclami sui profili economici, siano essi dettati nell’interesse del minore, ove assurgono a diritti indisponibili, oppure dettati in favore o contro il figlio maggiorenne o i coniugi (o i partner dell’unione civile).

In coerenza con un interessante orientamento della Suprema corte avverso le ordinanze provvisorie del tribunale per i minorenni, quando vertenti su profili personali nel rapporto tra figli e genitori, l’esito del reclamo apre la strada a un’ulteriore impugnativa, costituita dal ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.[35].

Come già sul piano giurisprudenziale, oggi, sul piano legislativo, il ricorso straordinario non è più fondato solo sulla decisorietà del provvedimento da impugnare, ma anche sulla natura personale del diritto provvisoriamente accertato.

 

10. L’istruttoria

Con la stessa ordinanza con cui dà i provvedimenti provvisori in udienza, all’esito negativo del tentativo di conciliazione, al cui fine le parti devono comparire personalmente all’udienza (art. 473-bis.21), il giudice ammette i mezzi di prova richiesti o dà svolgimento alla sua iniziativa (in tal caso, le parti devono essere rimesse in termini per l’esercizio del diritto alla controprova, come letteralmente prevede l’art. 473-bis.2, comma 1), e fissa il calendario del processo, dovendo dare inizio all’udienza istruttoria nel termine (ordinatorio) di novanta giorni.

I poteri di iniziativa probatoria del giudice si esprimono nell’ambito dei procedimenti aventi ad oggetto diritti indisponibili oppure diritti economici che corrono tra i componenti della famiglia che ne hanno diritto (coniuge e figli).

Le prove possono beneficiare, sempre in relazione ai fatti rilevanti rispetto ai diritti del minore, di una deroga dei limiti di ammissibilità regolati nel codice civile, ovviamente per quei limiti che hanno la loro ratio nel processo, come ad esempio il prevalere, sotto il profilo del valore del contratto o dei patti aggiunti e contrari, della prova documentale; non certamente per quelli che hanno matrice nel diritto sostanziale (forma del contratto, disponibilità oggettiva e soggettiva dei diritti nella prova confessoria e nel giuramento).

L’attività di assunzione della prova non può essere delegata, nel periodo in cui opererà ancora il tribunale per i minorenni, ai giudici laici – particolarmente, l’ascolto del minore e la prova testimoniale –, richiedendosi un giudice esperto di diritto e soprattutto sensibile alle norme processuali, con le garanzie del diritto di difesa e del diritto di contraddire.

Di rilievo le norme sulla consulenza tecnica e sull’intervento dei servizi sociali.

Anzitutto, per la precisione richiesta nel quesito a tali ausiliari del giudice («precisa l’oggetto dell’incarico»; «indica in modo specifico l’attività ad essi demandata»), con l’avvertenza che le indagini sulla personalità dei genitori devono condursi solo ed esclusivamente se capaci di incidere sulla responsabilità genitoriale.

In secondo luogo, per il metodo che deve ispirare la relazione, con una distinzione tra fatti accertati oggettivamente, dichiarazioni raccolte presso le parti e i terzi e opinioni del consulente o dell’assistente sociale, nonché la coerenza con «metodologie e protocolli (…) riconosciuti dalla comunità scientifica», che devono essere esplicitati nella consulenza o nella relazione.

In terzo luogo, per il criterio di scelta del consulente «tra quelli dotati di specifica competenza in relazione all’accertamento e alle valutazioni da compiere». È, in proposito, necessario ricordare le norme immediatamente in vigore a seguito della l. n. 206/2021, che hanno inciso sugli artt. 13 e 15 disp att. cpc: l’istituzione nell’albo degli esperti della nuova categoria «della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell’età evolutiva e della psicologia giuridica e forense» e il rigore dei requisiti per l’iscrizione, richiedendosi, anche separatamente, i requisiti della comprovata esperienza nell’ambito della materia minorile o della violenza domestica, del conseguimento di master e specializzazioni post-universitarie nella materia, purché iscritti da un quinquennio nell’albo professionale, e della concreta esperienza clinica con minori in strutture private o pubbliche.

Ancora, per la particolare sensibilità verso il diritto di difesa e il contraddittorio delle parti, che per il consulente sono già garantiti dagli interventi della l. n. 69/2009 sul codice di rito, per i servizi sociali e sanitari – dove la prassi ha sempre manifestato una scarsissima attenzione degli operatori – mediante la fissazione di termini per memorie delle parti e il diritto delle stesse di estrarre copia delle relazioni e degli accertamenti trasmessi all’autorità giudiziaria.

Infine, viene opportunamente distinto l’intervento del consulente rispetto a terapie di sostegno alle famiglie e ai minori, che possono essere solo suggerite, necessitando tuttavia di altro tipo di intervento.

Le terapie psicologiche sembrano, invece, al centro dell’art. 473-bis.26, che introduce il cd. “coordinatore genitoriale”[36] (termine che il legislatore, quasi per pudore, non sbilanciandosi troppo nel dibattito politico, ha evitato di usare), nominato su istanza congiunta delle parti, scelto nell’ambito dell’albo degli stessi consulenti (ma non necessariamente in caso di diversa congiunta volontà delle parti), il quale «interviene sul nucleo familiare al fine di superare i conflitti tra le parti» ed essere di ausilio ai minori. Trattasi di un ausiliario che potrà essere particolarmente utile in sede di attuazione delle misure adottate sull’affidamento, a fronte della conflittualità che mai si assopisce neanche dopo il giudizio provvisorio o finale.

Naturalmente, i compiti del coordinatore sono fissati dal giudice il quale, oltre a stabilire i termini per relazioni periodiche, con il contraddittorio delle parti che possono presentare memorie, resta affidatario di ogni potere nel dirimere controversie anche sui compiti e gli obiettivi dell’ausiliario.

Sia i provvedimenti temporanei e urgenti, sia i provvedimenti istruttori possono essere preceduti da un tentativo di mediazione familiare (su cui infra, par. 12).

 

11. L’ascolto

Le norme, diffuse in più luoghi del codice civile, sull’ascolto vengono inserite nelle disposizioni per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie agli artt. 473-bis.4, 473-bis.5 e 473-bis.6.

La legge delega n. 206/2021 contiene un riferimento limitato, nei principi direttivi, all’ascolto. Più particolarmente, all’art. 1, comma 23, lett. b, si prevede che, «[q]ualora un figlio minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori, (…) il giudice, personalmente, sentito il minore e assunta ogni informazione ritenuta necessaria, accerta con urgenza le cause del rifiuto ed assume i provvedimenti nel superiore interesse del minore»; alla lett. t: «il giudice, anche relatore, previo ascolto non delegabile del minore, anche infra dodicenne, ove capace di esprimere la propria volontà, fatti salvi i casi di impossibilità del minore, [può] adottare provvedimenti relativi ai minori»; alla lett. dd è previsto «il riordino delle disposizioni in materia di ascolto del minore, anche alla luce della normativa sovranazionale di riferimento».

In tal modo si ribadisce, anche alla luce della normativa comunitaria, l’obbligo di ascolto, da parte del giudice, senza deleghe (è opportuno ricordare che la stessa legge, alla lett. c del comma 23 cit., quanto alla delega per la trattazione e l’istruzione al giudice relatore, esclude che essa possa essere data ai giudici onorari del tribunale per i minorenni quando si tratti di ascoltare i minorenni). La novità è costituita dalla necessità di procedere celermente all’ascolto, quando il figlio minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori, per comprenderne le motivazioni e assumere gli opportuni provvedimenti.

L’art. 473-bis.4 ribadisce l’obbligo dell’ascolto se il minore ha compiuto quattordici anni, oppure di età inferiore se capace di discernimento, quando i provvedimenti richiesti o assunti d’ufficio hanno ad oggetto diritti di cui è titolare il minore. La stessa norma chiarisce i casi in cui l’ascolto può escludersi, imponendo al giudice una motivazione che può fondarsi esclusivamente sull’interesse del minore, sulla superfluità, ad esempio nel caso di accordi tra i genitori sull’affidamento, il collocamento e il diritto di visita, oppure sull’impossibilità fisica e psichica dell’ascolto o, infine, se il minore non vuole essere ascoltato.

L’art. 473-bis.6, in coerenza con il principio direttivo, stabilisce che l’ascolto debba avvenire, come già evidenziato, «senza ritardo» qualora il minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori. La stessa urgenza si impone al giudice quando siano allegate o segnalate condotte di uno dei genitori volte a ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo dell’altro genitore con il minore, oppure rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

In tali ipotesi, che la pratica fa verificare assai spesso, il giudice può disporre l’abbreviazione dei termini processuali per la conduzione del processo (similmente a quanto, come si dirà, dispone l’art. 473-bis.42 per il caso di allegazione di fatti di violenza domestica o di genere).

Deve altresì dirsi che, proprio a seguito dell’allegazione di tali fatti, l’art. 473-bis.45 impone l’ascolto «personale e senza ritardo» del minore «evitando ogni contatto con la persona indicata come autore degli abusi e delle violenze», potendosi sostituire l’adempimento con l’ascolto già effettuato presso altra autorità, anche penale, onde evitare il rinnovarsi del confronto con episodi che possono indurre conseguenze psicologiche al minore.

Le modalità di esercizio dell’ascolto sono la riproduzione nel corpo delle norme sul procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, dell’art. 38-bis, disp. att. cc. 

Tendenzialmente, l’ascolto è effettuato e condotto personalmente dal giudice, il quale può solo farsi assistere da consulenti o ausiliari, curando la separatezza dell’ascolto di più minori, l’idoneità e adeguatezza dei locali, anche fuori dal tribunale e la compatibilità degli orari con gli impegni scolastici del minore.

La partecipazione dei difensori delle parti, del curatore speciale del minore – se nominato – e del pm dev’essere autorizzata dal giudice, dovendosi altrimenti concordare precedentemente i temi oggetto dell’ascolto stesso con detti difensori. L’art. 38-bis cit. ammetteva la partecipazione delle parti e dei difensori quando fossero assicurati idonei mezzi tecnici (oggi la norma è contenuta nell’art. 152-quater disp. att. cpc).

 

12. La mediazione familiare

La mediazione familiare[37], che nel previgente art. 337-octies, comma 2, cc aveva l’obiettivo di «raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli», era strumento lasciato alla discrezione del giudice, rigorosamente fondato sul consenso delle parti e affidato a un esperto. 

Il legislatore non chiariva, tuttavia, la qualifica professionale necessaria per l’affidamento.

Altra disposizione, l’art. 342-ter, comma 2, cc, nella disciplina degli ordini di protezione contro la violenza e la limitazione delle libertà nelle convivenze fondate sul matrimonio, sull’unione civile o sulle unione di fatto, introduceva invece un’iniziativa del giudice vincolante per le parti («il giudice può disporre, altresì, ove occorra, l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare»).

Tale assetto normativo non aveva aperto la prospettiva di una soluzione della controversia mediante mediazione familiare, sia per la ritrosia dei giudici ad affidare le parti a un esperto la cui professionalità era ignota, sia per la difficoltà di raccogliere il consenso delle parti, causa l’intensità del conflitto, e condurre la mediazione nel contesto di procedimenti in cui avevano modo di emergere fatti di violenza di genere o domestica. 

In questo contesto particolare si calano i principi direttivi della legge n. 206, i quali, opportunamente, favoriscono l’intervento del mediatore familiare sia enunciandone l’esistenza nel decreto di fissazione di udienza, sia ribadendone l’opportunità in sede di udienza di comparizione delle parti (cfr. art. 1, comma 23, lett. f e n) e, infine, provvedendo a una riorganizzazione dell’attività professionale del mediatore familiare, pur nel contesto di una professione priva di un ordine regolato dalla legge, ai sensi della l. n. 4/2013, in modo da assicurare professionisti idonei all’esercizio dell’attività (cfr. art. 1, comma 23, lett. o e p).

Le possibili soluzioni legislative della delega potevano essere due:

- introdurre una disciplina di legge dedicata alla professione del mediatore familiare, istituendo una professione con un proprio ordinamento giuridico, sul modello delle professioni organizzate dalla legge (avvocati, notai, consulenti del lavoro, psicologi, commercialisti, etc.);

- lasciare che la professione del mediatore familiare fosse organizzata mediante libere associazioni private riconosciute dal Ministero, ai sensi della legge n. 4/2013.

Come già si è evidenziato, l’opzione della delega non è stata quella di introdurre una professione ordinistica regolata dalla legge, bensì una professione organizzata da libere associazioni autorizzate dal Ministero. Pertanto, non esiste un ordinamento professionale dei mediatori familiari, né questi ultimi devono superare un esame di Stato per essere iscritti a un albo; esistono mediatori familiari iscritti ad associazioni private, i quali hanno sostenuto i corsi e superato gli esami imposti dalle associazioni di appartenenza, per regolamento interno.

Il capo I-bis delle disposizioni di attuazione – di cui diremo tra breve – è tuttavia il segno di una non totale autonomia delle associazioni professionali dei mediatori familiari, poiché per l’esercizio della professione, almeno nelle funzioni ausiliarie della giurisdizione, è necessario appartenere ad appositi elenchi (art. 12-ter disp. att. cpc) tenuti presso i tribunali.

In tal modo, si colma il vuoto normativo sulla professionalità dell’esperto.

I principi direttivi, in linea con la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza di genere e domestica (Istanbul, 11 maggio 2011, ratificata con legge n. 77/2013) e con le norme deontologiche che i mediatori familiari, organizzati in associazioni, si sono prefissati, hanno escluso che l’invito alla mediazione o la mediazione stessa possano aversi nel caso di allegazione di una qualsiasi forma di violenza. Quindi, con un principio direttivo esattamente contrario al previgente assetto dell’art. 342-ter, comma 2, cc, è risolto anche l’ulteriore aspetto con una netta soluzione di continuità. 

Sotto il primo profilo – pur permanendo una base consensuale ineliminabile all’istituto della mediazione familiare, che non può essere imposta neppure come tentativo obbligatorio, difformemente dall’art. 5 d.lgs n. 28/2010, o dagli artt. 3 e 6 l. n. 162/2014 – la riforma impone al giudice l’enunciazione alle parti dell’esistenza di una via di mediazione familiare, integrativa della giurisdizione, al fine di favorire il dialogo e, possibilmente, il consenso a soluzioni – anche se poi suggerite dal giudice –, particolarmente nel delicato rapporto tra genitore e figli minori, e la scelta di un professionista che ne abiliti le funzioni ausiliarie.

Sotto il secondo profilo, si ha una coerenza delle norme processuali ai principi e alle regole stabilite nella Convenzione di Istanbul, divenuta legge dello Stato.

Pertanto, l’art. 473-bis.10 invita il giudice a informare le parti «in ogni momento» della possibilità di avvalersi della mediazione familiare, in occasione della quale «ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo».

La norma preserva l’ampio spettro delle finalità della mediazione, che non vengono predeterminate dal legislatore, ma lasciate ai chiarimenti e alla professionalità del mediatore, dove il punto di arrivo è soprattutto quello di un “rinnovato dialogo” tra le parti, certamente sui contenuti del rapporto tra i genitori e i figli minori, ma anche più ampiamente sul rapporto tra coniugi o uniti civilmente, o conviventi. Perciò, differentemente dalla formulazione del previgente art. 337-octies, comma 2, cc, l’obiettivo non è solo l’accordo e il particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli.

Resta, nel secondo comma dell’art. 473-bis.10, la possibilità per il giudice, con il consenso delle parti, di rinviare l’adozione dei provvedimenti provvisori facendoli precedere da un tentativo di mediazione destinata ad un accordo, in particolare sul rapporto genitoriale con i figli, sulla cui base può essere poi pronunciato il provvedimento provvisorio del giudice.

Ma è certamente nelle disposizioni di attuazione del codice di rito che si rinviene la disciplina più originale della riforma. 

Viene inserito nel titolo II, dedicato agli esperti ausiliari del giudice, un capo I-bis, dedicato ai mediatori familiari. 

Pur avendo optato per un ordinamento professionale non interamente regolamentato ex lege, in coerenza con il principio direttivo che ha voluto conservare il richiamo alla l. n. 4/2013 sulle professioni non organizzate, la disciplina della riforma appare assai articolata. Si consideri la mancanza sino ad oggi di una legge statale che organizzasse un albo di mediatori, salvo l’esperienza di alcune leggi regionali dichiarate incostituzionali[38], essendo la materia delle professioni regolamentate affidata alla legge dello Stato.

L’art. 12-sexies disp. att. del codice di rito rinvia, per la regolamentazione della formazione, deontologia e tariffe, a un decreto ministeriale che deve, tuttavia, allinearsi ai dettami della l. n. 4/2013. Dunque lo Stato, seppure con un regolamento, non declina a una disciplina dei profili essenziali della professione di mediatore familiare.

Si tratta di un’impostazione corretta, tenuto conto della funzione ausiliaria dei mediatori familiari a un procedimento di ordine pubblicistico, qual è la giurisdizione, avente ad oggetto diritti per lo più indisponibili.

Presso ogni tribunale sarà tenuto un elenco dei mediatori (art. 12-bis disp. att. cpc) formato e soggetto a revisione quadriennale da un apposito comitato costituito dal presidente del tribunale, dal procuratore della Repubblica e da un rappresentante delle associazioni riconosciute dal Ministero.

L’appartenenza, per almeno un quinquennio, alle sole associazioni riconosciute dal Ministero e la formazione attestata dall’associazione consentono l’iscrizione all’elenco per atto del comitato, reclamabile innanzi al comitato istituito presso la corte di appello (art. 12-quater e quinquies, loc. cit.).

È evidente l’autonomia del comitato nella valutazione dei requisiti, particolarmente quello relativo alla formazione, che non può esaurirsi nella semplice acquisizione della certificazione dell’associazione di appartenenza (l’art. 12-quinquies colloca, tra i documenti da allegare alla domanda, separatamente l’attestazione dell’associazione e i «titoli e i documenti che l’aspirante intende allegare per dimostrare la sua formazione e specifica competenza»).

Ma la disciplina statale va ben oltre. Sono richiamati gli artt. 19, 20, 21 disp. att. cpc sui consulenti tecnici, ovvero il controllo disciplinare del presidente del tribunale, che può condurre, sulla base della mancata specchiata condotta morale e della violazione degli obblighi imposti dagli incarichi, a un procedimento disciplinare (che può essere promosso anche dal procuratore della Repubblica o dal presidente dell’associazione professionale), presso lo stesso comitato che forma l’albo (e, in sede di reclamo, presso il corrispondente comitato della corte di appello), il quale può graduare la sanzione dall’ammonimento alla sospensione, sino alla cancellazione dall’albo.

Il richiamo alle regole disciplinari per i consulenti tecnici consente, sul piano sistematico, di evidenziare un’affinità con i mediatori familiari, che può tradursi:

- nel carattere di ausiliario (del giudice) del mediatore familiare;

- nella necessità di un’imparzialità e terzietà del mediatore familiare, suscettibile perciò di essere ricusato nei casi di cui all’art. 51 cpc;

- nella necessità che il mediatore familiare tenga informato il giudice delle operazioni compiute e dei risultati raggiunti.

Sullo speciale regime della mediazione familiare, in caso di violenza o abuso allegato o denunciato, si rinvia al paragrafo dedicato alla disciplina del fenomeno (par. 16.2.).

 

13. La decisione e le sue modifiche

Si deve, anzitutto, osservare come non sia richiamato l’art. 171-bis cpc, applicabile al rito ordinario, sulle verifiche preliminari che il giudice deve compiere esauriti gli atti introduttivi e prima ancora che le parti abbiano versato in atti le memorie integrative di cui all’art. 171-ter cpc. 

Come si è già avuto modo di vedere (par. 6.2.), il rito speciale, in analogia al rito ordinario, seppure con una formulazione non pedissequa, ammette (art. 473-bis.17) le parti a ulteriori memorie integrative in coerenza con il sistema introdotto all’art. 171-ter cpc. Manca, tuttavia, il richiamo alla norma precedente.

Ne consegue che le verifiche preliminari devono essere compiute all’udienza e non prima di essa (chiaro, sotto questo aspetto, l’art. 473-bis.21 ove, all’udienza, «il giudice delegato verifica d’ufficio la regolarità del contraddittorio»). Tutto ciò produce una normativa meno complessa rispetto a quella del processo comune, ove il meccanismo delle verifiche preliminari può indurre il giudice a un rinvio della data di prima udienza, rispetto alla quale vengono nuovamente fissati i termini per le memorie integrative, ponendo su basi più incerte la celerità dello svolgimento del procedimento, con tutta la complessità derivante da processi cumulati oggettivamente e soggettivamente.

Per quanto la norma richiami solo le verifiche sulla regolarità del contraddittorio – particolarmente, in relazione alla nomina del curatore speciale del minore –, deve ritenersi che il giudice in udienza debba pronunciare i provvedimenti in sanatoria dei vizi sul litisconsorzio necessario, sulla nullità della domanda o della notifica, sulla capacità oppure i provvedimenti sulla chiamata iussu iudicis o, comunque, sulle questioni rilevabili d’ufficio «di cui ritiene opportuna la trattazione».

Per questi ultimi sarà necessario suscitare il contraddittorio delle parti con la concessione dei termini posti dall’art. 101, comma 2, cpc.

Il processo si modella sulle situazioni che possono originarsi dalle difese delle parti. 

Qualora tali difese, per il carattere di puro diritto della controversia o per il rilievo di prove esclusivamente documentali, oppure sul fondamento di una questione pregiudiziale di rito insanabile o preliminare di merito, non rendano necessaria un’istruttoria, essendo «la causa (…) matura per la decisione senza assunzione di mezzi di prova» (art. 473-bis.22, comma 4, cpc), il giudice fa precisare immediatamente le conclusioni e ordina la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in udienza successiva, trattenendo la causa in decisione.

Se certamente il giudice non potrà optare, come regolato nell’art. 171-bis, per le forme del rito semplificato di cui agli artt. 281-decies ss. cpc, non può non essere evidenziata nelle forme della decisione la forte vicinanza con l’art. 281-terdecies cpc.

La modalità di decisione semplificata, a seguito di discussione orale delle parti, si applica pure nei casi in cui sia richiesta sentenza parziale di separazione o divorzio, o sullo stato, dovendo il procedimento proseguire per la definizione di ulteriori domande[39].

La sentenza parziale dovrà essere immediatamente appellata, non essendo consentita la riserva di impugnazione.

L’alternativa a tali modalità è costituita, nella stessa ordinanza che dispone i provvedimenti temporanei e urgenti, dall’apertura dell’istruttoria con la predisposizione del calendario del processo (art. 473-bis.22, comma 3).

Esaurita l’istruttoria, il giudice fissa innanzi a sé l’udienza per la rimessione in decisione[40] e il termine, non superiore a sessanta giorni prima dell’udienza, per il deposito di note contenenti le conclusioni, non superiori a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito di comparse conclusionali e non superiori a quindici giorni per il deposito di memorie di replica (art. 473-bis.28, cpc).

All’udienza di rimessione, il giudice delegato si riserva di riferire al collegio che pronuncia la sentenza «nei successivi sessanta giorni».

Alle modifiche del giudicato non è dato concedere un rito diverso da quello già celebrato, ovvero si abbandona il modello del rito camerale degli artt. 710 cpc e 9 l. n. 898/1970: le modifiche si chiedono infatti «con le forme previste nella presente sezione» (art. 473-bis.29).

La norma sulla revisione del giudicato non è fondata solo sulla sopravvenienza di fatti (come peraltro già le disposizioni sopra citate e l’art. 337-quinquies cc, quest’ultimo tuttora in vigore), ma con formula più ampia per «giustificati motivi» (mentre la corrispondente norma del codice civile, riferita alle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, neppure propone tale precisazione). La ragione è da ricercare nella particolarità di un giudicato su diritti indisponibili (mentre sui diritti disponibili solo il fatto sopravvenuto è in grado di aprire una revisione del giudicato), ove anche l’emersione di nuovi elementi probatori o anche soltanto di una nuova ponderazione negli interessi del minore possono giustificare una revoca e/o modifica del giudicato.

 

14. L’appello

Anche l’appello[41], introdotto con ricorso (art. 473-bis.30 cpc) soggetto al regime dell’art. 342 cpc sul formalismo dei motivi, segue i termini stabiliti per il ricorso introduttivo (novanta giorni, termine dilatorio a favore del convenuto, tra notifica e udienza; trenta giorni anteriori all’udienza per la costituzione del convenuto) e consente all’appellante il deposito di una memoria di replica entro venti giorni anteriori all’udienza, e all’appellato ulteriore replica, con memoria, entro dieci giorni anteriori all’udienza (artt. 473-bis.31 e 473-bis.32 cpc), giungendosi all’udienza con causa matura per la decisione.

Nel giudizio d’appello possono essere resi anche provvedimenti provvisori, pure inaudita altera parte, con gli stessi poteri del giudice di primo grado.

La trattazione è interamente collegiale (art. 473-bis.34 cpc). 

In relazione alle controversie su diritti disponibili, la riforma applica i rigori dell’art. 345 cpc, consentendo nuove domande, nuove eccezioni e nuovi mezzi di prova limitatamente alle domande aventi ad oggetto diritti indisponibili.

La soluzione, così rigida, non tiene conto delle particolarità dei diritti disponibili nelle controversie familiari, particolarmente i diritti economici del coniuge debole sul piano patrimoniale e reddituale, i quali sono relativamente disponibili, in quanto non suscettibili di regolamentazione negoziale preventiva (come già evidenziato, par. 2.1.), con una disponibilità del diritto solo dopo che è sorto.

La rigidità della formula deve tuttavia coordinarsi, sul piano interpretativo, con la previsione contenuta nell’art. 473-bis.2, comma 2, cpc, laddove, «con riferimento alla domanda di contributo economico, il giudice può d’ufficio ordinare l’integrazione della documentazione (…) disporre ordini di esibizione, indagini sui redditi». La norma apre all’evidenza la prospettiva che il giudice d’appello, nell’ambito dei contributi economici, possa ammettere prove che egli ritenga «indispensabili» nell’esercizio dei suoi poteri d’ufficio (sulla falsariga del rito del lavoro, dove l’art. 421, comma 2, cpc trova il suo riflesso in appello nell’art. 437 cpc).

 

15. La necessità di una tutela differenziata in sede di attuazione delle misure

Le misure in materia di persone, minorenni e famiglie, per l’urgenza della loro attuazione, il carattere lato sensu (perché riferibile anche ai diritti al mantenimento) infungibile delle prestazioni cui è condannato l’obbligato, la necessità di un continuo adattamento (e modifica, se necessario) della misura di merito innanzi alle difficoltà incontrate in sede esecutiva e, infine, la necessità di prevenire l’inadempimento e non d’intervenire a seguito del suo configurarsi, fonte di danno irrimediabile, non possono essere disciplinate dalle regole del libro III del codice di rito[42].

La normativa sull’esecuzione forzata, infatti, introduce procedimenti con un accentuato formalismo, che impediscono un’attuazione in tempi brevi; non consente un dialogo tra giudice dell’esecuzione e del merito; interviene solo quando il diritto è esigibile, e cioè è scaduto, quindi dopo l’inadempimento; conosce solo con la l. n. 69/2009 una misura di esecuzione indiretta per gli obblighi infungibili, ovvero l’art. 614-bis cpc, la cui applicazione nelle controversie familiari e minorili è stata oggetto di dibattito, sino a un’esclusione giurisprudenziale[43].

La riforma doveva, pertanto, razionalizzare e sistemare una tutela esecutiva differenziata, denominata per le sue particolarità «attuazione» anziché «esecuzione», alla luce della frammentaria e disorganica disciplina, in alcuni casi contraddittoria[44], sparsa tra codice civile e codice di rito.

Ne è scaturita la sezione III del capo II, dedicato al procedimento, dal titolo «Dell’attuazione dei provvedimenti».

 

15.1. Sull’attuazione dei provvedimenti economici

I provvedimenti economici, anche se provvisori, sono immediatamente esecutivi e costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale (art. 473-bis.36 cpc).

Le misure coercitive[45], già contenute nel codice civile, volte ad assicurarne l’attuazione – in considerazione del fatto che anche le misure economiche, per il bene personale indirettamente tutelato, sono tendenzialmente infungibili –, sono costituite dall’ordine di prestare idonea garanzia personale o reale e dall’autorizzazione del sequestro sui beni mobili, immobili o crediti dell’obbligato. Oggi sono disciplinate nell’art. 473-bis.36 cpc.

Tali misure coercitive sono dettate dal giudice del procedimento in corso o, comunque, dal giudice competente per il merito. Se la misura da attuare è passata in giudicato, si seguono le forme dell’azione per la revisione ex art. 479-bis.29.

La misura coercitiva del sequestro non va confusa con l’omonima misura cautelare conservativa, sia perché dettata in coincidenza con la misura di merito, che già costituisce titolo esecutivo (per cui la parte potrebbe perfezionare un pignoramento prima ancora che eseguire un sequestro[46]), sia perché pone un vincolo al patrimonio dell’obbligato sine die e a prescindere dalla prosecuzione del giudizio di merito (che potrebbe essere già esaurito). Il sequestro può essere revocato o modificato nella sua dimensione solo quando sopraggiungono giustificati motivi e, fra questi, l’eventuale assicurazione di idonee garanzie personali o reali all’adempimento.

L’iscrizione ipotecaria, spesso fonte di abuso da parte di un coniuge nei confronti dell’altro, non è stata fatta oggetto di (auspicabile) procedimento speciale e celere per la sua eventuale cancellazione per esercizio temerario, ma si è voluto espressamente prevedere l’applicazione del secondo comma dell’art. 96 cpc (primo comma dell’art. 473-bis.36 cpc).

 

15.2. Sul pagamento diretto del terzo

Il pagamento diretto del terzo, che corrisponde periodicamente una somma di denaro all’obbligato (stipendio, canone di locazione o qualsiasi altro titolo che implichi il pagamento di una somma - che deve ritenersi anche non periodica), nelle possibili alternative tra l’ordine del giudice e l’effetto di atti tutti stragiudiziali, come stabilito nella l. n. 898/1970 sul divorzio, è regolato, secondo il principio stabilito dalla legge delega, in analogia alla seconda alternativa.

Pertanto, a fronte dell’inottemperanza alla misura economica, anche provvisoria, il creditore che ha diritto alla corresponsione di un contributo economico costituisce in mora il debitore mediante atto stragiudiziale, fissando il termine di trenta giorni per l’adempimento. Decorso inutilmente tale termine, persistendo l’inadempimento, notifica il provvedimento o l’accordo di negoziazione assistita al terzo, significandogli il pagamento diretto della somma dovuta, con contestuale comunicazione al debitore inadempiente. Il terzo, a partire dal mese successivo, è tenuto al pagamento diretto in favore del creditore richiedente. 

Ne risulta, quindi, la generalizzazione del modello regolato dalla legge sul divorzio ed è, nel contempo, fornita una risposta all’esigenza, propria della materia, di una tutela attuativa preventiva all’inadempimento (cfr. par. 2.4.).

Si genera, quale effetto tutto stragiudiziale, una sorta di accollo ex lege in forza del quale il terzo assume il debito, senza ovviamente liberare l’obbligato originario, fin tanto che questi non adempia. Ovvero, non si genera alcun effetto esecutivo, che può originarsi solo da un vero e proprio pignoramento.

In difetto di adempimento, l’avente diritto al contributo ha azione esecutiva nei confronti del terzo. In tal caso, ovviamente, dovrà avviare un vero e proprio procedimento di espropriazione verso il terzo, facendo precedere l’atto esecutivo dal precetto.

Se il credito fosse già stato pignorato, tutto si risolve all’interno dell’esecuzione in corso; sarà questo giudice a graduare i crediti e assegnare le somme sulla base delle regole generali (mentre l’espressione: «il quale tiene conto della natura e delle finalità dell’assegno» non può certamente derogare all’ordine delle prelazioni e di graduazione dei crediti).

Qualora, invece, l’esecuzione non sia stata già promossa da altro creditore con il pignoramento del credito, l’avente diritto al contributo gode di una sorta di prelazione processuale ex lege: la notifica dell’atto stragiudiziale al terzo, che preceda con data certa anteriore il pignoramento, lo favorisce e nessuno potrà impedire che dell’assegnazione sia beneficiario il solo creditore al contributo, non essendovi luogo di intervento dei creditori concorrenti e di conseguente riparto.

Le eventuali contestazioni del terzo sulla debenza del credito, sul suo ammontare, sulla durata della prestazione periodica o sulla preesistenza di assegnazioni o pignoramenti ha luogo di essere esercitata in sede di opposizione all’esecuzione, secondo le regole generali.

È opportuno sottolineare che il procedimento celere si applica solo agli incidenti di esecuzioni sulle misure personali; per le misure economiche, l’eventuale incidente segue le forme ordinarie del rito unico (art. 473-bis, comma 5, cpc).

 

15.3. Provvedimenti sull’affidamento e loro attuazione

È già stato possibile evidenziare come le misure coercitive dettate a tutela del credito al mantenimento siano stabilite dal giudice del merito – in linea con la scelta di una coincidenza del giudice dell’esecuzione con il giudice del merito, in deroga alle regole del libro III del codice di rito (cfr. par. 2). Egualmente, l’attuazione dei provvedimenti personali nel rapporto tra genitori e figli, spetta al giudice del procedimento in corso (art. 473-bis.38 cpc). Se non pende più il procedimento del merito, vi provvede il giudice che ha emesso il provvedimento da attuare.

In ossequio al dettato dell’art. 38 disp. att. cpc, trasmigrato nell’art. 473-bis.38 cpc[47], se non pende più il giudizio di merito ma viene avviato, tra le stesse parti, un giudizio sulla responsabilità genitoriale, questo diventa inevitabilmente il giudizio sui diritti implicati e le forme da adottare nell’attuazione da parte del giudice dell’incidente di esecuzione.

I provvedimenti attuativi possono, in via d’urgenza, essere resi dal giudice del provvedimento, ma questi deve rimettere comunque le parti innanzi al giudice presso il quale pende l’azione sulla responsabilità genitoriale, il quale potrà adottare i provvedimenti più opportuni, anche in modifica o revoca.

Questa la soluzione da dare all’enigmatica norma, dovuta alla legge n. 206 del 2021.

L’art. 473-bis.38, comma 3, cpc detta – per risolvere le controversie sull’attuazione – un procedimento ad hoc caratterizzato da celerità di svolgimento, che può anticipare, per le misure che non ammettono dilazione, provvedimenti temporanei (anche inaudita altera parte, quando vi sia pericolo attuale e concreto di sottrazione del minore o pericolo di pregiudizio nell’attuazione del provvedimento), e si conclude, sentiti i genitori, l’eventuale curatore e il curatore speciale del minore, in difetto di conciliazione, con pronuncia di ordinanza.

L’incidente di esecuzione affida al giudice il compito di determinare le forme dell’esecuzione e eventualmente[48], in richiamo all’art. 473-bis.39 cpc, può indurlo a modificare i provvedimenti di merito o ad applicare una misura coercitiva.

Tra le modalità attuative è solo eccezionale l’uso della forza pubblica, misura che deve tener conto sempre del preminente interesse del minore – intervento comunque assicurato con la vigilanza del giudice e con l’assistenza di personale specializzato.

L’iter procedimentale celere non esclude, tuttavia, l’introduzione di un giudizio secondo le regole ordinarie, potendo la parte soccombente opporsi all’ordinanza nelle forme ordinarie dell’art. 473-bis.12 cpc.

 

15.4. Sanzioni ulteriori alle inadempienze e violazioni

Oltre alle misure coercitive a tutela del credito al mantenimento e alle misure attuative dei provvedimenti sui rapporti tra figli e genitori, si pone il tema di ulteriori misure coercitive in caso di inadempienze o violazioni, ciò a valere sia per provvedimenti di natura economica, sia per i provvedimenti di natura personale. Ha modo di essere così riconosciuto legislativamente quel filone interpretativo che aveva ritenuto applicabile l’art. 709-ter cpc a tutela dei crediti di mantenimento, quando dovessero dalla violazione essere implicati direttamente diritti personali[49].

L’art. 473-bis.39 cpc, con una formulazione più corretta rispetto al precedente art. 709-ter cpc, in tali casi, oltre a sancire il potere del giudice di modificare i propri provvedimenti di merito (a esaltare ancora un continuo dialogo tra attuazione e merito), può fissare a carico della parte inadempiente una misura coercitiva costituita dall’ammonimento, dall’applicazione delle misure coercitive di cui all’art. 614-bis cpc e, infine, dalla condanna a una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Tali ipotesi costituiscono inequivocabilmente misure coercitive civili, introducendo veri e propri danni punitivi.

Ciò non toglie che, oltre al danno punitivo, se esistente, possa essere introdotto in causa il danno da illecito endo-familiare e, quindi, possa esservi la condanna dell’inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell’altro genitore o, anche d’ufficio, del minore.

Il richiamo all’art. 614-bis cpc non deve fare intendere che le misure ivi regolate siano applicabili solo a seguito dell’inadempimento, poiché questa è l’ipotesi dell’art. 473-bis.39 cpc, ma resta la piena applicabilità dell’art. 614-bis cpc nel suo tenore comune (in mancanza di divieto espresso) e, pertanto, le misure possono già essere dettate anticipatamente, prima dell’inadempimento, dallo stesso giudice del merito.

Si supera così l’orientamento giurisprudenziale che negava l’accesso nella materia dell’istituto di cui all’art. 614-bis cpc e, al contempo, si ammette una tutela pro futuro della misura anche personale, analogamente a quanto già previsto per la misura economica.

Le misure attuative possono essere dettate attraverso un provvedimento provvisorio, in attuazione del medesimo, oppure nella sentenza finale. A seconda del provvedimento nel quale è dettata, l’impugnazione segue i rimedi ordinari, che possono essere rispettivamente il reclamo o l’appello.

 

16. Violenza di genere e tutela giurisdizionale civile

Non è dubitabile che la novità di maggior spessore, oltre all’introduzione di un rito unitario e, in prospettiva, di un tribunale unico, è costituita dal rilievo della violenza di genere e domestica nel processo familiare[50], sino al 2011 ignorata, con il rilievo della sola misura ante causam di allontanamento a partire dalla legge n. 154 del 2001[51].

 

16.1. Gli ordini di protezione

L’istituto è stato fatto oggetto di disciplina negli artt. 473-bis.69 ss., che costituiscono il travaso, nel corpo unitario delle norme sul processo speciale, delle disposizioni contenute negli artt. 342-bis e 342-ter cc e 736-bis cpc.

Su tale istituto la riforma, in difetto di indicazione della legge delega, non è intervenuta, se si esclude l’eliminazione ad ogni pratica della mediazione familiare (cfr. il diverso tenore dell’art. 342-ter, comma 2, cc, già esaminata al par. 12) e la precisazione che innanzi al tribunale per i minorenni è legittimato anche il pm (art. 473-bis.69, comma 2, cpc), quando vittima ne è un minore.

Resta, dunque, la sovrapposizione dell’azione innanzi al giudice penale rispetto a quella innanzi al giudice civile, con il rischio di contrasto, dovuto a mancato coordinamento[52], e resta soprattutto l’ambiguità del rito, ove, come di consueto, il legislatore richiama il rito camerale, ma di fatto (cfr. art. 473-bis.71 cpc) adotta le regole del processo cautelare uniforme (misure inaudita con convalida all’udienza, reclamo innanzi al collegio del tribunale, forme discrezionali salvo il rispetto del contraddittorio, che molto ricordano gli artt. 669-sexies e 669-terdecies cpc).

La legge delega, tuttavia, dava un’indicazione per lo svolgimento dell’incidente cautelare anche in corso di causa e non più solo in limine (art. 1, comma 23, lett. b, l. n. 206/2021), mentre nell’assetto previgente l’ordine di protezione era destinato a rimanere assorbito nei provvedimenti presidenziali, in sede di separazione o divorzio, oppure nelle misure provvisorie nel rito camerale celebrato innanzi al tribunale per i minorenni, e non aveva luogo a essere introdotto come incidente nel processo di merito, le cui regole non erano alterate sul piano processuale da fatti di violenza o di abuso.

Su tali aspetti è intervenuta, come tra breve sarà esaminato, la riforma.

 

16.2. Il dibattito in Commissione giustizia innanzi al Senato

L’originario disegno governativo elaborato dalla “Commissione Luiso”, nei contenuti fatti propri dalla Ministra Cartabia, non conteneva alcun riferimento alla violenza nei principi direttivi relativi al giudizio di merito a cognizione piena. In Commissione giustizia del Senato, ove si è condotto il dibattito parlamentare, è stato invece presentato un emendamento, prima firmataria la Senatrice Valente, presidente della Commissione femminicidio, che ha condotto al principio direttivo.

L’emendamento, nondimeno, sopravalutava la semplice allegazione del fatto, trascurando il suo accertamento agli effetti del giudizio sul rapporto genitoriale[53], tanto che la Commissione giustizia ha sensibilmente modificato il testo, pur cogliendo la profonda novità normativa che ne doveva discendere[54].

Ne è derivata tuttavia una formulazione del principio direttivo di una certa ambiguità, probabilmente dovuta ai difficili compromessi tra diverse posizioni politiche dei componenti della Commissione, codificata nella lettera b del comma 23 dell’art. 1 l. n. 206/2021: «prevedere che in presenza di allegazione di violenza domestica o di genere siano assicurate, su richiesta, adeguate misure di salvaguardia e protezione, avvalendosi delle misure di cui all’art. 342 bis c.c.; le necessarie modalità di coordinamento con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti; l’abbreviazione dei termini processuali nonché specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare la vittimizzazione secondaria (…) considerando ai fini della determinazione dell’affidamento dei figli e degli incontri con i figli eventuali episodi di violenza».

Restava ancora, almeno nella previsione normativa citata, l’ambiguità del diverso rilievo della semplice allegazione del fatto di violenza e del suo accertamento.

Tuttavia, soccorrevano sul piano sistematico altri principi direttivi della legge n. 206, che fissavano a certi effetti particolari la semplice allegazione. Questi erano esclusivamente destinati a contrastare i fenomeni di vittimizzazione secondaria dovuta a eventuali incontri tra autore della violenza e vittima – lett. l: «prevedere che la prima udienza debba svolgersi con necessaria comparizione personale delle parti per il tentativo di conciliazione, con esclusione delle ipotesi in cui siano allegate o segnalate violenze di genere o domestiche»; lett. m: «il tentativo di conciliazione non sia esperito nei casi in cui sia allegata qualsiasi forma di violenza»; lett. p: «i mediatori abbiano l’obbligo di interrompere la loro opera nel caso in cui emerga qualsiasi forma di violenza».

Ne risultava, pertanto, una distinzione tra rilievo processuale della semplice allegazione e rilievo processuale dell’accertamento vero e proprio del fatto allegato (per il quale era significativo il richiamo alle forme lato sensu cautelari e sommarie del procedimento relativo agli ordini di protezione, espressamente menzionato nel principio direttivo di cui alla lett. b).

L’articolato, attraverso questa interpretazione sistematica della legge delega, ha tenuto conto del diverso rilievo e condensato le norme nel titolo I del capo III, dedicato proprio alla violenza domestica e di genere.

Dall’allegazione di un fatto di violenza discende l’inapplicabilità di tutti gli istituti che implicano la comparizione delle parti in udienza o la presenza nello stesso luogo (art. 473-bis.42, comma 2, cpc) agli effetti del tentativo di conciliazione (art. 473 bis.42, comma 5, cpc), della mediazione familiare (art. 473-bis.43 cpc), dell’ascolto del minore (art. 473-bis.45 cpc) e anche solo l’invito alla mediazione nel decreto di fissazione dell’udienza o all’udienza (art. 473-bis.42, commi 3 e 6, cpc). Tale regola si impone in coerenza con la Convenzione di Istanbul, che all’art. 48[55] fa divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti. Tuttavia, deve dirsi che il legislatore italiano ha dato un’interpretazione che amplia la regola convenzionale, che fa divieto delle sole forme obbligatorie dei metodi alternativi di risoluzione (mentre nel nostro caso la conciliazione e la mediazione non sono obbligatorie).

Per tale ragione, l’articolato ha quanto meno consentito – «se nel corso del giudizio ravvisa l’insussistenza delle condotte allegate» – che il giudice possa invitare le parti alla conciliazione oppure alla mediazione (art. 473-bis.42, ult. comma, cpc).

La definizione del fatto allegato a cui è ricollegata la disciplina speciale è contenuta nell’art. 473-bis.40, in modo molto generico: «abusi familiari e condotte di violenza domestica»; al contrario, è più precisa la indicazione della fattispecie che può dare origine a misure di protezione e allontanamento (art. 473-bis.69 cpc): «grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà», che enuclea i due concetti di violenza fisica e psicologica, a cui si accompagna la violazione dei diritti fondamentali della persona (libertà)[56]. Evidentemente, la genericità è indice di una maggiore discrezionalità del giudice nell’applicazione della norma, che quanto meno è specifica, tanto più impone alla misura la specificazione del motivo.

Certo è che la allegazione della parte sulla violenza o sull’abuso non potrà essere in alcun modo generica (essendo qui implicato, tra l’altro, un vero e proprio obbligo deontologico del difensore, che dovrà sollecitare il proprio rappresentato a una narrazione della condotta con adeguati elementi di specificità, in ossequio al dovere di verità, essendo implicati diritti indisponibili quali l’integrità fisica e morale e le libertà dell’individuo - cfr. par. 4), ma dovrà essere (come la contestazione agli effetti dell’art. 115 cpc) specifica, quanto a tempo, luogo e modalità della condotta dell’autore della violenza.

Un’allegazione generica dovrebbe, già di per sé, fondare il convincimento del giudice sulla insussistenza della condotta violenta.

Certamente la sola allegazione, ancorché specifica, non sarà sufficiente a rilevare sul regime di affidamento da adottare e sulla regola di condotta da dare nei rapporti tra figli e genitori, quanto anche a diritto di visita del genitore presso il quale non siano collocati i figli minori. Sarà in tal caso necessario un vero e proprio accertamento giudiziale.

Sotto questo particolare profilo, non rileva più soltanto la violenza allegata, ma un vero e proprio accertamento giudiziale della violenza. Non può essere più eloquente il dettato dell’art. 473-bis.46, comma 1, cpc: «quando all’esito dell’istruzione, anche sommaria, ravvisa la fondatezza delle allegazioni, il giudice adotta i provvedimenti più idonei a tutelare la vittima e il minore (…) e disciplina il diritto di visita». Per gli effetti sulle regole concrete da dare all’affidamento, il giudice deve convincersi della esistenza del fatto.

Naturalmente, il processo subisce un’accelerazione, una riduzione dei termini di svolgimento per l’urgenza di questo accertamento (potremo pensare, anche se il legislatore avrebbe fatto bene a esplicitarlo, essendovene ragione nella legge delega, a un procedimento sul modello di quello regolato per le misure protettive, che a questo punto possono essere date anche in corso di causa).

Essendo implicati diritti come quelli all’integrità fisica e morale e alla libertà personale, quindi diritti indisponibili, il giudice sarà munito di tutti i particolari poteri propri della materia: potrà pronunciare la tutela anche senza domanda, ricercare i fatti rilevanti e, evidentemente, dare senza limiti svolgimento alla prova con iniziative d’ufficio, anche fuori dai limiti fissati nel codice civile – il tutto, s’intende, nel rispetto della regola del contraddittorio.

All’esito di un procedimento ispirato alle esigenze dell’urgenza, munito dei poteri propri dei processi su situazioni indisponibili, il giudice detterà le conseguenti misure personali sulla genitorialità.

L’ascolto, che deve svolgersi rigorosamente senza contatto personale tra autore della violenza e vittima (art. 473-bis.45 cpc), potrà essere omesso se il minore è già stato sentito in altra sede, anche penale.

Sul piano istruttorio, uno degli aspetti più delicati della disciplina è il coordinamento tra procedimento penale e procedimento civile. Il legislatore è consapevole delle difficoltà già emerse nell’ambito del procedimento relativo agli ordini di protezione ante causam, cui ha sopperito solo in parte l’art. 64-bis disp. att. cpp, che sancisce l’obbligo della trasmissione dei provvedimenti penali al giudice civile. Pertanto, impone alla parte che chiede la tutela di allegare al ricorso gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi a procedimenti diversi, ma che muovono dagli stessi fatti, e in particolare quelli relativi all’esercizio dell’azione penale (473-bis.41, comma 2, cpc). Ugualmente il giudice, quando con decreto fissa l’udienza, deve chiedere al pm o alle altre autorità competenti indicazioni sull’esistenza di procedimenti penali sugli stessi fatti e degli esiti, ovvero trasmissione degli atti e dei provvedimenti provvisori e definitivi emessi in detti procedimenti, con l’auspicio che il processo digitale favorisca gli scambi di informazione e atti tra procedimenti paralleli, penale e civile.

Naturalmente, l’acquisizione di prove e degli atti relativi ad altri procedimenti giurisdizionali o amministrativi deve fare i conti con il contraddittorio e con le regole sulla prova nel processo civile. Quanto al primo, la mancata partecipazione alla prova o all’atto o al provvedimento di una delle parti deve imporre la sua ripetizione; quanto alle seconde, se certamente sarà possibile acquisire anche prove atipiche (in particolare, in relazione alla cognizione sommaria che ispira il procedimento), non potrà trattarsi di prove illecite o raccolte in violazione di norme penali a tutela della privacy (intercettazioni ambientali non autorizzate, ricorso a documenti riservati acquisiti illecitamente). Il diritto vivente nelle aule giudiziarie chiarirà la maggiore o minore sensibilità del giudice nell’applicare questi fondamentali principi del giusto processo civile.

 

17. Il procedimento su domanda congiunta

La legge delega segnava una soluzione necessitata, l’adozione del modello della separazione, ovvero della volontaria giurisdizione, anziché quello contenzioso del divorzio su domanda congiunta (art. 1, comma 23, l. n. 206: «modellato sul procedimento previsto dall’art. 711 del codice di procedura civile») – dunque, ricorso con domanda congiunta, comparizione e omologa del tribunale[57].

Non è esattamente il modello che invece propone l’art. 473-bis.51, ponendosi a sommesso parere un problema di eccesso di delega.

Se si legge, infatti, il terzo comma della disposizione, è introdotto un procedimento di carattere contenzioso. In particolare: «il giudice, sentite le parti e preso atto della loro volontà di non conciliarsi, rimette la causa in decisione. Il collegio provvede con sentenza».

È pur vero che la norma prosegue: «omologa o prende atto degli accordi intervenuti», ma la struttura fuoriesce dall’alveo rigoroso della volontaria giurisdizione per tendere al modello contenzioso, sulla falsariga del procedimento divorzile, a cui non aveva fatto riferimento la delega[58].

L’udienza si svolge dunque innanzi al giudice relatore, nominato dal presidente del tribunale, che raccoglie il parere del pm, ma la decisione è presa dal collegio. Il giudice non è più tenuto a favorire la riconciliazione delle parti (si deve pensare al coniugio o all’unione civile), ma solo prende atto della volontà delle parti di non riconciliarsi, ciò che deve essere ribadito a verbale di udienza.

Nel caso in cui il tribunale intenda decidere diversamente, non si realizza la conversione del rito consensuale in rito contenzioso, come nella previgente disposizione dell’art. 4, comma 16, l. n. 898/1970, ma il collegio invita le parti alle opportune modifiche e solo in difetto di adeguamento rigetta la domanda.

L’art. 473-bis.47 chiarisce che il procedimento congiunto non caratterizza soltanto le domande di separazione e divorzio o di scioglimento dell’unione civile, ma anche «di regolamentazione della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio», in tal modo assimilando nelle regole processuali tutti le azioni fondate su accordo e che nascono dalla crisi del rapporto familiare.

La domanda, da proporre nel luogo di residenza o di domicilio di una delle parti, deve contenere tutti gli elementi della domanda introduttiva del rito contenzioso (art. 473-bis.51, comma 2, cpc), a eccezione dell’oggetto della domanda (che si rende necessaria solo quando vi sia controversia), e i documenti richiesti dall’art. 473-bis.12 cpc in relazione agli aspetti patrimoniali e reddituali, per consentire al tribunale di verificare i contenuti dell’accordo, nella prospettiva della tutela del figlio minore e, per lo scioglimento, dell’esistenza dei suoi presupposti di legge. 

Il ricorso deve poi contenere i patti essenziali dell’accordo, concernenti il rapporto con i figli e i rapporti economici tra le parti.

L’articolo in esame precisa che, oltre ai patti necessari, «con il ricorso le parti possono anche regolamentare, in tutto o in parte, i loro rapporti patrimoniali», in tal modo valorizzando la prassi della stipula anche dei patti cd. “accessori”, che spesso sono alla base degli accordi sui loro rapporti economici a seguito della crisi e sui rapporti con i figli[59].

L’udienza potrà tenersi anche con modalità cartolare, purché le parti rinuncino alla comparizione personale e diano atto della loro volontà di non riconciliarsi.

A differenza delle domande di revoca e modifica delle sentenze nel rito unitario, ai sensi dell’art. 473-bis.29 cpc, che seguono le regole dello stesso rito unitario medesimo, il procedimento de quo, secondo l’impostazione previgente, ribadita nella legge delega, segue un rito camerale celere, con una comparizione personale solo se richiesta dalle parti o ritenuta opportuna dal giudice relatore, risolvendosi tutto in un ricorso e in un provvedimento finale.

 

18. I procedimenti speciali sulla capacità e sul controllo giurisdizionale delle misure di cui all’art. 403 cpc

Sui procedimenti sulla capacità, l’art. 1, comma 23, lett. oo, si limita a prevedere la reclamabilità dei provvedimenti del giudice tutelare innanzi al tribunale, che per quelli a contenuto patrimoniale e gestorio decide in composizione monocratica, mentre per gli altri collegialmente, escludendo dal collegio il giudice che ha pronunciato il provvedimento reclamato.

L’intervento sulle norme processuali relative alla capacità, oltre a questo principio direttivo, si è limitato al trasferimento, nel corpo unitario delle norme del titolo IV-bis, delle norme contenute nel libro IV del codice di rito, con la piena sopravvivenza delle norme del codice civile, ancorché alcune di esse si riferissero al processo. Pertanto, gli artt. da 712 a 720-bis cpc sono stati abrogati, mentre restano in vigore gli artt. 404 ss., relativi all’amministrazione di sostegno, e gli artt. 414 ss., relativi all’interdizione e all’inabilitazione.

Sarebbe stato utile conservare al codice civile solo le norme sostanziali e trasferire tutte quelle processuali, anche contenute nel codice civile, nel corpo unitario del titolo IV-bis

Ne risulta una ripetizione di norme, anche se non contraddittorie, come l’accentuazione dei poteri del giudice trattandosi di processo su diritti indisponibili, sia in relazione alla domanda (cfr. art. 418 cc), sia in ordine alla ricerca dei fatti e delle prove (artt. 419, comma 2, cc e 473-bis.54 cpc), sia in ordine all’obbligo di esaminare l’interessato alle misure sulla capacità (ancora artt. 419 cc e 473-bis.54 cpc), sia in ordine alla nomina del tutore o curatore provvisorio (artt. 419, comma 3, cc e art. 473-bis.55 cpc).

Il rito tracciato dagli artt. 473-bis.52 ss. non differisce dalle regole già dettate negli artt. 712 ss. cpc, ora abrogati, salvo allinearsi il rito alle regole del processo unitario – artt. 473-bis.12 ss. cpc.

Qualche originalità desta, invece, il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno dopo l’abrogazione dell’art. 720-bis cpc, il quale rinviava alle norme processuali del procedimento per interdizione e inabilitazione. La dizione resta nell’art. 473-bis.58, ma – sin tanto che non sarà assorbito l’organo del giudice tutelare nel tribunale unico per le persone, per i minorenni e per le famiglie – il procedimento dovrà necessariamente svolgersi innanzi al giudice tutelare (come la stessa lettera della norma da ultimo citata evidenzia), con la possibilità di un reclamo ex art. 739 cpc al tribunale stesso e, quindi, all’esito di un ricorso per cassazione. Infatti è sopravvissuto l’art. 404 cc, che affida la competenza al giudice tutelare e conduce il processo rigorosamente nell’alveo del rito camerale (come ribadisce l’art. 473-ter cpc, che sancisce nella pronuncia del giudice tutelare la forma del decreto in camera di consiglio e la sua immediata esecutività).

In conclusione – almeno finché non entreranno in vigore le norme sul tribunale unico –, il processo per la nomina dell’amministratore di sostegno resta regolato dal rito camerale e non si allinea al rito unitario, come invece i procedimenti di interdizione e inabilitazione.

Le misure emergenziali di natura amministrativa (come l’allontanamento o l’affido ad altri) a favore dei minori, perché moralmente e materialmente abbandonati, esposti, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la loro incolumità psico-fisica, del tutto mancanti di un sindacato giurisdizionale immediato, stante l’incidenza su diritti personalissimi di cui è titolare la persona fragile, vengono finalmente ricondotte in un alveo giurisdizionale garantistico (comma 27)[60], con una norma della legge n. 206/2021 entrata immediatamente in vigore (procedimenti introdotti dopo il 22 giugno 2022). 

È prevista, da parte dell’assistente sociale o dell’organo amministrativo, la trasmissione della misura (con avviso orale) entro 24 ore dall’adozione al pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, nella cui giurisdizione il minore ha la sua residenza abituale e, qualora detta autorità non revochi la misura, entro le ulteriori 72 ore lo stesso pm deve ricorrere per la convalida al tribunale per i minorenni, potendo chiedere eventuali ulteriori misure ex art. 330 ss. cc. Adito entro 48 ore, il giudice deve provvedere con decreto alla convalida o non convalida delle misure. Con il decreto relativo, nomina il curatore speciale del minore e fissa l’udienza di comparizione delle parti entro il termine di quindici giorni – «il decreto è notificato entro 48 ore agli esercenti la responsabilità genitoriale e al curatore speciale a cura del p.m.».

Seguono un procedimento ulteriore innanzi al giudice relatore ed ulteriore provvedimento con decreto collegiale di conferma, modifica o revoca, da pronunciarsi nei quindici giorni successivi. Il decreto è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’art. 739 cpc.

L’intento del legislatore è assolutamente condivisibile, anche se si deve dire che la successione eccessivamente breve dei termini e la sanzione al loro mancato rispetto («cessazione di ogni effetto dello stesso provvedimento») avrebbero reso necessario un minor rigore, almeno nei termini, a cui è difficile pensare possa rispondere l’attuale struttura del tribunale per i minorenni. 

Tuttavia, anche in caso di perdita di efficacia, nel contesto di un procedimento sulla responsabilità genitoriale tempestivamente avviato dal pm, come recita oggi l’art. 403 cc, il tribunale può adottare i provvedimenti temporanei e urgenti.

Il comma 27, lett. b, si conclude con l’affermazione dell’ipotesi assolutamente residuale costituita dall’affidamento in comunità di tipo familiare, dovendosi percorrere tutte le possibili soluzioni alternative, e apre la prospettiva di una riforma dell’istituto dell’affidamento dei minori disciplinato dagli artt. 2 ss. l. n. 184/1983 e successive modifiche (è stato novellato l’art. 2 della stessa legge, sull’adozione). 

Il principio direttivo contenuto nel comma 23, lett. gg (e tradotto nell’art. 2 cit.), si preoccupa, alla luce di gravissimi episodi di rilievo penale recentemente balzati alla cronaca e oggetto di procedimenti penali in corso, dell’incompatibilità degli affidamenti in strutture e comunità pubblico-private, con il ruolo rivestito da coloro che coprono in esse cariche rappresentative o partecipano alla gestione o prestano attività professionali a favore di esse, anche a titolo gratuito, ivi compreso il coniuge, partner dell’unione civile, convivente, parente o affine entro il quarto grado; ugualmente, qualora tali incompatibilità riguardino il giudice, il consulente tecnico d’ufficio o chi ha svolto funzioni di assistente sociale al medesimo procedimento.

Trattasi evidentemente di un intervento minimo, necessario e non più dilazionabile, ma che non può esaurire esclusivamente una generale riforma dell’istituto, il quale sempre più si presta ad affidamenti, che la legge vuole temporalmente precari e conservativi del legame con la famiglia di origine (dovendo necessariamente confluire nel recupero della piena responsabilità genitoriale dei genitori biologici, oppure nello stato di adottabilità del minore), di carattere concretamente permanente nel tempo, sino alla maggiore età del minore collocato presso la famiglia affidataria. Si rende probabilmente necessario un ripensamento generale, dove all’ipotesi dell’affidamento rigorosamente temporaneo e dell’adozione definitiva si proponga, con una regolamentazione ad hoc, un istituto intermedio, un’adozione “mite” che giustifichi e regoli la prassi ormai diffusa presso tutti i tribunali per i minorenni.

 

19. Cenni al tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie

Le norme relative all’istituzione del tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie entreranno in vigore decorsi due anni dalla loro pubblicazione in Gazzetta ufficiale, a partire dunque dal 17 ottobre 2022, quando è stato pubblicato il d.lgs n. 149/2022, che le conteneva[61].

Lo disponeva l’art. 1, comma 24, lett. cc, l. n. 206/2021 e lo ha ribadito, in attuazione, l’art. 49 d.lgs n. 149/2022.

La lunga prorogatio, e le resistenze di alcuni operatori, suggeriscono prudenza nell’esaminare norme che potrebbero nel lasso di tempo subire modifiche, anche in considerazione della scarsa attenzione del legislatore verso le voci di spesa che devono necessariamente essere stabilite, non potendo una riforma ordinamentale di tale proporzione essere attuata a costo zero[62].

Ne risulta necessaria una trattazione per brevi cenni.

Abbandonato, sulla spinta della dottrina processualistica e dell’avvocatura familiarista e minorile[63], e su impulso prevalente dei magistrati minorili[64], il modello di un tribunale autonomo, distribuito territorialmente presso le sedi di corte di appello e costituito da collegi in composizione paritetica tra magistrati togati e magistrati onorari, che aveva contraddistinto i progetti parlamentari del secolo scorso (già a partire dalla fine degli anni novanta[65] e in particolare con il progetto di legge “Casellati” del 2012[66] e con altri progetti di legge coevi e successivi), si era iniziata a diffondere l’idea dell’istituzione di una sezione specializzata del tribunale ordinario, sul modello della sezione lavoro, costituita collegialmente da magistrati solo togati, specializzati, essendo possibile acquisire al processo il necessario parere di esperti mediante lo strumento della consulenza tecnica sottoposta al contraddittorio delle parti (mentre l’esperto in camera di consiglio non era sottoposto ad alcun contraddittorio).

L’idea non aveva mai avuto l’opportunità di una seria discussione né di un voto dei rami parlamentari, per cui negli anni 2016 e 2017, in occasione della discussione del disegno di legge delega di riforma d’ispirazione ministeriale (Ministro Orlando)[67], fu avviata presso il Consiglio nazionale forense una discussione, nella speranza di una convergenza di tutti gli operatori – l’Anm, l’Aimmf, le principali associazioni specialistiche degli avvocati e lo stesso Cnf[68]. Nell’occasione, emerse una forte convergenza verso un modello, quello del giudice di sorveglianza penale con la sua articolazione monocratica circondariale e collegiale distrettuale, organi di cui avrebbero fatto parte esclusivamente giudici togati. Fu elaborato un testo che, dopo una iniziale adesione, condusse all’opposizione dell’Aimmf[69] e costituì, tuttavia, emendamento accolto dal Ministro e dalla maggioranza parlamentare al ddl governativo, ma non riuscì a giungere al voto dell’aula per il termine della legislatura.

Quel modello fu riesumato dalla “Commissione Luiso”, istituita dalla Ministra Cartabia per l’elaborazione di un emendamento al ddl del suo predecessore, sia per la parte relativa al processo, sia per quella relativa all’istituzione del nuovo tribunale, pur nelle modifiche dovute alla discussione nella Commissione ministeriale e, in seguito, nella Commissione del Senato, che ha da ultimo elaborato il testo definitivo, poi approvato dal Parlamento.

Fatte queste premesse sui tentativi falliti e sulle solide ragioni – legate alle esigenze di prossimità del giudice nella particolare materia minorile e familiare, alla necessità di sottoporre il parere dell’esperto al contraddittorio delle parti, del tutto mancante nella camera di consiglio, e di superare la ripartizione di competenze, con delicate aree di sovrapposizione e rischio di contrasto di giudicati tra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario dovute all’art. 38 disp. att. cc – che giustificano l’istituzione di un tribunale specializzato, nell’articolazione circondariale, per il primo grado di giudizio e, nell’articolazione distrettuale, per i reclami e il secondo grado di giudizio, non resta che commentare brevemente la riforma, a partire dal comma 24 dell’art. 1 della legge delega, e alla luce degli articolati.

Il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, salvo le competenze penali e di giudice di sorveglianza che restano affidate all’articolazione distrettuale (comma 24, lett. b, l e m) e quelle civili relative alle controversie sullo stato di adottabilità e adozione, vede trasferite all’articolazione circondariale in composizione monocratica tutte le competenze civili, ivi comprese quelle ex art. 38 disp. att. cc già affidate al tribunale per i minorenni, quelle relative all’affido pre-adottivo del minore, quelle che erano affidate al tribunale ordinario, fossero esse soggette al rito camerale, al rito della separazione e divorzio oppure al rito ordinario e, tra queste, il risarcimento del danno endo-familiare, a esclusione delle cause relative alla cittadinanza, all’immigrazione e al riconoscimento della protezione internazionale, che vedono sopravvivere le norme sulla competenza previgenti; infine, anche quelle di competenza del giudice tutelare (cfr. artt. 50.1 e 50.5 rd n. 12/1941).

Onde evitare di esasperare la questione sulla ripartizione delle competenze del tribunale, visto che si tratta di articolazioni dello stesso organo: «la ripartizione degli affari tra la sezione distrettuale e la sezione circondariale o tra diverse sezioni circondariali dello stesso tribunale non dà luogo a questioni di competenza», e quindi saranno risolvibili con il semplice trasferimento dei fascicoli da una all’altra sezione.

L’articolazione distrettuale giudica collegialmente, ma con la presenza di due giudici onorari esperti solo per i procedimenti di adozione (art. 50.4 rd n. 12/1941) e per le competenze penali; ovviamente, opera collegialmente se adita in secondo grado, con la presenza di soli magistrati togati, in sede di reclamo, avverso i provvedimenti provvisori e, di appello, avverso i giudizi finali. In tal modo, la monocraticità in primo grado recupera la collegialità in secondo grado.

Come già stabilito in occasione dei principi direttivi offerti al rito unitario (comma 23, lett. r), ma in sede di articolati non tenuti precisamente in conto (si rinvia al par. 9.3.), le misure provvisorie dettate dal giudice circondariale sono (tutte senza distinzione) reclamabili innanzi al giudice collegiale del distretto, senza che ad esso possa partecipare il giudice che ha pronunciato in prime cure (con una disciplina non dissimile dal processo cautelare uniforme, arg. art. 669-terdecies cpc, comma 24, lett. o). L’ulteriore particolarità è data dal consentire pure il ricorso straordinario in Cassazione, per misure che non hanno efficacia decisoria e non passano mai in giudicato; ma qui, raccogliendo l’eredità di un filone giurisprudenziale del giudice di legittimità, si è ritenuto di assicurare il ricorso straordinario a misure che incidono molto spesso su diritti personalissimi.

Il giudice onorario esperto che accede alla camera di consiglio solo per la materia delle adozioni, entra altrimenti nell’ufficio del processo (lett. h), salvo delega espressa di alcune funzioni, come quella conciliativa, di ausilio all’ascolto del minore o di altri specifici compiti (è da sperare, non di carattere istruttorio).

Naturalmente il processo davanti al tribunale resta regolato dal rito unificato, di cui ai principi direttivi contenuti nel comma 23 e negli articolati attuativi.

Il giudice assegnato alla sezione monocratica, come distrettuale, è un giudice specializzato, perché munito di specifiche competenze per avere già esercitato la materia, ed è tendenzialmente irremovibile nella funzione (art. 50, rd n. 12/1941), potendo in caso di carenza di organici essere applicati giudici appartenenti a un’articolazione o all’altra, salvo prevedere in tal caso la modalità della trattazione scritta o della trattazione orale da remoto (lett. g e art. 50 cit.). Ovviamente, l’intero procedimento innanzi al tribunale viene informatizzato, con l’obbligo della formazione e trasmissione digitale degli atti processuali (lett. bb).

 

20. Il regime transitorio

L’emendamento della legge di bilancio 2022, art. 1, comma 380, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 29 dicembre 2022, anticipa l’entrata in vigore del d.lgs n. 149/2022, già fissata nell’art. 35 al 30 giugno 2023.

L’anticipazione prevede che tutti i processi introdotti dopo il 28 febbraio 2023 (quindi con citazione notificata o ricorso depositato dal 1° marzo 2023, per il caso nostro) saranno soggetti alla nuova normativa.

Lo spartiacque è quindi fissato alla data del 1° marzo 2023.

Alcune disposizioni, come già indicato nel regime transitorio originario del d.lgs n. 149, in particolare quelle sull’udienza a trattazione scritta e in videoconferenza, entreranno in vigore il 1° gennaio 2023 e saranno applicabili anche ai processi pendenti (in tal modo consolidando regole nate durante la pandemia Covid, che erano state prorogate sino al 31 dicembre 2022).

È sorprendente, tuttavia, che ciò avvenga anche innanzi al tribunale per i minorenni, quando il processo telematico non è ancora stato ancora applicato nei procedimenti relativi: è da domandarsi come i giudici, che dovranno emettere in forma materiale i provvedimenti e ricevere nella stessa forma gli atti, potranno rispettare i termini per l’opzione verso la trattazione scritta oppure, in mancanza di un terminale informatico, condurre l’udienza in conferenza audiovisiva, tra l’altro anche nei procedimenti pendenti. Sarebbe stato necessario conservare, come per il deposito telematico degli atti, dei provvedimenti e dei documenti (disp. att. cpc, titolo V-ter, capo I), la data del 30 giugno 2023. Peraltro, nella vecchia disciplina, prudenzialmente per il tribunale per i minorenni, l’entrata in vigore delle regole del processo telematico sarebbe stata fissata quindici giorni successivi alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale di un decreto ministeriale che avesse accertato la funzionalità dei servizi telematici della giustizia presso tale organo. Questa la soluzione che avrebbe dovuto essere applicata, in via generalizzata, per tutti gli organi giurisdizionali ancora non soggetti alle regole del processo telematico.

Venendo alle impugnazioni, le nuove norme sulle impugnazioni in generale e sull’appello si applicano alle impugnazioni proposte dopo il 28 febbraio 2023, mentre in precedenza il riferimento era il deposito della sentenza da impugnare (dopo il 30 giugno 2023), allargando la forbice dell’applicazione. Per il ricorso per cassazione, invece, le nuove norme sulla camera di consiglio si introducono a partire dal 1° gennaio 2023, per i procedimenti in cui non è ancora stata fissata la camera di consiglio a quella data, secondo la previsione originaria del d.lgs n. 149.

Dunque: due pesi e due misure.

La norma sul rinvio interpretativo pregiudiziale innanzi alla Corte di cassazione segue un regime transitorio ancora diverso: entra subito in vigore il 1° gennaio 2023, anche per i procedimenti pendenti a quella data. 

Per il processo della famiglia e dei minori, l’entrata in vigore “di schianto” della radicale riforma, essendo ricompresa nell’ipotesi di cui all’art. 35, comma 1, è fissata per il 28 febbraio 2023, senza che il tribunale per i minorenni abbia applicato in toto le regole del processo telematico, manifestando gravi problematiche applicative che rischiano di essere concretamente insolubili e di minare alla radice l’effettività del nuovo rito unitario. 

La normativa concernente, invece, l’ordinamento dei mediatori familiari, inserita nelle disposizioni di attuazione (titolo II, capo I-bis), entra in vigore dal 30 giugno 2023.

Insomma, un vero guazzabuglio, che metterà a dura prova gli uffici e il coordinamento delle norme dei poveri operatori di giustizia che applicheranno il nuovo testo dell’art. 35[70]

 

 

1. Art. 1, comma 380, legge 29 dicembre 2022, n. 197.

2. Per una ricostruzione critica del sistema previgente, sulla diaspora dei riti e delle controversie, la scissione delle competenze e la necessità di una riforma indilazionabile, in considerazione delle garanzie costituzionali e delle normative europee, vds. C. Cecchella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Zanichelli, Bologna, 2018, part. pp. 1 ss. e 13 ss.

3. Cfr. G. Scarselli, I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149, in Giustizia insieme, 15 novembre 2022.

4. Sul tema, C. Cecchella, Novità legislative e giudizio di appello nel rito del lavoro. Esiste ancora una tutela differenziata nelle controversie di lavoro?, in O. Mazzotta (a cura di), Lavoro ed esigenze dell’impresa fra diritto sostanziale e processo dopo il Jobs Act, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 335 ss.

5. Riferimenti essenziali in C. Cecchella (a cura di), Il processo di famiglia: problemi e prospettive. Contributo critico al disegno di legge delega di riforma, DIF, Pisa, 2016, pp. 63 ss. Il cd. “emendamento Cnf” è pubblicato in Osservatorio sul diritto di famiglia – Diritto e processo, n. 1-2-3/2017, p. 63, con un mio commento, L’emendamento Cnf alla riforma del processo di famiglia, p. 69.

6. Con l’ordinanza n. 11012 del 26 aprile 2021, tra le tante, la Corte di cassazione ha ribadito che i patti in vista del divorzio sono radicalmente nulli, non si possono redigere neppure al momento della separazione per determinare il contenuto del divorzio. In particolare, con la sentenza n. 2224/2017 (ma vds. anche Cass., n. 5302/2006), è stato enunciato il principio di diritto secondo cui gli accordi con cui i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 cc.

7. La corretta teorizzazione della diversa ratio dei poteri istruttori del giudice rispetto ai poteri in ordine alla domanda e all’allegazione dei fatti è dovuta a un saggio risalente, ma di grande suggestione teorica, di T. Carnacini, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, in Aa. Vv., Studi in onore di E. Redenti, vol. II, Giuffrè, Milano, 1966 (1951), pp. 1 ss. (730 ss.).

8. È il tema caro alla Aimmf, che riunisce i magistrati minorili. Vds., per tutti, il saggio di C. Maggia, Ancora una volta i tribunali per i minorenni messi al margine della giurisdizione, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/980/3-2021_qg_maggia.pdf), i cui temi vengono ripresi in C. Cecchella, Introduzione generale alla riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, in Id. (a cura di), La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, Giappichelli, Torino, 2022, pp. 19 ss.

9. Per un approfondimento, C. Cecchella, Gli atti introduttivi, le preclusioni e le riaperture difensive, in Id. (a cura di), op. ult. cit., pp. 61 ss.

10. Merita lettura F. Danovi, Note sulla consulenza piscologica nel processo civile, in Riv. dir. proc., n. 3/2000, pp. 808 ss.

11. Sul tema, vds. R. Donzelli, L’attuazione delle misure, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., p. 215, e l’opera maggiore dell’Autore, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709 ter c.p.c., Giappichelli, Torino, 2018, pp. 69 ss.; vds. anche B. Poliseno, Profili di tutela del minore nel processo civile, ESI, Napoli, 2017; F. Danovi, L’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento e alla consegna dei minori tra diritto vigente e prospettive di riforma, in Dir. fam. e pers., n. 2-3/2002, pp. 530 ss. e, se si vuole, C. Cecchella, Diritto e processo, op. cit., pp. 226 ss.; ma soprattutto, dove tutto nasce sul piano teorico, S. Chiarloni, L’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori del tribunale ordinario e del tribunale per i minorenni: rapporti del giudice tutelare, in L. Fanni (a cura di), Quale processo per la famiglia e per i minori (Atti del Convegno di Cagliari, 5-6 dicembre 1997), Giuffrè, Milano, 1999, p. 115, convegno che fu la fucina di idee a cui attinge, dopo oltre venti anni, la riforma.

12. È il caso di ricordare gli studi di M. Acone, La tutela dei crediti di mantenimento, Jovene, Napoli, 1985, pp. 119 ss.

13. Sul tema già era intervenuta la legge n. 206/2021 con norme immediatamente cogenti, per cui sarà sufficiente rinviare a C. Cecchella, L’articolo 38 disp. att. c.c. e l’art. 709-ter c.p.c. novellati, in M.G. Ruo (a cura di), Famiglie, minorenni e persone nella riforma del processo civile, Maggioli, Bologna, 2022, pp. 109 ss.; vds. anche G. Vecchio, La competenza, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., pp. 39 ss.

14. Cass., 22 febbraio 2015, n. 2833, in Foro it., 2015, I, c. 2046; Cass., 14 ottobre 2014, n. 21633, in Fam. dir., n. 2/2015, pp. 105 ss.

15. È questa la ragione che ha spinto la dottrina a un’interpretazione letterale. Cfr. C. Cecchella, Diritto e processo, op. cit., p. 21; F. Danovi, Il processo di separazione e divorzio, Giuffrè, Milano, 2015, p. 89; F. Tommaseo, La nuova legge sulla filiazione: i profili processuali, in Fam. dir., n. 3/2013, p. 251; M.A. Lupoi, Il procedimento della crisi tra genitori non coniugati avanti al tribunale ordinario, in Riv. trim. dir. proc. civ., n. 4/2013, p. 1289; conf. alla giurisprudenza, invece, L. Durello, La tutela processuale dei figli nati fuori dal matrimonio, in A. Graziosi (a cura di), Diritto processuale di famiglia, Giappichelli, Torino, 2016, p. 100; G. Impagnatiello, Profili processuali della nuova filiazione. Riflessioni a prima lettura della l. 10 dicembre 2012, n. 219, in Nuove leggi civ. comm., n. 4/2013, p. 724. 

16. In tal senso, Cass., 26 gennaio 2015, n. 1349, in Fam. dir., n. 7/2015, p. 653, con nota di G. Buffone; Trib. Milano, decr. 7 maggio 2013 (www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/8991.pdf); in dottrina, vds. A. Proto Pisani, Note sul nuovo art. 38 disp. att. c.c. e sui problemi che essa determina, in Foro it., 2012, V, c. 128; C.M. Cea, Trasferimento del contenzioso del giudice minorile al giudice ordinario ex l. 219/2012, ivi, 2013, 1, c. 118. 

17. Conf. F. Danovi, Il processo, op. cit., pp. 97 e 98; F. Tommaseo, La nuova legge, op. cit., p. 257; G. Impagnatiello, Profili processuali, op. cit., p. 724.

18. Conf. Cass., 26 gennaio 2015, n. 1349, cit.; Trib. min. Brescia, 22 luglio 2013.

19. C. Cecchella, Diritto e processo, op. cit., pp. 223 ss.; B. Poliseno, Profili di tutela, op. cit., p. 416; L. Querzola, Il processo minorile in dimensione europea, Bononia University Press, Bologna, 2010, p. 162.

20. Cfr. G. Vecchio, La competenza, op. cit., pp. 55 ss.; R. Donzelli, L’attuazione delle misure, op. cit., pp. 224 ss.; A. Simeone e G. Sapi, Il nuovo processo per le famiglie e i minori, Giuffrè, Milano, 2022, p. 52.

21. Sarebbe stato auspicabile un chiarimento del legislatore sulle conseguenze della violazione.

22. Per una difesa generale, invece, dell’obbligo di verità delle parti, vds. M. Gradi, L’obbligo di verità delle parti, Giappichelli, Torino, 2018, pp. 524 ss. (per il dibattito tra i due processualisti coinvolti nei lavori di codificazione del ventennio), con ampio riferimento alle tesi anche contrarie, con importanti spunti storici e comparatistici.

23. Con una diversa gradualità, due dei più importanti tribunali d’Italia (Roma e Napoli), nel decreto che fissa la comparizione delle parti nel procedimento per separazione, hanno ordinato – è il caso del tribunale capitolino – ai coniugi di produrre non semplicemente, come la legge impone già dalla fase presidenziale le rispettive dichiarazione dei redditi, ma un atto sostitutivo dell’atto di notorietà con l’avviso alle «parti che la falsità delle dichiarazioni rese è penalmente punita ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445». Il tribunale partenopeo, invece, attenua le conseguenze in termini delittuosi, ma impone comunque «che entrambe le parti provvedano a depositare nel medesimo termine, in aggiunta alla documentazione reddituale degli ultimi tre anni, una nota informativa nella quale dovranno essere inseriti anticipatamente tutti quei dati che potrebbero essere rivelati a seguito di libero interrogatorio da parte del presidente». I decreti sono pubblicati nella rivista Avvocati di famiglia, 2014, p. 34, con nota critica di C. Cecchella.

24. In senso molto critico per la soluzione la dottrina processualistica: vds. la «Nota del Consiglio direttivo dell’associazione italiana fra gli studiosi del processo civile a proposito dell’emendamento governativo all’art. 3 del D.D.L AS 1662» (https://aispc.it/wp-content/uploads/2021/06/nota-AISPC-28.6.21.pdf), seguita dall’ulteriore «Nota del consiglio direttivo dell’Associazione sulle proposte di modifica 2.77, 2.78, 3.41, 3.42, 6.20, 6.02, 12.19 e 15.6, presentate dal governo al D.D.L A.S 1662» (https://aispc.it/wp-content/uploads/2021/07/nota-AISPC-2-luglio-2021.pdf). Numerosi i singoli interventi: G. Costantino, Perché ancora riforme della giustizia?, in Questione giustizia online, 13 luglio 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/perche-ancora-riforme-della-giustizia); G. Verde, Il problema della giustizia non si risolve modificando le regole del processo, in Giustizia insieme, 17 giugno 2021; A. Proto Pisani, Brevi osservazioni di carattere tecnico e culturale su “Proposte normative e note illustrative” rese pubbliche dal Ministero della Giustizia, ivi, 8 giugno 2021; G. Scarselli, Osservazioni al maxiemendamento 1662/S/XVIII di riforma del processo civile, ivi, 24 maggio 2021; B. Capponi, Prime note sul maxiemendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, ivi, 18 maggio 2021. Reazioni conformi anche nell’avvocatura: cfr. la nota congiunta di Cnf, Ocf e Unione camere civili, del 2 luglio 2021 (www.organismocongressualeforense.news/wp-content/uploads/2018/01/Nota-congiunta-CNF-OCF-UNCC-2-7-2021.pdf).

25. Come avevamo avuto occasione di auspicare nell’imminenza di entrata in vigore della legge delega, cfr. Il nuovo processo familiare e minorile nella legge delega sulla riforma del processo civile, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/978/3-2021_qg_cecchella_i.pdf).

26. Sia consentito rinviare a C. Cecchella, Diritto e processo, op. cit., pp. 134 ss.

27. Orientamento invero minoritario, salvo alcune aperture, per il rito del lavoro, in A. Proto Pisani, Lavoro (controversie individuali in materia di), in Noviss. Dig. It., Appendice, vol. IV, Utet, Torino, 1983, pp. 651 e 663; G. Verde, Norme inderogabili, tecniche processuali e controversie di lavoro, in Riv. dir. proc., 1977, pp. 220 ss.; in senso contrario, L. Montesano e R. Vaccarella, Manuale di diritto processuale del lavoro, Jovene, Napoli, 1984, pp. 133-134; L. Montesano, Le prove disponibili d’ufficio e l’imparzialità del giudice civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 189; G. Fabbrini, Diritto processuale del lavoro, Franco Angeli, Milano, 1975, p. 152; in giurisprudenza, ex plurimis, Cass., 11 agosto 1981, n. 4896, in Foro.it., 1982, I, c. 448.

28. In giurisprudenza, sotto il regime previgente, prevaleva l’indirizzo a limitare la nomina al curatore speciale solo in caso di conflitto. Vds. Corte cost., 11 marzo 2011, n. 83, in Fam. dir., n. 6/2011, pp. 547 ss., con nota di F. Tommaseo, e Cass., 14 luglio 2010, n. 16553, in Giust. civ., 2011, I, c. 2908, che cassa Corte appello Milano, 16 ottobre 2008, in Fam. dir., n. 3/2009, pp. 251 ss., con nota di F. Tommaseo, la quale invece aveva ritenuto di nominare un difensore del minore e non un curatore speciale ex art. 78 cpc.

29. Dopo la legge delega, vds. B. Poliseno, Il curatore speciale del minore, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., pp. 85 ss.; M.G. Ruo, Il nuovo curatore speciale della persona di età minore, in Id. (a cura di), Famiglie, minorenni e persone, op. cit., pp. 137 ss.; prima della riforma, vds. B. Poliseno, Profili di tutela, op. cit., pp. 37 ss.; C. Cecchella, Diritto e processo, op. cit., pp. 33 ss.; G. Dosi, L’avvocato del minore, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 1-40; M.G. Ruo (a cura di), Il curatore del minore. Compiti, procedure, responsabilità, Maggioli, Bologna, 2014, passim.

30. Trib. Treviso, 26 aprile 2022 (www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17512180/nomina-del-curatore-del-minore-con-poteri-di-natura-sostanzi.html), e Trib. Genova, 28 agosto 2022 (www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17512497/curatore-speciale-del-minore-con-funzioni-gestionali-e-media.html).

31. Particolarmente critico su tale aspetto, G. Scarselli, La riforma del processo di famiglia, in Giustizia insieme, 15 dicembre 2021, scrive: «Né può replicarsi che la deroga al principio della domanda è giustificata dalla indisponibilità dei diritti o dall’interesse superiore del minore, poiché questi interessi sono assicurati dalla presenza del PM e del curatore speciale del minore, mentre il giudice, anche dinanzi a questi diritti, e anche a fronte dell’interesse superiore del minore, deve comunque rimanere terzo e imparziale; e la terzietà e l’imparzialità del giudice escludono che questi possa provvedere d’ufficio». Ugualmente critico A. Proto Pisani, Note a prima lettura di una brutta riforma del processo civile, in Questione giustizia online, 29 novembre 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/prima-lettura-riforma-proc-civ).

32. Sui problemi postulati nel recente passato in ordine alla reclamabilità dei provvedimenti provvisori, sia consentito rinviare a C. Cecchella, Il giudice di legittimità apre all’impugnazione dei provvedimenti provvisori nelle controversie di famiglia e minorili, in Giusto proc. civ., n. 3/2020, pp. 217 ss.

33. Massima concessione ottenuta nei lavori della Commissione, divisa sul punto, ma con maggioranza contraria a suggerire il modello del reclamo cautelare ex art. 669-terdecies cpc, a cui propendeva sommessamente lo scrivente, anche in linea con il principio direttivo. Un conforto alla tesi oggi di Proto Pisani, Note a prima lettura, op. cit.

34. Cfr. Cass., 4 luglio 2014, n. 15416, in Fam. dir., n. 3/2015, p. 235, con nota critica di M.G. Giorgetti; per una disamina più ampia, vds. C. Cecchella, Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti provvisori e urgenti nei processi di separazione e divorzio, in Giusto proc. civ., n. 1/2008, pp. 329 ss. La qualificazione in termini cautelari aveva, invece, spinto la dottrina ad ammettere il reclamo ex art. 669-terdecies cpc. A. Proto Pisani, Su alcuni problemi attuali del processo familiare, in Foro it., 2004, I, c. 2535; C. Cea, I provvedimenti nell’interesse dei coniugi e della prole e il reclamo cautelare, ivi, 2002, cc. 264 ss.; G. Balena, Provvedimenti sommari esecutivi e garanzie costituzionali, ivi, 1998, I, cc. 1541 ss.; soprattutto, F. Cipriani, L’impugnazione dei provvedimenti “nell’interesse dei coniugi e della prole” e il lento ritorno al garantismo, in Corr. giur., n. 2/1998, pp. 211 ss.; C. Cecchella, Il processo cautelare. Commentario, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 243 ss.; P. Martinelli, Alcune questioni sull’ambito di applicazione del nuovo rito cautelare uniforme, in Foro it., 1995, V, cc. 176 ss. Pur accogliendo la qualificazione cautelare, nega invece, per incompatibilità, l’applicazione della disciplina del reclamo L. Salvaneschi, Provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e della prole e procedimento cautelare uniforme, in Riv. dir. proc., 1994, pp. 1063 ss.

35. Per opportuni riferimenti, vds. C. Cecchella, Il giudice di legittimità apre all’impugnazione, op. cit., a commento della ordinanza 17 aprile 2017, n. 10777 della Suprema corte.

36. Cfr., dopo la legge delega, B.M. Lanza, Il coordinatore genitoriale, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., pp. 187 ss.; in precedenza, F. Novello, Il coordinatore genitoriale: un nuovo istituto nel panorama giuridico italiano?, in Familia, n. 3/2018, pp. 362 ss.; F. Danovi, Il coordinatore genitoriale: una nuova risorsa nella crisi della famiglia, in Fam. dir., n. 8-9/2017, pp. 793 ss.

37. Sul tema, dopo la legge delega, vds. D. Noviello, La mediazione familiare nella riforma, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., pp. 105 ss.; prima, S. Larizza, La mediazione familiare, in E. Silvestri (a cura di), Forme alternative di risoluzione delle controversie e strumenti di giustizia riparativa, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 170 ss.; D. D’Adamo, La mediazione familiare come metodo integrativo di risoluzione delle controversie, in Riv. dir. proc., n. 2/2015, pp. 377 ss.; S. Canata, La proiezione diacronica del conflitto e i poteri del giudice nella nuova mediazione delegata, in Nuova giur. civ. comm., 2014, p. 236; G. Morani, La mediazione familiare, in Dir. fam. e pers., n. 3/2012, pp. 1322 ss. ; G. Impagnatiello, La mediazione familiare nel tempo della “mediazione finalizzata alla conciliazione” civile e commerciale, in Fam. dir., n. 5/2011, pp. 525 ss.; P. Rescigno, Interessi e conflitti nella famiglia: l’istituto della “mediazione familiare”, in G. Alpa e R. Danovi (a cura di), La risoluzione stragiudiziale delle controversie e il ruolo dell’avvocatura, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 511 ss.; G. Ferrando, Autonomia privata e mediazione familiare, in Id. (a cura di), Separazione e divorzio, Utet, Torino, 2003, pp. 559 ss.

38. Corte cost., 15 aprile 2010, n. 131 (www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2010&numero=131).

39. Sul tema, dopo la legge delega, F. Ferrandi, La sentenza immediata, la sentenza parziale e la sentenza finale, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., pp. 169 ss.; per riferimenti precedenti, cfr. C. Cecchella, Diritto e processo, op. cit., p. 132; F. Danovi, Sentenza parziale di separazione e divorzio: sempre più rapida la via per la formazione del nuovo status, in Fam. dir., n. 2/2020, p. 132; Id., Il processo di separazione e divorzio, Giuffrè, Milano, 2015, p. 538; G. Dosi, Sentenza non definitiva di separazione e rapporti tra separazione e divorzio. Un’ipotesi di continenza di causa, in C. Cecchella (a cura di), Dal reclamo all’appello: le impugnazioni nei procedimenti di separazione e divorzio, Ed. PLUS, Pisa, 2008, p. 111; F. Cipriani, Rimessione al collegio e sentenza non definitiva, in Fam. dir., n. 5/1995, pp. 480 ss.; Id., La riforma dei processi di divorzio e di separazione, in Riv. dir. proc., 1988, pp. 408 ss.; A. Graziosi, La sentenza di divorzio, Giuffrè, Milano, 1997, pp. 323 ss., e A. Saletti, Procedimento e sentenza di divorzio, in G. Bonilini e G. Cattaneo (a cura di), Diritto di famiglia – I. Famiglia e matrimonio, Utet, Torino, 1997, p. 617.

40. La riesumazione dell’antica udienza di spedizione a sentenza è discutibile sul piano dell’opportunità, perché consente un’ulteriore dilazione nella decisione, se non quella esclusivamente di tenere il processo aggiornato alle circostanze fattuali sopravvenute in un tempo più vicino possibile alla decisione.

41. Sulla legge delega, vds. A. Mengali, L’appello e il ricorso per cassazione, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., pp. 301 ss.; prima della riforma delegata, C. Cecchella, Diritto e processo, op. cit., pp. 198 ss.; G. Vecchio, L’appello nelle controversie di famiglia, in C. Cecchella (a cura di), Il nuovo appello civile, Zanichelli, Bologna, 2017, pp. 227 ss., part. p. 232.

42. Sia consentito rinviare, per un’impostazione generale al problema, a C. Cecchella, Diritto e processo, op. cit., pp. 223 ss.; dopo la legge delega, vds. R. Donzelli, L’attuazione delle misure, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., pp. 215 ss. Per una bibliografia anteriore: R. Donzelli, I provvedimenti negli interessi dei figli minori ex art. 709 ter c.p.c., Giappichelli, Torino, 2018, pp. 69 ss.; B. Poliseno, Profili di tutela, op. cit., pp. 391 ss.; in riflesso al tema generale della esecuzione degli obblighi infungibili, S. Mazzamuto, L’attuazione degli obblighi di fare, Jovene, Napoli, 1978, passim; F.P. Luiso, L’esecuzione ultra partes, Giuffrè, Milano, 1984, pp. 24 ss.; C. Cea, L’esecuzione coattiva degli obblighi di affidamento della prole, in Rass. dir. civ., 1982, pp. 930 ss.; C. Mandrioli, L’esecuzione forzata in forma specifica, Giuffrè, Milano, 1953, passim; E. Garbagnati, In tema di esecuzione dei provvedimenti temporanei ex art. 708 c.p.c., in Foro pad., 1958, I, p. 1215. Interessanti i dubbi di G. Borrè, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, Jovene, Napoli, 1966, pp. 157 ss., non potendosi assimilare al semplice pati di un facere la complessa vicenda dell’obbligo di consegna del minore (a cui si accompagnano profili che il pati semplifica e non coglie). Su posizioni rimaste isolate, M. Fornaciari, L’attuazione dell’obbligo di consegna del minore. Contributo alla teoria dell’esecuzione forzata in forma specifica, Giuffrè, Milano, 1991, pp. 163 ss., che predilige l’applicazione delle forme di consegna del libro III. Per un critica condivisibile all’impostazione di Fornaciari, cfr. B. Poliseno, Profili di tutela del minore, op. cit., p. 397, ove l’Autrice parte dall’assunto dell’essere oggetto della tutela un diritto anche del minore e non solo del titolare della responsabilità genitoriale; conf. F. Danovi, L’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento e alla consegna dei minori tra diritto vigente e prospettive di riforma, in Dir. fam. e pers., n. 2-3/2002, pp. 530 ss.; L. Querzola, Il processo minorile, op. cit., p. 162; E. Vullo, L’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole, in Commentario al Codice civile Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Giuffrè, Milano, 2010, p. 810; A. Proto Pisani, Su alcuni problemi attuali del processo familiare, in Foro it., 2004, I, c. 2540.

43. Il richiamo è a Cass., 6 marzo 2020, n. 6471, in Judicium, 30 marzo 2020, con nota di A. Di Bernardo, che nega l’applicazione dell’art. 614-bis all’obbligo di visita del figlio minore da parte del genitore non affidatario (www.judicium.it/lart-614-bis-c-p-c-non-si-applica-allobbligo-visita-del-figlio-minore-parte-del-genitore-non-affidatario/); con nota critica di B. Ficcarelli, Misure coercitive e diritto-dovere di visita del genitore non collocatario, in Fam. dir., n. 3/2020, pp. 32 ss. Per una diversa lettura dei rapporti tra le misure ex art. 709-ter cpc e quelle ex art. 614-bis cpc, applicando le seconde nei casi in cui fosse effettivamente necessario sanzionare la sua reiterazione, cfr., tra le altre, Trib. Firenze, 10 novembre 2011, in Danno e resp., 2012, pp. 781 ss.; Trib. Milano, 7 gennaio 2018 (www.avvocatipersonefamiglie.it/media/3021521484598.pdf); Trib. Genova, 8 dicembre 2018, e Trib. Lecce, 1° luglio 2019 (cfr. www.osservatoriofamiglia.it).

44. Solo che si pensi all’uso della locuzione «risarcimento dei danni» nell’ art. 709-ter cpc, che non aveva impedito una qualificazione in termini di misura coercitiva, secondo l’opinione prevalente anche in giurisprudenza, cfr. Trib. Messina, 8 ottobre 2012, in Danno e resp., 2013, p. 409; Trib. Novara, 11 febbraio 2011, in Fam. min., 2011, pp. 12 ss.; Trib. Napoli, 30 aprile 2008, in Fam. dir., 2008, p. 1024; Corte appello Firenze, 29 agosto 2007, in Danno e impr., 2008, p. 799; Trib. Messina, 5 aprile 2007, in Fam. dir., 2008, p. 60; in senso contrario, per un inquadramento in termini di responsabilità ex art. 2043 cc, Trib. Pavia, 23 ottobre 2009, in Fam. dir., 2010, p. 149. La dottrina è divisa, evidenziando taluni l’inquadramento in termini di responsabilità civile dei nn. 2 e 3 (facendo leva sulla lettera, ma non confrontandosi con la concreta applicazione dell’istituto e il senso di una previsione speciale, già tutta contenuta nell’art. 2043 cc); in tal senso, per le ipotesi di cui ai nn. 2 e 3, B. Poliseno, Profili di tutela del minore, op. cit., pp. 448 ss.; A. Graziosi, L’esecuzione forzata dei provvedimenti in materia di famiglia, in Id. (a cura di), Diritto processuale della famiglia, Giappichelli, Torino, 2016, p. 880; F. Danovi, Gli illeciti endofamiliari: verso un cambiamento della disciplina processuale?, in Dir. fam. e pers., n. 1/2014, pp. 293 ss. Altri, in linea con quanto sostenuto nel testo, rilevano la natura sanzionatoria e coercitiva: vds., sub art. 709-ter, E. Vullo, Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli (l. 8 febbraio 2006 n. 54), in Nuove leggi civ. comm., n. 1/2008, p. 234; R. Greco, La responsabilità civile nell’affidamento condiviso, in Resp. civ., 2006, p. 746. 

45. Sul tema la monografia di M. Acone, La tutela dei crediti di mantenimento, Jovene, Napoli, 1985, passim e, più recente, F. De Santis, Profili attuali delle tutele speciali dei crediti di mantenimento, in Giusto proc. civ., n. 1/2013, pp. 55 ss.

46. In un significativo obiter dictum, Corte cost., 19 luglio 1996, n. 258, ove si legge: «non può convertirsi in pignoramento e non ha natura cautelare, essendo finalizzato ad una funzione di coazione, anche psicologica all’adempimento degli obblighi di mantenimento».

47. Al quale non ha potuto porre rimedio il legislatore delegato.

48. È stata messa bene in luce, in un importante convegno organizzato a Cagliari negli anni novanta da una delle principali associazioni forensi familiariste, l’importanza della previsione di modalità di esecuzione discrezionali e adattate alla fattispecie, stabilite dallo stesso giudice del merito, con il superamento necessario e inevitabile degli schemi tipici del processo esecutivo regolati nel libro III del codice di rito. Ci riferiamo al contributo di S. Chiarloni, L’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori, op. cit., pp. 115 ss., il quale sottolinea l’importanza dell’art. 6, comma 10, l. n. 898/1970, come novellato dalla l. n. 74/1987.

49. Filone interpretativo fatto proprio dalla giurisprudenza di merito. Cfr., ad esempio, Trib. Modena, 20 gennaio 2012, in Giur. mer., 2012, pp. 600 ss.; Trib. Modena, 17 settembre 2012, in Giur. loc. Modena, 2012; Trib. Varese, 7 maggio 2010, in Fam. pers. succ., 2010, pp. 472 ss.; Trib. Padova, 3 ottobre 2008, in Fam. dir., 2009, pp. 609 ss.; Trib. Napoli, 7 marzo 2008, in Fam. e minori, 2008; Trib. Modena, 29 gennaio 2007, in Fam. dir., 2007, pp. 823 ss.; Trib. Modena, 7 aprile 2006, in Dir. giust., 2006, pp. 24 ss. In dottrina, per la tesi estensiva: A. Graziosi, L’esecuzione forzata dei provvedimenti, op. cit., p. 240; I. Zingales, Misure sanzionatorie e processo civile: osservazioni a margine dell’art. 709-ter c.p.c., in Dir. fam. e pers., n. 1/2009, p. 407; B. Ficcarelli, L’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori: l’esperienza italiana e francese a confronto, in Fam. dir., n. 1/2016, p. 109; in senso contrario: F. Danovi, Il processo, op. cit., pp. 638 ss.; C. Cecchella, Diritto e processo, op. cit., p. 117. In giurisprudenza, Trib. Pisa, 12 marzo 2008 (consultabile in Dejure.it); in senso contrario, anche, Corte cost., 10 luglio, 2020, n. 145, con nota di A. Di Bernardo (www.judicium.it/wp-content/uploads/2020/12/A.-Di-Bernardo.pdf). Della stessa Autrice vds., altresì, I confini mobili degli artt. 614-bis e 709-ter nei nuovi trend giurisprudenziali in materia di misure coercitive, in Osservatorio sul diritto di famiglia – Diritto e processo, n. 1/2021, pp. 10 ss. Sullo stesso tema, se si vuole, C. Cecchella, L’art. 38 disp. att. c.c. novellato e l’art. 709-ter c.p.c., ivi, n. 1/2022, pp. 17 ss.

50. Sul tema, dopo la legge delega, G. Albiero, I fatti di violenza e il processo, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., pp. 359 ss.; C. Rimini, L’impatto sul contenzioso civile delle denunce o querele relative ai fatti commessi all’interno della famiglia, in C. Parodi - G. Spadaro - S. Stefanelli (a cura di), Il diritto delle criticità familiari: prospettive penali, civili e minorili, Giuffrè, Milano, 2022, pp. 315 ss. Prima della riforma, L.E. Maffei, Il diritto alla bi-genitorialità tra esigenze di tutela delle vittime di violenza domestica e tutela della relazione genitoriale, tra condotte strumentali e alienanti, in Osservatorio sul diritto di famiglia – Diritto e processo, n. 1/2021, pp. 84 ss.; M. Paladini, Abusi familiari e ordini di protezione in Italia e in Europa, e C. Cecchella, Gli ordini di protezione, entrambi ivi, n. 1/2018, rispettivamente pp. 49 ss. e 35 ss. 

51. Sul tema, vds. la raccolta di saggi a cura di M. Paladini, Gli abusi familiari. Misure personali e patrimoni di protezione. Profili di diritto civile, penale e comparato, Cedam, Padova, 2009.

52. L’originaria formulazione – l. n. 154/2001 – dell’art. 342-bis cc subordinava l’emanazione di un ordine di protezione civile al fatto che, nella condotta del familiare violento, non ricorressero gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio. La legge n. 304/2003 ha eliminato tale presupposto. Ne consegue che, oggi, la strada civile non potrà essere preclusa dalla sussistenza di una condotta penalmente rilevante, ponendosi il doppio binario e il rischio di provvedimenti contraddittori. Un tentativo di porre rimedio è dovuto alla l. n. 69/2009, che ha introdotto l’art. 64-bis disp. att. cpp, il quale impone al giudice penale la trasmissione dei suoi provvedimenti al giudice civile.

53. Il testo era il seguente: «dopo la lettera a) inserire la seguente: a-bis) l’obbligo per tutti i soggetti istituzionali che entrano in contatto con i minorenni di garantire che i diritti di affidamento e di visita siano assicurati tenendo conto delle violenze, anche assistite, rientranti nel campo di applicazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (…), allegate, denunciate, segnalate o riferite», quindi sulla base di una semplice indicazione, senza l’accertamento di un giudice.

54. Lo scrivente ebbe l’occasione, su segnalazione di alcuni magistrati, di prendere immediata posizione – cfr. C. Cecchella, Bigenitorialità, l’altra faccia della riforma: «a rischio il principio del giusto processo», Il Dubbio, 1° settembre 2021.

55. Art. 48: «Le parti devono adottare le necessarie misure legislative o di altro tipo per vietare il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione».

56. Più precisa anche la definizione della Convenzione di Istanbul, all’art. 3, che fonda la fattispecie sulla violenza vera e propria, sia pure anche psicologica.

57. Sul punto, vds. F. Campione, La separazione e il divorzio condiviso, in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., pp. 229 ss.; vds., dello stesso Autore, Divorzio su domanda congiunta, attribuzioni patrimoniali e tutela dei creditori del coniuge. Profili processuali e sviluppi applicativi, in Quaderni di Judicium, n. 16/2022, Pacini, Pisa, 2022, part. pp. 135 ss.

58. Il profilo ha costituito una scelta di maggioranza della Commissione ministeriale.

59. Sui quali si rinvia a F. Campione, op. ult. cit.

60. Dopo la legge delega, vds. M. Labriola, Il procedimento speciale di convalida delle misure della pubblica autorità a favore dei minori ex art. 403 c.p.c., in C. Cecchella (a cura di), La riforma del giudice e del processo, op. cit., p. 337.

61. G. Savi, Il tribunale “per le persone, per i minorenni e per le famiglie”, in C. Cecchella (a cura di), op. ult. cit., pp. 411 ss.; C. Cecchella, Il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie della legge delega di riforma del processo civile, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, pp. 239-248 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/979/3-2021_qg_cecchella_ii.pdf).

62. Sul tema, da ultimo, C. Maggia, La riforma del processo civile e il mondo minorile: alcuni spunti migliorativi e molti effetti paradosso, in Questione giustizia online, 27 dicembre 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/maggia-proc-civ-riforma).

63. Cfr. L. Fanni (a cura di), Quale processo, op. cit., e, ivi, le relazioni di F.P Luiso, F. Cipriani, A. Proto Pisani e S. Chiarloni, con una ricca appendice di documenti – pp. 185 ss.

64. Di cui è data documentazione in A. Germanò (a cura di), La riforma della giustizia minorile in Italia (atti del convegno di Firenze, 9-11 maggio 1986), Giuffrè, Milano, 1986, con un’appendice sulle principali ipotesi di riforma sino a quell’epoca – part. pp. 263 ss.

65. A partire dal ddl governativo n. 2517 del 2002, in Dir. fam., 2003, p. 491, preceduto, di iniziativa parlamentare, dai progetti presentati nel biennio 1996-1997, promotori gli Onn. Magliocchetti, n. 966 del 16 luglio 1996, e Casinelli, n. 3041 del 23 gennaio 1997.

66. Ddl S 3323, prima firmataria la Sen.ce Casellati; per comprendere i termini del dibattito, cfr. il documento subito elaborato, in contrasto, dall’Associazione dei magistrati minorili (www.minoriefamiglia.org/images/allegati/AIMMF-ddl-casellati-allegrini-definitivo.pdf).

67. «Schema di disegno di legge di delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile», approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 10 febbraio 2015. Il ddl aveva ricevuto l’autorizzazione presidenziale in data 4 marzo 2015 ed era stato presentato, poi, alla Camera il giorno 11 marzo 2015, quale C 2953. Per il dibattito che ne seguì, cfr. C. Cecchella (a cura di), Il processo di famiglia, op. cit., pp. 63 ss.

68. Nella persona dell’allora Consigliera responsabile per la famiglia e i minori, Maria Masi, che sarebbe poi diventata presidente del Cnf.

69. Cfr. il «Comunicato Aimmf sulla decisione del Ministro di stralciare dalla riforma del processo civile la parte ordinamentale relativa alla giurisdizione minorile», 3 agosto 2017 (www.minoriefamiglia.org/index.php/documenti/attualita?start=30).

70. Confusione generata anche dal contrasto, in materia di procedimento innanzi alla Corte di cassazione e di regime della formula esecutiva, con la legge 29 dicembre 2022, n. 198 (cd. “milleproroghe”), ove il legislatore, dimenticando la precedente legge di bilancio n. 197/2022, che porta la stessa data, ha prorogato sino al 30 giugno 2023 il regime emergenziale non del tutto in linea con la nuova disciplina dovuta al d.lgs n. 149/2022, che viene fatto entrare in vigore il 1° gennaio 2023. In tema, vds. R. Frasca, Sulla proroga della cd. udienza pubblica civile in Cassazione, in Questione giustizia online, 30 dicembre 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/proroga-cassazione), e G. Fichera, Lo strano caso dell’udienza pubblica in Cassazione, in Judicium, 4 gennaio 2023 (www.judicium.it/lo-strano-caso-delludienza-pubblica-in-cassazione/).