Magistratura democratica

Le ADR nella riforma della giustizia civile

di Alberto Maria Tedoldi

Il contributo si sofferma sulla mediazione civile e commerciale di cui al d.lgs n. 28/2010, e sulla negoziazione assistita di cui al d.lgs n. 132/2014, come riformate con d.lgs n. 149/2022, al fine di ampliarne la diffusione. Le nuove norme paiono destinate a dare alla mediazione e alla negoziazione assistita un impulso ulteriore e, auspicabilmente, decisivo nella direzione di estenderle e favorirle al massimo grado, quali strumenti di risoluzione delle controversie non soltanto complementari alla giurisdizione, ma onnicomprensivi, che guardano al rapporto giuridico nella sua interezza, anziché ai singoli elementi in cui si frammenta la res in iudicium deducta, allo scopo di pervenire ad accordi conciliativi globali e stabili. “The civil process is dead, long live negotiation and mediation!”.

1. ll processo civile è morto: vivano le ADR / 2. Le novità in materia di mediazione civile e commerciale / 3. Procedure di reclamo e conciliazione / 4. La domanda di mediazione e la competenza territoriale derogabile / 5. La mediazione obbligatoria, il suo oggetto e il regime dell’improcedibilità / 6. La mediazione in materia condominiale / 7. La mediazione demandata e la formazione del giudice: per un rinnovato “umanesimo forense” / 8. Mediazione contrattuale e libertà creatrice: Med-Arb, Arb-Med e clausole multi-step / 9. Durata della mediazione / 10. La domanda di mediazione e i suoi effetti / 11. Il procedimento di mediazione, il primo incontro effettivo e la “delega sostanziale” / 12. La consulenza tecnica in mediazione (ctm) / 13. La mediazione con modalità telematiche / 14. Le conseguenze della mancata partecipazione alla mediazione / 14.1. Argomenti di prova / 14.2. Raddoppio del contributo unificato e informativa alla Corte dei conti e alle autorità di vigilanza / 14.3. Raddoppio delle spese di lite a carico della parte soccombente in giudizio che non abbia partecipato alla mediazione / 15. La conclusione del procedimento e la conciliazione / 15.1. L’accordo conciliativo sottoscritto dalle pubbliche amministrazioni /15.2. La proposta di conciliazione formulata dal mediatore e le sue conseguenze in caso di rifiuto / 16. Efficacia esecutiva ed esecuzione dell’accordo conciliativo / 17. Il patrocinio a spese dello Stato nella mediazione obbligatoria / 18. Accantonamento del Tusc («Testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione») / 19. Incentivi fiscali: soglia di esenzione dall’imposta di registro e crediti d’imposta / 20. Indennità di avvio e spese di mediazione / 21. Requisiti degli organismi di mediazione e degli enti di formazione / 22. Le novità in materia di negoziazione assistita da avvocati / 23. La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro subordinato e parasubordinato / 24. L’attività di istruzione stragiudiziale / 24.1. Acquisizione delle dichiarazioni di terzi informatori / 24.2. Interpelli e dichiarazioni confessorie (stragiudiziali) delle parti / 25. La negoziazione assistita in modalità telematica / 26. La negoziazione assistita nel campo delle famiglie: “umanesimo forense” e buone prassi collaborative / 26.1. Le modifiche all’art. 6 dl n. 132/2014 sulla negoziazione assistita da avvocati in materia di famiglie / 26.2. Patrocinio a spese dello Stato nella negoziazione assistita obbligatoria

 

1. Il processo civile è morto: vivano le ADR

Ubiquità, non luoghi, “distanziamento sociale” e burocratizzazione nella giurisdizione civile sono realtà da tempo endemiche e lo sono diventate viepiù con la pandemia e con la legislazione d’emergenza. Del che abbiamo scritto altrove, in un pamphlet dedicato a Il giusto processo (in)civile in tempo di pandemia, formulando l’auspicio che si torni a quella phrònesis dialogica in corporibus vivis, che è il lievito di ogni metodo di soluzione della controversia, giudiziale o stragiudiziale che sia[1]

Parafrasando un celeberrimo passo di Giuseppe Chiovenda, ben può dirsi che il libero convincimento del giudice e, ancor più, il metodo negoziale, euristico e maieutico della mediazione e delle ADR in genere, esigano la luce e l’aria del giorno, del dialogo e dell’incontro tra persone in carne e ossa; nel labirinto della scrittura e dei formalismi essi appassiscono e muoiono.

Il d.lgs n. 149/2022, emesso per attuare la delega di cui alla l. n. 206/2021 e che ampiamente modifica il tessuto del cpc, non promette alcunché di buono per il processo civile, ridotto – per vero, ormai da vari decenni – a puro procedimento, burocratico e antiumano, nel quale strettoie, preclusioni e formalismi riescono sempre più intollerabilmente rigidi, anziché attuare quel case management in praesentia che adatti le forme procedurali alla variabile complessità delle singole controversie e anche alla mutevolezza dell’animo umano[2]. Il processo civile, ridottosi a puro e meccanicistico procedimento scritto e “distanziato”, ha cessato di fungere allo scopo suo proprio, che dovrebbe esser quello di render giustizia nel miglior modo e con la maggiore adesione possibile ai bisogni delle parti e alla verità relazionale del rapporto giuridico controverso: tutto è maschera e finzione, in un theatrum che di veritas et iustitia non reca più la benché minima traccia e neppure si duole di ciò, fondato com’è su assillanti statistiche econometriche e, horresco scribens, giurimetriche, alle quali soggiacciono inermi gli operatori della giustizia che, pur individualmente dotati delle migliori capacità e intenzioni, vengono fatalmente stritolati, dispersi e annientati dagli ingranaggi di elefantiaca machina machinarum.

L’impressione che se ne trae è quella di un implicito invito del conditor legum a evitare il processo come il peggiore dei mali: un male che è pur necessario a petto di reprobi, disonesti e recalcitranti, che si valgono di inefficienze, rigidità e lungaggini unicamente per farla franca, trarre ingiusti profitti e sottrarsi sine die al redde rationem

Si fa, dunque, di necessità virtù, a guisa di cura omeopatica (similia similibus curantur) o – se vuolsi e à la page con il tempo nostro – di un vaccino, sì da proteggere dalla malattia e risanare la piaga inferta al corpo sociale con un pharmakon, recte un veleno (unico essendone l’etimo)[3], prospettato onde indurre a condotte più savie e collaborative, come insegnava antica, confuciana saggezza[4]: «Le controversie giudiziarie tenderebbero a moltiplicarsi smisuratamente, se il popolo non avesse timore dei tribunali e confidasse di trovare in essi una rapida e perfetta giustizia. L’uomo sarebbe indotto a farsi delle illusioni su ciò che è bene per lui e in questo modo le contestazioni non avrebbero fine, al punto che la metà degli uomini del nostro impero non basterebbe a risolvere i litigi dell’altra metà. Pertanto, io desidero che quanti si rivolgono ai tribunali siano trattati senza pietà e in modo da sentire avversione verso la legge e tremino al pensiero di comparire davanti a un giudice. Così il male sarà tagliato alle radici. I buoni cittadini che abbiano controversie tra loro le comporranno come fratelli, ricorrendo all’arbitrato di un uomo anziano o del capo del villaggio. Per quanto riguarda i turbolenti, gli ostinati e i litigiosi, lasciate che si rovinino nei tribunali: questa è la giustizia che si meritano».

Va, dunque, salutata con “omeopatico” favore la parte del d.lgs n. 149/2022, segnatamente i suoi artt. 7-9, con cui si potenziano le ADR e, in particolare, mediazione, negoziazione assistita e arbitrato, ispirandosi alfine al paradigma del «multidoor courthouse», forgiato da Frank Sander nell’ormai risalente Pound Conference del 1976. Se tutto ciò verrà poco a poco a realizzarsi, proseguendo con pazienza e tenacia nell’alacre opera seguita all’ingresso della mediazione in Italia con il d.lgs n. 28/2010, pur dopo la forzosa pausa imposta dalla Consulta tra l’autunno del 2012 e quello del 2013, sarà un’autentica svolta culturale per il servizio giustizia, usualmente ingessato nel “tran tran” di solipsistiche attività scritturali, cartacee ed or telematiche, troppe volte distanti dai bisogni delle persone che bussano alle porte del tribunale e attendono invano senza ricever risposta – come il contadino tenuto sempre sulla soglia delle porte della Legge, nel celebre apologo di Kafka «Vor dem Gesetz» – o che, dopo aver affrontato infinite chicanes processuali e atteso per anni una pronuncia sul merito, subiscono dinieghi formalistici o provvedimenti ex auctoritate, che nulla hanno da spartire con l’accurata ricostruzione della fattispecie e con la sua sussunzione nell’appropriata regula iuris, canoni fondamentali del cd. “giusto processo” che si connota oggidì quale servizio reso alla comunità, non già e non più, per fortuna, quale pars summi imperii, secondo vetuste concezioni dello Stato e dell’ordinamento, che dovremmo alfine abbandonare una volta per tutte, ma che tornano immancabilmente a render visita in rinnovate e mutate vesti tecno-finanziarie-sanitarie-energetiche, levando armi e scudi che c’illudevamo di avere ormai bandito da lunga pezza.

Nella postmodernità liquida, traversando mari in perenne tempesta, si è approdati su lidi diametralmente opposti a quelli che informavano l’utopia illuministica prima e giuspositivistica poi. Il diritto e le sue fonti sono in frantumi; le leggi sono frenetiche e alluvionali, colme di frasi prolisse, parole inesatte e imprecise, clausole generali e concetti giuridici indeterminati o tecnicismi esoterici ignoti ai più. Il metodo stesso del positivismo giuridico, incentrato sull’analisi degli elementi della fattispecie astratta, è in mille pezzi, di fronte all’incapacità di costruire e di esprimere con parole semplici e comprensibili idee e precetti cartesianamente chiari e distinti. Prevalgono l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni normative in base a principi e valori che si prestano, nella loro naturale generalità e per insolubile indeterminatezza, a esser tratti alla bisogna del singolo interprete, ponendoli sul proverbiale letto di Procuste e prendendo così il sopravvento la soggettiva incertezza del judge made law[5].

Per altro verso, ci troviamo immersi in un sistema di totale squilibrio tra poteri, che incide sui meccanismi di checks and balances propri dello Stato di diritto e del due process of law, superati e resi vani dall’imperversare dello stato di eccezione e di emergenza imposto da ricorrenti e ormai endemiche crisi, da molti anni a questa parte assurte a permanenti dispositivi di governo della res publica: del che abbiamo scritto in altro pamphlet, al quale ci permettiamo di rinviare il paziente lettore[6].

Le continue, insistite e moleste riforme dei riti processuali alle quali inermi assistiamo da più di trent’anni a questa parte, quasi tutte soltanto in nome della durata ragionevole del “giusto processo” (in)civile, perseguendo l’efficienza economica con metodi aziendalistici, hanno trasformato e continuano a ridurre il processo in terra incognita e perniciosa, segnato da mille insidie e pericoli. Complicate sequenze procedurali, trappole e trabocchetti a ogni angolo, specialmente nei gradi di impugnazione, formalità scritte molteplici e inutili, assenza e incapacità di dialogo tra giudici e avvocati consegnano le parti alla completa mercé di un apparato fatto di meccanicismi goffamente consequenziari, incomprensibili e funesti per i singoli e per la comunità intera[7].

I metodi aziendalistici LIFO e FIFO («last in first out», «first in first out»), vengono continuamente evocati[8], anche nel PNRR, secondo un’ottica che lascia oltremodo perplessi, per non dire attoniti, con un approccio esclusivamente econometrico ai problemi della giustizia civile, come se la tutela dei diritti soggettivi, spesso indisponibili, possa venire ridotta alla “performance” degli uffici giudiziari e alla durata dei processi in termini puramente statistici e quantitativi, senza badare alla qualità e al contenuto dei provvedimenti, alle ricostruzioni dei fatti in essi operate e alle soluzioni giuridiche che ai singoli casi, attentamente chiariti e vagliati, meglio si attaglino, rivelando come si insista nel fare del giudice un’asettica macchina burocratica e degli uffici giudiziari inumani “sentenzifici”, nei quali la lite tra persone che il giudice è chiamato a risolvere ha una portata puramente cartacea o telematica e freddamente statistica. Uno scenario incubico degno di Metropolis di Fritz Lang o, più lievemente, del poetico Modern Times di Charlie Chaplin, da rivedere oggi aggiornandoli alla temperie socio-economica postmoderna da terziario avanzato, interamente imperniata su logiche performative, che coinvolgono l’intero essere umano, nel corpo, nella mente e nell’anima. Tutto, a cominciare dal nuovo verbo propalato attraverso le classifiche Doing Business[9] – truccate alla bisogna, come apprendiamo da recenti inchieste giornalistiche, e cautelativamente sospese – cospira a far sì che il fascicolo della causa civile venga letteralmente “smaltito” al più presto, per rispettare i fatidici tempi dettati per legge.

Il processo civile non è e non può essere il luogo in cui si pensa soltanto a liberarsi al più presto del fascicolo per passare ad altro. La controversia è un vulnus che colpisce non soltanto i singoli, ma l’intera comunità nella sua più intima essenza, in quanto garante della pace sociale attraverso gli organi deputati ad assicurarla «in nome del popolo» (art. 101 Cost.): una pace destinata a esser gravemente compromessa senza la costante ricerca di una giusta ed equa composizione dei conflitti, per lasciar posto, in mancanza, al ritorno alla barbarie dell’autotutela incentrata sui rapporti di forza, con il completo venir meno delle basi fiduciarie sulle quali si regge il patto tra concives, come tragicamente mostrano i conflitti internazionali e geopolitici in atto, anche nel cuore della vecchia Europa. 

L’auspicio è, dunque, quello che non si faccia dei dati statistici, degli effetti economici delle riforme e delle più o meno virtuose prassi processuali un feticcio, come si legge in plurimi passi del PNRR e nelle relazioni alla legge delega n. 206/2021 e al susseguente decreto legislativo n. 149/2022, che “maramaldeggia” sul processo civile: sono soltanto strumenti di analisi e di intervento, più o meno utili in base al metodo e al modo in cui vengono adoperati. La durata ragionevole del processo, prestabilita ex lege in termini astrattamente matematici, non è che uno dei valori del «giusto processo», neppure il più importante. Il processo civile, storicamente, ne persegue ben altri, di gran lunga preponderanti, che s’assidono sulla giustizia del caso singolo, ricercata e sperabilmente ottenuta attraverso l’attenta analisi dei fatti e l’accurata individuazione, interpretazione e applicazione delle norme e dei principii giuridici che a quei fatti meglio si adattino, mediante il metodo dialettico tra difensori innanzi a giudice terzo e imparziale. A questo serve il processo e a questo si spera che continui a servire, perché possa chiamarsi «giusto», come prescrive l’art. 111 Cost.[10].

Processo e procedura, frutto del razionalismo moderno, della logica e del metodo del positivismo giuridico, sono tramontati con la crisi della legge, dello Stato e del rapporto tra i poteri di questo. Non è più il tempo della legislazione, non è più il tempo del processo, non è più il tempo del giudizio. È giunto un tempo nuovo, da affrontare e vivere con spirito nuovo, che faccia nuove tutte le cose: l’esprit de la médiation[11].

 

2. Le novità in materia di mediazione civile e commerciale

L’art. 7 d.lgs n. 149/2022 reca ampie novelle al d.lgs n. 28/2010 sulla mediazione[12]

Esaminiamo le principali, seguendo il fil rouge degli interventi e gettando uno sguardo anche ai principi e ai criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 206/2021 e alle relazioni illustrative.

Lo stesso conditor legum sottolinea come, nell’ambito degli interventi volti a garantire effettività all’accesso alla giustizia, si riveli «decisiva una riforma degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie che si ponga nel solco della riconosciuta coesistenza e complementarietà delle due vie, giudiziale e stragiudiziale, quale strumento di ampliamento della risposta di giustizia a beneficio dei singoli interessati e della collettività», assegnando un ruolo rilevante agli strumenti di gestione negoziale delle liti, «per la loro idoneità a contribuire al perseguimento degli obiettivi di efficienza del sistema e di risposta adeguata e tempestiva delle richieste di risoluzione dei conflitti tra privati». Si valorizza, in tal modo, l’esercizio dell’autonomia privata anche a scopi conciliativi e si persegue anche «l’obiettivo di indurre un mutamento culturale di approccio alla risoluzione stragiudiziale dei conflitti, incentivando i privati, le imprese e i professionisti a utilizzare tali strumenti avvalendosi dell’assistenza da parte di professionisti dotati di specifiche competenze e adeguatamente formati».

 

3. Procedure di reclamo e conciliazione

L’art. 2, comma 2, d.lgs n. 28/2010 contiene l’aggiunta delle parole «e di conciliazione», al fine di chiarire che la mediazione, anche obbligatoria, non preclude le procedure di reclamo e di conciliazione, previste per legge nelle carte dei servizi, elaborate e pubblicizzate dai soggetti pubblici o privati che erogano servizi pubblici, in modo da ampliare gli strumenti di tutela per gli utenti in caso di violazione degli standard di qualità garantiti, in ossequio al principio di delega di cui all’articolo 1, comma 4, lett. c, l. n. 206/2021, che impone l’ampliamento dei casi di ricorso obbligatorio, in via preventiva, alla procedura di mediazione, chiarendo che le disposizioni del d.lgs n. 28/2010 non precludono alle parti di avvalersi delle suddette procedure.

 

4. La domanda di mediazione e la competenza territoriale derogabile

L’art. 4, commi 1 e 2, d.lgs n. 28/2010 è stato novellato solo lievemente nel testo, ben più nell’esprit: discorrere sistematicamente di «domanda di mediazione» significa mostrarne la valenza di ADR, alternativa alla domanda giudiziale e produttiva di molti degli effetti di questa, tra i quali l’interruzione-sospensione della prescrizione e l’impedimento delle decadenze. Inoltre, il pur ribadito criterio di competenza territoriale dell’organismo, con annesso e collaudato metodo della prevenzione in caso di “litispendenza” dinanzi a diversi organismi, sul modello di quanto prevede l’art. 39, ult. comma, cpc, a evitare forum shopping (recte, mediation shopping) da un canto, e conflitti tra procedure di mediazione dall’altro, non fa che ricondurre tale strumento entro il circolo virtuoso dei metodi di soluzione delle controversie, in un rapporto di autentica complementarietà e migliore adeguatezza, non sminuito, in nulla e per nulla, dalla scelta del conditor delegato di non esercitare la delega intesa a formare un testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione, “Tusc” in acronimo, quale originariamente divisata nell’art. 1, comma 4, lett. b, l. n. 206/2021. 

Oltre a ciò, il penultimo periodo dell’art. 4, comma 1, d.lgs n. 28/2010 ha cura di chiarire, contro ogni inopinato dubbio, la piena e perfetta derogabilità della competenza territoriale dell’organismo, vertendo le controversie, per definizione, su diritti disponibili e anche quando ne siano parti soggetti qualificabili come consumatori, che ben possono consapevolmente e a posteriori rinunciare a valersi del foro di protezione del loro domicilio.

 

5. La mediazione obbligatoria, il suo oggetto e il regime dell’improcedibilità

L’art. 5 d.lgs n. 28/2010 è stato interamente riscritto, cancellando il comma 1-bis, riportando nel comma 1 le ipotesi, ampliate, di mediazione obbligatoria, e spostando in altri articoli la disciplina relativa alla mediazione demandata e alla mediazione contrattuale.

Il comma 1 individua le controversie in relazione alle quali la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale[13]

Alle categorie già previste – condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari – si aggiungono le controversie in materia di contratti di:

- associazione in partecipazione (artt. 2549 ss. cc); 

- consorzio (artt. 2602 ss. cc); 

- franchising (l. n. 129/2004); 

- opera (artt. 2222 ss. cc), ivi incluse l’opera intellettuale (artt. 2229 ss. cc) e dunque anche le controversie tra liberi professionisti e clienti, non invece (purtroppo) l’appalto (privato) d’opera; 

- rete, che è il contratto con cui due o più imprese si obbligano a esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali, allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato (art. 3, comma 4-ter, dl n. 5/2009, conv. nella l. n. 33/2009); 

- somministrazione (artt. 1559 ss. cc); 

- società di persone, id est società semplice (ss) per attività non commerciali, società in nome collettivo (snc) e società in accomandita semplice (sas), non invece le srl, neppure semplificate (srls), sebbene presentino spesso strutture societarie ridotte o assai ristrette compagini familiari;

- subfornitura (l. n. 192/1998), ivi incluso l’abuso di dipendenza economica di cui all’art. 9 l. n. 192/1998, che pure è fattispecie “transtipica” e non stricto sensu contrattuale.

La connotazione comune alle pur variegate materie aggiunte al novero di quelle soggette a mediazione obbligatoria pare essere la natura continuativa e di durata dei rapporti de quibus. Ed è appena il caso di avvertire che, per le nuove come per le vecchie materie, la determinazione dell’oggetto devoluto in mediazione obbligatoria, onde verificare che la condizione di procedibilità sia soddisfatta, non è imperniata sui criteri formali del petitum e della causa petendi nella domanda giudiziale: la mediazione verte, opera e agisce sul rapporto giuridico, patrimoniale e personale, allo scopo di favorire la bonaria e completa composizione della lite sotto ogni possibile profilo di divergenza inter partes, senza far troppo questione, se non nella misura strettamente necessaria, sui raffinati problemi dello Streitgegenstand, cioè dell’oggetto della domanda e del processo con riguardo al tema dei limiti oggettivi del giudicato. Nella mediazione e nei rapporti di questa con il processo ogni eccesso di formalismo è bandito; il che non significa certo che il diritto civile e processuale scompaia: essi impregnano di sé la mediazione, come ogni rapporto umano col prossimo è intimamente connotato da giuridicità, tanto più quando nasca un conflitto che la giustizia, consensuale o processuale che sia, si propone di ricomporre e far cessare, riportando la pace. La res in mediationem deducta (potremmo dire, il Mediationsgegenstand) è, invero, tendenzialmente diversa e più ampia della res in iudicium deducta (lo Streitgegenstand), involgendo il rapporto giuridico nella sua interezza e in tutti i suoi risvolti, senza particolari limitazioni quoad petita, salvo che le parti, nel libero esercizio dei loro diritti, non abbiano inteso circoscrivere la mediazione soltanto ad alcuni themata disputandi e ad alcuni degli effetti prodotti dalla fattispecie costitutiva del loro rapporto. La mediazione volge lo sguardo al futuro, valendosi del passato per filtrarlo con sentire nuovo e diverso, in vista della pacificazione e della ricostruzione dei rapporti interpersonali. 

Tutto ciò, inevitabilmente, si riflette sulla verifica da parte del giudice circa l’avvenuto esperimento della procedura di mediazione: una verifica a posteriori che non può né deve esigere che la domanda di mediazione coincida, in tutto e per tutto, con la domanda giudiziale, principale o riconvenzionale, considerati i diversi modi di determinare l’oggetto della mediazione rispetto a quello della domanda giudiziale, l’uno più ampio perché inerente all’intero rapporto giuridico controverso, l’altro circoscritto al petitum e, nei diritti eteroindividuati, alla causa petendi, secondo i tradizionali elementi oggettivi della res in iudicium deducta. Al bando dunque in mediazione ogni formalismo dogmatico, ferma la più schietta giuridicità dello strumento e della materia del contendere ch’essa è chiamata a comporre.

La restante disciplina contenuta nel precedente comma 1-bis dell’art. 5 d.lgs n. 28/2010 è stata traslata in parte, quoad materias, nel comma 1 e in altra parte, quoad processum, nei successivi commi.

Al comma 2 trova autonoma collocazione quanto precedentemente previsto nel secondo e quarto periodo del comma 1-bis, in ordine ai rapporti tra mediazione obbligatoria e processo. L’enunciato normativo ribadisce che il previo esperimento della mediazione nelle materie di cui al comma 1 è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che quando tale condizione non è rispettata e viene proposta domanda giudiziale, la relativa eccezione deve essere sollevata o rilevata ex officio, a pena di decadenza, non oltre la prima udienza. Quando la mediazione non risulti esperita, oppure risulti esperita ma non conclusa, il giudice dovrà fissare una successiva udienza dopo la scadenza del termine massimo di durata della mediazione, fissato in tre mesi dall’art. 6 d.lgs n. 28/2010, prorogabili per ulteriori tre mesi.

È stata giustamente eliminata l’assegnazione del termine, peraltro non perentorio, di quindici giorni per depositare la domanda di mediazione presso un organismo: prima dell’udienza di rinvio occorre che le parti dimostrino di aver dato concreto ed efficace impulso alla mediazione[14].

Se invece il giudice, all’udienza successiva alla scadenza del termine di tre mesi, constata che la condizione di procedibilità non è stata soddisfatta, dichiara con sentenza l’improcedibilità della domanda, chiudendo in rito il processo e condannando alle spese la parte onerata a esperire la mediazione, cioè quella attrice in senso sostanziale e così, nell’opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore opposto, come espressamente sancito ora dall’art. 5-bis d.lgs n. 28/2010, in linea con l’intervento nomofilattico già reso dalle sezioni unite[15].

Il comma 3 riprende quanto previsto nel primo periodo dell’ante vigente comma 1-bis e prevede che le parti possano assolvere alla condizione di procedibilità esperendo, in alternativa alla mediazione, le ADR eteronome (ben diverse dalla mediazione) ivi specificamente elencate, proponendo entro i limiti previsti per ciascuno strumento:

a) ricorso all’Abf (Arbitro bancario finanziario), istituito dalla Banca d’Italia per le controversie in materia bancaria (art. 128-bis Tub, d.lgs n. 385/1993);

b) ricorso all’Acf (Arbitro dei contratti finanziari), istituito dalla Consob per le controversie in materia finanziaria (art. 32-ter Tuf, d.lgs n. 58/1998);

c) ricorso all’Aas (Arbitro assicurativo), istituendo a cura di Ivass, ai sensi dell’art. 187.1 cod. ass. priv. (d.lgs n. 209/2005);

d) le procedure di conciliazione o di arbitrato presso le autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità per controversie insorte tra utenti e soggetti esercenti il servizio, ai sensi dell’art. 2, comma 24, lett. b, l. n. 481/1995.

Il comma 4 prevede che quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, tale condizione si consideri avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo di conciliazione. Primo incontro che (vivaddio!) non ha più carattere meramente informativo e prodromico all’ingresso effettivo in mediazione, non essendo più necessario il previo interpello alle parti sulla volontà o meno di dare seguito alla mediazione e corso alla negoziazione.

Il comma 5 sancisce e ribadisce che la pendenza della condizione di procedibilità non preclude il ricorso al giudice per chiedere l’adozione di provvedimenti cautelari e urgenti né la trascrizione della domanda giudiziale, la quale ora può compiersi, incredibile dictu, senza che la parte neppure lo sappia, ricevendo la notifica dell’atto introduttivo del giudizio, come consente di fare il nuovo art. 2658, comma 2 (ultima frase), cc per i processi che iniziano con ricorso, exempli gratia applicando il nuovo rito semplificato di cui agli artt. 281-decies ss. cpc[16].

Il comma 6 indica i casi in cui non opera (od opera successivamente) la condizione di procedibilità nelle materie soggette a mediazione obbligatoria e così: 

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione ex art. 648 cpc o di sospensione ex art. 649 cpc della provvisoria esecuzione, secondo quanto previsto dal nuovo art. 5-bis d.lgs n. 28/2010 sopra riportato in nota;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’art. 667 cpc, dopo l’eventuale emanazione dell’ordinanza provvisoria di rilascio di cui all’art. 665 cpc;

c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’art. 696-bis cpc;

d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti sommari di cui all’art. 703, comma 3, cpc ancorché, per vero, la materia del possesso non rientri stricto sensu tra i diritti reali, soggetti a mediazione obbligatoria, essendo il possesso il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, giusta la definizione contenuta nell’art. 1140 cc: pare, peraltro, preferibile estendere anche alle azioni possessorie di spoglio e di manutenzione (artt. 1168 ss. cc) la mediazione obbligatoria, da esperire una volta definita la fase interdittiva, quando una delle parti abbia manifestato nel termine la volontà di coltivare il cd. “merito possessorio”, ai sensi dell’art. 703, ult. comma, cpc;

e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

f) nei procedimenti in camera di consiglio;

g) nell’azione civile esercitata nel processo penale;

h) nell’azione inibitoria delle clausole vessatorie in danno dei consumatori, di cui all’art. 37 cod. cons. (d.lgs n. 206/2005).

È appena il caso di ricordare, infine, la previsione di cui all’art. 15 d.lgs n. 28/2010 sulla mediazione (non obbligatoria) nell’azione di classe, prevista dall’art. 840-bis cpc: la conciliazione, intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione dei soggetti titolari di diritti individuali omogenei, ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito.

 

6. La mediazione in materia condominiale

A norma dell’art. 71-quater disp. att. cc, per controversie in materia di condominio, soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1, d.lgs n. 28/2010, s’intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione degli artt. da 1117 a 1139 cc e degli artt. da 61 a 72 disp. att. cpc, contenenti la disciplina del condominio negli edifici.

Dal corpo dell’art. 71-quater è stata eliminata quella farraginosa procedura, che imponeva una previa delibera assembleare per autorizzare l’amministratore ad attivare un procedimento di mediazione o ad aderirvi e parteciparvi, tornando poi in assemblea a riferire circa gli esiti della mediazione, per deliberare nuovamente sull’eventuale proposta conciliativa sortita dalla negoziazione.

Il nuovo art. 5-ter d.lgs n. 28/2020 legittima ora l’amministratore del condominio ad attivare motu proprio un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi. Il verbale di accordo conciliativo o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’art. 1136 cc in base alla materia del contendere: quando si tratti di liti attive o passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, le deliberazioni sono approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. In caso di mancata approvazione entro il termine previsto nel verbale di accordo o nella proposta del mediatore, la conciliazione s’intende non conclusa.

 

7. La mediazione demandata e la formazione del giudice: per un rinnovato “umanesimo forense”

La mediazione demandata dal giudice trova migliore e più appropriata collocazione nel nuovo art. 5-quater d.lgs n. 28/2010, in luogo del precedente comma 2 dell’art. 5.

Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, fino al momento della precisazione delle conclusioni, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione, il comportamento delle parti e ogni altra circostanza, può disporre, con ordinanza motivata, l’esperimento di un procedimento di mediazione. Con la stessa ordinanza fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di tre mesi, prorogabile per ulteriori tre, ai sensi dell’art. 6 d.lgs n. 28/2010. 

La mediazione demandata dal giudice diviene, in tal modo, condizione di procedibilità della domanda giudiziale: quando la mediazione non risulta esperita, il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale, analogamente a quanto avviene per il mancato inizio della mediazione obbligatoria prima dell’udienza di rinvio appositamente fissata per verificare l’ottemperanza a quanto disposto dal giudice.

Nell’ordinanza che la dispone, è d’uopo dar conto delle ragioni per cui il giudice ritiene opportuno che le parti esperiscano il procedimento di mediazione, semmai evidenziando i profili e le coordinate essenziali della controversia, qual costruita e forgiatasi lungo l’iter processuale sin lì percorso, senza però – ça va sans dire – anticipare il giudizio e senza astringere a criteri o canoni rigidamente predeterminati né formulare proposte conciliative o transattive ex art. 185-bis cpc, pena il rischio di suscitare o deludere attese, ipotecando la negoziazione che, coperta da riservatezza e improntata alla massima libertà, verrà a svolgersi in seno alla procedura di mediazione, secondo le tecniche proprie di questa, mercé le attitudini maieutiche di un mediatore formato ed esperto, intese a facilitare la conciliazione tra le parti mediante il dialogo e l’ascolto delle parti, anche in sessioni separate, senza le rigidità del processo[17].

Si attua in tal modo un’osmosi tra giurisdizione e mediazione, una felice, coordinata e integrata complementarietà, onde prestare «assistenza a tutti quei cittadini e a quelle imprese che hanno bisogno di trovare una soluzione celere per la gestione dei loro conflitti che, se già pendenti presso i giudici del Paese vedranno rinviarne necessariamente l’esito, se ancora non azionati rimarranno senza risposta per lungo tempo»[18]. Infatti, «legare l’economia della giustizia all’economia dello sviluppo è operazione al tempo stesso semplicistica e riduttiva: il ritardo nell’amministrazione della giustizia, le esitazioni in tema di certezza del diritto, le difficoltà nel recupero dei crediti sono certamente fattori da deprecare e disagi da superare; ma non si può concentrare l’attenzione della giustizia solo su questi aspetti, sì che anche le ADR, pur funzionali all’approccio efficientistico, devono compiutamente soddisfare l’esigenza di una giustizia rapida, poco costosa ma anche satisfattiva, incidendo sui diritti dei cittadini e quindi sul ruolo sociale della persona, in ambito familiare, associativo, lavorativo e così via»[19].

A differenza della mediazione obbligatoria, imposta prima del giudizio in base a una valutazione a priori del legislatore, con la mediazione demandata il giudice può compiere una valutazione di “mediabilità”, ex post e in concreto, del conflitto. «Se oggi la domanda di giustizia è ancora incanalata in modo preponderante nel processo, è proprio dal processo che può nascere la spinta per una riflessione sull’adeguatezza dello strumento giudiziario e sulla maggiore adeguatezza di modi diversi di risolvere i conflitti per soddisfare gli interessi delle parti in lite. Affinché tale spinta sia autentica e non nasca solo da esigenze non meditate di deflazione, occorre tuttavia che la mediazione demandata sia esperita quando ne ricorrano davvero i presupposti. Per questo la Commissione ha ritenuto di introdurre l’obbligo di motivazione per il giudice che disponga l’invio in mediazione. La previsione mira a garantire la serietà e la proficuità dell’invio e quindi l’aumento delle chances di accordo. Nella motivazione, di natura succinta (art. 134 c.p.c.), il giudice potrà infatti dar atto degli indici di mediabilità della controversia che ha preso in considerazione ai fini di un invio selettivo e calibrato sul caso concreto e fornire altresì alle parti e al mediatore elementi utili da valutare per lo svolgimento della mediazione»[20]

Un tale invio in mediazione, unito alle previsioni di partecipazione personale delle parti ed effettività del primo incontro, dovrebbe portare a un aumento dei casi in cui le mediazioni vengono davvero svolte con la partecipazione di tutte le parti (anche vista la sanzione rafforzata per la mancata partecipazione), casi che registrano il raggiungimento di un numero maggiore di accordi, come emerso in occasione di progetti locali già svolti sperimentalmente in base a tali presupposti. «La Commissione ritiene comunque che il buon uso della mediazione demandata risieda anche in percorsi di formazione della classe forense e della magistratura, richiedendo un mutamento culturale di tutte le categorie coinvolte». 

Inoltre, l’analisi e la trattazione della causa svolta anche ai fini della conciliazione della stessa o dell’invio delle parti in mediazione è frutto di uno studio della causa e degli indici di mediabilità, nonché di un’attività di trattazione che andrebbero valorizzati, inserendo tra i criteri di valutazione della professionalità dei magistrati anche il corretto impiego dei provvedimenti di invio in mediazione e della proposta conciliativa ex art. 185-bis cpc.

Gli auspici del «Manifesto della Giustizia complementare alla giurisdizione» s’inverano non solo con il nuovo art. 5-quater sulla mediazione demandata dal giudice, ma anche con l’art. 5-quinquies d.lgs n. 28/2010, che attua il criterio della l. delega n. 206/2021, nel quale è indicata la necessità di «prevedere l’istituzione di percorsi di formazione in mediazione per i magistrati e la valorizzazione di detta formazione e dei contenziosi definiti a seguito di mediazione o comunque mediante accordi conciliativi, ai fini della valutazione della carriera dei magistrati stessi», così come ha invitato a fare anche la Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CEPEJ) in un documento del 9 dicembre 2019, denominato «Mediation Awareness Programme for Judges ensuring the efficiency of the Judicial Referral to mediation», nel quadro del «Mediation Development Toolkit Ensuring implementation of the CEPEJ Guidelines on mediation», agevolmente reperibile sul web.

Ai sensi del nuovo art. 5-quinquies d.lgs n. 28/2010, rubricato «Formazione del magistrato, valutazione del contenzioso definito con mediazione demandata e collaborazione», il magistrato cura la propria formazione e il proprio aggiornamento in materia di mediazione con la frequentazione di seminari e corsi, organizzati dalla Scuola superiore della magistratura, anche attraverso le strutture didattiche di formazione decentrata. Ai fini della valutazione di professionalità, alla quale sono sottoposti i magistrati ogni quadriennio fino al superamento della settima (art. 11 d.lgs n. 160/2006), la frequentazione di seminari e corsi in materia di mediazione, il numero e la qualità degli affari definiti con ordinanza di mediazione o mediante accordi conciliativi costituiscono, rispettivamente, indicatori di impegno, capacità e laboriosità del magistrato. Le ordinanze con cui il magistrato demanda le parti in mediazione e le controversie definite a seguito della loro adozione sono oggetto di specifica rilevazione statistica. Il capo dell’ufficio giudiziario può promuovere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, progetti di collaborazione con università, ordini degli avvocati, organismi di mediazione, enti di formazione e altri enti e associazioni professionali e di categoria, nel rispetto della reciproca autonomia, per favorire il ricorso alla mediazione demandata e la formazione in materia di mediazione.

È così che, temperando alfine et pour cause lo stacanovistico e disumano produttivismo giudiziario cui si è costretti ad assistere in questo torno di tempo – secondo un’ottica puramente quantitativa e aziendalistica e nel segno di una ragionevole durata del processo del tutto fraintesa e persino mistificata – il nuovo art. 5-quinquies d.lgs n. 28/2010 compie un passo nella direzione della rinascita di quello che piace denominare rinnovato “umanesimo forense”[21], che veda tutti gli operatori impegnati in un alacre sforzo, comune e dialogico, inteso a rendere il servizio giustizia migliore, partecipe e vicino ai bisogni delle persone, anziché una macchina burocratica, fredda e distante, che tutto divora e distrugge. 

Si scorgono un mondo nuovo e uno spirito nuovo, che tornino a far respirare alla giustizia un’aria salubre d’alta montagna e a far rivedere la luce del giorno.

 

8. Mediazione contrattuale e libertà creatrice: Med-Arb, Arb-Med e clausole multi step

La mediazione è luogo di libertà, svincolato da rigidità e formalismi, preclusioni e barriere, strutture definite e schematismi precostituiti. È il luogo della fantasia creatrice e maieutica, verte su diritti disponibili, che le parti e i difensori, con l’ausilio del mediatore, possono plasmare demiurgicamente, modificando e trasformando non soltanto la materia del contendere, bensì prima e più ancora le visioni rispettive e reciproche e i rapporti interpersonali.

La diffusione di questa cultura e di queste pratiche – collaborative e costruttive, anziché spietatamente e freddamente distruttive – passa anzitutto attraverso la contrattazione nella fisiologia dei rapporti, qual metodo preordinato alla risoluzione pacifica e condivisa delle controversie, mediante tecniche che favoriscano il dialogo e l’ascolto reciproci. Dovendo ogni azione essere orientata alla cura del “ben essere” personale e comunitario attraverso la gestione equa ed efficiente delle risorse individuali e collettive, occorre insistere diuturnamente e lavorare intensamente per favorire atteggiamenti di reciprocità, di solidarietà, di cooperazione. Nella postmoderna società della conoscenza, pervasa e intrisa di comunicatività digitale, è strategico innescare lo scambio interdisciplinare delle competenze e delle Weltanschauungen, al fine di generare nuovi paradigmi culturali e rinnovati rapporti sociali e interpersonali.

In tal modo, la prevenzione e la gestione del conflitto divengono strumenti e metodi di “ben essere” personale e collettivo nelle relazioni con il prossimo. Mutano radicalmente il ruolo e la funzione dell’avvocato, chiamato a essere non più solo dicendi et scribendi, ma anzitutto negotiandi peritus, che pone al centro e adopera il dialogo e il confronto quali strumenti prioritari intesi a far comprendere alle parti la necessità di superare l’ottica di delegare a un terzo, un giudice o un arbitro, la risoluzione della controversia con metodo aggiudicativo, protagoniste e creatrici di rapporti (rin)novati tra loro e di fronte ai terzi. Quanto maggiore sarà il numero di operatori formati nel campo della mediazione e delle ADR, tanto più si diffonderanno le pratiche collaborative e costruttive e tanto più la giustizia consensuale, ispirata all’autonomia delle parti, prenderà il posto del metodo aggiudicativo, processuale ed eteronomo. 

«Il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora. Il loro vegliare è il portare a compimento la manifestazione dell’essere; essi, infatti, mediante il loro dire, la conducono al linguaggio e nel linguaggio la custodiscono»[22]. Sul linguaggio s’impernia l’arte del diritto[23], strumento di disarmo e di apertura, di unione di ciò che è diviso, di trasformazione del duorum bellum e della vendetta in pax et iustitia: un linguaggio accessibile che permetta di comprendere e di comprendersi, un linguaggio che prevenga, disinneschi e ricomponga il conflitto, giuridico e tecnico, ma anche affettivo ed empatico, pronto alla comprensione, all’intelligenza e all’ascolto, per non disperdere il valore delle emozioni né trascurare i moti dell’animo.

Di qui l’importanza anche della «Mediazione su clausola contrattuale o statutaria», come recita la rubrica del nuovo art. 5-sexies d.lgs n. 28/2010, introdotto per dare adeguata e più razionale collocazione al soppresso comma 5 dell’art. 5 e che disciplina l’ipotesi in cui le parti, con apposita clausola contrattuale o statutaria, si impegnino a esperire, prima di adire il giudice, la procedura di mediazione. Quando il contratto, lo statuto o l’atto costitutivo di un ente pubblico o privato prevedono una clausola di mediazione, l’esperimento della mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Se la mediazione non risulta esperita, il giudice (o l’arbitro), su eccezione di parte proposta entro la prima udienza, provvede a fissare nuova udienza a distanza di almeno tre mesi, prorogabili per ulteriori tre mesi. Quando a tale udienza risulti che la mediazione non ha neppure avuto inizio, il giudice (o l’arbitro) dichiara l’improcedibilità della domanda con sentenza (o con lodo), provvedendo anche sulle spese.

La diffusione di clausole contrattuali di mediazione è tanto più utile e importante in quanto – a differenza delle clausole compromissorie, che implicano rinuncia alla tutela dinanzi all’autorità giudiziaria – non sono clausole qualificabili come vessatorie, né ai fini della specifica approvazione per iscritto nelle condizioni generali predisposte da uno dei contraenti, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 cc nei rapporti tra professionisti (cd. contratti B2B, business to business), né ai fini della nullità di protezione comminata dall’art. 36 cod. cons. (d.lgs n. 206/2005) nei contratti con i consumatori (cd. contratti B2C, business to consumer), sol che si rispetti il foro esclusivo del consumatore nell’eleggere l’organismo di mediazione, già nella clausola o successivamente nel proporre la domanda di mediazione, ai sensi dell’art. 4, comma 1, d.lgs n. 28/2010, che rinvia ai criteri vigenti per la competenza territoriale del giudice (vds. anche lo stesso art. 5-sexies, comma 2, d.lgs n. 28/2010, in forza del quale la domanda di mediazione è presentata all’organismo indicato dalla clausola se iscritto nel registro ovvero, in mancanza, all’organismo individuato ai sensi dell’art. 4, comma 1, cit.).

La mediazione – obbligatoria, demandata, contrattuale o volontaria che sia – offre occasione di adoprare e passare anche ad altri strumenti, come l’arbitrato, rituale (artt. 806 ss. cpc) o irrituale (art. 808-ter cpc) o anche l’arbitraggio (art. 1349 cc), in caso di mancato accordo conciliativo, attraverso quegli istituti misti, ibridi ed elastici in quanto schiettamente funzionali allo scopo di risolvere la controversia evitando le lungaggini e le rigidità del processo, come la Med-Arb, “Mediation-Arbitration”. Ed è possibile anche il percorso inverso dell’Arb-Med, “Arbitration-Mediation”, quando le parti siano d’accordo, preferibilmente in seno a camere arbitrali, scegliendo o facendo nominare un arbitro diverso dal mediatore e viceversa nell’Arb-Med, o anche liberamente e consapevolmente optando per designare il mediatore stesso quale arbitro unico o presidente del collegio arbitrale, o viceversa quando la mediazione s’innesti sul corpo di un arbitrato pendente, nonostante la diversità dei due metodi e la possibile acquisizione di una “precognizione” da parte del mediatore nelle sessioni congiunte e separate avute con le parti, pur coperte da riservatezza. Siamo nel campo della disponibilità dei diritti, cui corrisponde la libera electio dello strumento più adeguato e acconcio ai bisogni delle parti, onde por termine al conflitto tra loro, sol che le parti liberamente e consapevolmente lo vogliano.

Discende da ciò l’opportunità che si diffondano anche clausole contrattuali multi-step, quantomeno nei contratti tra professionisti (in quelli con i consumatori sarebbero parzialmente nulle, dacché vessatorie), che prevedano l’arbitrato, rituale o irrituale, o l’arbitraggio, quando la mediazione, da esperire preliminarmente, non abbia condotto a un accordo conciliativo.

 

9. Durata della mediazione

Ai sensi dell’art. 6 d.lgs n. 28/2010, il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi, prorogabili di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della scadenza con accordo scritto delle parti, comunicandolo al giudice, quando penda il giudizio. Il termine decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione presso l’organismo e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ad altra udienza per verificare l’inizio della mediazione o perché questa prosegua il suo corso, non è soggetto a sospensione feriale

Costituisce invece un apparente refuso l’aver mantenuto qual dies a quo di durata della mediazione la scadenza del termine fissato dal giudice per il deposito della domanda di mediazione, posto che la fissazione di un termine da parte del giudice non è più prescritta dall’art. 5, comma 2, d.lgs n. 28/2010. 

Anche l’espressa previsione di una prorogabilità del termine di durata della mediazione per ulteriori tre mesi, se si spiega quando già penda la causa, alla stregua del termine massimo di tre mesi dettato dall’art. 296 cpc per la sospensione del processo su istanza delle parti, contraddice la natura libera e disponibile della mediazione e dei diritti che ne formano oggetto, dove le parti, assistite dai difensori, sono protagoniste e creatrici anche quoad tempus, senza limitazioni di sorta. Della previsione contenuta nell’art. 6 d.lgs n. 28/2010 dovrà dunque esser data una lettura di qualche respiro, all’insegna di quell’esprit nouveau al quale s’informa l’istituto della mediazione, non più semplice e mera ADR nel senso di alternative dispute resolution, bensì “appropriatedispute resolution, che si adegua elasticamente ai bisogni e agli interessi delle parti, senza rigidità alcuna, per rispondere nel modo più adatto, come un abito sartoriale mirabilmente ritagliato e cucito, al Rechtschutzbedürfnis, al bisogno di tutela giuridica che ciascuna delle parti reca seco in mediazione, giungendo a una regula iuris consensuale e concordata, frutto dell’autonomia delle parti, anziché imposta ab extra in via eteronoma, ex auctoritate et imperio.

 

10. La domanda di mediazione e i suoi effetti

Poco o nulla muta quanto al procedimento di mediazione, nell’essenza e negli effetti di questa. La libertà e l’anti-formalismo che connotano la mediazione rimangono intatti, siccome cifra essenziale dell’istituto: il mediatore è “maieuta” e demiurgo, che deve poter godere della massima libertà, oltre che di indipendenza, terzietà e imparzialità (vds. l’art. 14 d.lgs n. 28/2010, qual novellato con opportuna acribia), vincendo ogni pregiudizio e ogni precomprensione interiori e guidando parti e difensori a superarle a lor volta mercé “dialogo” e “intelligenza” reciproci, cioè (anche per etimo) con pensieri e parole che si scambiano coloro che partecipano alla mediazione, senza rigidi vincoli, al riparo del generale dovere di riservatezza (art. 9 d.lgs n. 28/2010) e con la capacità di leggere dentro (intus) parole proferite, atteggiamenti del volto e sottostanti moti dell’animo. 

Lo ius dicere e la fissazione della regula non si risolvono più nell’esercizio dell’imperium mediante imposizione del dictum giudiziale, costi quel che costi, indifferente ai bisogni delle parti: è servizio da rendere mediante l’ascolto e l’intelligenza delle cose del mondo, capacità di leggere dentro (intus-legere) le situazioni umane in conflitto; è comprensione (cum-prehendere), cioè accogliere e abbracciare con lo sguardo e con l’intelletto le parole, le aspettative, le speranze, le delusioni, gli interessi che si dibattono nella disputa portata alle cure di chi spenda generosamente se stesso per favorirne la composizione pacifica, attraverso l’autonomia delle parti medesime, anziché quale effetto del comando eteronomo imposto dal giudice, in un’adaequatio rei et intellectus che viene da paragonare al mantello della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, la quale copre e dà rifugio a chi la invochi e si affidi alle sue cure.

In ossequio alla natura e alla funzione dell’istituto, il novellato art. 8 d.lgs n. 28/2010 prevede che, all’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designi un mediatore e fissi il primo incontro tra le parti, che deve tenersi non prima di venti e non oltre quaranta giorni dal deposito della domanda, salvo diversa concorde indicazione delle parti. La domanda di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l’orario dell’incontro, le modalità di svolgimento della procedura, la data del primo incontro e ogni altra informazione utile sono comunicate alle parti, a cura dell’organismo, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.

Dal momento in cui la comunicazione che apre la procedura di mediazione perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta. La parte può, a tal fine, comunicare all’altra parte la domanda di mediazione già presentata all’organismo di mediazione, fermo l’obbligo dell’organismo di procedere alla sollecita designazione del mediatore, alla fissazione del primo incontro e all’invio delle convocazioni (art. 8, comma 2, d.lgs n. 28/2010).

Il testo della disposizione è delicato e viene soventi volte frainteso: non solo l’effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione, ma anche quello impeditivo della decadenza dipendono da un atto recettizio, che consiste nell’invio alle parti chiamate in mediazione e nella regolare ricezione della domanda e della convocazione per il primo incontro, salva la consueta regola di anticipazione degli effetti a favore del notificante, sempre che la comunicazione giunga regolarmente a destino (cfr. l’art. 149, nonché il novellato art. 147, ult. comma, cpc). La parte che propone domanda di mediazione ha non soltanto l’onere di verificare e indicare con precisione gli indirizzi delle parti chiamate in mediazione, ma di assumere motu proprio l’iniziativa di spedire ai recapiti dei destinatari la domanda di mediazione, se necessario anche prima che l’organismo provveda a fissare l’incontro, onde interrompere prescrizione e impedire decadenze[24]

Non basta dunque depositare presso l’organismo la domanda di mediazione per produrre gli effetti dianzi descritti e così, ad esempio, per impedire la decadenza dall’azione di annullamento di una delibera condominiale per decorso del breve termine di trenta giorni di cui all’art. 1137 cc: occorre la comunicazione alla controparte e, nell’esempio fatto, la specificazione dei motivi di impugnazione della delibera condominiale. Solo in tal modo la decadenza verrà impedita e, conclusa negativamente la mediazione, la parte potrà disporre interamente ed ex novo del termine per esercitare il diritto potestativo di impugnazione, proponendo domanda in giudizio; ed egualmente avverrà per la prescrizione, una volta terminato l’effetto interruttivo-sospensivo della stessa, essendosi la mediazione conclusa negativamente[25].

 

11. Il procedimento di mediazione, il primo incontro effettivo e la “delega sostanziale”

Il procedimento si svolge senza formalità (cfr. anche l’art. 3, comma 3, d.lgs n. 28/2010), presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo, quand’anche diverso dalla sede dell’organismo e quale eventualmente indicato dalle parti (art. 8, comma 3, d.lgs n. 28/2010). Il mediatore ben può essere clericus vagans, in base alle esigenze manifestate dalle parti: anche in questo si mostra e condensa il dinamismo della mediazione rispetto alla staticità dei processi, che ancor oggi rimangono metaforicamente assisi su vetusti scranni di “fori cadenti”, pur praticando, assai più largamente e diffusamente di quanto risulti opportuno, udienze mediante connessioni da remoto o note scritte sostitutive d’udienza, in un’ubiquità virtuale e telematica che della giustizia reca soltanto incubica ombra, quasi fosse il fantasma del padre di Amleto o quello di Banquo, che appare a Macbeth durante il banchetto per la sua ascesa al trono di Scozia (vds. i nuovi artt. 127-bis e 127-ter cpc, con gli adminicula informatici di cui agli artt. 196-quater ss. disp. att. cpc sulla cd. “giustizia digitale”)[26].

Al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 8 d.lgs n. 28/2010. Il regolamento dell’organismo deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento, ai sensi dell’art. 9 d.lgs n. 28/2010, nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurino l’imparzialità, l’indipendenza e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico (art. 3, commi 1 e 2, d.lgs n. 28/2010).

Le parti partecipano personalmente alla procedura di mediazione. In presenza di giustificati motivi, possono delegare un rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la composizione della controversia. I soggetti diversi dalle persone fisiche partecipano alla procedura di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la composizione della controversia. Ove necessario, il mediatore chiede alle parti di dichiarare i poteri di rappresentanza e ne dà atto a verbale (art. 8, comma 4, d.lgs n. 28/2010).

Secondo principi confermati anche dalla Suprema corte[27], le parti debbono partecipare personalmente alla mediazione, assistite dai rispettivi difensori, ma possono farsi sostituire da un rappresentante sostanziale, dotato di apposita procura, eventualmente rilasciata agli stessi difensori. Sebbene sia stata persa l’occasione per chiarirlo una volta per tutte apertis verbis, codesta “procura sostanziale”, cioè ad negotia e non ad mediationem tantum, non dovrà essere autenticata da notaio (eccezion fatta quando la mediazione verta su beni immobili, dovendosi trascrivere nei registri immobiliari l’eventuale accordo conciliativo munito di autentica notarile, in ossequio alle norme vigenti in materia di trascrizioni), ma potrà essere rilasciata anche nelle forme di cui all’art. 185 cpc, con firma autenticata dal difensore, eventualmente nominando se stesso quale rappresentante abilitato a transigere e conciliare la controversia, purché messo compiutamente a parte e a conoscenza dei fatti di cui si discute, non potendosi certo rendere le forme da adottare nel contesto della mediazione più gravose di quelle che s’adoprano nel processo, nonostante l’insana passione di proceduristi e “tuzioristi” d’ogni genere e sorta nell’imporre stringenti regole formalistiche, forgiando cavilli procedurali degni della proverbiale lana caprina[28]. Certo, la partecipazione personale delle parti è desiderabile e va favorita al massimo grado, ma non deve assurgere a un totem, specialmente quando siano coinvolti enti pubblici o privati che, in organizzazioni complesse, operano usualmente tramite manager, dirigenti, funzionari, procuratori e avvocati delegati. 

Nei casi di mediazione obbligatoria e quando la mediazione è demandata dal giudice, le parti sono assistite dai rispettivi avvocati (art. 8, comma 5, d.lgs n. 28/2010). Ed è appena il caso di ricordare che il verbale di conciliazione, quando sia sottoscritto da tutte le parti e dai rispettivi avvocati, costituisce titolo esecutivo, senza necessità di exequatur, ai sensi dell’art. 12, comma 1, d.lgs n. 28/2010.

Scompare alfine – ed è un’ottima notizia – la “scatola vuota” del primo incontro meramente informativo, ponendo fine alla possibilità che si risolva in un puro adempimento burocratico-formale, da soddisfare al solo fine di rendere procedibile la causa in sede giudiziale, con grave nocumento non solo per lo strumento conciliativo in sé, che aspira a essere complementare alla giurisdizione, ma per la cultura della mediazione e per l’ordinamento nella sua interezza. In tal modo l’opera del mediatore può prendere abbrivio illico et immediate, nella pienezza delle attività negoziali, senza patemi né preoccupazioni di sorta.

In base al nuovo comma 6 dell’art. 8 d.lgs n. 28/2010, al primo incontro il mediatore espone la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione e si adopera affinché le parti raggiungano un accordo di conciliazione. Le parti e gli avvocati che le assistono cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse. Del primo incontro è redatto, a cura del mediatore, verbale sottoscritto da tutti i partecipanti. Si entra insomma subito nel vivo, come peraltro già avviene ora nelle migliori prassi e come è inevitabile, data la funzione dell’istituto.

 

12. La consulenza tecnica in mediazione (ctm)

Ai sensi del comma 7 d.lgs n. 28/2010, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti. Al momento della nomina dell’esperto, le parti possono convenire la producibilità in giudizio della relazione di ctm («consulenza tecnica in mediazione»), in deroga al dovere di riservatezza di cui all’art. 9 d.lgs n. 28/2010[29]. In tal caso, la relazione è valutata dal giudice alla medesima stregua di un atp o di una ctu preventiva ex artt. 696 e 696-bis cpc, secondo il suo prudente apprezzamento ex art. 116, comma 1, cpc, con il potere di disporre comunque ctu, anche nominando il medesimo esperto per rinnovare o integrare le indagini e per chiedergli i chiarimenti del caso. Si pone in tal modo un limite a quella giurisprudenza di merito che, in nome del principio di durata ragionevole e di non dispersione della prova, era incline a consentire liberamente la produzione della ctm, senza troppo curarsi dei vantaggi che la riservatezza della mediazione trae seco nel contesto delle negoziazioni intese a conciliare la controversia, con il rischio di frenare il buon esito delle trattative e delle attività istruttorie svolte in sede di mediazione per favorire l’accordo conciliativo.

 

13. La mediazione con modalità telematiche

Quanto infine alle modalità telematiche di svolgimento della mediazione, non solo l’emergenza pandemica e il “distanziamento sociale”, ma anche ragioni di comodità indotte dal vorticoso e incessante progresso tecnologico-digitale hanno già spinto a consentire che le procedure di mediazione e di negoziazione assistita possano essere svolte, su accordo delle parti, con modalità telematiche e che gli incontri avvengano mediante collegamenti da remoto. 

Siamo nel campo degli strumenti di soluzione delle controversie tra privati su diritti disponibili, in cui tutto dipende naturaliter dalla volontà degli stessi, in ossequio al principium libertatis che dovrebbe informare generaliter lo Stato di diritto e le democrazie liberali. Anche per il processo civile coram iudice sarebbe bene che legislatore e operatori del diritto custodissero questo valore, senza assilli efficientisti né impulsi autoritari: la giustizia civile è servizio pubblico reso nell’interesse dei singoli e della collettività da civil servants, privata o pubblica che sia la scaturigine del munus demandato loro.

L’art. 8-bis d.lgs n. 28/2010, con formalismo eccessivo, stabilisce che, quando la mediazione si svolge in modalità telematica, ciascun atto del procedimento è formato e sottoscritto nel rispetto delle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale (Cad, d.lgs n. 82/2005) e può essere trasmesso a mezzo pec o con altro servizio di recapito certificato qualificato. Gli incontri si possono svolgere con collegamento audiovisivo da remoto. I sistemi di collegamento audiovisivo utilizzati per gli incontri del procedimento di mediazione assicurano la contestuale, effettiva e reciproca udibilità e visibilità delle persone collegate. Ciascuna parte può chiedere al responsabile dell’organismo di mediazione di partecipare da remoto o in presenza.

A conclusione della mediazione, il mediatore forma un unico documento informatico, in formato nativo digitale, contenente il verbale e l’eventuale accordo e lo invia alle parti per la sottoscrizione mediante firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata. Nei casi di mediazione obbligatoria e quando la mediazione è demandata dal giudice, il documento elettronico è inviato anche agli avvocati che lo sottoscrivono con le stesse modalità. Il documento informatico, sottoscritto ai sensi del comma 3 dell’art. 8 d.lgs n. 28/2010, è inviato al mediatore, che lo firma digitalmente e lo trasmette alle parti, agli avvocati, ove nominati, e alla segreteria dell’organismo. La conservazione e l’esibizione dei documenti del procedimento di mediazione svolto con modalità telematiche avvengono, a cura dell’organismo di mediazione, in conformità all’art. 43 Cad (d.lgs n. 82/2005).

 

14. Le conseguenze della mancata partecipazione alla mediazione

L’art. 12-bis d.lgs n. 28/2010 accorpa previsioni ante vigenti, dettando una disciplina più organica circa le conseguenze derivanti dalla mancata partecipazione alla procedura di mediazione senza giustificato motivo.

 

14.1. Argomenti di prova

Anzitutto, dalla mancata partecipazione al primo incontro in qualsiasi sorta di mediazione (obbligatoria, demandata, contrattuale o volontaria) il giudice può desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, comma 2, cpc, per i quali vale parafrasare il motto del Metastasio sull’Araba Fenice – «che vi sia, ciascun lo dice, dove sia, nessun lo sa» – ripreso verbatim da Lorenzo Da Ponte nel mozartiano Così fan tutte. Il giudice potrà trarre dalla mancata partecipazione alla mediazione quel che vorrà, al limitato fine di rafforzare un convincimento già aliunde raggiunto: gli argomenti di prova hanno una funzione esornativa e di abbellimento dell’intime conviction giudiciale di cui al primo comma dell’art. 116 cpc, ben più che un’effettiva rilevanza giuridica e processuale.

 

14.2. Raddoppio del contributo unificato e informativa alla Corte dei conti e alle autorità di vigilanza

Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità (ex lege, ex contractu od ope iudicis), il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio, a prescindere dalla soccombenza e dalla pronuncia sulle spese di lite[30]

Il provvedimento sanzionatorio è usualmente contenuto nella sentenza che definisce il giudizio. Peraltro, pur nel silenzio del d.lgs n. 28/2010 e nonostante il contrario avviso espresso dalla Suprema corte[31], si potrebbe applicare l’art. 179 cpc, in forza del quale, se la legge non dispone altrimenti, le condanne a pene pecuniarie sono pronunciate con ordinanza del giudice istruttore. L’ordinanza pronunciata in udienza in presenza dell’interessato e previa contestazione dell’addebito non è impugnabile; altrimenti il cancelliere la notifica alla parte condannata la quale, nel termine perentorio di tre giorni, può proporre reclamo con ricorso allo stesso giudice che l’ha pronunciata. Questi, valutate le giustificazioni addotte, pronuncia sul reclamo con ordinanza non impugnabile. L’ordinanza di condanna costituisce titolo esecutivo e, nel caso della mancata partecipazione al primo incontro di mediazione, titolo per la riscossione del doppio del contributo unificato da parte dell’Agenzia delle entrate.

Quando parte del giudizio è una pubblica amministrazione (come definita nell’art. 1, comma 2, d.lgs n. 165/2001), oltre ad applicare il doppio del contributo unificato, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti della stessa al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l’eventuale esercizio dell’azione per responsabilità erariale.

Quando la sanzione del doppio del contributo unificato è applicata nei confronti di un soggetto sottoposto a vigilanza (banche, società quotate, assicurazioni, etc.), copia del provvedimento è trasmessa all’autorità di vigilanza competente (Banca d’Italia, Consob, Ivass, etc.).

 

14.3. Raddoppio delle spese di lite a carico della parte soccombente in giudizio che non abbia partecipato alla mediazione

Sempre nei casi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte vittoriosa di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione (art. 12-bis, comma 3, d.lgs n. 28/2010). 

Si tratta di una sanzione pecuniaria liquidata a favore della parte vittoriosa in giudizio, forgiata sul modello di cui all’art. 96, comma 3, cpc e intesa a punire condotte ostruzionistiche e non collaborative della parte chiamata in mediazione, che risulti poi soccombente all’esito della lite.

La novità è oltremodo rilevante, poiché mostra come la mediazione entri a pieno titolo nel quadro degli strumenti complementari alla giurisdizione, in osmosi con questa: la parte che, pur soccombendo in giudizio, non abbia partecipato alla mediazione (obbligatoria, contrattuale o demandata dal giudice) è sanzionata con il doppio delle spese di lite, in applicazione del principio di causalità, al quale s’ispira la regola di soccombenza di cui all’art. 91 cpc, esteso a tutte le ipotesi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda, quali fasi precontenziose (o endocontenziose) che formano parte strutturale integrante del sistema apprestato dal legislatore per la soluzione delle controversie e per il servizio giustizia.

 

15. La conclusione del procedimento e la conciliazione

Di ogni incontro il mediatore redige un sintetico verbale (cfr. l’art. 8, comma 6, ultima frase, d.lgs n. 28/2010, sia pure riferito al solo primo incontro). 

Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore ne dà atto nel verbale e tanto basta a soddisfare la condizione di procedibilità della domanda giudiziale, ai sensi dell’art. 5, comma 4, d.lgs n. 28/2010, che la considera avverata se il primo incontro (o gli incontri successivi) dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo di conciliazione.

Quando, invece, è raggiunta la conciliazione – che l’art. 2, lett. c, definisce quale «composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione» – il mediatore forma processo verbale, al quale è allegato il testo dell’accordo, che contiene l’indicazione del relativo valore (art. 11, comma 3, d.lgs n. 28/2010).

Il verbale conclusivo della mediazione e l’eventuale accordo sono sottoscritti dalle parti, dai loro avvocati e dagli altri partecipanti alla procedura nonché dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere e, senza indugio, ne cura il deposito presso la segreteria dell’organismo. Nel verbale il mediatore dà atto della presenza di coloro che hanno partecipato agli incontri e delle parti che, pur regolarmente invitate, sono rimaste assenti.

Il verbale contenente l’eventuale accordo di conciliazione è redatto in formato digitale o, se in formato analogico, in tanti originali quante sono le parti che partecipano alla mediazione, oltre a un originale per il deposito presso l’organismo.

Del verbale contenente l’accordo depositato presso la segreteria dell’organismo è rilasciata copia alle parti che lo richiedono. È fatto obbligo all’organismo di conservare copia degli atti dei procedimenti trattati per almeno un triennio dalla data della loro conclusione.

Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’art. 2643 cc, per procedere alla trascrizione nei registri immobiliari la sottoscrizione dell’accordo di conciliazione deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. 

L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta del mediatore, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento, alla stregua di misure coercitive ex art. 614-bis cpc e del saggio aggravato degli interessi di mora sui crediti pecuniari di cui all’art. 1284, comma 4, cc, che rinvia a quello dettato dal d.lgs n. 231/2002 per i ritardi nei pagamenti. Peraltro, anche quando nel verbale di conciliazione non siano previste penali di sorta, le misure coercitive per prestazioni diverse dal pagamento di somme di denaro potranno essere richieste al giudice dell’esecuzione con ricorso ex art. 612 cpc (vds. il nuovo art. 614-bis, comma 2, cpc).

 

15.1. L’accordo conciliativo sottoscritto dalle pubbliche amministrazioni

Oltremodo utile, per non dir necessaria, è la disposizione introdotta nell’art. 11-bis d.lgs n. 28/2010, che applica ai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (come definite nell’art. 1, comma 2, d.lgs n. 165/2001) l’esenzione da responsabilità erariale per la conciliazione conclusa in sede di mediazione, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti (vds. il nuovo art. 1, comma 1.1, l. n. 20/1994 in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti)[32]

L’esenzione da responsabilità erariale è assolutamente indispensabile, specie per le strutture sanitarie pubbliche, a evitare che il timor panico di inchieste della procura presso la Corte dei conti freni la stipula di conciliazioni da parte dei funzionari della pubblica amministrazione, favorendo l’incardinarsi e la prosecuzione di assai più onerosi giudizi apud iudicem. Tale disposizione funge da incentivo alla mediazione e da simmetrico pendant con quella, già esaminata, che fa obbligo di segnalare alla sezione giurisdizionale della Corte dei conti l’applicazione della sanzione del doppio del contributo unificato per mancata adesione della p.a. alla procedura di mediazione, per le conseguenti azioni a carico del funzionario per danno erariale. 

Opportunamente, il legislatore limita la colpa grave per la conciliazione della lite alla «negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti», in analogia con quanto prevede l’art. 2, comma 3, l. n. 117/1988 in materia di responsabilità civile dei magistrati, novellata nel 2015, la quale crea una protezione assai efficace e, diremmo, pressoché invalicabile, a fronte di un’attività che esige il costante esercizio di una sorvegliata ed equilibrata discrezionalità valutativa[33].

Tale limitazione opera, in conformità alla legge delega, a condizione che il funzionario abbia agito nel rispetto dei criteri di adeguatezza e di proporzionalità, nonché di logicità e razionalità che devono sempre caratterizzare l’agire della pubblica amministrazione. Analoga limitazione di responsabilità si applica al funzionario che concilia la controversia pendente innanzi all’autorità giudiziaria, sia mediante conciliazione giudiziale ex art. 185 cpc, sia eventualmente aderendo alla proposta formulata dal giudice, ai sensi dell’art. 185-bis cpc.

È, dunque, tendenzialmente precluso al giudice contabile di valutare le scelte discrezionali del funzionario pubblico, in generale sottratte al sindacato giurisdizionale, purché non irragionevoli né irrazionali, che lo abbiano indotto a conciliare la controversia attraverso una transazione o una conciliazione, ovviamente nel rispetto dell’iter amministrativo previsto e degli obblighi di motivazione del provvedimento che autorizza l’accordo.

La giurisprudenza contabile ha già avuto modo di valutare favorevolmente le delibere dell’amministrazione che autorizzino gli accordi transattivi e conciliativi in materia di diritti disponibili, una volta accertata la ragionevole proporzionalità tra costi e benefici, sì da evitare o definire la controversia in sede giudiziale[34].

 

15.2. La proposta di conciliazione formulata dal mediatore e le sue conseguenze in caso di rifiuto

Sebbene sia buona regola astenersi dal farlo – mantenendosi nel solco della cd. mediazione “facilitativa”, senza passare alla mediazione valutativa –, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione da allegare al verbale, palesando in tal modo ed esprimendo inevitabilmente il proprio giudizio, sia pure senza vincoli per le parti e al solo fine di definire la controversia alle condizioni che il mediatore reputi eque, a valle delle discussioni e dei confronti svoltisi nel corso del procedimento. 

In ogni caso, il mediatore è tenuto a formulare una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima di formularla, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’art. 13 d.lgs n. 28/2010 a carico della parte che non vi abbia aderito. 

La proposta di conciliazione viene comunicata alle parti per iscritto: si tratta di un requisito richiesto ad substantiam, a pena di nullità, laddove per la transazione stragiudiziale inter partes la forma scritta è richiesta ad probationem tantum (art. 1967 cc). Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni dalla comunicazione o nel maggior termine indicato dal mediatore, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata (cd. “silenzio-rifiuto”). Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.

Replicando il meccanismo di cui all’art. 91, primo comma, seconda frase, cpc («Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92»), l’art. 13 d.lgs n. 28/2010 prevede che, quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta formulata dal mediatore, il giudice escluda la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che l’abbia rifiutata, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanni al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo e delle spese inerenti alla procedura di mediazione da questa anticipate, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto, fatte salve la possibile compensazione, in tutto o in parte, delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 cpc e le sanzioni di cui all’art. 96 cpc a carico del soccombente per lite temeraria, in quanto connotata da dolo o colpa grave, la quale ben può consistere, a questa stregua, nell’irragionevole rifiuto della proposta conciliativa formulata dal mediatore.

Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta formulata dal mediatore, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto in mediazione di cui all’art. 8, comma 4, d.lgs n. 28/2010. In tal caso, il giudice deve indicare esplicitamente nella motivazione le ragioni del provvedimento sulle spese, analogamente a quanto prescrive l’art. 92 cpc per la compensazione delle spese di lite.

Si tratta di un meccanismo vagamente ispirato alla Part 36 Offers to Settle di cui alle Civil Procedure Rules anglosassoni[35], la quale tuttavia impedisce al giudice di conoscere il contenuto della proposta e la posizione delle parti rispetto a questa, se non dopo aver pronunciato la sentenza e ai soli fini della liquidazione delle spese, onde evitare che sia psicologicamente indotto ad atteggiamenti ostili verso la parte che abbia reso necessarie la fatica e la responsabilità del decidere.

Salvo diverso accordo, tali sanzioni per mancata adesione alla proposta conciliativa del mediatore non si applicano nei procedimenti davanti agli arbitri: ciò a ulteriore riprova di come si tratti di un apparato sanzionatorio volto precipuamente ad alleviare il carico dell’apparato giurisdizionale, spingendo le parti a collaborare in sede di mediazione quando l’alternativa sia quella dell’accesso al palazzo di giustizia, lasciandole invece del tutto libere e svincolate quando abbiano pattuito di rivolgersi ad arbitri privati.

Il che ulteriormente mostra la preferibilità della via delle ADR, anche eteronome come l’arbitrato, attraverso clausole di mediazione o arbitrato, eventualmente miste e multi-step, o compromessi successivamente stipulati in caso di esito negativo della mediazione, rispetto alla via statuale di amministrazione della giustizia, ormai ridotta a extrema ratio e ultima spes, che dovrà pur intervenire per sanzionare efficacemente e severamente parti riottose e recalcitranti, le quali profittino indebitamente dei tempi non brevi e dei costi non lievi di attivazione e svolgimento delle tutele in sede giurisdizionale.

 

16. Efficacia esecutiva ed esecuzione dell’accordo conciliativo 

Ai sensi dell’art. 12 d.lgs n. 28/2010, ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite dagli avvocati, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati, anche con le modalità telematiche di cui all’art. 8-bis d.lgs cit., costituisce titolo esecutivo stragiudiziale per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Trattandosi di titolo esecutivo stragiudiziale, l’accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto e certificato conforme all’originale dall’ufficiale giudiziario incaricato della notifica, ai sensi dell’art. 480, comma 2, cpc.

In tutti gli altri casi in cui qualcuna delle parti non sia assistita da un difensore (assistenza necessaria nelle ipotesi di mediazione obbligatoria e di mediazione demandata dal giudice: cfr. l’art. 8, comma 5, d.lgs n. 28/2010), l’accordo di conciliazione allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico. Nelle controversie transfrontaliere di cui all’art. 2 della direttiva 2008/52/CE, il verbale è omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione. L’accordo omologato costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. In caso di exequatur, con il precetto andrà notificata copia conforme dell’accordo munito del decreto di omologa: peraltro, non occorre più la formula esecutiva in calce al decreto di omologa, stante l’abrogazione dell’art. 475 cpc. 

In ambedue le ipotesi (conciliazione sottoscritta da parti assistite da avvocati; omologa con decreto presidenziale) si tratta di titoli esecutivi che coprono, come le sentenze passate in giudicato, il dedotto e il deducibile. Pertanto, quando l’esecuzione forzata si fondi su un verbale di conciliazione, con l’opposizione (di merito) all’esecuzione ex art. 615 cpc si possono far valere unicamente vizi genetici di nullità o di annullabilità del contratto in esso contenuti, con i medesimi limiti che valgono per la transazione (artt. 1969 ss. cc), ovvero fatti modificativi o estintivi posteriori alla stipula della conciliazione o divenuti conoscibili soltanto dopo di questa, sebbene preesistenti[36].

 

17. Il patrocinio a spese dello Stato nella mediazione obbligatoria

Il principio di cui all’art. 1, comma 4, lett. a, l. n. 206/2021 in relazione alle procedure alternative di risoluzione delle controversie, prevede due ambiti di intervento: l’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e negoziazione assistita e il riordino, la semplificazione, l’ampliamento e l’aumento degli incentivi fiscali, estendendo le categorie di beneficiari. Si tratta di misure finalizzate a favorire il ricorso e la diffusione delle forme complementari di risoluzione delle controversie, contribuendo alla deflazione del contenzioso giudiziario. 

L’attuazione di tali assai ampi e complessi criteri di delega è avvenuta mediante l’inserimento di un nuovo capo II-bis nel d.lgs n. 28/2010, artt. da 15-bis a 15-undecies quanto al patrocinio a spese dello Stato, e mediante interventi di modifica degli artt. 17 e 20 quanto agli incentivi fiscali[37].

Per quel che riguarda il patrocinio a spese dello Stato, il principio di delega è stato attuato, conformemente alle previsioni di spesa e di copertura finanziaria della l. n. 206/2021, nel senso di prevederne l’estensione alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita, nei casi nei quali il loro esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

All’indomani dell’entrata in vigore della legge delega n. 206/2021, la Corte costituzionale, con sentenza n. 10/2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, d.lgs n. 115/2002, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia» (Tusg), nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione obbligatoria, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, Tusg, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

L’intervento di cui ai nuovi artt. 15-bis ss. d.lgs n. 28/2010 è, dunque, volto a colmare tale lacuna, introducendo un meccanismo che consenta l’accesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi in cui la mediazione sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale e sia raggiunto l’accordo conciliativo prima di adire l’autorità giudiziaria.

Il legislatore delegato ha ritenuto di non collocare tale intervento all’interno del Tusg, bensì direttamente nel d.lgs n. 28/2010. Infatti, nel sistema del Tusg l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato si struttura in due fasi: in una prima fase viene deliberata l’ammissione in via anticipata e provvisoria della parte non abbiente al beneficio ad opera del consiglio dell’ordine degli avvocati; in una seconda fase, l’autorità giudiziaria che procede, all’esito della lite, conferma l’ammissione provvisoria e provvede alla liquidazione del compenso, considerando quantità e qualità dell’attività processuale svolta dal difensore, applicando i pertinenti parametri legati al valore della controversia, con falcidia della metà e con l’obbligo di rispettare i valori medi. Una volta effettuata la liquidazione e adottato il decreto di pagamento, il sistema prevede che appositi uffici procedano all’erogazione delle somme e stabilisce che lo Stato proceda all’azione di recupero di tali somme nei confronti della parte processuale rimasta totalmente o parzialmente soccombente rispetto alla parte ammessa al beneficio.

Tale complessivo sistema è parso difficilmente adattabile alle ipotesi nelle quali la parte non abbiente sia tenuta ad avviare una procedura di risoluzione alternativa delle controversie (mediazione o negoziazione assistita) che si concluda con l’accordo prima dell’avvio di un’azione giudiziale. In tale ipotesi, infatti, la controversia è risolta senza necessità di proporre domanda giudiziale e, alla conclusione del procedimento, non risulterà possibile individuare una parte “soccombente” in senso processuale, nei confronti della quale avviare un’azione di recupero delle spese di lite corrisposte in forza del patrocinio a spese dello Stato.

Si deve, poi, considerare che l’eventuale previsione di un apposito procedimento, che imponga alla parte non abbiente e al suo difensore, a conclusione della procedura di mediazione, di adire l’autorità giurisdizionale al solo scopo di ottenere la liquidazione del compenso, si pone in contrasto con i generali obiettivi di semplificazione e celerità che la legge delega n. 206/2021 si prefigge di raggiungere anche nel settore degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

Per queste ragioni, il principio di delega è stato attuato non già mediante novella del Tusg, bensì inserendo nel corpo del d.lgs n. 28/2010 il nuovo capo II-bis, i cui articoli da 15-bis a 15-undecies contengono la speciale disciplina del patrocinio a spese dello Stato per le controversie per le quali l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità ex lege, ai sensi dell’art. 5, comma 1, l’assistenza dell’avvocato è obbligatoria e la procedura si conclude con la conciliazione senza ricorso al giudice.

La disciplina speciale adottata in attuazione della delega è destinata a essere applicata nei casi nei quali, a causa delle circostanze del caso concreto, la procedura di mediazione non ha comportato, durante il suo intero svolgimento, di svolgere una parte della lite in sede giurisdizionale e riproduce di massima le disposizioni del Tusg, che costituiscono espressione dei principi generali del patrocinio a spese dello Stato in materia civile e che sono compatibili con la specificità della fattispecie regolata in attuazione della delega legislativa.

In particolare, sono state riproposte le stesse condizioni di accesso al beneficio della parte non abbiente, non essendovi ragioni per adottare una disciplina differenziata per il caso in cui la richiesta del patrocinio a spese dello Stato è necessaria per accedere alla tutela giurisdizionale o a una procedura alternativa, che deve essere obbligatoriamente instaurata prima di adire il giudice.

Non è qui possibile, per evidenti ragioni di spazio, esaminare in dettaglio la disciplina di cui ai nuovi artt. 15-bis ss. d.lgs n. 28/2010 sul patrocinio a spese dello Stato in materia di mediazione civile e commerciale, dovendosi rinviare alla lettura delle disposizioni ivi contenute.

 

18. Accantonamento del Tusc («Testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione»)

La legge delega n. 206/2021 prospettava la necessità di raccogliere la disciplina sulle ADR in un «Testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione» (Tusc), sì da riordinare le norme in subiecta materia (escluso l’arbitrato), sparse in varie leggi speciali accumulatesi con l’andare degli anni. Già la scelta del titolo del Testo unico, dedicato agli «strumenti complementari alla giurisdizione», disvelava il mutamento di prospettiva e l’ampia valorizzazione delle ADR in osmosi con il processo civile.

Il legislatore delegato, per evidente mancanza di tempo, ha rinunciato a esercitare la delega per la redazione del Tusc. Il che non significa certo che la riforma ometta di produrre ad consequentias i principi e criteri direttivi della legge delega, riconoscendo alfine e quoad effectum l’importanza della mediazione e la professionalità dei mediatori nella ricerca della soluzione condivisa e più adeguata della controversia, pienamente partecipe e compiutamente rispettosa dell’autonomia delle parti. La mediazione costituisce, ormai e finalmente anche nel nostro Paese, un modello e un archetipo di ADR al quale fare sistematicamente ricorso prima di adire le vie giudiziarie, anche al di fuori delle ipotesi obbligatorie, quando le negoziazioni (dirette tra le parti o assistite da avvocati) non bastino e non valgano a conseguire il risultato conciliativo.

 

19. Incentivi fiscali: soglia di esenzione dall’imposta di registro e crediti d’imposta

Con la lett. a dell’art. 1, comma 4, legge delega n. 206/2021 si demandava al legislatore delegato il compito di incrementare e di semplificare il regime degli incentivi fiscali di cui agli artt. 17 e 20 d.lgs n. 28/2010 per le parti che partecipano alle procedure di mediazione.

Con il riscritto art. 17 d.lgs n. 28/2010 – dopo aver ribadito l’esenzione dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, di tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione (ivi incluso, è da ritenere, l’eventuale decreto presidenziale di exequatur, quando alla mediazione abbiano partecipato soggetti non assistiti da difensori) – si prevede quanto segue:

- viene elevata da euro 50.000 a euro 100.000 la soglia di esenzione della conciliazione dall’imposta di registro;

- viene riconosciuto a ciascuna parte un credito di imposta fino a euro 600 per le indennità versate all’organismo di mediazione, quando sia raggiunto l’accordo conciliativo;

- nelle ipotesi di mediazione obbligatoria o demandata dal giudice, in caso di raggiungimento della conciliazione, è riconosciuto a ciascuna parte anche un credito di imposta fino a euro 600 per il compenso versato al difensore per l’assistenza nella procedura di mediazione, nei limiti previsti dai parametri forensi;

- in caso di insuccesso della mediazione, i crediti d’imposta sono dimezzati a euro 300;

- il limite di 600 euro si riferisce e a ciascuna procedura, con un limite annuale di euro 2400 per le persone fisiche e di euro 24.000 per le persone giuridiche;

- è riconosciuto alle parti un ulteriore credito d’imposta commisurato al contributo unificato versato dalla parte del giudizio estinto a seguito della conclusione di un accordo di conciliazione, nel limite dell’importo versato e fino a concorrenza di euro 518;

- agli organismi di mediazione è riconosciuto un credito d’imposta commisurato all’indennità non esigibile dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, fino a un importo massimo annuale di euro 24.000.

La nuova soglia di esenzione dall’imposta di registro entrerà in vigore il 30 giugno 2023.

Per i crediti d’imposta occorrerà invece attendere l’emanazione del decreto del Ministro della giustizia, che stabilisca modalità e documenti per fruirne (art. 20, comma 5, d.lgs n. 28/2010), decreto ministeriale da emettere entro i sei mesi successivi al 30 giugno 2023.

 

20. Indennità di avvio e spese di mediazione 

I commi 3 ss. dell’art. 17 d.lgs n. 28/2010 disciplinano ex novo i criteri di determinazione e di corresponsione delle indennità agli organismi di mediazione.

In particolare, viene stabilito che ciascuna parte sia tenuta a versare, al momento della presentazione della domanda di mediazione o dell’adesione, le spese di avvio della procedura di mediazione e le spese di mediazione per il primo incontro, precisando che quando la mediazione si conclude senza l’accordo al primo incontro, le parti non sono tenute a corrispondere importi ulteriori. Viene quindi meno, con il carattere meramente informativo del primo incontro di mediazione, il principio della sostanziale gratuità dello stesso, così rafforzandone l’effettività e contribuendo alla professionalità dei mediatori.

Vanno previsti importi specifici e differenziati nel caso in cui il primo incontro si concluda con un accordo e nel diverso caso in cui la procedura di mediazione richieda lo svolgimento di più incontri: gli organismi di mediazione, al fine di garantire la piena trasparenza, hanno l’onere di rendere noti nel proprio regolamento gli importi delle indennità richieste.

Vengono ribaditi e un poco ampliati i contenuti del regolamento attuativo da emanare con dm, riportando quanto già previsto dal previgente comma 4 dell’art. 17 d.lgs n. 28/2010 e aggiungendo, alla lettera c, che il dm dovrà anche fissare e disciplinare le indennità per le spese di avvio e per le spese di mediazione previste per il primo incontro che, a seguito della riforma, dovranno essere sempre corrisposte e, alla lettera f, che il medesimo decreto deve anche fissare i criteri per la determinazione del valore dell’accordo di conciliazione, elemento necessario per la semplificazione della determinazione non solo dell’indennità, ma anche del compenso spettante all’avvocato che assiste la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, la quale non è tenuta a versare né spese di avvio né spese di mediazione (per il primo incontro e per gli incontri ulteriori); il relativo importo potrà essere recuperato dall’organismo di mediazione mediante richiesta di riconoscimento di un corrispondente credito di imposta. Il Ministero della giustizia ha il compito di monitorare le mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell’indennità di mediazione, già contenuta nel previgente comma 6, mentre è stata soppressa la parte relativa alla determinazione delle indennità spettanti agli organismi di mediazione, divenuta incompatibile con la nuova disciplina in materia di patrocinio a spese dello Stato nel procedimento di mediazione. Le indennità potranno essere rideterminate con cadenza triennale in base alle variazioni del costo della vita registrate dall’Istat.

 

21. Requisiti degli organismi di mediazione e degli enti di formazione

In attuazione del lodevole scopo di migliorare la preparazione professionale dei mediatori, la qualità, la trasparenza e l’efficienza del relativo servizio, la legge delega n. 206/2021 prevedeva di: 

- procedere alla revisione della disciplina sulla formazione base e di aggiornamento dei mediatori, aumentando la durata della stessa e dei criteri di idoneità per l’accreditamento dei formatori teorici e pratici, prevedendo che coloro che non abbiano conseguito una laurea nelle discipline giuridiche possano essere abilitati a svolgere l’attività di mediatore dopo aver conseguito un’adeguata formazione tramite specifici percorsi di approfondimento giuridico, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; 

- potenziare i requisiti di qualità e trasparenza del procedimento di mediazione, anche riformando i criteri indicatori dei requisiti di serietà ed efficienza degli enti pubblici o privati per l’abilitazione a costituire gli organismi di mediazione di cui all’art. 16 d.lgs n. 28/2010 e le modalità della loro documentazione per l’iscrizione nel registro previsto dalla medesima norma;

- riformare e razionalizzare i criteri di valutazione della idoneità del responsabile dell’organismo di mediazione, nonché degli obblighi del responsabile dell’organismo di mediazione e del responsabile scientifico dell’ente di formazione.

In attuazione di tali principi e criteri direttivi, l’art. 16 d.lgs n. 28/2010 è stato integrato ed è stato aggiunto l’art. 16-bis, dedicato agli enti di formazione, modificando al contempo la rubrica del capo III d.lgs n. 28/2010.

In particolare, l’art. 16 d.lgs n. 28/ 2010 è stato integrato con l’aggiunta del comma 1-bis, che opera una revisione e inserisce nella norma primaria i requisiti necessari perché gli organismi di mediazione siano abilitati a gestire i relativi procedimenti ed essere quindi iscritti nel registro previsto dall’art. 2 d.lgs n. 28/2010, indicando specificamente i requisiti comprovanti la serietà, costituiti dalla onorabilità dei soci, amministratori, responsabili e mediatori degli organismi, dalla previsione, nell’oggetto sociale o nello scopo associativo, dello svolgimento da parte dell’organismo, in via esclusiva, di attività consistente nell’erogazione di servizi di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie e di formazione nei medesimi ambiti, oltre a una dichiarazione di impegno a non prestare servizi di mediazione, conciliazione e risoluzione di controversie in tutti i casi nei quali l’organismo stesso ha un interesse nella lite.

Il nuovo comma 1-ter contiene l’individuazione dei requisiti comprovanti l’efficienza, consistenti nella adeguatezza e trasparenza dell’organizzazione, anche per quanto concerne gli aspetti amministrativi e contabili, nella capacità finanziaria, nella qualità dei servizi erogati, della qualificazione professionale del responsabile dell’organismo e degli stessi mediatori.

L’articolo 16-bis d.lgs n. 28/2010, in attuazione delle lett. l e n del comma 4 dell’unico articolo della legge delega n. 206/2021, individua i requisiti necessari per l’iscrizione degli enti di formazione nell’elenco istituito e tenuto presso il Ministero della giustizia. 

Sono stati adottati, quanto ai requisiti di serietà ed efficienza, gli stessi criteri previsti per gli organismi di mediazione. Pertanto, l’iscrizione all’elenco degli enti di formazione è condizionata alla dimostrazione dei requisiti di serietà ed efficienza, come definiti dall’art. 16, commi 1-bis e 1-ter, d.lgs n. 28/2010, introdotti ex novo dalla riforma.

È stato previsto uno specifico e ulteriore requisito quale condizione per l’iscrizione, o per il suo mantenimento, costituito dall’obbligo di nominare un responsabile scientifico di chiara fama ed esperienza nel settore, chiamato ad assicurare la qualità della formazione erogata dall’ente, la sua completezza, oltre che l’adeguatezza e l’aggiornamento del percorso formativo offerto, non disgiunto dalla competenza dei formatori, valorizzando anche le competenze maturate all’estero. Inoltre, il responsabile della formazione ha lo specifico onere di comunicare costantemente al Ministero della giustizia i programmi formativi via via predisposti, completi dei nominativi dei formatori scelti per il loro svolgimento.

Il comma 3 prevede, inoltre, che con dm siano individuati più specifici requisiti di qualificazione richiesti ai mediatori e ai formatori per iscriversi negli elenchi tenuti presso il Ministero della giustizia o per mantenere tale iscrizione dopo l’entrata in vigore delle modifiche apportate al d.lgs n. 28/2010 e al regolamento di esecuzione di cui al dm n. 180/2010. 

La completa attuazione delle novelle si avrà quando verranno apportate le pertinenti modifiche al dm n. 180/2010, al fine di prevedere, tra l’altro, che:

- per l’iscrizione nel registro occorre partecipare a un corso di formazione iniziale per mediatori e a un numero minimo di procedure di mediazione presso un organismo di mediazione;

- coloro che non hanno conseguito una laurea in discipline giuridiche attestano adeguata preparazione attraverso la partecipazione a specifici corsi formativi nelle discipline giuridiche;

- dopo l’iscrizione nel registro, i mediatori sono tenuti all’aggiornamento permanente mediante la partecipazione a corsi di formazione; 

- per mantenere l’iscrizione nel registro, gli avvocati iscritti all’albo sono tenuti ad adempiere specifici obblighi minimi di formazione;

- dopo l’iscrizione nell’elenco, i formatori sono tenuti all’aggiornamento permanente mediante la partecipazione a corsi di formazione; 

- le attività di formazione possono svolgersi in presenza o mediante collegamento audiovisivo da remoto; 

- il responsabile scientifico degli enti di formazione, nell’adempimento dei compiti di cui all’art. 16-bis, comma 2, d.lgs n. 28/2010, possa svolgere appositi compiti quali: 

◦ approvare i programmi erogati dall’ente unitamente ai nomi dei formatori incaricati e ai calendari di svolgimento dei corsi di formazione, 

◦ certificare l’equivalenza della formazione di aggiornamento eventualmente svolta dai formatori presso enti e istituzioni con sede all’estero, 

◦ certificare per singole attività formative l’idoneità di formatori anche stranieri non accreditati dal Ministero della giustizia.

È appena il caso di ricordare che, ai sensi dell’art. 41, commi 2 e 3, d.lgs n. 149/2022, gli organismi di mediazione iscritti al registro e gli enti di formazione iscritti all’elenco, se intendono mantenere l’iscrizione, sono tenuti, entro il 30 aprile 2023, a presentare la relativa istanza al Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia, corredata dalla documentazione attestante l’adeguamento ai requisiti previsti, rispettivamente, dagli artt. 16 e 16-bis d.lgs n. 28/2010, come novellati. Fino al 30 giugno 2023, gli organismi di mediazione e gli enti di formazione iscritti non possono essere sospesi o cancellati, rispettivamente, dal registro o dall’elenco per mancanza di tali requisiti. Il mancato adeguamento entro il 30 giugno 2023 comporta la sospensione dell’iscrizione.

 

22. Le novità in materia di negoziazione assistita da avvocati

La negoziazione assistita da avvocati, da che è stata introdotta con dl n. 132/2014, ha dato buona prova di sé unicamente nell’ambito delle separazioni e dei divorzi ex art. 6 dl ult. cit., favorendo approcci di collaborative law assai più adatti a tale materia del contendere, in luogo di infinite controversie giudiziali, destinate a produrre macerie su macerie.

A far tempo dal 22 giugno 2022, l’art. 6 dl n. 132/2014 è stato opportunamente esteso dalla l. n. 206/2021 alle controversie in materia di:

- affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio

- modifica delle condizioni di separazione, divorzio, scioglimento delle unioni civili e affidamento e mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio e

- alimenti

Al di fuori di tali ambiti familiari, la negoziazione assistita, anche quando costituisca condizione di procedibilità ex art. 3 dl n. 132/2014 (nelle cause di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro), ha dato risultati statisticamente irrilevanti.

In attuazione della legge delega n. 206/2021, la disciplina della negoziazione assistita da avvocati è stata arricchita essenzialmente con tre novità:

1. l’inclusione delle controversie di lavoro subordinato e parasubordinato;

2. l’attività di istruzione stragiudiziale;

3. il patrocinio a spese dello Stato, quando la negoziazione assistita costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale;

4. l’assegno divorzile in unica soluzione (art. 6, comma 3-bis, dl n. 132/2014).

Vi sono poi alcuni profili di contorno, come:

5. l’adozione di modelli di convenzione elaborati dal Consiglio nazionale forense, salvo diverso accordo (nuovo comma 7-bis dell’art. 2 dl n. 132/2014);

6. la disciplina, invero lapalissiana, della negoziazione assistita in modalità telematica (art. 2-bis dl n. 132/2014).

Eccezion fatta per le disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato, efficaci a decorrere dal 30 giugno 2023, tutte le altre novità in materia di negoziazione assistita prendono effetto dal 28 febbraio 2023[38].

 

23. La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro subordinato e parasubordinato

La legge delega n. 206/2021 prevedeva, per le controversie di cui all’art. 409 cpc – fermo restando quanto disposto dall’art. 412-ter cpc sulla possibilità di esperire le procedure conciliative o arbitrali presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative –, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità dell’azione, la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita, a condizione che ciascuna parte sia assistita dal proprio avvocato nonché, ove le parti lo ritengano, anche dai rispettivi consulenti del lavoro, specificando altresì che al relativo accordo fosse assicurato il regime di stabilità protetta di cui all’art. 2113, comma 4, cc.

In attuazione di tali principi e criteri direttivi, il nuovo art. 2-ter dl n. 132/2014 testualmente recita che, per le controversie di cui all’art. 409 cpc (lavoro subordinato, anche pubblico, e parasubordinato), fermo restando quanto disposto dall’art. 412-ter cpc sulle procedure conciliative o arbitrali presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi, le parti possono ricorrere alla negoziazione assistita, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Ciascuna parte è assistita da almeno un avvocato e può essere anche assistita da un consulente del lavoro

All’accordo raggiunto all’esito della procedura di negoziazione assistita si applica l’art. 2113, comma 4, cc, impedendo in tal modo di impugnare entro sei mesi, anche con atto stragiudiziale del lavoratore, le rinunce, le transazioni e, comunque, gli accordi conciliativi così raggiunti e perfezionati e conferendo agli stessi la stessa stabilità degli accordi stipulati in sede protetta con l’assistenza delle organizzazioni sindacali e datoriali.

L’accordo conciliativo in materia di controversie di lavoro raggiunto mediante negoziazione assistita da avvocati è trasmesso, a cura di una delle due parti ed entro dieci giorni, a uno degli organismi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro, di cui all’art. 76 d.lgs n. 276/2003.

È novità questa che, ove prendesse effettivamente piede, riveste un rilievo notevole, confermando viepiù la proiezione dell’ordinamento verso un’ampia liberalizzazione privatistica delle forme di tutela, affidate ai professionisti del settore, avvocati e consulenti del lavoro, le cui condotte deontologiche dovranno essere particolarmente attente e rigorose, affinché le norme sostanziali di protezione ricevano piena applicazione, senza prestarsi a facili elusioni in danno dei soggetti deboli.

 

24. L’attività di istruzione stragiudiziale

La cd. attività di istruzione stragiudiziale, esperibile quando le parti l’abbiano espressamente prevista nella convenzione di negoziazione assistita, è novità assai rilevante, destinata a sfidare una prassi applicativa ben poco avvezza, a non dire del tutto aliena dall’acquisire prove nel contraddittorio diretto tra difensori al di fuori delle aule di giustizia e absque iudice.

Sulla carta è novità rivoluzionaria, che la legge delega n. 206/2021 delineava nel senso di prevedere la possibilità di svolgere, nel rispetto del principio del contraddittorio e con la necessaria partecipazione di tutti gli avvocati che assistono le parti coinvolte, attività istruttoria, denominata «attività di istruzione stragiudiziale», consistente nell’acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia e nella richiesta alla controparte di dichiarare per iscritto, ai fini di cui all’art. 2735 cc, la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte richiedente, imponendo di prevedere, in particolare:

1) garanzie per le parti e i terzi, anche per ciò che concerne le modalità di verbalizzazione delle dichiarazioni, compresa la possibilità per i terzi di non rendere le dichiarazioni, prevedendo in tal caso misure volte ad anticipare l’intervento del giudice al fine della loro acquisizione;

2) sanzioni penali per chi rende dichiarazioni false e conseguenze processuali per la parte che si sottrae all’interrogatorio, in particolar modo consentendo al giudice di tener conto della condotta ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 e 642, secondo comma, cpc;

3) l’utilizzabilità delle prove raccolte nell’ambito dell’attività di istruzione stragiudiziale nel successivo giudizio avente ad oggetto l’accertamento degli stessi fatti e iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della procedura di negoziazione assistita, fatta salva la possibilità per il giudice di disporne la rinnovazione, apportando le necessarie modifiche al codice di procedura civile;

4) con riguardo al successivo giudizio, una maggiorazione del compenso previsto per la fase istruttoria o di trattazione dal regolamento di cui al dm n. 55/2014, in misura non inferiore al 20 per cento, per gli avvocati che abbiano fatto ricorso all’istruttoria stragiudiziale, salvo che il giudice non rilevi il carattere abusivo o la manifesta inutilità dell’accesso all’istruzione stragiudiziale oppure non ne disponga l’integrale rinnovazione;

5) che il compimento di abusi nell’attività di acquisizione delle dichiarazioni costituisca per l’avvocato grave illecito disciplinare, indipendentemente dalla responsabilità prevista da altre norme. 

L’«attività di istruzione stragiudiziale», così delineata nell’ambito della negoziazione assistita da avvocati, s’ispira vagamente alla fase pre-trial dei processi anglosassoni, specialmente statunitensi, dove però ben altre regole informano l’acquisizione delle prove prima del trial, mercé stringenti duties of disclosure e formidabili poteri di discovery in capo alle parti, alla stregua di statements of truth sottoscritti anche dai difensori, protetti da severe sanzioni penali e disciplinari per contempt of court, secondo usus fori del tutto ignoti al nostro ordinamento nel quale, per risalente tradizione, si riflette e invera semmai l’opposto principio del nemo tenetur edere contra se, tanto meno nella fase delle trattative per la bonaria composizione della controversia, durante le quali ogni debolezza è bandita, ché ogni parte fa di tutto per rafforzare la propria posizione e la forza negoziale. 

Sperare, dunque, che nel contesto della negoziazione assistita parti e difensori s’impegnino a “vuotare il sacco” e a ricostruire i fatti controversi, con puro metodo adversarial e senza alcun coordinamento di un soggetto terzo, consentendo che le prove formatesi e le dichiarazioni rese vengano poi acquisite nel successivo processo coram iudice in caso di mancata conciliazione, appare wishful thinking francamente utopistico e, per vero, assai poco coerente con le finalità conciliative della negoziazione assistita, cui dovrebbero rimanere tendenzialmente estranei l’apparato e l’armamentario retorico della dialettica processuale e che dovrebbe semmai restare protetta dai successivi svolgimenti contenziosi, esattamente come avviene per la mediazione, soggetta a riservatezza e a divieti di utilizzazione delle dichiarazioni e delle attività anche istruttorie svolte in seno alla stessa, a mente degli artt. 9 e 10 d.lgs n. 28/2010 e come peraltro prevede anche l’art. 9 dl n. 132/2014 per la negoziazione assistita da avvocati, proprio allo scopo di agevolare un dialogo schietto e franco tra le parti, senza il timore di esprimersi e, ancor meno, di rendere dichiarazioni con efficacia confessoria o di dare corso a prove contrarie ai proprî interessi.

Semmai, codesta attività di istruzione stragiudiziale potrebbe virtuosamente innestarsi in alcuni passaggi delle ADR, non soltanto in seno alla negoziazione assistita, ma anche in sede di mediazione, quando occorra chiarire i fatti attraverso attività istruttorie, meglio se regolate da un terzo imparziale come il mediatore, onde favorire la soluzione conciliativa della lite: sempre però con la protezione della riservatezza e il divieto di successiva utilizzazione che connotano le ADR, perché possano produrre compiutamente ad consequentias le loro finalità conciliative.

Questa, dunque, la disciplina sortita in attuazione della delega con il d.lgs n. 149/2022, tradottasi nel comma 2-bis dell’art. 2 e negli artt. 4-bis e 4-ter dl n. 132/2014.

Anzitutto e come già accennato, ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, d.l. 132/2014, occorre che la convenzione di negoziazione assistita, redatta di regola mediante utilizzo del modello elaborato dal Cnf (comma 7-bis dello stesso art. 2), precisi:

a) la possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia;

b) la possibilità di acquisire dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste.

 

24.1. Acquisizione delle dichiarazioni di terzi informatori

In base all’art. 4-bis dl n. 132/2014, rubricato «Acquisizione di dichiarazioni», quando la convenzione di negoziazione assistita lo prevede, ciascun avvocato può invitare un terzo a rendere dichiarazioni su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia, presso il suo studio professionale o presso il consiglio dell’ordine degli avvocati, in presenza degli avvocati che assistono le altre parti.

L’informatore (la disposizione, pudicamente, omette di chiamarlo testimone, ancorché la disciplina delle sue dichiarazioni e le conseguenze, anche sanzionatorie, siano le medesime), previa identificazione, è invitato a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale e professionale con alcuna delle parti o se ha un interesse nella causa, ed è altresì preliminarmente avvertito:

a) della qualifica dei soggetti dinanzi ai quali rende le dichiarazioni e dello scopo della loro acquisizione;

b) della facoltà di non rendere dichiarazioni;

c) della facoltà di astenersi ai sensi dell’art. 249 cpc, opponendo il segreto professionale, d’ufficio o di Stato;

d) delle responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni (in tutto e per tutto analoghe a quelle previste per i testimoni);

e) del dovere di mantenere riservate le domande che gli sono rivolte e le risposte date;

f) delle modalità di acquisizione e documentazione delle dichiarazioni.

Analogamente a quanto previsto per la testimonianza apud iudicem, non può rendere dichiarazioni chi non ha compiuto il quattordicesimo anno di età e chi si trova nella condizione di incapacità a testimoniare prevista dall’art. 246 cpc, essendo portatore di un interesse concreto e attuale circa l’esito della controversia inter partes, che lo legittimerebbe a intervenire nel futuro ed eventuale processo.

Le domande rivolte all’informatore e le dichiarazioni da lui rese sono verbalizzate in un documento, redatto dagli avvocati, che contiene l’indicazione del luogo e della data in cui sono acquisite le dichiarazioni, le generalità dell’informatore e degli avvocati e l’attestazione che sono stati rivolti gli avvertimenti sopra indicati. V’è da sperare che, almeno nell’acquisire codeste dichiarazioni negli studi professionali, si utilizzino modalità migliori (ad esempio, tramite videoregistrazioni, integralmente trascritte) rispetto a quelle utilizzate nelle ormai sempre più sparute e rare istruttorie orali apud iudicem, spesso delegate a giudici onorari neppure assegnatari del fascicolo, mercé anomale rogatorie intra moenia, che eliminano ogni immediatezza e ogni forma di contatto diretto del giudice della causa con le fonti istruttorie del suo convincimento, consegnando e relegando la prova costituenda alla forma burocratica di un verbale scritto in “legalese”, ben lungi da qualsiasi genuinità rappresentativa e che tanto varrebbe affidare a “notari”, come usava avvenire nel processo romano-canonico medievale a sfondo inquisitorio e al cospetto di criteri legali predeterminati di valutazione delle prove, e non certo del prudente apprezzamento del giudice previsto e declamato dall’art. 116, comma 1, cpc, quell’intime conviction storicamente introdotta per mano di Robespierre, onde por termine, dopo soli tre giorni, al processo celebrato dal tribunale rivoluzionario a carico dei deputati girondini, tutti immancabilmente ghigliottinati il giorno seguente[39]

Il verbale delle dichiarazioni rese dall’informatore, previa integrale rilettura, viene sottoscritto dall’informatore medesimo e dagli avvocati. All’informatore e a ciascuna delle parti ne è consegnato un originale.

Il verbale così sottoscritto fa piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto in loro presenza, fino a querela di falso, con l’efficacia propria dell’atto pubblico, quale sancita dall’art. 2700 cc circa l’estrinseco, segnatamente la provenienza del documento dagli avvocati che lo hanno formato e sottoscritto, nonché delle dichiarazioni rese dinanzi a loro e degli altri fatti che essi attestano avvenuti in loro presenza o da loro compiuti. 

Il verbale così formato e sottoscritto può essere prodotto nel giudizio tra le parti della convenzione di negoziazione assistita ed è valutato dal giudice secondo il proprio prudente apprezzamento, ai sensi dell’art. 116, comma 1, cpc. Peraltro, il giudice può sempre disporre che l’informatore sia escusso come testimone dinanzi a sé.

Quando l’informatore non si presenta o rifiuta di rendere dichiarazioni e la negoziazione si è conclusa senza accordo conciliativo, la parte che ritiene necessaria la sua deposizione può chiedere che ne sia ordinata l’audizione davanti al giudice, facendo applicazione delle disposizioni sull’istruzione preventiva, di cui agli artt. 693 ss. cpc (esclusi gli artt. 696 e 696-bis sull’atp e sulla ctu preventiva), in quanto compatibili, senza necessità di allegare né di dimostrare l’esistenza del requisito del periculum in mora né alcuna sorta di urgenza: tale possibilità si configura, infatti, quale strumento di acquisizione coattiva delle dichiarazioni del terzo informatore (recte, testimone quoad effecta) mediante collaborazione dell’apparato giurisdizionale al pieno espletamento di quanto previsto nella convenzione di negoziazione assistita da avvocati, a ulteriore riprova dell’osmosi che ormai corre tra ADR e giurisdizione civile.

Si tratta di un potere che va ben oltre la possibilità di testimonianza scritta nell’istruttoria giudiziale, quale disciplinata nell’art. 257-bis cpc, rimasto lettera morta da che venne introdotto, con la riforma del 2009. V’è solo da sperare che alla nuova disciplina sull’attività istruttoria stragiudiziale la prassi non riservi la medesima sorte della testimonianza scritta. Invero, la genuinità delle dichiarazioni rese ai difensori dal terzo informatore è presidiata da severe sanzioni penali, applicandosi il reato di false dichiarazioni al difensore in sede di indagini difensive penali, previsto e punito dall’art. 371-ter cp, cui sono stati aggiunti due commi, in forza dei quali l’informatore che, non essendosi avvalso della facoltà di non rendere le dichiarazioni o di opporre il segreto professionale, d’ufficio o di Stato, renda dichiarazioni false è punito con la reclusione fino a quattro anni. Il procedimento penale resta sospeso fino alla conclusione della procedura di negoziazione assistita nel corso della quale sono state acquisite le dichiarazioni o fino a quando sia stata pronunciata sentenza di primo grado nel giudizio contenzioso civile successivamente instaurato, nel quale una delle parti si sia avvalsa della facoltà di produrre il verbale sottoscritto dall’informatore e dagli avvocati, facente piena prova fino a querela di falso sempre quanto all’estrinseco, ai sensi dell’art. 4-bis, comma 6, dl n. 132/2014, ovvero fino a quando tale giudizio civile sia dichiarato estinto.

 

24.2. Interpelli e dichiarazioni confessorie (stragiudiziali) delle parti

Il nuovo art. 4-ter dl n. 132/2014 introduce la possibilità di interpelli stragiudiziali, evocativi delle antiche interpellationes tra litiganti che, nel processo romano-canonico, si sfidavano a dichiarare «an verum sit» un determinato fatto, al fine di provocare la confessione della controparte. Oggidì è già ben difficile che la confessione venga resa coram iudice a seguito di interrogatorio formale, tanto meno nella più totale assenza, de lege italica lata, di un dovere di verità imposto alle parti alla stregua di quanto prevedono gli ordinamenti a matrice germanica, attraverso il Wahrheitspflicht, o anglosassone, attraverso lo statement of truth imposto alle parti e ai difensori medesimi. Appare dunque ben difficile che la parte, assistita dal proprio avvocato, renda dichiarazioni a sé sfavorevoli nella fase stragiudiziale di ricerca di un accordo conciliativo: sicché la nuova disposizione pare destinata a sicuro insuccesso, in nome del principio onde nemo tenetur se detegere.

In ogni caso, ai sensi del nuovo e anzidetto art. 4-ter dl n. 132/2014, quando la convenzione di negoziazione assistita lo prevede, ciascun avvocato può invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti, specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste. 

La dichiarazione è resa e sottoscritta dalla parte e dall’avvocato che la assiste, anche ai fini della certificazione dell’autografia.

Il documento contenente la dichiarazione forma piena prova fino a querela di falso di quanto l’avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza, in relazione all’estrinseco alla medesima stregua dell’atto pubblico ex art. 2700 cc, e può essere prodotto nel giudizio iniziato dalle parti della convenzione di negoziazione assistita. 

Quanto al contenuto confessorio delle dichiarazioni sfavorevoli alla parte che l’abbia sottoscritto, il documento vale come confessione stragiudiziale fatta alla controparte, che forma piena prova a carico del confitente ai sensi dell’art. 2735 cc.

Il rifiuto ingiustificato di rendere dichiarazioni sui fatti specificamente individuati e rilevanti non determina alcuna ficta confessio, né consente al giudice di ritenerli come provati nel quadro delle prove acquisite, come avviene invece in caso di mancata risposta all’interrogatorio formale ai sensi dell’art. 232 cpc, ma è valutato dal giudice ai soli fini delle spese del giudizio e per l’eventuale condanna al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, in caso di dolo o colpa grave della parte soccombente in giudizio, ai sensi dell’art. 96 cpc. 

Il legislatore delegato ha ritenuto, invece, di non esercitare la delega contenuta nell’art. 1, comma 4, lett. t, n. 2 della l. n. 206/2021, in ordine all’applicabilità dell’art. 642, secondo comma, cpc alla parte che si sottrae all’interrogatorio, non apparendo possibile costruire una disciplina generale che consenta alla parte di ottenere l’esecuzione provvisoria di un decreto ingiuntivo semplicemente a fronte dell’ingiustificato rifiuto a rispondere all’interpello in sede di istruttoria stragiudiziale e considerato anche il rischio di possibili abusi legati all’introduzione di una simile possibilità.

In ossequio all’autonomia dell’ordine professionale forense, non è stata esercitata neppure la delega contenuta nel n. 4 dell’art. 1, lett. t, l. n. 206/2021, che demandava al legislatore delegato di prevedere che il compimento di abusi nell’attività di acquisizione delle dichiarazioni delle parti o dei terzi costituisca per l’avvocato grave illecito disciplinare, indipendentemente dalla responsabilità prevista da altre norme.

 

25. La negoziazione assistita in modalità telematica

Quando la convenzione di negoziazione, redatta di regola mediante utilizzo del modello elaborato dal Cnf (comma 7-bis dell’art. 2 dl n. 132/2014), preveda la possibilità di svolgere la negoziazione con modalità telematiche e gli incontri con collegamenti audiovisivi a distanza (comma 2-bis, lett. c e d dello stesso art. 2 dl cit.): con formalismo anche qui un poco eccessivo, come per la mediazione con modalità telematiche, ciascun atto del procedimento, ivi compreso l’accordo conciliativo che lo conclude, è formato e sottoscritto nel rispetto delle disposizioni del Cad (codice dell’amministrazione digitale, d.lgs n. 82/2005) ed è trasmesso a mezzo pec o con altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

Gli incontri si possono svolgere con collegamento audiovisivo da remoto. I sistemi di collegamento audiovisivo utilizzati per gli incontri del procedimento di negoziazione assicurano la contestuale, effettiva e reciproca udibilità e visibilità delle persone collegate. Ciascuna parte può chiedere di partecipare da remoto o in presenza. 

Non può, invece, essere svolta con modalità telematiche né con collegamenti audiovisivi da remoto l’acquisizione delle dichiarazioni del terzo informatore di cui all’art. 4-bis dl n. 132/2014. 

Per le dichiarazioni delle parti a seguito di interpello ai sensi dell’art. 4-ter dl n. 132/2014, l’esplicita previsione della forma scritta esclude la possibilità di applicare collegamenti audiovisivi, ma non appare incompatibile con la trasmissione delle dichiarazioni con modalità telematiche, con firma digitale dell’avvocato che certifichi l’autografia della sottoscrizione della parte.

Anche nell’accordo di negoziazione, quando è contenuto in un documento sottoscritto dalle parti con modalità analogica, la sottoscrizione è certificata dagli avvocati con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata o avanzata, nel rispetto delle regole tecniche di cui all’art. 20, comma 1-bis, Cad (art. 2-bis, comma 4, dl n. 132/2014).

 

26. La negoziazione assistita nel campo delle famiglie: “umanesimo forense” e buone prassi collaborative

La l. n. 206/2021, con disposizioni entrate in vigore il 22 giugno 2022, ha ampliato le controversie alle quali è applicabile la negoziazione assistita da avvocati di cui all’art. 6 dl n. 132/2014, che ora, sin dalla rubrica legis, annovera «le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, e loro modifica, e di alimenti».

L’art. 6, a differenza della restante parte del dl n. 132/2014, ha conosciuto nel breve volgere di questi anni un successo notevole, contribuendo a risolvere un numero crescente di controversie familiari senza le lungaggini, i patimenti, le sofferenze, i costi e le “alterne fortune” delle liti giudiziarie, quae habent sua sidera

Soprattutto, la negoziazione assistita è valsa a formare ed e-ducare, nel senso etimologico del termine, a pratiche collaborative, a forme di cd. “collaborative law[40] nel campo – troppe volte drammaticamente tragico – delle liti familiari, favorendo l’ascolto, il confronto dialogico, la ricerca di nuovi equilibri, se non di una vera e propria catarsi trasformativa dopo la crisi. 

Nell’ambito del diritto delle persone, dei minori e delle famiglie, la pratica collaborativa costituisce un metodo non contenzioso di risoluzione dei conflitti, che mette al centro le persone, consentendo di individuare soluzioni aderenti ai bisogni particolari di ogni famiglia e di affrontare tutti gli aspetti derivanti dalla crisi familiare, legali, economici e relazionali, in un clima di fiducia e trasparenza, con il supporto di professionisti qualificati. Si tratta di un processo di negoziazione stragiudiziale che coinvolge nelle trattative le parti, i rispettivi avvocati e gli eventuali altri professionisti che li assistono, in uno spirito di collaborazione, buona fede e trasparenza, nell’intento di raggiungere soluzioni concordate, così da rendere le stesse parti protagoniste nella ricerca di possibili soluzioni che corrispondano ai propri interessi e bisogni. La procedura è improntata a tecniche di comunicazione, ascolto attivo, negoziazione ed è incentrata sugli interessi e sui bisogni, in modo da favorire nel miglior modo il mantenimento e la trasformazione delle relazioni e da promuovere la fiducia e il rispetto reciproci, attraverso una serie di incontri programmati tra le parti e i loro avvocati, intesi al raggiungimento di un accordo globale, soddisfacente e duraturo, oltre che sottoposto a omologa da parte dell’autorità giudiziaria.

Perciò, attraverso la convenzione di negoziazione assistita, le parti e i loro avvocati s’impegnano a risolvere la disputa in modo collaborativo, condividendo informazioni rilevanti, rispettando il dovere di riservatezza e adottando un comportamento leale nella negoziazione. 

Nella pratica collaborativa, l’accordo di negoziazione assistita prevede altresì una clausola in forza della quale gli avvocati non potranno rappresentare in giudizio il proprio cliente, neppure indirettamente o per interposta persona, in caso di mancato accordo conciliativo. Questo è l’elemento che propriamente differenzia la pratica collaborativa da ogni altra attività stragiudiziale di risoluzione consensuale delle controversie familiari e, in particolare, dalla negoziazione assistita, quale disciplinata dal dl n. 132/2014. 

Tra gli elementi che formano parte integrante di un accordo di negoziazione collaborativa vi sono:

a. il divieto di rappresentare in giudizio il proprio cliente, in caso di insuccesso della negoziazione assistita; in tal modo, non avendo l’alternativa del processo, gli avvocati si concentrano esclusivamente sulla negoziazione stragiudiziale e sull’obiettivo di raggiungere un accordo soddisfacente piuttosto che un giudizio lungo e complicato (viepiù con la riforma del rito introdotta dallo stesso d.lgs n. 149/2022 nei nuovi artt. 473-bis ss. cpc sul procedimento unitario in materia di persone, minorenni e famiglie), scongiurando in apicibus l’applicazione della frusta (e frustrante) massima dum pendet rendet;

b. la completa condivisione di tutte le informazioni rilevanti per la risoluzione consensuale della controversia (cd. disclosure), con garanzia di assoluta riservatezza e non utilizzabilità nel processo, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo conciliativo (attorney privileged);

c. l’attiva e diretta partecipazione delle parti e dei componenti familiari coinvolti nella controversia; sebbene gli avvocati abbiano un ruolo fondamentale sull’andamento delle fasi negoziali, la decisione ultima spetta alle parti, che negli incontri si devono impegnare attivamente per la soluzione consensuale della lite;

d. l’impegno ad agire in assoluta e completa buona fede, con trasparenza e lealtà.

Tutto ciò non impedisce che il dialogo si svolga attraverso confronti anche vivaci e intensi, temperando però astiosità e contrapposizioni preconcette, sondando e vagliando tutte le opzioni praticabili in base agli interessi delle parti e ai loro bisogni, in un clima costante di reciproca fiducia in cui si abbandonino riserve e strategie preprocessuali a beneficio di un approccio cooperativo e costruttivo.

 

26.1. Le modifiche all’art. 6 dl n. 132/2014 sulla negoziazione assistita da avvocati in materia di famiglie

Al fine di valorizzare ulteriormente quel che è stato seminato ed è rigogliosamente cresciuto nel breve volgere di poco più di un lustro, l’art. 1, comma 4, lett. u della legge delega n. 206/2021 aveva demandato al Governo di apportare modifiche all’art. 6 dl n. 132/2014: 

- prevedendo che, ferma l’efficacia degli accordi conciliativi a seguito di nullaosta o di autorizzazione del pm, ai sensi del comma 3 del medesimo art. 6, gli accordi raggiunti a seguito di negoziazione assistita possano contenere anche patti di trasferimenti immobiliari con effetti obbligatori; 

- disponendo che nella convenzione di negoziazione assistita il giudizio di congruità previsto dall’art. 5, comma 8, l.div. (n. 898/1970) sia dato dai difensori con la certificazione dell’accordo delle parti; 

- adeguando le disposizioni vigenti quanto alle modalità di trasmissione dell’accordo; 

- prevedendo che gli accordi muniti di nulla osta o di autorizzazione siano conservati, in originale, in apposito archivio tenuto presso i consigli dell’ordine degli avvocati di cui all’art. 11 dl n. 132/2014, che rilasciano copia autentica dell’accordo alle parti, ai difensori che hanno sottoscritto l’accordo e ai terzi interessati al contenuto patrimoniale dell’accordo stesso; 

- prevedendo l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria a carico dei difensori che violino l’obbligo di trasmissione degli originali ai consigli dell’ordine degli avvocati, analoga a quella prevista dal comma 4 dell’articolo 6 del citato dl n. 132 del 2014.

Intervenendo sul testo dell’art. 6 dl n. 132/2016 in attuazione dei principi e dei criteri direttivi testé ricordati, è stato previsto quanto segue.

A) Gli accordi tra coniugi che si separino o divorzino o tra persone che sciolgano l’unione civile mediante negoziazione assistita da avvocati potranno prevedere anche trasferimenti immobiliari, con efficacia però meramente obbligatoria; sicché, per conseguire l’effetto traslativo occorrerà comunque stipulare l’atto presso notaio o, in caso di inosservanza dell’obbligo, agire ex art. 2932 cc per ottenere il trasferimento della proprietà del bene immobile mediante sentenza costitutiva; trattasi di previsione del tutto superflua, ché la generale autonomia delle parti in materia di diritti disponibili consente loro di prevedere sempre e comunque, anche in mancanza di espressa previsione di legge, la stipula di reciproche promesse di trasferimento dei beni.

Peraltro, la possibilità di scambiarsi soltanto promesse di trasferimenti immobiliari stride con la possibilità, riconosciuta dalle sezioni unite della Corte di cassazione, di inserire clausole nell’accordo di divorzio a domanda congiunta o di separazione consensuale, che riconoscano a uno o a entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili o di altri diritti reali, o ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento, in quanto tale accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 cc e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio (che, rispetto alle pattuizioni relative alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa) ovvero dopo l’omologazione, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 cc, presupponendo la validità dei trasferimenti l’attestazione del cancelliere che le parti abbiamo prodotto gli atti e reso le dichiarazioni di cui all’art. 29, comma 1-bis, l. n. 52/1985 sulla conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, mentre non produce la nullità del trasferimento il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica soggettiva circa l’intestatario catastale dei beni e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari[41].

In ogni caso, l’esenzione di cui all’art. 19 l. n. 74/1987 – il quale dispone che tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti a ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 l.div. siano esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa – si applica a tutti gli atti di trasferimento immobiliare relativi ai procedimenti di separazione e divorzio, nonché a quelli di scioglimento delle unioni civili e inerenti modifiche, e non solamente a quelli attuativi degli obblighi connessi al godimento della casa familiare, all’affidamento della prole, al suo mantenimento o a quello del coniuge[42].

B) Al coniuge o al partner dell’unione civile sprovvisto di mezzi adeguati o che comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive, tenuto conto di tutti i parametri di cui al comma 6 dell’art. 5 l.div., come riletti dalle sezioni unite a seguito di un recente e assai noto revirement[43], potrà essere riconosciuto un assegno una tantum, da versare in unica soluzione e la cui congruità è asseverata dagli avvocati che assistono le parti e sottoscrivono l’accordo, non potendosi in tal caso avanzare più alcuna successiva domanda di contenuto economico, a norma del comma 8 dello stesso art. 5 l.div. (vds. l’art. 6, comma 3-bis, dl n. 132/2014). Giudizio di congruità (di equità giudiciale discorre il comma 8 dell’art. 5 l.div.) tanto più delicato e complesso, in quanto l’assegno una tantum, in luogo dell’assegno divorzile periodico, preclude in futuro la possibilità di proporre qualunque domanda di contenuto economico e finanche di ottenere una quota della pensione di reversibilità, il cui presupposto è da rinvenire nella titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile al momento della morte dell’ex-coniuge[44], ivi inclusi gli accordi omologati dal pm in esito alla negoziazione assistita da avvocati.

C) L’accordo è trasmesso con modalità telematiche, a cura degli avvocati che assistono le parti, al procuratore della Repubblica per il rilascio del nullaosta o per l’autorizzazione. Il procuratore della Repubblica, quando appone il nullaosta o rilascia l’autorizzazione, trasmette l’accordo sottoscritto digitalmente agli avvocati di tutte le parti. Quando ritiene che l’accordo non risponde all’interesse dei figli o che è opportuno procedere al loro ascolto, il procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo.

D) Fin troppo severe appaiono le sanzioni a carico dell’avvocato che ometta o ritardi oltre i dieci giorni la trasmissione di copia, autenticata dallo stesso difensore, dell’accordo munito di nullaosta o autorizzazione del pm e delle certificazioni di autografia delle sottoscrizioni e di conformità alle norme imperative rese dagli avvocati, all’ufficiale dello stato civile del Comune di iscrizione o trascrizione del matrimonio o dell’unione civile: la sanzione amministrativa pecuniaria va da un minimo edittale di euro 2.000 a un massimo di euro 10.000, che non è poco per un duplice adempimento burocratico affidato a professionisti privati, ancorché investiti di un pubblico servizio.

Altrettale assai severa sanzione non è stata invece imposta, Deo gratias, all’obbligo di trasmettere senza indugio l’accordo, munito di nullaosta o di autorizzazione del pm, a mezzo pec o con altro sistema elettronico di recapito certificato qualificato, a cura degli avvocati che lo hanno sottoscritto, al consiglio dell’ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati, che ne cura la conservazione in apposito archivio, ai sensi dell’art. 6, comma 3-ter, dl n. 132/2014. Il consiglio dell’ordine, se richiesto, rilascia copia autentica dell’accordo alle parti e ai difensori che lo hanno sottoscritto. La conservazione ed esibizione dell’accordo è disciplinata dall’art. 43 Cad (d.lgs n. 82/2005).

 

26.2. Patrocinio a spese dello Stato nella negoziazione assistita obbligatoria

Come per la mediazione obbligatoria, il principio di delega di cui all’art. 1, comma 4, lett. a, l. n. 206/2021 è stato interpretato, conformemente alle previsioni di spesa e di copertura finanziaria, nel senso di prevedere l’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure, sia di mediazione sia di negoziazione assistita, nei casi nei quali il loro esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale ossia, per le procedure di negoziazione assistita, nelle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, e per le domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti 50.000 euro, fuori dai casi di mediazione obbligatoria di cui al novellato art. 5, comma 1, d.lgs n. 28/2010.

L’art. 3, comma 6, dl n. 132/2014 disciplinava il caso in cui, a fronte della sussistenza di un’ipotesi di negoziazione assistita quale condizione di procedibilità (come prevista dal comma 1 del medesimo articolo), almeno una delle parti si trovi nelle condizioni per essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato. La norma in questione prevedeva, in tal caso, che la parte non abbiente fosse esentata dall’obbligo di corrispondere il compenso al proprio avvocato, ma non disciplinava la procedura che si doveva seguire per la formale ammissione e, al termine, per il riconoscimento del compenso all’avvocato, imponendo la sostanziale gratuità della prestazione dell’avvocato nei casi di assistenza al non abbiente in una procedura di negoziazione assistita che condizionava la procedibilità della domanda giudiziale.

L’intervento normativo, in coerenza con il criterio di delega e a far tempo dal 30 giugno 2023 – peraltro con qualche disparità quoad tempus rispetto alla mediazione obbligatoria, che beneficia già ora della pronuncia resa da Corte cost., n. 10/2021, sull’incostituzionalità della mancata previsione del patrocinio a spese dello Stato –, ha superato tale assetto normativo introducendo una disciplina che assicuri l’accesso effettivo al patrocinio a spese dello Stato alla parte non abbiente che debba stipulare una convenzione di negoziazione assistita nei casi in cui essa è prevista dalla legge, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, e che consenta al difensore di vedersi riconoscere un compenso per le prestazioni rese in tale procedura. Conseguentemente, sempre a decorrere dal 30 giugno 2023, il comma 6 dell’art. 3 dl n. 132/2014 è stato abrogato[45].

La nuova disciplina sul patrocinio a spese dello Stato in materia di negoziazione assistita obbligatoria non è stata collocata all’interno del dPR n. 115/2002, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)» (Tusg), ma direttamente nel dl n. 132/2014, agli artt. 11-bis ss., all’interno di un’apposita sezione II del capo II. Nel sistema del Tusg, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato si struttura in due fasi: in una prima fase viene deliberata l’ammissione in via anticipata e provvisoria della parte non abbiente al beneficio ad opera del Consiglio dell’ordine degli avvocati; in una seconda fase, l’autorità giudiziaria che procede, all’esito della lite, conferma l’ammissione provvisoria e provvede alla liquidazione del compenso, considerando quantità e qualità dell’attività processuale svolta dal difensore, applicando i pertinenti parametri legati al valore della controversia, con falcidia del 50% e con obbligo del rispetto del valori medi. Una volta effettuata la liquidazione e adottato il decreto di pagamento, il sistema prevede che appositi uffici procedano all’erogazione delle somme e stabilisce che lo Stato proceda all’azione di recupero di tali somme nei confronti della parte processuale rimasta totalmente o parzialmente soccombente rispetto alla parte ammessa al beneficio.

Tale complessivo sistema appare difficilmente adattabile alle ipotesi nelle quali la parte non abbiente sia tenuta ad avviare una procedura di negoziazione assistita che si concluda con l’accordo prima dell’avvio di un’azione giudiziale. In tale ipotesi, infatti, la controversia è risolta senza necessità di proporre domanda giudiziale e, alla conclusione del procedimento, non risulterà possibile individuare una parte soccombente nei confronti della quale avviare un’azione di recupero delle spese di lite corrisposte in forza del patrocinio a spese dello Stato. Si deve, poi, considerare che l’eventuale previsione di un apposito procedimento che imponga alla parte non abbiente e al suo difensore, a conclusione della procedura di negoziazione, di adire l’autorità giurisdizionale al solo scopo di ottenere la liquidazione del compenso, si porrebbe in contrasto con i generali obiettivi di semplificazione e celerità che la legge delega n. 206/2021 si prefigge di raggiungere anche nel settore degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

La disciplina speciale adottata in attuazione della delega è destinata ad essere applicata nei casi nei quali la procedura di negoziazione non ha comportato, durante il suo intero svolgimento, di svolgere una parte della lite in sede giurisdizionale.

In ragione di tutto ciò, la disciplina di cui agli artt. 11-bis ss. dl n. 132/2014 – sui quali non è qui possibile soffermarsi in dettaglio – riproduce le disposizioni del Tusg, che costituiscono espressione dei principi generali del patrocinio a spese dello Stato in materia civile e che sono compatibili con la specificità della negoziazione assistita da avvocati, individuando le medesime condizioni di accesso al beneficio della parte non abbiente, non essendovi ragioni per adottare una disciplina differenziata per il caso in cui la richiesta del patrocinio a spese dello Stato è necessaria per accedere alla tutela giurisdizionale o a una procedura alternativa, che deve essere obbligatoriamente instaurata prima di adire il giudice.

Sempre in funzione del patrocinio a spese dello Stato, è stato introdotto un nuovo comma 1-bis nel corpo dell’art. 5 dl n. 132/2014 sull’esecutività e sulla trascrizione dell’accordo conciliativo raggiunto in esito alla negoziazione assistita, al fine di prevedere che tale accordo contenga anche l’indicazione del relativo valore, in modo da razionalizzare e semplificare la procedura di quantificazione del compenso a carico dello Stato, individuando lo scaglione di valore della lite per la liquidazione di tale compenso. 

 

 

1. A. Tedoldi, Il giusto processo (in)civile in tempo di pandemia, Pacini, Pisa, 2021.

2. Si vis, A. Tedoldi, Cultura delle preclusioni, «giusto processo» e accordi procedurali (forme processuali collaborative per un rinnovato «umanesimo forense»), in Giusto proc. civ., n. 2/2015, pp. 375 ss.

3. J. Derrida, La farmacia di Platone, Jaca Book, Milano, 2007 [1968].

4. Cfr. W. Milne, The Sacred Edict, containing sixteen maxims of the Emperor Kang-he, amplified by his son, the Emperor Yoong-ching; together with a paraphrase on the whole by a mandarin. Translated from the Chinese original, and illustrated with notes, Londra, 1817, pp. 284 ss.

5. N. Irti, Un diritto incalcolabile, Giappichelli, Torino, 2016; N. Lipari, Diritto civile e ragione, Giuffrè, Milano, 2019; N. Picardi, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 155 ss.

6. A. Tedoldi, «Come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Il ‘Pater noster’ secondo Francesco Carnelutti e la responsabilità del debitore, Il Mulino, Bologna, 2021.

7. G. Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., n. 3/2011, pp. 505 ss.; Id., Considerazioni inattuali su giudicato e poteri del giudice, ivi, n. 1/2017, pp. 13 ss.

8. LIFO e FIFO compaiono in un documento apparso l’11 maggio 2015 sul sito del Ministero della giustizia, intitolato Misurare la performance dei tribunali, nell’ambito dei lavori dell’«Osservatorio per il monitoraggio degli effetti sull’economia delle riforme della giustizia», presieduto dall’ex-Ministro della giustizia Prof.ssa Avv. Paola Severino (www.giustizia.it/resources/cms/documents/Performance_tribunali_italiani_settore_civile.pdf).

9. Sulle quali vds., criticamente, R. Caponi, Doing Business come scopo del processo civile?, in Foro it., 2015, V, cc. 10 ss.

10. Consonanti considerazioni in L. Breggia, L’efficienza (in)significante, in questa Rivista trimestrale, n. 1/2012, pp. 153 ss. (www.francoangeli.it/riviste/SchedaRivista.aspx?IDArticolo=45021&Tipo=Articolo%20PDF&idRivista=37); Ead., I tempi della giustizia e il tempo dei diritti, ivi, n. 4/2013, pp. 22 ss. (www.francoangeli.it/Riviste/schedaRivista.aspx?IDArticolo=49658&Tipo=Articolo%20PDF&lingua=en&idRivista=37); Ead., I tribunali al tempo della crisi. Realtà e prospettive di rilancio, ivi, n. 3/2010, pp. 75 ss. (www.francoangeli.it/rivista/getArticoloFree/39735/It).

11. J. Morineau, L’esprit de la médiation, Érès, Parigi, 1998 (ed. it.: Lo spirito della mediazione, Franco Angeli, Milano, 2016).

12. Sul puzzle della disciplina transitoria in materia di mediazione, vds. l’art. 41 d.lgs n. 149/2022, come modificato dall’art. 1, comma 380, lett. c, l. n. 197/2022.
Il criterio di massima cui, prima facie, s’informa la dedalica norma transitoria è quello di far decorrere dal 30 giugno 2023 le modifiche dotate di impatto economico-finanziario per lo Stato e per le parti quali, ad esempio, l’ampliamento delle materie soggette a mediazione obbligatoria, i rapporti tra mediazione e processo, la maggior soglia di esenzione dall’imposta di registro, i crediti di imposta, le regole sul patrocinio a spese dello Stato, etc.
Le modifiche (apparentemente) innocue sul piano economico-finanziario per lo Stato e per le parti vigono dal 28 febbraio 2023, secondo la regola transitoria generale dettata nell’art. 35, comma 1, d.lgs n. 149/2022, come modificato dall’art. 1, comma 380, lett. a, l. n. 197/2022: salvo che non sia diversamente disposto, le modifiche hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data (id est, par di capire, dal 1° marzo 2023), mentre ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.

13. Ai sensi dell’art. 42 d.lgs n. 149/2022, rubricato «Monitoraggio dei casi di tentativo obbligatorio di mediazione ai sensi dell’art. 5, comma 1, d.lgs. 28/2010», decorsi cinque anni dal 30 giugno 2023, il Ministero della giustizia, alla luce delle risultanze statistiche, verifica l’opportunità della permanenza della procedura di mediazione come condizione di procedibilità.

14. Vds., sia pure sulla mediazione demandata, Cass., 14 dicembre 2021, n. 40035, secondo cui, ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l’utile esperimento, entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore, e non già l’avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l’ordinanza che dispone la mediazione.

15. Cass., sez. unite, 18 settembre 2020, n. 19596, secondo cui nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo. 
Il testo dell’art. 5-bis d.lgs n. 28/2010, rubricato «Procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo», così recita: «Quando l’azione di cui all’articolo 5, comma 1, è stata introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, nel procedimento di opposizione l’onere di presentare la domanda di mediazione grava sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo. Il giudice alla prima udienza provvede sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione se formulate e, accertato il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. A tale udienza, se la mediazione non è stata esperita, dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revoca il decreto opposto e provvede sulle spese».

16. Art. 2658, comma 2 (ultima frase), cc: «Quando la domanda giudiziale si propone con ricorso, la parte che chiede la trascrizione presenta copia conforme dell’atto che la contiene munita di attestazione della data del suo deposito presso l’ufficio giudiziario».

17. Cfr., si vis, A. Tedoldi, Iudex statutor et iudex mediator: proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c., precognizione e ricusazione del giudice, in Riv. dir. proc., n. 4-5/2015, pp. 983 ss.; Id., «Iudicium vitandum est». La soluzione delle controversie senza processo, in Giusto proc. civ., n. 2/2021, pp. 583 ss.

18. Così il «Manifesto della Giustizia Complementare alla Giurisdizione» del 28 marzo 2020 (https://open.luiss.it/files/2020/04/MANIFESTO-MEDIAZIONE-pubblicato.pdf), promosso dal Tavolo tecnico istituito presso il Ministero della giustizia con dm 23 dicembre 2019. Sulla mediazione demandata, vds. la vivida testimonianza di M. Moriconi, Non solo sentenze, Il Pensiero Giuridico, Roma, 2020. Sulla mediazione in Italia la letteratura è ormai imponente: vds., ex plurimis, C. Besso (a cura di), La mediazione civile e commerciale, Giappichelli, Torino, 2010; M. Bove (a cura di), La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, Cedam, Padova, 2011; L. Breggia, Mediazione e alternative dispute resolution, in Libro dell’anno del diritto-Enc. giur. Treccani, Roma, 2017; M. Caradonna - C. Mezzabotta - P. Riva (a cura di), La mediazione civile, EGEA, Milano, 2011; F. Cuomo Ulloa, La nuova mediazione. Profili applicativi, Zanichelli, Bologna, 2013; S. Dalla Bontà (a cura di), Le parti in mediazione: strumenti e tecniche. Dall’esperienza pratica alla costruzione di un metodo, Università di Trento, Quaderno n. 46, 2020; F. Danovi e F. Ferraris, La cultura della mediazione e la mediazione come cultura, Giuffrè, Milano, 2013; C. Silvestri (a cura di), Forme alternative di risoluzione delle controversie e strumenti di giustizia riparativa, Giappichelli, Torino, 2020.

19. G. Alpa (a cura di), Un progetto di riforma delle ADR, Jovene, Napoli, 2017, pp. 17 ss.

20. Ivi, pp. 26 ss.

21. Vds. anche, scilicet, A. Tedoldi, Cultura delle preclusioni, op. cit.

22. M. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», in Id., Segnavia (trad. it. a cura di F. Volpi), Adelphi, Milano, 1994 (VIII ed.), pp. 267 ss.

23. F. Carnelutti, Arte del diritto, Cedam, Padova, 1949 (nuova ed.: Giappichelli, Torino, 2017, con prefazione di C. Consolo). 

24. Cass., 28 gennaio 2019, n. 2273; Trib. Napoli, 4 dicembre 2019. Contra: Trib. Brindisi, 23 febbraio 2022, n. 260, secondo cui l’attività con cui cessa l’inerzia dell’attrice che avrebbe determinato l’effetto della decadenza è costituita dal deposito dell’istanza dinanzi all’organo di mediazione; le successive attività, che si completano con le comunicazioni alle controparti, non sono nella disponibilità del ricorrente e dunque restano estranee rispetto all’unico atto con cui il legittimato ad agire può manifestare concretamente la cessazione della propria inerzia, ossia il deposito dell’istanza di mediazione.

25. Trib. Milano, 29 dicembre 2020, n. 8850; conf.: Trib. Milano, 2 dicembre 2016; contra: Trib. Palermo, 19 settembre 2015, n. 4951, secondo cui dalla data del deposito del verbale negativo di mediazione «riprendeva a decorrere il termine dei trenta giorni previsto ex lege per l’impugnazione della delibera», limitatamente ai giorni residui, anziché per intero. 

26. Sia consentito rinviare ad A. Tedoldi, Il processo civile telematico tra logos e techne, in Riv. dir. proc., n. 3/2021, pp. 843 ss.; Id., Il giusto processo (in)civile in tempo di pandemia, Pacini, Pisa, 2021.

27. Cass., 27 marzo 2019, n. 8473, in Foro it., 2019, I, c. 3250, con nota di D. Dalfino, «Primo incontro», comparizione personale delle parti, effettività della mediazione, e di A. Zanello, Cass. 8473/19: conciliazione delle controversie e mediazione in cerca di identità. Vds. anche Cass., 5 luglio 2019, n. 18068, in Corr. giur., 2019, p. 1533, con nota di M. Ruvolo.

28. Vds. Trib. Genova, 15 febbraio 2022, n. 393, secondo cui è insufficiente una procura speciale sostanziale da parte del cliente in favore del proprio avvocato, che non sia stata autenticata da notaio; conf.: Trib. Parma, 10 ottobre 2022, n. 1139; Trib. Milano, 4 ottobre 2021 n. 7980 – le quali tutte paiono fraintendere alcuni passaggi, poco perspicui, della motivazione di Cass., n. 8473/2019, cit.

29. La disposizione pone fine a un dibattito giurisprudenziale in cui molti erano i tribunali che ammettevano la produzione della relazione di ctm, nonostante il generale dovere di riservatezza delle attività svolte in seno alla procedura di mediazione, imposto dall’art. 9 d.lgs n. 28/2010: vds., ad esempio, Trib. Roma, 17 marzo 2014, secondo cui la relazione redatta dal consulente tecnico nel corso di un procedimento di mediazione, che si concluda senza accordo può essere prodotta nel successivo giudizio ad opera di una delle parti senza violare le regole sulla riservatezza, in virtù di un equilibrato contemperamento fra la citata esigenza di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso e all’interno di tale procedimento. Ne consegue che il giudice potrà utilizzare tale relazione come prova atipica valutabile secondo scienza e coscienza, con prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze e rilievi delle parti, più che per fondare la sentenza per trarne argomenti ed elementi utili di formazione del suo giudizio, in un’ottica di equilibrato contemperamento fra l’esigenza, nei limiti in cui è normata, di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso e all’interno del procedimento, limitatamente, ove occorra rilevarlo, agli aspetti e ai contenuti che siano strettamente corrispondenti al compito accertativo che gli sia stato affidato.

30. Vds., ex plurimis, Trib. Torino, 23 marzo 2021, secondo cui si tratta di una prescrizione (versamento dell’importo a favore dello Stato) che prescinde dall’esito del giudizio e la cui ratio risiede nella violazione di quello che è ormai un principio immanente dell’ordinamento giuridico, e cioè che la partecipazione alla mediazione è un valore in sé, a prescindere dal merito e quindi dal convincimento di non dover incorrere nella soccombenza.

31. Cass., 26 gennaio 2018, n. 2030, che ha ritenuto non impugnabile mediante ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., bensì mediante appello della sentenza, di cui costituisce un capo accessorio, la statuizione obbligatoria con la quale il giudice condanna la parte costituita, che non ha partecipato al procedimento obbligatorio di mediazione senza giustificato motivo, al pagamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio, ai sensi dell’art. 8, comma 4-bis, d.lgs n. 28/2010 (traslato nell’art. 12-bis, comma 2, d.lgs cit.), il quale disciplina un provvedimento sanzionatorio che non è assimilabile alle condanne a pene pecuniarie di cui all’art. 179, comma 2, cpc, da ritenersi applicabile alle sole sanzioni previste dal codice di rito, in attuazione di un potere disciplinare in senso lato; né incide, sul regime di impugnazione della condanna per omessa partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, la pronuncia con ordinanza emessa in corso di causa, e non con la sentenza che definisce il giudizio, perché il mancato rispetto dei tempi e delle forme del processo non costituisce argomento per affermare che la pronuncia sia inappellabile, giacché il contenuto del provvedimento è, nelle due ipotesi, il medesimo.

32. Ai sensi dell’art. 41, comma 3-bis, d.lgs n. 149/2022 – come introdotto dall’art. 1, comma 380, lett. c, n. 2, l. n. 197/2022 –, l’esenzione da responsabilità erariale si applica anche agli accordi di conciliazione conclusi nei procedimenti di mediazione già pendenti alla data del 28 febbraio 2023.

33. Cfr., si vis, A. Tedoldi, Profili processuali della responsabilità civile del giudice: I - Il damnum re iudicata datum nella storia e nel diritto comparato, e Profili processuali della responsabilità civile del giudice; II - La legge 117/1988: praticamente disapplicata, farisaicamente novellata, entrambi in Giusto proc. civ., rispettivamente nn. 3 e 4/2019 (vol. XIV), pp. 645 ss. e 983 ss.

34. Cfr., ex plurimis, C. conti, sez. giur. per l’Umbria, sentenza 24 febbraio 2022, n. 9.

35. Vds. www.justice.gov.uk/courts/procedure-rules/civil/rules/part36

36. Vds., si vis, A. Tedoldi, Esecuzione forzata, Pacini, Pisa, 2020, pp. 54 ss. e 398 ss.

37. È previsto il monitoraggio annuale del rispetto dei limiti di spesa stanziati e, in caso di scostamenti, si provvederà a compensarli con un corrispondente aumento dei contributi unificati per i processi civili (art. 43 d.lgs n. 149/2022): con il bel risultato di trasformare il processo in «un lusso che non ci possiamo permettere», riservato ai pauciores anziché a «tutti» (giusta quel che prevede l’art. 24 Cost.), come scrisse sulla prima pagina del più importante quotidiano nazionale l’allora vicepresidente del Csm a proposito delle impugnazioni civili nella riforma del 2012; o si ha diritto al patrocinio a spese dello Stato o si paga profumatamente il (dis)servizio della giustizia… oppure resta anche la “scelta” di rinunciare tout court ad agire in giudizio e a impugnare le sentenze ingiuste... 

38. Vds. l’art. 41, comma 4, d.lgs n. 149/2022, come modificato dall’art. 1, comma 380, lett. c, n. 3, l. n. 197/2022.

39. All’epoca del Terrore risale, sinistramente, l’origine del principio del libero convincimento del giudice, l’intime conviction posta in correlazione, viepiù inquietante, con la “durata ragionevole” del giudizio (trois jours) e, segnatamente, al «Projet de décret de la main de Robespierre», approvato dalla Convenzione nazionale il 29 ottobre 1793 per porre fine al processo contro i girondini, che ritenne «absurde et contraire à l’institution du tribunal révolutionnaire de soumettre à des procédures éternelles», disponendo che, «s’il arrive que le jugement d’une affaire portée au tribunal révolutionnaire ait été prolongé trois jours, le président ouvrira la séance suivante en demandant aux jurés si leur coscience est suffisamment éclairée. Si les jurés répondent oui, il sera procédé sur le champ au jugement. Le président ne souffrira aucune espèce d’interpellation ni d’incident contraire aux dispositions de la présente» (Projet de décret de la main de Robespierre, in P.J.B. Buchez e P.C. Roux, Histoire parlementaire de la Révolution française, ou Journal des Assemblées nationales depuis 1789 jusqu’en 1815, tomo XXXV, Paulin, Parigi, 1837, p. 403). Il decreto – scritto di pugno da Robespierre su sollecitazione del pubblico accusatore del Tribunale rivoluzionario, Fouquier Tinville, perché il processo ai deputati girondini durava da ben quattro giorni a causa di difese considerate dilatorie – venne approvato tel quel dalla Convenzione nazionale il 29 ottobre 1793: il 30 ottobre 1793 i ventinove deputati girondini furono condannati a morte dal Tribunale rivoluzionario e la sentenza fu immediatamente eseguita. Sul tema, vds. G. Monteleone, Alle origini del principio del libero convincimento del giudice, in Riv. dir. proc., n. 1/2008, pp. 123 ss.

40. D.C. Reynolds e D.F. Tennant, Collaborative Law. An Emerging Practice, in Boston Bar Journal, vol. 45, n. 5/2001, pp. 1 ss.; D. Hoffman e P. Tesler, Collaborative Law and the Use of Settlement Counsel, in B. Roth (a cura di), The Alternative Dispute Resolution Practice Guide, West, New York, 2002; M.A. Foddai, Gli avvocati e le nuove forme di adr: il diritto collaborativo, in Diritto@Storia, n. 13/2015 – cfr., ivi, ulteriori riferimenti bibliografici (https://core.ac.uk/download/pdf/78051376.pdf).

41. Cass., sez. unite, 29 luglio 2021, n. 21761.

42. Cass., 17 febbraio 2016, n. 3110.

43. Cass., sez. unite, 11 luglio 2018, n. 18287, in Foro it., 2018, I, c. 2671, con note di G. Casaburi, L’assegno divorzile secondo le sezioni unite della Cassazione: una problematica «terza via», e di M. Bianca, Le sezioni unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta?, e in Foro it., 2018, I, c. 3605 (m), con note di F. Macario, Una decisione anomala e restauratrice delle sezioni unite nell’attribuzione (e determinazione) dell’assegno di divorzio, e di A. Morace Pinelli, L’assegno divorzile dopo l’intervento delle sezioni unite.

44. Cass., sez. unite, 24 settembre 2018, n. 22434.

45. Anche in tal caso, come per il patrocinio a spese dello Stato e per gli incentivi fiscali nella mediazione, è previsto il monitoraggio annuale del rispetto dei limiti di spesa stanziati e, in caso di scostamenti, si provvederà a compensarli con un corrispondente aumento dei contributi unificati per i processi civili (art. 43 d.lgs n. 149/2022).