Magistratura democratica

La formazione dei magistrati del pubblico ministero e l’Europa

di Raffaele Sabato

Il tema della formazione dei magistrati del pubblico ministero ha costituito oggetto di pareri e raccomandazioni emessi nell’ambito dei diversi organismi del Consiglio d’Europa, aventi riguardo non soltanto alle caratteristiche generali delle strutture deputate ad erogare la formazione, ma anche ai temi da sottoporre all’attenzione dei destinatari. Autonomia degli organi formativi, organizzazione comune delle iniziative con magistrati giudicanti ed avvocati, ampliamento dei contenuti a quelli extragiuridici (medici, psicologici, manageriali, ecc.) sono taluni dei profili affrontati.

1. Quello della formazione è stato uno degli ambiti attraverso i quali i principi di indipendenza e imparzialità accettati nei diversi sistemi giudiziari europei in riferimento alla magistratura giudicante hanno cominciato a imporsi anche per il pubblico ministero: l’affermazione della necessità di determinate connotazioni per l’attività formativa diretta ai pm, anche nei Paesi in cui essi sono formalmente inquadrati alle dipendenze dei poteri esecutivo o legislativo, ha funto da volano per un’assimilazione progressiva quanto alle garanzie di indipendenza e imparzialità della funzione.

Particolarmente significativa può risultare una riflessione in ordine agli standard in questione promossi dal Consiglio d’Europa[1], organizzazione internazionale che – anche nel quadro di applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – svolge da anni una importante funzione di standard setting, soprattutto a beneficio delle nuove democrazie. I limiti della presente sede non consentono alcuna considerazione delle iniziative in materia di formazione del pm assunte, invece, dall’Unione europea: iniziative, queste, meno inclinate sul fronte degli standard, e più su quello del concreto atteggiarsi della formazione[2].

Possono prendersi le mosse dalla considerazione della Raccomandazione n. Rec (2000) 19 del Consiglio d’Europa sul «ruolo del pubblico ministero nel sistema della giustizia penale»: il memorandum esplicativo relativo a tale strumento europeo, pur movendo dalla realistica constatazione che l’Europa è divisa, quanto ai rapporti tra le funzioni del pm e le altre funzioni dello Stato, tra sistemi nell’ambito dei quali il pm gode della piena e formale indipendenza dal potere legislativo e dall’esecutivo e quelli in cui è alle dipendenze di uno di tali poteri dello Stato, benché godendo di possibilità di azione indipendente («È un dato di fatto che i sistemi giuridici europei sono ancora divisi tra due culture», p. 12), il Consiglio d’Europa punta già da detta epoca ad avvicinare il secondo modello al primo, non viceversa.

Come è chiarito nello stesso memorandum esplicativo, dunque, se «la nozione netta di armonizzazione europea intorno ad un unico concetto» nel settore della pubblica accusa «è sembrata prematura» (p. 22), ciononostante l’estensione al pm del regime di garanzie della giurisdizione e la previsione dell’interscambio delle funzioni sono accolte con decisione dalla Raccomandazione[3]. A fronte di tali affermazioni, all’epoca assai avanzate, la Raccomandazione del 2000 (all’art. 7) tratta invece timidamente del tema della formazione del pm, iniziale e permanente, nonché nella dimensione internazionale, e non fornisce – direttamente – elementi nella direzione di un’assimilazione di essa, quanto a strutture, metodi e soprattutto principi, alla formazione della magistratura giudicante.

 

2. La probabile spiegazione di un siffatto silenzio – in un testo come detto avanzato, che riconosceva la «natura complementare delle ... funzioni» di giudici e pm e il «fatto che sono richieste garanzie simili in termini di qualificazione, competenza professionale e status in relazione ad ambo le professioni» - va rinvenuta nella circostanza che, pur a fronte della separazione di funzioni giudicanti e requirenti ammessa in molti paesi europei, il Consiglio d’Europa era già riuscito precedentemente, in maniera alquanto informale, a lavorare sulla formazione congiunta tra le due categorie di magistrati, quale momento di avvio concreto di interscambio di professionalità e di assimilazione delle garanzie delle due funzioni. Nel 1995, cinque anni prima della Raccomandazione, infatti, si era tenuta a Lisbona la riunione fondativa[4] di una Rete informale, denominata da allora in poi “Rete di Lisbona”,[5] avente come suo obiettivo la cooperazione nel settore della formazione comune di giudici e pm. Tale Rete – composta dagli enti competenti a livello interno per la formazione dei giudici e dei pm, cui veniva data in tal modo occasione per interagire nonostante eventuali steccati istituzionali nazionali – è stata vitale per circa un quindicennio, in particolare avendo già consolidato il suo ruolo allorché nel 2000 vedeva la luce la cennata Raccomandazione. È quindi lecito ritenere che il silenzio serbato dalla Raccomandazione in tema di specificità della formazione del pm sia stato un silenzio “costruttivo”, finalizzato a lasciar operare l’altra sede informale nell’ambito della quale l’avvicinamento tra formazione dei giudici e dei pm era dato per scontato, a fronte invece delle resistenze politiche in numerosi Stati.

 

3. Non potendosi qui trattare dell’evoluzione della Rete di Lisbona (la quale, dopo aver proposto nel 2006 – dopo ampi lavori di ricognizione delle discipline e delle prassi formative - una sua istituzionalizzazione e avere operato sino al 2009, è stata nel gennaio 2011 “integrata” nelle attività della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej), organismo composto di rappresentanti dei ministeri della giustizia, divenendo una sorta di appendice consultiva di quest’ultima, e sostanzialmente non utilizzata), è interessante richiamare l’efficace ruolo di incubator svolto dalla Rete stessa. Incontrandosi a Lisbona e nelle successive occasioni offerte dalla Rete, aperta a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, gli esponenti degli enti nazionali aventi per compito la formazione non solo dei giudici, ma anche dei pm, del più ristretto numero di Stati membri dell’Unione europea, e già aventi intensi rapporti bilaterali, intravidero l’opportunità di realizzare – e ben presto realizzarono – uno strumento cooperativo tra essi che, rispetto al quadro di estremo contenimento dei mezzi finanziari che connota le iniziative del Consiglio d’Europa, potesse fruire del sostegno della Commissione di Bruxelles. Fallita l’idea – portata al Consiglio europeo di Tampere del 1999 – di ottenere la costituzione di una vera e propria Scuola della magistratura europea, nel 2000 a Bordeaux fu così costituita, anche stavolta sotto forma di rete (poi riversata in una struttura associativa di diritto belga), la Rete europea di formazione giudiziaria (Refg), che oggi rappresenta la principale piattaforma formativa sopranazionale per oltre 120.000 magistrati giudicanti e del pm dei 28 Stati della Ue. Se dalla Rete di Lisbona, come incubator, la Refg ereditava l’idea della possibilità di una “formazione comune” tra giudici e pm, il suo Statuto – all’art. 7[6] – segnava un arretramento: non si prevede più la necessaria coesistenza di enti di formazione competenti per l’una e l’altra funzione, escludendosi dalla partecipazione alla Rete i formatori dei pm di quei Paesi ove – attraverso la qualificazione formale di non appartenenza all’ordine giudiziario – sia più forte la distanza. Rispetto a detto arretramento formale, la prassi, tuttavia, ha fatto registrare dal punto di vista sostanziale una significativa evoluzione: al di là di un nucleo limitato di Paesi che hanno operato scelte diverse, hanno di fatto aderito alla Refg, nel tempo, organismi competenti per la formazione dei pm anche per quei Paesi nei quali la posizione istituzionale del pm non sia di appartenente all’ordine giudiziario[7]. Si può quindi concludere che il lascito operato dalla Rete di Lisbona alla Refg, in termini di cultura comune della formazione tra giudici e pm, sia stato pressoché totale.

 

4. Si tratta, a questo punto, di esaminare nel dettaglio gli standard europei relativi alla formazione del pm. Secondo i principi del Consiglio d’Europa dettati per i giudici, la formazione – in quanto garanzia della competenza professionale, dell’indipendenza e dell’imparzialità - è per il magistrato un dovere, ma anche un diritto; quale condizione affinché la società accordi la sua fiducia alla giustizia, presenta, dunque, un interesse pubblico; la risultante dell’intersezione di tali due profili si traduce nell’affermazione della necessità di assicurare l’autonomia dell’autorità incaricata di definire i programmi e le modalità di realizzazione dell’offerta formativa che, già secondo il paragrafo 2.3 della Carta europea sullo statuto dei giudici del 1998, deve essere indipendente dai poteri esecutivo e legislativo ed essere composta maggioritariamente da magistrati. I principi in questione – sempre per i giudici – vengono messi a fuoco nel decennio tra il 1994 e il 2003, oltre che da detta Carta, dalla Raccomandazione n. R (94) 12 sull’«indipendenza, efficienza e ruolo dei giudici» (del 1994), nonché – soprattutto – dal Parere n. 4 (del 2003) del Consiglio consultivo dei giudici europei (Ccje) sulla «formazione giudiziaria iniziale e permanente appropriata a livello nazionale ed europeo», che contiene per la prima volta disposizioni specificamente riferite alla formazione (anche) del pm.

 

5. Preliminare, rispetto all’esame di tale Parere, è una digressione sulla creazione del Consiglio consultivo dei giudici europei (Ccje), antesignano rispetto al Consiglio consultivo dei pubblici ministeri europei (Ccpe) di cui, successivamente, dovremo fare breve cenno. Nel 2000, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa istituiva, a mezzo di un’apposita risoluzione, il Ccje ritenendo necessaria la costituzione in seno al Consigio stesso di un’istanza consultiva sulle questioni concernenti l’indipendenza, l’imparzialità e la professionalità dei magistrati giudicanti. Emanava altresì un apposito “Piano d’azione”, contenente una traccia dei temi su cui il futuro organismo avrebbe dovuto emettere Pareri; tra tali temi, la formazione giudiziaria. Dopo un quinquennio di attività, il 16-17 maggio 2005 il vertice dei Capi di stato e di governo del Consiglio d’Europa decideva, tra l’altro, «di fare uso appropriato dei Pareri emanati dal Ccje al fine di cooperare con gli Stati membri per una giustizia equa e sollecita …». Di fronte al successo del Ccje tale da meritare un siffatto endorsement[8], il Consiglio d’Europa si induceva parallelamente a costituire – sempre nel 2005 – un organismo con obiettivi analoghi riferiti alla funzione inquirente e requirente, il Consiglio consultivo dei pubblici ministeri europei (Ccpe), su cui si tornerà in prosieguo.

 

6. Ritornando, a questo punto, a considerare il Parere n. 4 (del 2003) del Consiglio consultivo dei giudici europei (Ccje) sulla «formazione giudiziaria iniziale e permanente appropriata a livello nazionale ed europeo», lo stesso – dettato per la formazione della magistratura giudicante – si segnala per l’affermazione dei seguenti standard che interessano anche la formazione dei pm:

  • è raccomandato di «somministrare un periodo di formazione [iniziale] comune ai componenti delle diverse professioni giudiziarie (ad es. avvocati nonché pm, nei paesi in cui questi ultimi svolgono funzioni separate da quelle dei giudici). Tale prassi può favorire una migliore conoscenza e una reciproca comprensione fra giudici ed esponenti di altre carriere» (§ 29);
  • «anche nel contesto della formazione permanente [si] incoraggia la collaborazione con gli organismi competenti per la formazione delle altre professioni legali ai fini degli argomenti di interesse comune (ad es. le innovazioni legislative)» (§ 35).

Il Parere – assai rilevante per altre affermazioni concernenti la formazione dei magistrati giudicanti (quali le scelte in tema di autorità competente per la formazione, tema destinato a essere completato con i §§ 65 ss. del Parere n. 10 del 2007) – si connota dunque per la formulazione, seppure embrionale, del principio di favor per la formazione “comune”, sia iniziale sia permanente, di giudici e pm, perfino per i paesi in cui essi non fanno parte della stessa carriera.

 

7. Il tema sarà trattato in maniera più compiuta nel 2009. Avviata da alcuni anni l’attività del Ccpe, erano infatti maturi i tempi per una collaborazione stretta tra i due Consigli consultivi; di tal che, prescegliendo il tema dei «rapporti tra giudici e pm in una società democratica», nell’anno in questione i due Consigli giungevano ad adottare un Parere comune (che assumeva il n. 12 per il Ccje e il n. 4 per il Ccpe), composto da una Dichiarazione (la “Dichiarazione di Bordeaux”) e da una Nota esplicativa. Già la Dichiarazione di Bordeaux contiene una solenne affermazione (la n. 10) in tema di formazione: «Per un buon svolgimento dell’attività giudiziaria è essenziale la condivisione di principi giuridici e di valori deontologici comuni da parte di tutti i professionisti del procedimento giudiziario. La formazione, ivi compresa la formazione alla gestione amministrativa degli uffici, è un diritto ed un dovere per i giudici e per i magistrati del pubblico ministero. Tale formazione deve essere organizzata in maniera imparziale, e la sua efficacia deve essere valutata con regolarità ed obiettività. Ogni qualvolta ciò sia appropriato, la formazione comune per giudici, magistrati del pubblico ministero ed avvocati su temi di interesse comune può contribuire al raggiungimento di una giustizia di qualità elevata». I principi formano oggetto di dettagliata illustrazione nell’ambito dei §§ 43-47 della Nota esplicativa, ove si legge che:

  • «Requisito fondante per la fiducia che il pubblico ha nei confronti sia dei giudici sia dei pubblici ministeri, e su cui essi basano principalmente la loro legittimazione e il loro ruolo, è l’alto livello di competenza professionale. Un'adeguata formazione professionale svolge un ruolo cruciale, poiché consente il migliore svolgimento delle loro funzioni, e quindi migliora la qualità della giustizia nel suo complesso»;
  • «La formazione per giudici e pubblici ministeri comporta non solo l'acquisizione delle capacità professionali necessarie per l'accesso alla professione, ma anche una formazione permanente durante tutta la carriera. Essa affronta gli aspetti più diversi della loro vita professionale, compresa la gestione amministrativa dei tribunali e dei servizi giudiziari, e deve anche rispondere alle necessità di specializzazione. Nell'interesse della corretta amministrazione della giustizia, la formazione permanente richiesta per mantenere un alto livello di qualificazione professionale e renderla più completa non è solo un diritto, ma anche un dovere per giudici e pubblici ministeri»;
  • «Se del caso, la formazione congiunta di giudici, pubblici ministeri e avvocati su temi di interesse comune può contribuire al conseguimento di una giustizia di altissima qualità. Tale formazione comune rende possibile la creazione di una base di cultura giuridica comune»;
  • «I diversi ordinamenti giuridici europei prevedono la formazione di giudici e pubblici ministeri secondo vari modelli. Alcuni Paesi hanno creato un'accademia, una scuola nazionale o un'altra istituzione specializzata; alcuni altri assegnano la competenza a organismi specifici. È opportuno che siano organizzati corsi di formazione internazionali per giudici e pubblici ministeri. È essenziale, in ogni caso, assicurare il carattere autonomo dell'istituzione incaricata di organizzare tale formazione, perché questa autonomia è una salvaguardia del pluralismo culturale e dell'indipendenza»;
  • «In tale contesto, molta importanza è attribuita al contributo diretto dei giudici e dei pubblici ministeri ai corsi di formazione, poiché consente loro di fornire pareri tratti dalle rispettive esperienze professionali. I corsi non dovrebbero riguardare solo il diritto e la protezione delle libertà individuali, ma dovrebbero includere anche moduli sulle pratiche di gestione e lo studio dei rispettivi compiti quali giudici e pubblici ministeri. Allo stesso tempo, i contributi di avvocati e accademici sono essenziali per evitare di adottare un approccio ristretto. Infine, la qualità e l'efficienza della formazione dovrebbero essere valutate su basi regolari e in modo obiettivo».

 

8. Emergono, dunque, per la prima volta con chiarezza, gli standard per cui – tra l’altro - anche per il pm la formazione – iniziale, permanente e, nell’ambito di questa, internazionale – deve essere erogata da un’istituzione autonoma, a salvaguardia addirittura del “pluralismo culturale e dell’indipendenza”, predicati anche per il magistrato inquirente e requirente. Il tema generale della ricerca di nuovi equilibri, in tutti i paesi d’Europa, ispirati all’indipendenza e imparzialità della funzione di pm, sarà da questa fase in poi una costante dell’attività del Ccpe[9].

 

9. Può essere infine il caso di chiedersi se gli standard europei forniscano elementi quanto ai temi che dovrebbero essere ricompresi in un ideale curriculum formativo, iniziale o permanente, di un magistrato del pm. Se qualche indicazione, al riguardo, si è già sopra fornita citando il Parere congiunto del Ccje e del Ccpe del 2009, indicante tra l’altro l’esigenza di una formazione anche manageriale, deve andarsi anzitutto indietro al 2000, e in particolare alla Raccomandazione Rec (2000) 19 del Consiglio d’Europa sul «ruolo del pubblico ministero nel sistema della giustizia penale», per ritrovare – al § 7 – quanto segue: «Gli Stati dovrebbero adottare misure efficaci per garantire che i pubblici ministeri ricevano una formazione e aggiornamenti adeguati, sia prima sia dopo la nomina. In particolare, i pubblici ministeri dovrebbero essere formati in tema di:

  1. principi e obblighi deontologici del loro ufficio;
  2. protezione costituzionale e giuridica degli indagati, delle vittime e dei testimoni;
  3. diritti umani e libertà quali previsti dalla Convenzione per la salvaguardi dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e in particolare i diritti sanciti dagli articoli 5 e 6 della Convenzione;
  4. principi e pratiche di organizzazione del lavoro, management e risorse umane in un contesto giudiziario;
  5. meccanismi e materiali che possano contribuire alla uniformità della loro attività.

Inoltre, gli Stati dovrebbero adottare misure efficaci per erogare formazione aggiuntiva su specifiche questioni o in settori specifici, alla luce delle condizioni attuali, tenendo conto in particolare dei tipi e dello sviluppo della criminalità, nonché della cooperazione internazionale in materia penale».

Rispetto a tale interessante elencazione di contenuti fornita dalla Raccomandazione relativa alle funzioni del pm in materia penale, la parallela Raccomandazione CM/Rec(2012)11 concernente il «ruolo dei pubblici ministeri al di fuori del sistema di giustizia penale» non offre altrettanti spunti, limitandosi – al § 8 – ad affermare che gli uffici di procura debbano disporre di appropriata formazione per adempiere adeguatamente anche alle funzioni diverse da quelle relative al settore penale.

Bisogna, dunque, per rinvenire alcuni contenuti della formazione dei pm, rivolgersi agli standard elaborati dall’organismo consultivo del Comitato dei ministri e cioè, nel caso di specie, del predetto Ccpe, le cui elaborazioni hanno una valenza giuridica diminuita, pur sempre nell’ambito della soft law (il Comitato dei ministri prende meramente “atto” dei Pareri del Ccpe e del Ccje), ma sono – come si è visto per il Ccje – più dettagliate.

In particolare, con il recente Parere n. 12 (2017) sul «ruolo dei pubblici ministeri in relazione ai diritti delle vittime e dei testimoni nei procedimenti penali», il Ccpe ha avuto modo di occuparsi di delicati profili della formazione dei pm.

All’argomento è dedicata l’intera sezione 5 del Parere, che ai §§ 74-79 fornisce i seguenti spunti:

  • «La formazione professionale, che è un diritto e un dovere per i pubblici ministeri in generale, è fondamentale in un campo con possibili implicazioni sociali, mediche e psicologiche, come i rapporti con vittime e testimoni di crimini, nonché persone vulnerabili coinvolte in procedimenti penali. I programmi di formazione dovranno includere scambi di informazioni ed esperienze sulle buone pratiche e sui modelli operativi a livello nazionale, regionale e internazionale»;
  • «La protezione dei diritti delle vittime e dei testimoni deve essere riconosciuta come essenziale nell’ambito del giusto processo e per l'equità procedurale. Tale tematica deve essere oggetto dei programmi di formazione dei pubblici ministeri, sia nella formazione iniziale che in quella permanente, al fine di farla diventare una componente significativa della loro conoscenza e cultura professionale»;
  • «Alcune tipologie di reati rappresentano sfide particolari per quanto riguarda le vittime e i testimoni. Ad esempio, nei casi di criminalità organizzata, terrorismo o criminalità informatica, i testimoni possono sentirsi esposti a minacce imminenti; nella violenza sessuale o domestica o nello stalking, le vittime o i testimoni vulnerabili sono esposti a specifiche restrizioni; nei reati commessi via internet la vittima può sentirsi impotente ad opporsi ad aggressioni, furti d'identità, ecc. Ognuna di queste sfide può essere affrontata meglio dai pubblici ministeri che siano ben consapevoli dei possibili effetti psicologici sulle persone coinvolte e delle tecniche appropriate per relazionarsi con le persone vulnerabili. Si raccomanda pertanto una formazione specializzata, con il coinvolgimento non solo di investigatori e membri di altre professioni legali, ma anche di esperti di diverse discipline e di Ong»;
  • «I programmi di formazione dovranno trattare l'approccio adeguato ai vari tipi di vittime e testimoni, al rispetto e alla protezione degli stessi, all'efficace realizzazione dei loro diritti nell'ambito di procedimenti penali. Si devono trattare le tecniche appropriate di esame e interrogatorio volte a ottenere una testimonianza veritiera e completa, evitando al contempo qualsiasi impatto negativo sulla persona coinvolta»;
  • «i magistrati del pubblico ministero esperti e qualificati possono contribuire alla formazione del personale delle procure, della polizia e delle altre forze dell'ordine, in modo che il settore investigativo-giudiziario nel suo insieme possa essere permeato dalla stessa conoscenza e cultura professionali e possa essere in possesso dei medesimi strumenti operativi più appropriati».

 

10. Da tale constatazione – e tralasciando una serie di altri profili pure importanti (quali ad es. l’esigenza, ove ai pm sia attribuita la gestione di risorse finanziarie in autonomia, di una formazione anche in tale delicato settore[10]) – possiamo dunque concludere nel senso che, lungi dal diffondersi soltanto sui “grandi principi”, gli standard in tema di formazione del pm dettati nell’ambiente del Consiglio d’Europa risultando assai interessanti anche per guidare la concreta attività formativa di competenza delle istituzioni degli Stati membri.

[1] Ai fini della presentazione degli standard si è preferito riportare nel testo in lingua italiana, in traduzione dell’a., i rilevanti documenti del Consiglio d’Europa.

[2] Si pensi, ad es., ai programmi di Tampere, dell’Aia e di Stoccolma in quanto concernenti i pm – attualmente in corso di prosecuzione in diverse forme – oltre che, sul fronte strutturale, ad Eurojust, alle squadre investigative comuni, alla Procura europea , ecc. Nel prosieguo del testo si farà cenno altresì all’impegno dispiegato dalla Commissione nell’ausilio finanziario alle attività formative.

[3] Sia consentito, su tale tema, il rinvio a R. Sabato, L’Associazione nazionale magistrati e l’Europa, in Associazione Nazionale Magistrati, Cento anni di associazione magistrati, Ipsoa, 2009, pp. 125 ss.

[4] V. La formazione dei giudici e dei pubblici ministeri in Europa, Conclusioni della prima riunione della Rete di Lisbona, Lisbona, 27-28 aprile 1995.

[5] La denominazione ufficiale della “Rete” era «Rete europea per lo scambio di informazioni fra persone ed enti responsabili per la formazione di giudici e pubblici ministeri».

[6] Il testo dell’art. 7, primo comma, è il seguente: «Membership is available to all national institutions of the Member States of the European Union specifically responsible for the training of the professional judiciary and for the training of Prosecutors where they form part of the “Corps Judiciaire”». L’ultima espressione è in francese nel testo anche inglese.

[7] Per l’elenco dei membri della Refg, si veda www.ejtn.eu/About-us/Members/

[8] Nel 2009, poi, il Ccje si sarebbe visto attribuito il premio «Giustizia nel mondo», assegnato dall’omonima Fondazione creata dall’Unione internazionale magistrati.

[9] Può essere interessante notare come – a somiglianza del Ccje – ora anche il Ccpe emetta un periodico «Rapporto sull’indipendenza e imparzialità degli uffici di procura negli Stati membri del Consiglio d’Europa» (l’ultimo dei quali relativo al 2017) e come, per il 2018, il Ccpe stia elaborando un parere su «Indipendenza, responsabilità ed etica dei pubblici ministeri» (v. per informazioni www.coe.int/ccpe).

[10] V. Parere del Ccpe n. 9 (2014) su «norme e principi europei in materia di pubblico ministero», § 117.