Magistratura democratica

La valutazione di credibilità come strumento di valutazione della prova dichiarativa. Ragioni e conseguenze

di Luca Minniti

L’audizione del richiedente è un mezzo di prova tipico del processo di protezione internazionale e il procedimento di valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è altro che un procedimento di valutazione della prova vincolato da canoni stringenti. Ne consegue un onere probatorio attenuato concesso al richiedente protezione internazionale, come precipitato normativo del principio di beneficio del dubbio, onere probatorio supportato dall’obbligo (incondizionato) di cooperazione istruttoria gravante sul giudice.

1. Le difficoltà teoriche e pratiche del decisore di fronte al giudizio di asilo, con particolare riferimento alla valutazione di credibilità / 2. La valutazione di credibilità come strumento di valutazione della prova / 3. La funzione della valutazione di credibilità all’interno del sistema probatorio del giudizio di asilo / 3.1.  L’oggetto, la finalità e il limite della valutazione di credibilità / 3.2. La credibilità o attendibilità generale / 3.3. La credibilità parziale / 4. Le due fasi del giudizio di credibilità / 4.1. Prima fase. L’acquisizione della prova: l’audizione davanti al giudice e l’esame del suo contenuto / 4.2. Seconda fase. Gli strumenti di valutazione della credibilità / 4.3. Il rapporto tra cooperazione istruttoria e credibilità / 4.4. La procedura legale della valutazione della credibilità secondo la trama dei criteri normativi / 4.4.1. La plausibilità come portato delle massime di esperienza / 4.4.2. L’onere di circostanziare il racconto / 4.4.3. La coerenza interna: la delicatezza del confronto tra le due audizioni. La (ir)rilevanza del modulo C3, la limitata rilevanza della memoria / 4.4.4. La coerenza esterna e le fonti del riscontro / 4.4.5. Il beneficio del dubbio / 5. Cenni sul controllo della valutazione di credibilità in sede di legittimità e sull’uso del precedente di legittimità / 6. Conclusioni

 

1. Le difficoltà teoriche e pratiche del decisore di fronte al giudizio di asilo, con particolare riferimento alla valutazione di credibilità

Le decisioni amministrative e giurisdizionali in materia di diritto di asilo presentano caratteristiche peculiari sia per la variabilità, sia per la intensità delle vicende umane coinvolte.

La prima è rappresentata dalla stessa natura del giudizio, dato che esso presenta, fisiologicamente, la struttura logica della cognizione cautelare, caratterizzata da una elevata dimensione prognostica e da uno standard probatorio particolarmente attenuato. La valutazione prognostica del pericolo di pregiudizio (che nell’asilo si presenta come connotato della fattispecie e non come caratteristica della sua tutela cautelare) è altamente condizionata dalla difficoltà di stabilire l’intensità e l’attualità del pericolo, proiettando il giudizio nel futuro e in contesti socio-culturali molto differenti da quelli dell’organo decidente.

Alla difficoltà di orientare il giudizio sul rischio futuro, se ne aggiunge un’altra, altrettanto impegnativa, sul piano dello standard probatorio.

Come noto, infatti, nel giudizio civile lo standard non può scendere al di sotto del livello richiesto dalla disciplina della prova per presunzioni di cui all’art. 2729 cc, in base al quale l’efficacia probatoria delle presunzioni non stabilite dalla legge è rimessa alla valutazione del giudice, che può riconoscerne efficacia dimostrativa solo quando siano accompagnate da un corredo di indizi gravi, precisi e concordanti[1]. Nel diritto di asilo la valutazione probatoria si avvale invece di uno standard inferiore, laddove la disciplina consente alle dichiarazioni della parte – anche se a sé favorevoli, purché coerenti, articolate e plausibili – di costituire sufficiente prova dei fatti narrati.

Nel diritto di asilo, infatti, le dichiarazioni del richiedente sono spesso l’unica fonte di prova, quantomeno delle circostanze specifiche più rilevanti e, dunque, potenzialmente, dei fatti costitutivi del diritto; ragione per la quale il legislatore (interno e sovranazionale) ha dato a esse necessario rilievo, in caso di giustificata mancanza di altre fonti di prova.

Ne consegue che la valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente non possa basarsi sull’approccio soggettivo, sugli assunti, sulle impressioni, sulla conoscenza personale o sull’intuizione di un decisore[2], ma debba necessariamente essere oggettivata.

Si tratta di un passaggio complesso per la cultura della prova del giudice civile, al quale si aggiungono altre peculiari difficoltà che proveremo a esaminare.

In una fondamentale monografia del 1962 dedicata alla prova orale nel processo civile, Mauro Cappelletti scriveva: «è evidente che un giudice incolto, e legato ad una valutazione formalistica e classisticamente differenziata degli uomini, non sarà in grado di fare buon uso di uno strumento che, com’è nella natura dell’istituto che andiamo studiando, gli consente il potere e la responsabilità di valutare liberamente, come veri e propri mezzi di prova, il comportamento e la stessa dichiarazione informativa (“testimonianza”) pro se della parte»[3]. E nel diritto di asilo ogni giudice si trova nella condizione di essere “incolto”, nella misura in cui ai decisori viene richiesto un impegno e soprattutto competenze differenti da quelle utilizzabili nelle controversie che riguardano cittadini dello Stato di appartenenza dell’organo giudicante; tanto più considerando che i decisori stessi non possano che formarsi idee e convinzioni, se non in analogia con esperienze a loro familiari[4]. E di questa consapevolezza è necessario fare tesoro perché le massime di esperienza, il cui utilizzo probatorio verrà esaminato in seguito, hanno, per la loro natura, una elevata connotazione territoriale culturale, si fondano su esperienze maturate in un circoscritto ambito culturale[5]. Infine, sempre a scopo introduttivo, occorre ricordare che la valutazione delle dichiarazioni del richiedente incontra la estrema difficoltà di comprendere il condizionamento che la storia subisce in ragione delle personalità dei dichiaranti, sempre ignote al giudicante.

In questo contesto, elevato è il rischio di una risposta giurisdizionale routinaria e stereotipata, sospinta verso la massificazione seriale delle decisioni, indotta anche da ritmi incompatibili con la qualità dell’istruttoria e della decisione, che dovrebbe, invece, essere individualizzata secondo i rigorosi canoni prescritti dalle norme[6].

È stato giustamente scritto che l’«analisi sulla variabilità degli esiti del giudizio di credibilità sconta la difficoltà di confrontare prima ancora che le differenti valutazioni di credibilità, gli stessi racconti e storie che sono sempre tutte diverse se analizzate con attenzione»[7].

Infine, un ulteriore aspetto peculiare del giudizio di protezione internazionale che deve necessariamente essere sottolineato, è costituito dal fatto che, per il suo tramite, entrano nelle aule di giustizia per essere raccontate, ascoltate, comprese e valutate da un giudice storie di grande sofferenza e intensità.

Non c’è nulla di compassionevole nel ricordarlo, nessun ricatto morale che si insinua nei confronti del giudicante: questo è, al contrario, un dato macroscopico e obiettivo.

Sorge, di conseguenza, la necessità di porre l’attenzione sul fatto che non sia certamente agevole per il giudice, tenuto ad ascoltare centinaia di vicende umane ogni anno, sottrarre il proprio inconscio all’attivarsi di un meccanismo psicologico di autodifesa, di evitamento[8]. Un fenomeno che nel dibattito culturale sull’asilo è studiato e conosciuto come “fatica della comprensione”[9], “compassion fatigue[10]. E questo anche al netto della pressione politico-sociale prodotta sul giudice dell’asilo dalla diffusione della tesi (decisamente smentita dai dati) secondo cui vi sarebbe un diffuso abuso del sistema di asilo determinato da una prevalenza di richieste presentate da migranti per motivi economici nel contesto di flussi di ingresso non contenibili[11].

 

2. La valutazione di credibilità come strumento di valutazione della prova 

Fatta questa imprescindibile premessa di contesto, sia permesso qui sintetizzare la tesi che sarà sviluppata nelle pagine seguenti.

L’audizione del richiedente è un mezzo di prova, tipico del processo di protezione internazionale, umanitaria e complementare e il procedimento di valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è altro che un procedimento di valutazione della prova. L’onere probatorio attenuato concesso al richiedente protezione internazionale rappresenta il precipitato normativo del principio di beneficio del dubbio.

La tesi secondo la quale la dichiarazione del richiedente, anche quando sia a favore del dichiarante, costituisca una delle fonti di prova peculiari del giudizio di protezione internazionale si fonda sulla lettura dell’art. 3, comma 5, d.lgs n. 251/2007, che la colloca tra le fonti di prova laddove afferma che «Qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove[12], essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che (…)». In secondo luogo, la previsione legale e la disciplina del suo procedimento di valutazione ne dimostrano la natura di mezzo di prova tipico. La dichiarazione del richiedente davanti al giudice è una prova disciplinata per legge, con iter procedimentalizzato di valutazione, ma libera (ai sensi dell’art. 116, comma 1, cpc); non può dirsi una prova legale, ma neppure un mero argomento di prova (ai sensi dell’art. 116, comma 2, cpc).

Il procedimento della sua assunzione non è quindi l’interrogatorio di cui all’art. 117 cpc, ritenuto, secondo autorevole dottrina[13], libero «(per l’efficacia) probatoria e non formale (per il procedimento)». Il mezzo di prova in esame presenta, invece, anche se sottratto alla disponibilità delle parti, una struttura procedimentalizzata, sia in ordine alle modalità di assunzione dell’audizione che al criterio di valutazione della sua efficacia probatoria, potendo esso produrre la piena prova dei fatti allegati, diversamente dalla efficacia probatoria riservata alle dichiarazioni rese dalle parti al giudice nell’interrogatorio libero.

Ne consegue che la dichiarazione del richiedente costituisce strumento di assolvimento dell’onere probatorio di parte e non atto di adempimento di un obbligo processuale, anche se essa, e l’audizione che la introduce in giudizio, può esser ammessa non solo su richiesta di parte, di tutte le parti, ma anche d’ufficio.

Infine, non può dubitarsi della sua natura di prova orale, raccolta direttamente dal giudice in udienza e di prova diretta (o storica) perché avente ad oggetto i fatti costitutivi del diritto come immediatamente percepiti dal richiedente.

Cosicché la valutazione di credibilità del richiedente riservata al giudice ha ad esclusivo oggetto le dichiarazioni rese personalmente dal richiedente al giudice, anche quando la verifica della sua coerenza si avvalga del confronto con altre fonti di prova. Tra queste altre fonti di prova, emergono dall’esperienza in primo luogo le dichiarazioni raccolte nell’audizione dalla commissione territoriale, poi anche gli eventuali documenti, le (rare) testimonianze, le molteplici e complesse informazioni provenienti dal Paese di origine e, tra queste, principalmente le Country of origin information, raccolte e rese pubbliche dai soggetti più accreditati.

Occorre mettere in evidenza che le dichiarazioni rese nell’audizione davanti alla commissione territoriale, di cui il giudice deve avvalersi per svolgere la propria attività e valutare la credibilità delle dichiarazioni del richiedente, anche se devono ritenersi soggette alle stesse regole di valutazione, si presentano come una diversa fonte di prova, non potendo esser integralmente assimilate all’audizione, svolta in udienza con l’assistenza dell’avvocato e ad opera di un giudice terzo e imparziale[14].

Preme chiarire che le dichiarazioni rese nel corso dell’audizione svolta davanti al tribunale non esauriscono il complesso delle allegazioni poste a fondamento della domanda anche se, evidentemente, ne possono identificare il nucleo essenziale. A differenza di quel che avviene nella fase amministrativa, dove l’allegazione ha luogo con le dichiarazioni rese dal richiedente alla commissione territoriale (nel prosieguo: “CT”) e si esaurisce in esse, nel processo invece non tutte le allegazioni raccolte nell’atto introduttivo del giudizio o nelle memorie integrative eventualmente autorizzate diventano necessariamente oggetto di audizione e di valutazione di credibilità in tribunale. Alcune allegazioni (la nazionalità, l’età, l’appartenenza etnica, politica, etc.) possono trovare sostegno probatorio in altre fonti di prova, in primo luogo documentali, ma non solo. In ogni modo, come sempre avviene nel processo civile, la (in)coerenza tra differenti fonti di prova e allegazioni costituisce un criterio di valutazione prima di tutto della rilevanza della fonte di prova (in sede di ammissione) e poi di valutazione della sua efficacia probatoria. Solo in questi limiti la novità delle dichiarazioni del richiedente, rispetto alle allegazioni contenute nel ricorso o nelle memorie autorizzate, o alle differenti dichiarazioni rese alla CT, possono trovare un rilievo nella decisione. Un rilievo destinato a condizionare la valutazione della prova ma non anche l’ammissibilità della domanda.

Deve in questo senso porsi l’attenzione sulla necessità di distinguere, anche nel processo di protezione internazionale e umanitaria dove la dichiarazione di parte è fonte di prova, tra allegazioni di parte (che possono provenire anche dal difensore) e dichiarazioni informative che possono provenire solo dalla parte personalmente[15].

Risulta perciò evidente che la valutazione di credibilità si deve avvalere della valutazione congiunta di altre fonti probatorie, ma non si può confondere con la valutazione dell’intero quadro probatorio. Essa è solo una parte, usualmente molto rilevante, della valutazione della prova, risente del – ma non coincide con – il regime di ripartizione dell’onere della prova o con l’abbassamento dello standard probatorio.

Ulteriore conseguenza da trarre è quella per cui la dichiarazione del richiedente, infine, può costituire fonte di prova di tutte o solo di alcune delle circostanze dichiarate, perché la credibilità può non connotare l’intera narrazione[16], è un attributo della dichiarazione, non del soggetto, come meglio si esporrà in seguito.

In concreto, però, la valutazione di credibilità costituisce il nucleo essenziale del ragionamento probatorio perché, quanto meno davanti al giudice, che incontra una serie di casi selezionati e più problematici, le ragioni della domanda di protezione internazionale si mostrano spesso prive di diverso e adeguato supporto istruttorio. Ma la prevalenza, tra le fonti di prova, delle dichiarazioni del richiedente rese nell’audizione davanti alla CT o al giudice, è una mera circostanza storica, dipendente dalle condizioni obiettive della storia del richiedente, non discende da una previsione di priorità disciplinata dalla legge. Il significativo peso istruttorio dell’audizione e del procedimento di sua valutazione probatoria, id est della valutazione di credibilità delle dichiarazioni in essa raccolte, dipende di volta in volta dal peso delle altre eventuali fonti di prova.

Se è vero che la valutazione di credibilità del richiedente è solo uno degli strumenti di valutazione delle prove e non può esaurire l’oggetto del giudizio di fatto nel processo di protezione internazionale, ciò deriva dalla circostanza che la credibilità del ricorrente non è un elemento costitutivo della fattispecie di protezione internazionale o umanitaria, i cui presupposti sono invece identificabili solo nelle obiettive e soggettive circostanze descritte nelle norme, di vario rango e matrice, che disciplinano il diritto di asilo[17]. Tale ultima affermazione non può ritenersi in contrasto con la collocazione della disciplina della valutazione di credibilità all’interno della direttiva 2011/95/UE, cd. “direttiva qualifiche”; essa è in perfetta consonanza con la collocazione sistematica all’interno del codice civile italiano della disciplina delle prove e delle regole di loro valutazione.

Ne consegue, come si vedrà meglio in seguito, che il dovere di cooperazione istruttoria gravante sul giudice della protezione internazionale non può mai esser subordinato alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente perché esso attiene a una fase processuale logicamente anteriore a quella della valutazione della prova[18]. Il nesso tra dovere di cooperazione e valutazione di credibilità si colloca esclusivamente sul piano della verifica della rilevanza, come sempre avviene nel procedimento di ammissione della prova, di parte od officiosa, nel processo civile.

Con la conseguenza per cui la cooperazione istruttoria del giudice sarà sempre doverosa sino a quando potrà dirsi rilevante ai fini della decisione, nel quadro delle allegazioni e delle altre fonti di prova dedotte dal richiedente.

 

3. La funzione della valutazione di credibilità all’interno del sistema probatorio del giudizio di asilo

 

3.1. L’oggetto, la finalità e il limite della valutazione di credibilità

La dimostrazione di quanto sopra affermato circa la funzione della valutazione di credibilità deve muovere, in primo luogo, dalla individuazione del suo oggetto, che nella specie va identificato non nella valutazione dell’intero materiale probatorio, ma nella valutazione della sola dichiarazione resa dal richiedente al decisore. Così come oggetto della valutazione di credibilità riservata alla CT, in sede di decisione amministrativa della domanda di protezione, sarà solo la credibilità delle dichiarazioni raccolte nel corso dell’audizione svolta di fronte ad essa. Egualmente, l’oggetto della valutazione di credibilità riservata al giudice nel processo saranno le dichiarazioni raccolte in udienza secondo le regole del processo. In questa fase le precedenti dichiarazioni rese dal richiedente alla CT potranno avere la funzione di riscontro di coerenza, tempestività o esaustività delle nuove dichiarazioni, ma non si confonderanno nella valutazione di credibilità effettuata dal giudice.

Dunque, per le ragioni che si perviene ad esporre, l’interpretazione sistematica, oltre che testuale, delle norme in materia di valutazione di credibilità escludono che essa si collochi nel giudizio di accertamento del perfezionamento (o meno) delle diverse fattispecie di protezione (dove il giudice formula un giudizio di corrispondenza tra fatto accertato e diritto), ma in una fase logicamente anteriore del giudizio di fatto, nel segmento concernente «l’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda»[19].

Assume rilievo, quindi, individuare la ratio della previsione legale di questa peculiare fonte di prova: essa può facilmente individuarsi nel principio di effettività del diritto alla tutela giurisdizionale affermato negli artt. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Cdfue) e 24 della Costituzione. Diritto inviolabile al quale il diritto alla prova assicura “un contenuto di pienezza” nel suo “rapporto di necessità con l’esercizio della tutela giurisdizionale”, poiché, come si esprime la Corte costituzionale nella sentenza n. 53 del 1966, «ogni qualvolta si nega o si limita alla parte il potere processuale di rappresentare al giudice la realtà dei fatti ad essa favorevole, ovvero le si restringe il diritto di esibire i mezzi rappresentativi di quella realtà, le si rifiuta in pratica quella stessa tutela»[20].

Nella dichiarazione del richiedente si rinviene uno strumento insostituibile di attuazione del diritto alla prova[21], necessariamente corredata dalla speciale regola di sua valutazione; entrambi, mezzo di prova e regola di valutazione[22], previsti nell’art. 4, comma 5 della direttiva 2011/95/UE, attuato dall’art. 3, comma 5, d.lgs n. 251/2007 nell’ordinamento italiano, riconosciuto sin dalle prime interpretazioni come «cardine del sistema di attenuazione dell’onere della prova»[23].

Un sistema di regole che si pongono esattamente sullo stesso piano delle regole di valutazione della prova contenute nel nostro codice civile; in particolare, laddove si attribuisce alla presunzione la funzione dimostrativa quando la prova di indizi gravi, precisi e concordanti può far ritenere indirettamente dimostrato un fatto ignoto (ex art. 2729 cc).

Così, nel diritto di asilo, il legislatore ha codificato l’efficacia probatoria delle dichiarazioni della parte che vanta il diritto, descrivendo la trama del ragionamento probatorio che il giudice è tenuto a seguire. Una trama procedimentalizzata che, se da una parte aiuta il giudice ad orientare la propria valutazione, dall’altra rappresenta un cimento impegnativo e denso di insidie.

 

3.2. La credibilità o attendibilità generale

Se è vero quanto sopra affermato, coerenza vuole che si debba esser conseguenti nell’escludere che il giudizio di credibilità possa esaurire l’oggetto del giudizio di fatto nell’ambito del processo di protezione internazionale.

L’art. 3, comma 5, d.lgs n. 251/2007 si esprime infatti nel senso di riferire la valutazione di credibilità anche solo a «taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale [che – ndR] non siano suffragati da [altre – ndR] prove».

La norma evidenzia la necessità di una valutazione autonoma dei singoli elementi e aspetti sui quali la dichiarazione del richiedente si sofferma[24].

Le dichiarazioni del richiedente sono (solo) una delle prove tipiche del processo di protezione internazionale e il giudizio di credibilità è (solo) uno dei momenti del giudizio di valutazione della prova. E (solo) come tale esso va considerato, privato di ogni differente e ulteriore funzione; perché quello di cooperazione gravante sul richiedente non è un obbligo, simmetrico all’obbligo di cooperazione istruttoria gravante sul giudicante, ma un onere, nella specie un onere di rilevanza esclusivamente probatoria. Ne consegue che, per quanto sopra esposto, l’accertamento del diritto alla protezione internazionale o umanitaria non è un giudizio sulla sincerità della persona[25].

Si comprende così perché anche la nostra Corte di cassazione abbia chiaramente affermato che non è corretto accendere i riflettori[26] «su talune imprecisioni riguardanti aspetti secondari del racconto del richiedente la protezione, (...) senza escludere la sostanziale verità del fatto»[27]. Così come in questo senso ed entro questi limiti va collocata la condivisibile affermazione dottrinaria, secondo la quale il giudizio di credibilità deve considerarsi unitario; con ciò dovendosi intendere non che la non credibilità delle dichiarazioni relative a una circostanza o gruppo di circostanze sia sempre tale, di per sé, da incrinare l’efficacia probatoria del resto della narrazione (con un effetto improprio di simul stabunt simul cadent); ma, al contrario, dovendosi propendere per la sussistenza dell’obbligo di valutare se la singola falsità, esaminata alla luce delle circostanze dichiarate ma ritenute veritiere e delle altre fonti di prova, possa in taluni casi non esser ritenuta tale da minare la credibilità dell’intero racconto.

Ciò appare coerente con il nostro sistema giuridico e con la disciplina dell’asilo secondo la quale, quando e nella misura in cui la valutazione di credibilità risulti solo in parte negativa, la conseguenza che se ne potrà trarre non sarà l’automatica esclusione dei presupposti del riconoscimento delle diverse forme di protezione internazionale, umanitaria e complementare. Perché i presupposti del riconoscimento del diritto possono essere sempre dimostrati sulla base anche di altri mezzi di prova, così da far ritenere diversamente provati i fatti integrativi della fattispecie costitutiva, indipendentemente da una dichiarazione in tutto o in parte non credibile.

È quanto accade, ad esempio, per le storie di minaccia individuale ritenute non credibili, narrate da persone che, provenendo da aree geografiche pervase da violenza indiscriminata determinata da conflitto armato, hanno diritto comunque a ottenere, per ciò solo, la protezione sussidiaria se dimostrano (con ogni mezzo, quindi, ad esempio, mediante documenti, o mediante la dimostrazione della conoscenza della lingua, o per il tramite della prova dell’appartenenza etnica, o attraverso conoscenze specifiche dei luoghi di provenienza) la veridicità della dichiarata provenienza dall’area colpita da un conflitto armato idoneo a produrre violenza indiscriminata.

Cosicché, come discende dalla funzione di valutazione della credibilità, in tutti i casi, e quindi anche nella verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c, d.lgs n. 251/2007, l’ambito dell’accertamento della credibilità rimane circoscritto ai singoli fatti costitutivi della fattispecie e influisce solo in relazione ad essi. Sicché le conseguenze della ritenuta non credibilità possono operare, come difetto di prova, solo in questi circoscritti limiti obiettivi.

E dunque, ad esempio, nel caso di conflitto armato con violenza indiscriminata desumibile dalle «Country of Origin Information» (COI), poiché la prova del richiedente si esaurisce nella dimostrazione del Paese (o dell’area) di provenienza – giacché il pericolo che chiama in campo il divieto di respingimento è insito nella condizione obiettiva dell’area di provenienza –, solo con riferimento ai presupposti implicati dalla specifica fattispecie normativa il giudice deve valutare la credibilità delle relative dichiarazioni. E invero, in una recente ordinanza, la prima sezione della Corte di cassazione[28] si è ancora una volta espressa nel senso qui prospettato[29], ribadendo l’orientamento che sembra divenuto prevalente. Ciò vale in generale in ordine alla verifica di credibilità del racconto con riferimento alla prova di ogni fatto integrativo dei presupposti della protezione richiesta. Risulta però ricorrente, in qualche provvedimento di merito e in qualche obiter della Corte di cassazione, un impiego differente del giudizio di credibilità che rischia di vederlo trasfigurato da strumento di valutazione della prova in giudizio sulla lealtà processuale o, persino, in condizione di ammissibilità o presupposto del riconoscimento del diritto[30]. Secondo tale orientamento[31], la valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di cui all’art. 3 d.lgs n. 251/2007, impedirebbe al giudice di procedere a un approfondimento istruttorio officioso, persino nel caso di cui all’art. 14, lett. c, quand’anche non fosse controversa l’area di provenienza del richiedente. Così finendo per diffondere l’influenza della valutazione negativa di credibilità ben oltre il piano della prova dei soli fatti resi indimostrati dal suo difetto. Una configurazione questa che, ad avviso dello scrivente, è priva di fondamento di diritto positivo e di ordine sistematico[32].

Ancora, nella sintetica motivazione di una recente decisione della Cassazione[33] si porta, a sostegno di tale criticata impostazione, il dato normativo ricavabile dall’art. 18 d.lgs n. 251/2007, in materia di revoca della protezione, norma secondo la quale la revoca deve esser disposta se «il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti»[34]. Tuttavia, una lettura attenta della norma dovrebbe condurre a una conclusione opposta. Perché la sopravvenuta scoperta della falsità dei fatti può, secondo la previsione normativa, integrare i presupposti della revoca solo quando essi, «in modo esclusivo», abbiano determinato il riconoscimento della protezione, come recita limpidamente l’art. 18 d.lgs cit.: non rileva quindi una qualsiasi falsità concernente fatti diversi da quelli su cui è fondata la protezione riconosciuta. Perché, in altre parole, l’art. 18 d.lgs n. 251/2007 non può che riguardare solo i presupposti di fatto accertati sulla base del falso o erroneo presupposto per cui è stata ritenuta integrata la fattispecie costitutiva del diritto riconosciuto[35]; ma solo questi e non altri[36]. E ciò nonostante sia senz’altro vero che, come si legge nella decisione, «la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda tutti gli aspetti significativi della domanda (art. 3, comma 1) e si riferisce, come risulta dagli artt. 3, commi 3, lett. b), c), d), e 4 del D.lgs. cit., a tutti i profili di danno grave considerati dalla legge come condizionanti il riconoscimento della protezione sussidiaria»[37].

L’equivoco si trova talvolta, magari implicitamente, presente anche nella giurisprudenza di merito e vale dunque la pena provare ad analizzare anche l’ulteriore erroneo presupposto sul quale si fonda.

Si tratta di un passaggio del tessuto normativo contenuto nell’art. 3, comma 5, lett. e, d.lgs n.251/2007, secondo il quale nella valutazione di credibilità si deve verificare anche se il richiedente «è, in generale, attendibile».

La menzionata norma che pone come condizione che il racconto sia «in generale, attendibile» non può che esser intesa nel senso letterale di ritenere sufficiente che il racconto sia credibile “nell’insieme”, dunque generalmente, complessivamente, globalmente, appunto “in generale”. Attribuire invece alla locuzione il significato opposto di “integralmente”, “totalmente”, “specificamente”, in ogni particolare credibile, significherebbe sovvertire il contenuto testuale della norma[38]. E questo anche ammettendo che una specifica incongruenza, sebbene relativa a un profilo accessorio, come la dinamica della fuga dal pericolo, possa, per il ruolo specifico della circostanza che ne risulta contaminata, destituire del tutto di credibilità e dunque di efficacia probatoria la dichiarazione.

In questo senso sono orientati tutti i contributi teorici di soft law, in particolare di Easo e di Unhcr. In tali importanti contributi si afferma, tra l’altro, che «La credibilità non è considerata come riferita alla sincerità dei richiedenti, bensì all’attendibilità complessiva del loro resoconto e, in particolare, alle dichiarazioni (…) a suffragio di una domanda»[39].

E allora quello previsto dall’art. 3, comma 5, lett. e, d.lgs n. 251/2007 ci appare non come uno degli indicatori di credibilità, ma come il criterio di chiusura del sistema di valutazione, il metodo applicativo di valutazione degli indicatori che lo precedono nella elencazione.

Uno strumento dunque rivolto a imporre un’applicazione prudente e coordinata degli indicatori e, quindi, a suggerire una verifica della credibilità mediante ponderazione dei diversi criteri di cui alle lett. da a a d dell’art. 3, comma 5, d.lgs n.251/2007, attraverso un’attenta articolazione del giudizio di credibilità, da modularsi necessariamente con riferimento a tutti i fatti rilevanti ai fini del perfezionamento delle diverse fattispecie di protezione[40].

Non è un caso, infatti, che nel testo della direttiva la generale attendibilità non sia elencata in sequenza insieme agli altri indicatori elencati da a a d sub e, ma sia distinta dalla congiunzione distintiva “e e”, congiunzione che nella norma nazionale non è stata riprodotta per evidenti ragioni di forma, considerata la cacofonica giustapposizione della congiunzione “e” con la voce “e” dell’elenco. Ma l’affiancamento dell’attendibilità generale sub lettera e agli indicatori non può mutarne funzione. Il contributo normativo al giudizio di credibilità apportato dalla lett. e è individuabile nell’avverbio «in generale», non nell’aggettivo «attendibile» che è il risultato non lo strumento della valutazione di credibilità.

 

3.3. La credibilità parziale

Quanto sopra esposto consente anche di valutare in modo appropriato il tema della cd. credibilità parziale o frazionata.

La credibilità delle dichiarazioni deve, come si è anticipato, essere verificata in relazione alle singole circostanze. Essa non si estende meccanicamente a tutti i fatti, potendo essere circoscritta solo ad alcuni di essi. Inoltre, la credibilità delle dichiarazioni relativamente ad alcuni fatti (e non ad altri) può consentire di ritenere necessaria l’una e non l’altra fattispecie di protezione, perché integrata dai fatti dichiarati e ritenuti veritieri.

In questo senso si è espressa chiaramente la Corte di cassazione, affermando che «il giudizio di scarsa credibilità del ricorrente in relazione alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, ai fini del riconoscimento di altra forma di protezione (nella specie protezione umanitaria), delle diverse circostanze che concretizzino una situazione di “vulnerabilità”, da effettuarsi su base oggettiva (…), in quanto il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente al rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti»[41].

E ancora, con successiva recente cristallina decisione, affermando che «non può, pertanto, darsi seguito (poiché privo di qualsivoglia fondamento normativo, e frutto di un’interpretazione in malam partem impredicabile in tema di diritti fondamentali) all’orientamento talvolta espresso da questo stesso giudice di legittimità (Cass. 21123/2019 – la cui motivazione si risolve in un’autentica tautologia, in punto di valutazione della credibilità del ricorrente – nonché Cass. 7622/2020), secondo cui dovrebbero essere allegati, ai fini del giudizio reso in tema di protezione umanitaria, fatti diversi da quelli prospettati per le altre forme di protezione – affermazione che contraddice il basilare dovere del giudice di qualificazione della domanda sulla base degli stessi fatti storici allegati dalla parte istante, come si è già avuto modo di chiarire in precedenza (supra, sub 5)»[42].

Anche nel General Comment n. 4 (2017) del Comitato contro la tortura si afferma che: «In order to ensure that victims of torture or other vulnerable persons are afforded an effective remedy, States parties should refrain from following a standardized credibility assessment process to determine the validity of a non-refoulement claim. As regards potential factual contradictions and inconsistencies in the author’s allegations, the States parties should appreciate that complete accuracy can seldom be expected from victims of torture»[43].

Lo stesso concetto si trova affermato nel manuale Easo sulla valutazione delle prove e della credibilità delle dichiarazioni del richiedente protezione. Vi si legge che «il fatto che un richiedente abbia mentito, e anche molto, non significa, di per sé, che dette menzogne siano sostanziali o determinanti ai fini del risultato della domanda senza fattori aggiuntivi tali da indicare che la domanda del richiedente è infondata. L’organo decisionale è tenuto a rispettare gli obblighi internazionali degli Stati membri nei confronti delle persone che rientrano di fatto nell’ambito della protezione prevista dalla Convenzione sui rifugiati, quantunque alcune di esse possano aver fondato il loro caso su bugie o atti di malafede. Nella sentenza MA (Somalia), la Corte suprema del Regno Unito ha considerato gli effetti delle menzogne addotte da un richiedente a suffragio di una domanda di protezione internazionale, affermando che una bugia può incidere pesantemente sulla questione di cui trattasi o [al contrario – ndR] l’organo decisionale può considerare che sia «di scarso rilievo», ma «tutto dipende dai fatti»[44]. Interessante anche notare che la Corte britannica ivi citata aveva statuito che: «la rilevanza delle bugie varia a seconda del caso. In alcuni casi, l’[organo decisionale] può giungere alla conclusione che una bugia non abbia conseguenze notevoli. In altri casi, qualora il [richiedente] dica bugie riguardo a una questione fondamentale del caso, l’[organo decisionale] può concludere che tali menzogne producano conseguenze notevoli».

 

4. Le due fasi del giudizio di credibilità

 

4.1. Prima fase. L’acquisizione della prova: l’audizione davanti al giudice e l’esame del suo contenuto

Prima di esaminare nel dettaglio gli strumenti attribuiti al giudice per valutare la credibilità del richiedente è necessario fare un passo indietro, soffermando l’analisi sulla modalità di acquisizione della prova che necessariamente risente dei canoni legali previsti per la sua valutazione.

In merito alla necessità dell’audizione del richiedente davanti al giudice si sono spesi argomenti giuridici anche raffinati sul piano processuale, ma non sempre attenti a considerare il livello dei diritti sottesi agli istituti della protezione internazionale. La stessa Cgue ha rigorosamente delimitato l’esercizio della discrezionalità del giudice che decida di procedere senza audizione, consapevole che il rischio di erronea valutazione delle allegazioni del richiedente, esaminata e discussa in sua assenza, sia elevatissimo[45]. È esperienza diffusa che solo l’audizione, supportata dal dovere di cooperazione istruttoria ottemperato attraverso la ricerca delle COI e con la necessaria interlocuzione istruttoria per mezzo delle domande di chiarimento formulate dal giudice e la diretta raccolta delle risposte, possano ridurre l’alea di fallace valutazione[46].

L’audizione, a differenza dell’udienza, non è, infatti, solo un diritto processuale connesso al principio del contraddittorio, ma è un vero e proprio strumento probatorio, una delle prove tipiche nel processo di protezione internazionale, spesso lo strumento principale. Tale natura implica che la sua ammissione, come sempre nella disciplina dei mezzi di prova nel processo civile, possa essere negata solo in caso di assoluta irrilevanza ai fini del giudizio – a seguito, cioè, della prognosi circa la sua non idoneità a condizionare la decisione[47].

Per quanto sopra esposto l’audizione del richiedente da parte del giudice non può esser considerata il medesimo mezzo di prova rappresentato dall’audizione raccolta dalla CT. Nel processo le dichiarazioni del richiedente asilo raccolte dal giudice sono una prova costituenda, mentre quelle raccolte dalla CT sono una, differente, prova costituita, formata con regole e garanzia del tutto differenti[48].

Ciò non toglie che, come sempre, nel giudizio di ammissione dei mezzi di prova questi possano rivelarsi irrilevanti alla luce di questioni preliminari di rito e di merito, o alla luce della esaustività delle prove altrimenti raccolte.

D’altro canto, anche la regola che impone l’audizione alla CT è particolarmente limitativa della discrezionalità del decisore, laddove nell’art. 12, comma 2, d.lgs n. 25/2008 prescrive che «La Commissione territoriale può omettere l’audizione del richiedente quando ritiene di avere sufficienti motivi per accogliere la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in relazione agli elementi forniti dal richiedente ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ed in tutti i casi in cui risulti certificata dalla struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale l’incapacità o l’impossibilità di sostenere un colloquio personale».

Si tratta a ben vedere, né più né meno, del giudizio di rilevanza istruttoria cui il giudice è tenuto sempre a sottoporre sia le richieste istruttorie di parte, sia la verifica del proprio dovere istruttorio officioso[49].

Essa è peraltro il diretto portato della norma contenuta nell’art. 14, n. 2 della direttiva n. 2013/32/UE (cd. “direttiva procedure”), che riguarda ogni decisore e non solo quello amministrativo.

In definitiva il decisore, anche attraverso l’audizione, deve fare sempre e meticolosamente il possibile per evitare il rischio che il richiedente si riveli non in grado, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, di dimostrare i fatti rilevanti ai fini del riconoscimento del suo diritto. E «poiché non si può di norma supporre che il richiedente sappia quali fatti e prove documentali o di altro tipo possano essere significativi, in conformità a tale obbligo di cooperazione, il Giudice deve fornire orientamenti adeguati al richiedente e ricorrere, nel colloquio personale, a domande idonee a ottenere tutti gli elementi significativi»[50].

L’audizione a opera del giudice presenta, inoltre, alcune esclusive peculiarità: essa muove da una storia già articolata ed esaminata, risente dei motivi del diniego totale o parziale pronunciato dalla CT. Diniego che può fondarsi tanto sulla negativa valutazione di credibilità della storia quanto sulla sua veridicità. Solo raramente può capitare che il giudice non abbia a disposizione l’audizione qualora davanti alla CT il richiedente non sia comparso, a volte per giustificato impedimento.

Si deve in proposito evidenziare che, in base all’art. 16 della direttiva procedure: «nel condurre un colloquio personale sul merito di una domanda di protezione internazionale, l’autorità accertante assicura che al richiedente sia data una congrua possibilità di presentare gli elementi necessari a motivare la domanda ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE nel modo più completo possibile. In particolare, il richiedente deve avere l’opportunità di spiegare l’eventuale assenza di elementi e/o le eventuali incoerenze o contraddizioni delle sue dichiarazioni».

L’art. 17, par. 3 della medesima direttiva afferma che «Gli Stati membri dispongono che al richiedente sia data la possibilità di formulare osservazioni e/o fornire chiarimenti, oralmente e/o per iscritto, su eventuali errori di traduzione o malintesi contenuti nel verbale o nella trascrizione, al termine del colloquio personale o entro un termine fissato prima che l’autorità accertante adotti una decisione. A tale scopo, gli Stati membri garantiscono che il richiedente sia pienamente informato del contenuto del verbale o degli elementi sostanziali della trascrizione, se necessario con l’assistenza di un interprete. (…)».

Le domande a chiarimento, le richieste di approfondimento, la sollecitazione ad articolare il racconto nelle parti ritenute generiche sono qualità essenziali dell’audizione e identificano i criteri in base ai quali si verifica l’idoneità di un’audizione, tanto della commissione territoriale quanto del giudice, a fondare un giudizio adeguato al caso singolo.

Mentre, per converso, l’audizione priva della richiesta di chiarimenti in merito alle incongruenze del racconto – e il provvedimento che si fondi su tali incongruenze non espressamente rilevate –, produrrà un’audizione incompleta che rischia di indurre ad adottare un provvedimento errato, in fatto e in diritto. Sul punto merita richiamare le considerazioni proposte dalla Corte suprema in altro ambito del diritto sostanziale, laddove si ricorda che «il giudice di merito non è un mero registratore passivo di quanto dichiarato dal testimone, ma un soggetto attivo e partecipe dell’escussione testimoniale, al quale l’ordinamento attribuisce il potere-dovere in primo luogo di sondare con zelo l’attendibilità del testimone, ed in secondo luogo di acquisire dal testimone (vuoi con le domande di chiarimento, vuoi incalzandolo, vuoi contestandogli contraddizioni tra quanto dichiarato ed altre prove già raccolte) tutte le informazioni ritenute indispensabili per una giusta decisione. Quel che invece il giudice di merito non può fare, senza contraddirsi, è da un lato non rivolgere al testimone nessuna domanda a chiarimento e non riconvocarlo; e dall’altro ritenere lacunosa la testimonianza perché carente su circostanze non capitolate, e sulle quali nessuno ha chiesto al testimone di riferire»[51].

Una piena attuazione dei menzionati principi si rinviene nella disciplina olandese della protezione internazionale, nella quale è previsto espressamente l’obbligo di sottoporre al richiedente i motivi della prevista decisione negativa, consentendo al medesimo di argomentare sul punto con l’ausilio del proprio difensore[52].

 

4.2. Seconda fase. Gli strumenti di valutazione della credibilità

Una volta individuata la funzione e la natura della valutazione di credibilità (come mero strumento di verifica dell’efficacia probatoria del mezzo di prova) e una volta esaminato il procedimento di assunzione della medesima fonte di prova e la relazione tra la qualità del procedimento di assunzione e la qualità della sua valutazione, si può agevolmente passare a trattare il contenuto di tale valutazione, tanto amministrativa quanto giudiziaria.

L’importanza della posta in gioco è da sempre valorizzata dalla giurisprudenza nazionale, internazionale ed europea. Così, nella sentenza Abdulla la Cgue ha ritenuto che, in materia di asilo, la «valutazione dell’importanza del rischio deve, in tutti i casi, essere operata con vigilanza e prudenza, poiché si tratta di questioni d’integrità della persona umana e di libertà individuali, questioni che attengono ai valori fondamentali dell’Unione»[53]. Analogamente si esprime la Corte Edu, che esige un esame attento e una valutazione rigorosa da parte dei giudici[54]. Il criterio della prudente e rigorosa valutazione non può che trovare applicazione anche con riferimento alla valutazione di credibilità muovendo dal favor riconosciuto al richiedente dal legislatore nazionale, internazionale e sovranazionale, giustificato dal rango dei beni protetti dal diritto di asilo e dal nesso tra rango ed effettività della tutela, fortemente condizionato dalla debolezza della posizione del richiedente protezione (artt. 10, comma 3, e 24 Cost. e artt. 19 e 47 Cdfue).

Tuttavia, la regola dell’attenta e prudente valutazione incontra alcune difficoltà applicative in punto di giudizio probatorio.

In primo luogo, la difficoltà di implementare il diverso, inferiore standard dimostrativo, imposto dal legislatore in attuazione del principio del diritto a un ricorso effettivo di cui è immediata conseguenza. Come già affermato, è questo un aspetto essenziale, dato che implica il ritenere provato un fatto che non potrebbe esserlo secondo le norme del codice civile.

Tuttavia, è possibile rinvenire un collegamento tra la disciplina speciale in materia di asilo e il principio generale elaborato dalla dottrina e dalla giurisprudenza sul principio di riparto dell’onere della prova, fondato sul criterio di prossimità della fonte di prova; principio che muove esso stesso da una lettura costituzionalmente orientata delle regole relative all’onus probandi (fondata sull’art. 24 Cost. e sull’art. 47 della Carta Ue).

Dunque, il regime dell’onere della prova nel giudizio di protezione internazionale può essere considerato una manifestazione significativa del principio di vicinanza o inerenza della prova che, negli ultimi decenni, ha orientato la giurisprudenza nazionale nella distribuzione degli oneri dimostrativi tra le parti in causa, in ambiti dove la tutela dei diritti costituzionalmente protetti (ad esempio, del diritto alla salute ai sensi dell’art. 32 Cost. o del risparmio ai sensi dell’art. 47 Cost.) trova ostacolo nella diseguaglianza/asimmetria, anche – ma non solo – informativa, costituente un serio impedimento alla dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto[55].

 

4.3. Il rapporto tra cooperazione istruttoria e credibilità

Così ricostruito il sistema e le sue regole operative, appare meno complesso il contenuto e la portata dell’obbligo di cooperazione istruttoria gravante sul giudice della protezione internazionale sotto due distinti profili. Il primo consta del dovere di verificare con attenzione la credibilità del racconto sotto il profilo della coerenza con le informazioni relative al Paese di origine (cd. verifica di coerenza esterna). Il secondo consta del dovere di accertare le condizioni obiettive di rischio in caso di rimpatrio nel Paese di provenienza[56].

L’attività relativa a tali distinti profili il più delle volte obiettivamente coincide (ad esempio nell’accertamento delle condotte repressive e persecutorie etc.), ma il fine dell’acquisizione officiosa dei riscontri esterni alle dichiarazioni del richiedente è del tutto diverso da quello cui è rivolta la cooperazione istruttoria destinata a verificare l’attualità e l’intensità del pericolo di rimpatrio.

La prima attività si colloca all’interno del procedimento di valutazione della credibilità e, dunque, di verifica dell’efficacia probatoria delle dichiarazioni del richiedente.

La seconda nell’ambito dell’attività di acquisizione probatoria degli elementi integrativi della fattispecie (in generale, si può affermare, delle condizioni passate e presenti del Paese di origine).

Ma se, come si è sostenuto in precedenza, si colloca il giudizio di credibilità sul circoscritto piano della valutazione delle fonti di prova del giudizio di protezione internazionale, ne consegue che l’accertamento della credibilità del richiedente asilo – come la valutazione di tutte le altre fonti di prova – non può che giovarsi sempre del dovere di cooperazione istruttoria, perché la coerenza interna ed esterna del racconto (come anche l’efficacia probatoria degli altri mezzi istruttori, ad esempio l’autenticità di un documento) non può essere valutata senza un esame approfondito del contesto di provenienza, supportato dall’analisi delle Country of origin information nel pieno contraddittorio tra le parti[57]. In altre parole, l’approfondimento istruttorio officioso, con riferimento alle informazioni provenienti dal Paese di origine, è prima di tutto il principale strumento di verifica della genuinità della dichiarazione del richiedente che il giudicante è tenuto a utilizzare: di talché tale dovere di cooperazione non può esser mai condizionato dal risultato della valutazione delle stesse dichiarazioni cui è finalizzato a dare riscontro.

La seconda finalità del dovere di cooperazione istruttoria, invece, può ben esser condizionata dal raggiungimento o meno della prova dei fatti narrati e, quindi, anche dall’esito della valutazione di credibilità. Ma solo nella misura in cui la mancanza di prova della vicenda esposta dal richiedente, ad esempio l’assenza di prova del fattore espulsivo, possa rendere irrilevante, in senso tecnico-giuridico, l’esperimento di altri mezzi istruttori, officiosi o meno, che riguardino la condizione del Paese di origine al momento della decisione e, dunque, il profilo di rischio di rimpatrio. Al contrario, non quando l’esito della raccolta di informazioni sulle condizioni di rischio possa rivelarsi, da sola, sufficiente a giustificare l’accoglimento della domanda, come avviene nel caso già affrontato della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c, d.lgs n. 251/2007; perché in questa ipotesi è solo la prova della provenienza da una determinata area geografica che impone la verifica anche d’ufficio delle condizioni di (in)sicurezza del territorio di provenienza.

Il dovere di cooperazione rappresenta infatti una regola di riparto dei poteri istruttori e costituisce una deroga al principio dispositivo. Non esprime una regola che attiene alla valutazione delle fonti di prova, connotato, questo, che è proprio della norma che riconosce efficacia probatoria alla dichiarazione del richiedente che presenti determinate caratteristiche. Le due disposizioni normative, quella che impone al giudice la cooperazione istruttoria e quella che prevede la dichiarazione del richiedente come fonte di prova e la sua valutazione come regola di giudizio probatorio, attengono a fasi logicamente e cronologicamente distinte del giudizio di protezione internazionale: la prima (il dovere di cooperazione istruttorio) pertiene alla disciplina della raccolta delle prove; la seconda, all’esame della credibilità del richiedente e, dunque, alla fase di valutazione della fonte di prova.

Ne consegue che l’operazione logico-giuridica di subordinazione dell’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria all’accertamento della credibilità del richiedente non trova giustificazione nel tessuto normativo[58].

E che l’unica relazione di interferenza tra queste due fasi del giudizio va individuata sul piano del giudizio di verifica della rilevanza istruttoria dei due mezzi istruttori attraverso i quali il dovere di cooperazione istruttoria si attua: la raccolta delle COI e l’audizione del richiedente.

Le informazioni provenienti dal Paese di origine possono non esser ricercate, acquisite ed esaminate solo quando esse risulterebbero in ogni caso irrilevanti perché inidonee in ogni caso a dimostrare i fatti costitutivi della domanda.

Si tratta in definitiva né più né meno del medesimo criterio che il giudice deve impiegare ogniqualvolta sia chiamato a verificare se disporre, anche nel processo civile ordinario, un mezzo istruttorio d’ufficio (come l’ispezione, l’ordine di esibizione di documenti, la CTU, la prova testimoniale nell’ipotesi di cui all’art. 281-ter cpc).

 

4.4. La procedura legale della valutazione della credibilità secondo la trama dei criteri normativi

La norma cardine del giudizio di valutazione della credibilità è contenuta, come si è visto, nel d.lgs n. 251/2007 (art. 3, comma 5), nel quale oltre alla tipizzazione del mezzo di prova troviamo, analiticamente descritti, i criteri per riconoscerne efficacia probatoria secondo una trama predeterminata.

Anche l’esame analitico dei singoli criteri indicati nell’art. 3, comma 5, lett. c, d.lgs n. 251/2007 – la plausibilità, l’onere di circostanziare il racconto, la coerenza esterna e interna – consente di verificare la correttezza della ricostruzione sistematica proposta in questa sede.

Secondo la Corte di cassazione, «La valutazione di credibilità o affidabilità del richiedente la protezione non è frutto di soggettivistiche opinioni del giudice di merito, ma il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, la quale dev’essere svolta non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri stabiliti nell’art. 3, comma 5, D.lgs. n. 251/2007: verifica dell’effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; deduzione di un’idonea motivazione sull’assenza di riscontri oggettivi; non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; presentazione tempestiva della domanda; attendibilità intrinseca». Inoltre, «Il giudice deve tenere conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente”, con riguardo alla sua condizione sociale e all’età (art. 5, comma 3, lett. c, D.lgs. n. 251/2007), e acquisire le informazioni sul contesto socio-politico del paese di rientro, in correlazione con i motivi di persecuzione o i pericoli dedotti, sulla base delle fonti di informazione indicate nell’art. 8, comma 3, del D.lgs n. 25 del 2008, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi»[59].

 

4.4.1. La plausibilità come portato delle massime di esperienza

Lo strumento, di più impegnativo e scivoloso impiego, è certamente la valutazione della plausibilità o verosimiglianza del racconto. Essa si fonda, per definizione, sulle massime di esperienza, cioè su regole causali (dato un evento ne consegue o non ne consegue normalmente un altro) che, se in ambito scientifico trovano conforto in regole di copertura tendenzialmente verificabili sul piano tecnico, diversamente, nell’ambito dei fenomeni sociali (individuali o collettivi), descrivono regolarità causali intrinsecamente collegate a culture, tradizioni, antropologie, credenze religiose, ritualità, etc., difficilmente ricostruibili al di fuori dei contesti di origine.

L’esperienza giurisprudenziale rivela quanto la conformazione della massima di esperienza per opera del decisore europeo, in ordine alla plausibilità di un evento avvenuto, ad esempio, in Bangladesh o in Gambia, nel Ghana o nel Punjab pakistano, sia operazione cognitiva assai complessa.

È noto quanto sia elevato il rischio di impiegare in modo imprudente il giudizio di verosimiglianza logica, usualmente troppo esposto, nella lettura di storie avvenute in contesti molto diversi dal nostro, al vizio di incomprensione dell’ambiente di origine e dunque della storia stessa del richiedente.

Di qui il rischio che il giudizio di verosimiglianza si trasformi in un esercizio di cinico scetticismo o ceda, di fronte alle difficoltà, trasformandosi in atto di fede.

Si pensi alla difficoltà di comprendere una reazione di violenta gelosia di fronte a un mero incontro o ad uno sguardo, o a una reazione punitiva endo-familiare prodotta da conflitti ereditari anche se sproporzionata secondo i nostri canoni, o a una reazione brutale alla trasgressione di regole religiose banali come la violazione di luoghi senza caratteristiche particolari o di piccoli oggetti anche rudimentali[60]: tutti eventi la cui verosimiglianza o plausibilità potrebbero esser negate secondo la massima di esperienza maturata nel contesto culturale europeo attuale[61], ma del tutto conformi all’esperienza di una corrente religiosa islamica ovvero alla mistica feticista di piccole comunità africane[62].

O pensiamo, anche, alla massima di esperienza fondata sulla ricorrenza di taluni fenomeni.

In alcune decisioni, l’argomento che il decisore adotta per smentire la credibilità di una narrazione è riferibile al fatto che il racconto narra un fenomeno che le fonti attestano essere molto raro (ad esempio, l’ostacolo ai matrimoni misti o l’induzione a matrimoni forzati in quei Paesi che generalmente vedono coesistere differenti comunità religiose).

La rarità dell’evento viene proposta in taluni casi come argomento di prova della generale improbabilità del fenomeno che, a sua volta, fonderebbe un giudizio di non verosimiglianza del caso concreto.

In altri casi, l’argomento logico che viene impiegato risulta esattamente quello inverso: la storia non potrebbe ritenersi verosimile perché conterrebbe elementi troppo simili ad altre analoghe vicende, da ritenersi sol per tale motivo stereotipate, in quanto connotate da serialità[63], perché ripetutamente raccontate dai ricorrenti in modo simile[64].

Con sintesi efficace, si è scritto invece che: «Poiché il problema della lontananza dei mondi culturali tra richiedenti e decisori/avvocati è ciò che maggiormente interviene a creare incomprensioni e a rendere non plausibile un racconto (Good, 2007), il riconoscimento di questo nesso dovrebbe indurre a prestare particolare attenzione – in termini di raccolta di informazioni specifiche o pareri esperti – proprio a quegli elementi che suonano maggiormente estranei, meno familiari. Invece la letteratura sembra indicare piuttosto il contrario: più i racconti appaiono esotici e lontani dall’orizzonte culturale o di conoscenza dei decisori, maggiore è la probabilità di un giudizio negativo»[65].

Per ridurre questo rischio, infatti, tutte le fonti di soft law, le linee guida e gli strumenti formativi del sistema comune di asilo raccomandano di riservare al giudizio di plausibilità un ruolo circoscritto e non prevalente, anche in ossequio al principio di concorrenza dei criteri di valutazione della credibilità, che implica sempre una valutazione prudente e ponderata degli stessi.

E ferma la necessità di motivare espressamente le ragioni della dedotta non plausibilità con riferimento ai motivi per cui, anche nel peculiare contesto spazio-temporale nel quale i fatti sono dal richiedente collocati, la valutazione debba aver esito negativo.

All’evidenza torna in rilievo anche l’assunto in precedenza esposto: la ricostruzione delle massime di verosimiglianza non può evitare di avvalersi del dovere istruttorio del giudice, che dovrà raccogliere officiosamente informazioni e dotarsi di competenze specialistiche[66] per attingere al bagaglio di esperienze e contesti tipici delle realtà dei Paesi di origine[67].

 

4.4.2. L’onere di circostanziare il racconto[68]

Di sicuro rilievo è, poi, la portata da conferire al requisito della ragionevole capacità di circostanziare la domanda, considerato in particolare che tale impegno non può esser valutato sulla base solo del cd. “narrato libero”, quello che la commissione territoriale correttamente raccoglie prima di formulare le domande specifiche.

Ai sensi delle lett. a e b dell’art. 3, comma 5, d.lgs n. 251/2007, la dichiarazione del richiedente può avere efficacia probatoria se egli «ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda» e «tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi».

Ai sensi dell’art. 4 (2) della direttiva 2011/95/UE, il ricorrente – l’unico a essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale – deve indicare gli elementi relativi all’identità, alla data di nascita e all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande di asilo eventualmente già presentate[69].

Ma già questi primari elementi identificativi possono esigere un differente grado di dettaglio.

L’età e la data di nascita, ma anche il cognome, in alcune società hanno rilievo e riscontro amministrativo, mentre in altre culture e realtà sono talvolta meno certe o del tutto incerte o, comunque, non documentabili.

I richiedenti arrivano quasi sempre senza documenti per esserseli visti sottrarre anche a scopo estorsivo in una delle molte drammatiche fasi del proprio viaggio.

Salvo casi eccezionali, esigere una qualche specifica descrizione delle modalità di sottrazione o perdita del documento di identità non sembra una pretesa ragionevole. Si tratta di una ritenuta ingiustificata mancanza dei documenti di identità dalla quale, peraltro, difficilmente si potrebbe desumere l’inefficacia probatoria della dichiarazione del richiedente circa la propria identità e provenienza, quando corroborata da altri elementi di individuazione dell’area di provenienza o dell’età, come la lingua o altre caratteristiche, anche fisiche, del richiedente[70].

Per tali ragioni, negare l’identità attraverso un giudizio di non credibilità del richiedente per mancata o inadeguata allegazione delle circostanze relative allo smarrimento dei documenti di identità, ed ulteriormente negare, sulla base della ritenuta non dimostrata identità e provenienza, la protezione al richiedente sembra essere operazione tanto radicale quanto giuridicamente non corretta.

La valutazione dell’adeguatezza della capacità di articolare il racconto va anche misurata in relazione alla – usualmente ridotta – capacità del richiedente di cogliere gli elementi essenziali su cui fondare la propria domanda. Ed esige che lo standard di dettaglio del racconto sia misurato e valutato attraverso specifiche domande, e non giudicato solo sulla base dell’esito di un’audizione che sia rimasta priva di sollecitazioni a chiarimento da parte del giudice.

E solo l’interlocuzione dialettica consente di valutare se il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, se tutti gli elementi pertinenti che sono o possono entrare in possesso del richiedente siano stati prodotti e se sia stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi[71].

Si è già evidenziato come la capacità di articolare il racconto sia una variabile di molti fattori e, tra questi, dell’esercizio del dovere del giudice di proporre domande su aspetti di contesto, di contorno, accessori, usando un vero e proprio zoom fotografico per avvicinare l’osservazione al dettaglio.

Ne consegue che la capacità di fornire circostanze anche con riferimento a elementi accessori (ad esempio, la descrizione dei luoghi o delle persone), se stimolata in audizione, può assumere una forte valenza di corredo all’efficacia probatoria della narrazione.

Pensiamo alla individuazione e descrizione dei luoghi con riferimento all’ambiente urbano, all’ambiente naturale, alla identificazione e descrizione delle persone. E ancora alla descrizione e individuazione di elementi non allegati in origine nel racconto ma emersi su domanda del giudicante e, magari, riscontrabili attraverso i motori di ricerca, anche con riferimento alle condizioni obiettive dei luoghi.

L’esperienza insegna che al cospetto del giudicante si presenta un quadro di complessità sempre differente, che rende inesigibile uno standard uniforme di articolazione del racconto, non solo perché il bagaglio soggettivo di esperienze legato al fattore espulsivo può esser molto differente, da caso a caso, ad esempio quando l’evento coincide con un episodio circoscritto nel tempo e nello spazio; ma anche perché potrebbe esser minimo il patrimonio di esperienze individuali acquisito dal richiedente che abbia vissuto sempre e solo in una micro-comunità familiare o in un’area isolata lontana da contesti urbani. Diversamente, deve pretendersi una maggiore articolazione di taluni aspetti del racconto dai richiedenti provenienti da realtà urbane vivaci e complesse, anche se violente e degradate.

La necessità di ponderazione della capacità di circostanziare il racconto è con chiarezza tradotta nella norma e nella sua applicazione giurisprudenziale con la clausola del ragionevole sforzo di articolare il racconto[72]. Ma si tratta, pur sempre, di un criterio da mettere in relazione alla realtà del contesto dell’area di origine che il giudice è tenuto a ricostruire, anche qui, sulla base del dovere di cooperazione istruttoria. Ne consegue un onere di motivazione specifico e calato nel contesto di origine, anche di questo ulteriore profilo.

 

4.4.3. La coerenza interna: la delicatezza del confronto tra le due audizioni. La (ir)rilevanza del modulo C3, la limitata rilevanza della memoria

Il confronto tra due racconti di una medesima storia, a volte complessa, a volte elementare ma quasi sempre intensa, non è mai semplice. Sta al giudice far interloquire i due (o più) racconti cercando di comprendere le eventuali incongruenze e sollevando in audizione tutti i propri dubbi, allo scopo di consentire al richiedente e al suo difensore di spiegare e di chiarire. E, quando le incoerenze interne al racconto rimangono tali, sta al decisore valutarne la portata integralmente o parzialmente demolitoria della credibilità.

Se, come sopra esposto, si aderisce alla nozione di valutazione di credibilità come mero strumento di valutazione della prova dichiarativa, ne consegue l’ammissibilità della distinzione, all’interno del racconto, tra circostanze credibili e circostanze oggetto di dichiarazioni non credibili. E dunque si ammette la possibilità di riconoscere come provate dalle dichiarazioni del richiedente anche solo alcune delle circostanze riferite, escludendo dal novero dei fatti accertati solo quelli colpiti da specifica incoerenza o non plausibilità.

In questo senso militano alcune decisioni della Corte di cassazione[73].

Si tratta comunque di incoerenze o incongruenze che possono nascere dal confronto tra le dichiarazioni rese in momenti diversi (tra audizioni e dichiarazioni raccolte dalla CT e audizioni e dichiarazioni rese davanti al giudice)[74].

Più di un dubbio suscita, invece, l’uso a questo fine delle dichiarazioni raccolte in sede di compilazione del modulo cd. “C3”[75].

Nei Paesi Bassi si distingue, per disposizione normativa, tra le affermazioni rese all’autorità preposta all’esame delle domande di protezione internazionale e le affermazioni rese ad altre autorità, escludendo l’utilizzabilità delle seconde nell’ambito del giudizio sulla domanda di asilo[76].

Risulta evidente quale sia la necessità posta a fondamento di tale distinzione, dato che anche in Olanda, come in Italia, l’autorità amministrativa preposta alla raccolta delle domande non è la stessa autorità amministrativa deputata all’esame delle domande.

L’autorità incaricata infatti di raccogliere la domanda amministrativa non è preparata al compito delicato richiesto dalla peculiarità della procedura, non procede con le regole che consentono una raccolta genuina della vicenda: se ne dovrebbe dedurre che anche nel nostro Paese, come negli altri Paesi dove non vi è un’espressa esclusione normativa, si debba pervenire in via interpretativa al medesimo approdo adottato, sul piano normativo, nei Paesi Bassi.

Diversamente si può opinare con riferimento, invece, alle cd. memorie consegnate dal richiedente al momento della compilazione del modello di accettazione della domanda, che non sono dichiarazioni raccolte da un’autorità, ma documenti prodotti dalla parte richiedente; pur non potendosi dimenticare il peculiare contesto nel quale il racconto viene tradotto in memoria scritta, nelle prime e confuse fasi dell’inserimento dell’accoglienza, a ridosso di un viaggio drammatico e di un salvataggio talvolta miracoloso.

In ogni caso anche la valutazione della coerenza interna non può esser scissa dalla valutazione di quella esterna, dalla quale il disposto normativo non la distingue. E dunque anche la valutazione della coerenza interna risulta condizionata, anche per le ragioni che si perviene ad esporre, dal più ampio esercizio del dovere di cooperazione istruttoria.

 

4.4.4. La coerenza esterna e le fonti del riscontro

Il controllo della coerenza esterna implica una importante distinzione, in particolare nel caso in cui la coerenza esterna sia sottoposta al confronto con le Country of origin information.

È necessario distinguere il caso della discordanza da informazioni specifiche, come le circostanze di accadimento di un singolo episodio, con la sua determinata collocazione spazio-temporale (pensiamo a un attentato, a una competizione elettorale, a un colpo di Stato, a una manifestazione politica, etc.), dalla differente (in)coerenza da valutarsi alla luce di informazioni generali provenienti dal Paese di origine con riferimento a consuetudini, costumi, tradizioni, regole religiose, orientamenti culturali, prassi amministrative, condotte statali o giudiziarie, contesti criminali e quanto altro possa essere rilevante.

Mentre nel primo caso le conclusioni che si possono trarre potranno esser più significative, o addirittura decisive in ordine alla coerenza del racconto[77], nel secondo, essendo il metro di misura un fenomeno storico tendenziale, connotato solo da un certo grado di probabilità, l’evento narrato potrà esser egualmente dimostrato e ritenuto coerente anche se originale, raro, atipico, ma pur sempre possibile ancorché in contraddizione con una diversa e prevalente fenomenologia. Si è sopra già evidenziato, infatti, come il cattivo uso della valutazione di credibilità con riferimento a eventi sociali e culturali troppo – o troppo poco – frequenti possa condurre a valutazioni inesatte[78].

Infine, va posto in evidenza come il controllo anche della coerenza esterna sia la sede principale dove il dovere di cooperazione istruttoria del giudice assume un ruolo decisivo e indefettibile alla luce delle ridotte possibilità del richiedente di produrre documentazione sulla realtà dalla quale si è (o è stato) violentemente separato.

 

4.4.5. Il beneficio del dubbio

Se si condivide quanto sopra esposto, dovrebbe apparire illogica e priva di fondamento normativo e sistematico la subordinazione del dovere di cooperazione istruttoria del giudice all’esito della valutazione della credibilità che da essa, in parte, dipende.

Ma non avrebbe neppure spazio giuridico conferire al principio del cd. beneficio del dubbio una portata diversa e ulteriore rispetto alle regole e agli standard probatori sopra descritti.

Ciò perché, da un lato, non sembra avere senso affermare che l’ammissione al beneficio del dubbio sia condizionata alla verifica di credibilità delle dichiarazioni del dichiarante, se non nel senso, tautologico, di ritenere che la valutazione negativa (totale o parziale) di credibilità del richiedente non consenta di attribuire alle sue dichiarazioni (in tutto o in parte) efficacia probatoria, neppure secondo l’attenuato standard probatorio.

Dall’altro, non sembra trovare alcun aggancio normativo una nozione del principio del beneficio del dubbio differente da quella plasmata sulla disciplina della valutazione di credibilità della dichiarazione del richiedente. E ciò dovrebbe indurre l’interprete a identificare il beneficio del dubbio proprio nel sistema probatorio tipico del giudizio di asilo, nel quale, alle comuni fonti di prova già note nel nostro ordinamento, si è aggiunta la dichiarazione credibile del richiedente. Disciplinata quest’ultima come prova tipica, ma soggetta a un vero e proprio test di resistenza, prudente, attento e accuratamente procedimentalizzato: una prova ibrida che ha natura di prova diretta, ma regime di valutazione analogo a quello della tradizionale prova indiretta.

Si è già accennato alla forte consonanza riscontrabile tra gli indicatori di credibilità e gli attributi degli indizi, idonei a dimostrare un fatto ignoto solo se «gravi, precisi e concordanti», ai sensi dell’art. 2729 cc.

In questo senso, come scrive l’Unhcr[79], «nel caso in cui rimanga un elemento di dubbio, l’applicazione del beneficio del dubbio permette ai funzionari preposti all’esame delle domande di raggiungere una conclusione chiara sulla possibilità di accettare la credibilità di un fatto».

Lo consente – deve intendersi – solo e nella misura in cui sia possibile conferire valore probatorio alle dichiarazioni del richiedente complessivamente attendibili, logicamente plausibili, adeguatamente articolate e coerenti, al loro interno e con le altre fonti di prova, comprese tra queste le informazioni provenienti dal Paese di origine.

Valutazione di credibilità che ha sì ad oggetto le dichiarazioni del richiedente, ma si avvale necessariamente di tutte le altre fonti di prova acquisite, eventualmente in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, che anche a tale valutazione è finalizzato.

In definitiva, il beneficio del dubbio può considerarsi l’espressione che descrive sinteticamente la regola di giudizio del ragionamento probatorio, applicabile nel caso in cui le fonti di prova che il sistema comune appresta non si dimostrino sufficienti a far ritenere provati i fatti costitutivi della domanda.

Esso appare quindi come il principio che giustifica la legittimazione, tra le fonti di prova, della dichiarazione del richiedente che, in quanto dichiarazione di parte, usualmente, non potrebbe acquisire efficacia probatoria favorevole al dichiarante.

Si può dire allora che il beneficio del dubbio è la ratio delle regole contenute nell’art. 4 (5) della direttiva qualifiche[80], la cui applicazione corretta esaurisce, integralmente, il suo contenuto.

 

5. Cenni sul controllo della valutazione di credibilità in sede di legittimità e sull’uso del precedente di legittimità

Il tema del controllo di legittimità richiederebbe una trattazione specifica che non si è in grado di proporre in questa sede.

Basti ricordare che, anche di recente, la Corte ha chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili ex art. 3, comma. 5, lett. c, d.lgs n. 251/2007: si ritiene, perciò, che tale apprezzamento di fatto sia censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cpc come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito[81].

Tuttavia, l’esame dei casi di annullamento per motivazione apparente può comunque orientare l’avvocato e il giudice del merito a migliorare la qualità del proprio lavoro[82]. Ciò soprattutto considerando che la regula iuris relativa al procedimento di valutazione di credibilità può esser oggetto di censura in sede di legittimità laddove si traduca in errore sulle regole del giudizio di valutazione della credibilità[83].

Una notazione merita infine di essere riservata anche all’uso del precedente di legittimità nell’ambito del procedimento di protezione internazionale.

Proprio il ristretto ambito di controllo riservato alla Corte suprema in ordine al giudizio di credibilità deve indurre a molta cautela i giudici del merito nel citare, a sostegno di proprie decisioni, quelle statuizioni in cui la Corte conferma le decisioni fondate su contestate valutazioni di credibilità (solo) perché non censurabili in quella sede.

Per altro verso, dall’esame del concreto esercizio del ristretto, ma non irrisorio spazio riservato al controllo di legittimità della valutazione di credibilità, sorge in tutta la sua evidenza la lacuna determinata dall’abrogazione del giudizio di secondo grado, lacuna che si riverbera sulla Corte di cassazione non solo sul piano dell’afflusso massiccio di ricorsi, ma anche sul terreno dell’effettivo mantenimento del controllo di legittimità al di sopra del minimo costituzionale di effettività.

Infine, non può nascondersi la significativa responsabilità gravante sul giudice dell’unico grado di merito e l’elevata esposizione della decisione di unico grado a censure di legittimità anche radicali in punto di motivazione apparente, perplessa o incomprensibile. Rischio che richiede di esser evitato con argomentazioni pregnanti e sempre corredate da esplicite e specifiche ragioni di incoerenza, di specifica non plausibilità e di scarso livello di dettaglio. Operazione, talvolta, davvero ardua in relazione a vicende estranee alla nostra tradizione e cultura.

 

6. Conclusioni

Le ragioni della vita e l’istinto di sopravvivenza degli individui in fuga da tormentate vicende hanno sottoposto e sottopongono alla massima tensione, quotidianamente, la capacità degli Stati nazionali e dell’ordinamento Ue e internazionale di dare una risposta commisurata agli impegni derivanti dalle rispettive carte fondamentali, trattati e convenzioni, consona alla loro (degli Stati e della Ue) stessa ragion d’essere.

D’altra parte, in nessun altro ambito giuridico le molteplici vicende che in ogni parte del mondo possono drammaticamente condizionare la vita di una persona (le guerre, le lotte per la libertà e l’eguaglianza, l’appartenenza religiosa, i conflitti etnici, le carestie, i colpi di Stato, il terrorismo nei Paesi di origine e di transito, la violenza di genere) hanno mai pervaso con tanta immediatezza e radicalità l’ordinamento giuridico e il sistema giudiziario italiano ed europeo, le loro regole e principi costitutivi.

Per queste ragioni, nel processo di protezione internazionale il giudice è dunque costretto a confrontarsi con conflitti, persecuzioni, minacce che si presentano nella realtà quotidiana con i volti di vittime sempre differenti, al cospetto di minacce sempre nuove: si pensi, ad esempio, alle mille forme della violenza di genere o per orientamento sessuale perpetrata in contesti culturali molto differenziati e in continua evoluzione o involuzione.

Sul piano giuridico, si può ritenere che nessun diritto soggettivo nel nostro ordinamento risulti essere, come quello di asilo, tanto esposto a un tasso elevato di variabilità dei suoi presupposti materiali.

Una complessa multi-fattorialità, da sottoporre a giudizio in forza di clausole generali aperte alla natura variabile delle minacce ai diritti fondamentali, mediante un impegno particolare alla “personalizzazione” dell’accertamento, della decisione e della forma di tutela accordata[84].

Pur caratterizzandosi come uno dei segmenti essenziali di questa tutela a geometria variabile, il giudizio di credibilità può e deve essere ricondotto nell’ambito delle regole generali in materia di assunzione e valutazione delle prove. E ciò a beneficio della coerenza sistematica del nostro ordinamento giuridico, nonché dell’uniforme applicazione da parte dei giudici, come si è tentato di spiegare in queste – che non sono se non – prime riflessioni, in un settore ancora troppo povero di contributi dottrinali di matrice processualistica. Riportare a sistema gli istituti giuridici consente di chiarirne le caratteristiche[85], descrivendo il campo della ricerca all’interno del quale cadranno le opzioni dottrinali e le scelte giurisprudenziali.

Trova da ultimo una significativa conferma l’assunto dal quale questo contributo ha preso le mosse. Quello secondo il quale il progresso della conoscenza avviene non di rado sui confini. Nel caso in esame si è scandagliato il confine probabilmente già varcato, per previsione normativa, dalla dichiarazione della parte, trasformatasi, all’interno del giudizio di asilo, da allegazione difensiva suscettibile di libera valutazione da parte del giudice, ai sensi dell’art. 116, comma 2, cpc, a vero e proprio mezzo di prova soggetta al suo prudente apprezzamento ai sensi dell’art. 116, comma 1, cpc, ma disciplinato da una trama di criteri volti a guidare la razionalità del giudice.

A future riflessioni lasciamo il campo di studi degli strumenti processuali di integrazione del sapere giuridico con le diverse competenze delle quali il giudice della protezione internazionale dovrebbe necessariamente avvalersi, avendo consapevolezza che lo studio delle Country of origin information apre spazi sconfinati nella mente del giurista europeo[86].

Cappelletti, nella monografia più volte richiamata nel presente contributo, ha affermato: «Succede con il nostro istituto lo stesso che con quasi tutte le innovazioni del progresso umano: dapprima strane e in bizzarro contrasto con le abitudini, sollevano la critica più violenta; una volta attuate e perfezionate, subito si rendono trasparenti, indispensabili, nessuno più intende come mai in passato le cose potessero andare diversamente»[87]. Vedremo se la medesima affermazione troverà o meno conferma all’esito del vivace confronto giurisprudenziale sulla dichiarazione della parte richiedente nel processo di protezione internazionale e sul procedimento di valutazione della sua efficacia probatoria.

 

* L’articolo costituisce l’ultima versione delle relazioni tenute nel mese di ottobre 2019 a Trieste e Venezia, il 5 dicembre 2019 presso l’Università “S. Anna” di Pisa, il 20 febbraio 2020 nel convegno di Questione giustizia tenuto presso la Corte di cassazione. Una prima versione della relazione è stata pubblicata in questa Rivista online – L. Minniti, La valutazione di credibilità del richiedente asilo, tra diritto internazionale, dell’UE e nazionale, 21 gennaio 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/la-valutazione-di-credibilita-del-richiedente-asilo-tra-diritto-internazionale-dell-ue-e-nazionale_21-01-2020.php.

1. Cfr. Cass. civile, sez. III, 30 maggio 2019, n. 14762, secondo la quale «Nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, ovvero che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza. Il giudice che ricorra alle presunzioni, nel risalire dal fatto noto a quello ignoto, deve rendere apprezzabili i passaggi logici posti a base del proprio convincimento».

2. Vds. Unhcr, Al di là della prova. La valutazione della credibilità nei sistemi di asilo dell’Unione Europea, report, maggio 2013, p. 251, www.unhcr.org/51a8a08a9.html.

3. M. Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, Giuffrè, Milano, 1962, p. 25.

4. Easo (IARLJ-Europa), Un’analisi giuridica. Valutazione delle prove e della credibilità nell’ambito del sistema europeo comune di asilo, Ufficio delle pubblicazioni dell’Ue, Lussemburgo, 2018, pp. 176 ss., https://easo.europa.eu/sites/default/files/EASO-Evidence-and-Credibility-Assessment-JA_IT.pdf.

5. L’aporia viene chiaramente alla luce se si rammenta la definizione delle massime di esperienza offerta da Piero Calamandrei, secondo il quale esse «consistono in definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale ottenuti dall’esperienza dei fatti ma indipendenti dai casi singoli dalla cui esperienza son tratti, e al di fuori dei quali essi pretendono di valere anche per casi ulteriori», in Opere giuridiche, vol. I: Problemi generali del diritto e del processo, RomaTrE Press, Roma, 2019 (1965), nota 106 (open access: http://romatrepress.uniroma3.it/wp-content/uploads/2019/09/Opere-giuridiche-%E2%80%93-Volume-I-%E2%80%93-Problemi-generali-del-diritto-e-del-processo.pdf). 

6. Art. 8, comma 2, d.lgs n. 25/2008.

7. B. Sorgoni, Storie vere. L’inevitabile ambiguità all’esame del giudice dell’asilo, in questa Rivista online (rubrica Diritti senza confini), 3 giugno 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/storie-vere-l-inevitabile-ambiguita-all-esame-del-giudice-dell-asilo_03-06-2019.php.

8. «Vanno anche presi in considerazione la natura ripetitiva del loro compito e l’esposizione continua a racconti di traumi e maltrattamenti, che possono indurre una diminuzione dell’empatia e un’attitudine sospettosa provocata da una sorta di ‘credibility fatigue’»: Unhcr, Al di là della prova, op. cit., p. 2.

9. La traduzione dell’inglese “compassion” in “compassione” aggiunge un connotato morale non necessario, perché “compassion” può tradursi con “comprensione”. A. Simoni, in “Canovacci ricorrenti”? Narrazioni dei migranti e linguaggio dei giudici, in questa Rivista online (Diritti senza confini), 16 gennaio 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/canovacci-ricorrenti-narrazioni-dei-migranti-e-linguaggio-dei-giudici_16-01-2020.php, distingue l’empatia emotiva dall’empatia cognitiva richiesta al giudice dell’asilo.

10. Easo, Un’analisi giuridica, op. cit., p. 3, nota 61. Il concetto di “compassion fatigue” (“affaticamento della comprensione” – ndR) può essere descritto come l’impatto dell’esposizione a vicende traumatiche quando si lavora con persone che subiscono le conseguenze di un evento traumatico. Cfr. C.R. Figley (a cura di), Compassion fatigue: Coping with Secondary Traumatic Stress Disorder in Those Who Treat the Traumatized, Brunner/Mazel, New York, 1995.

11. Il fatto che le ragioni economiche concorrano nel rendere indifeso (mancante di protezione) nel proprio Paese il richiedente asilo non per questo può far maturare la convinzione che il migrante indigente espatri (solo) per ragioni economiche.

12. La direttiva 2011/95/UE, cd. “direttiva qualifiche”, si esprime più precisamente con «other evidence», lasciando intendere che la dichiarazione del richiedente è una, tra le altre, fonti di prova.

13. M. Cappelletti, La testimonianza, op. cit. 

14. La differenza tra intervista amministrativa e audizione davanti al giudice non è stata studiata a fondo nel nostro Paese, ma è ben presente nella letteratura internazionale che distingue tra «interview by first instance autorithy and oral testimony at appelate instance»: vds. I. Staffans, Evidence in European Asylum Procedures, Martinus Nijhoff, Leida/Boston, 2012, par. 2.2.4, p. 46.

15. Per una distinzione puntuale e densa di implicazioni, vds. ancora M. Cappelletti, La testimonianza, op. cit., pp. 53-54.

16. In questo senso sono meritevoli di apprezzamento quei provvedimenti delle commissioni territoriali e giurisdizionali che distinguono i profili di credibilità da quelli di non credibilità con riferimento alle singole circostanze, operando dapprima una valutazione ponderata e poi un giudizio di corrispondenza (o meno) tra fatti provati e presupposti della protezione.

17. Art. 10, comma 3, Cost.; artt. 7, 8 e 14 d.lgs n. 251/2007; art. 5, comma 6 abrogato, Tui.

18. In questo senso, di recente, Cass. civ., sez. III, n. 8819/2020, Rv. 657916-03, laddove si legge: «5.9. Ne deriva, sul piano strettamente logico, prima ancor che cronologico, che l’accertamento di tale situazione deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del ricorrente. 5.9.1. Ne deriva ancora che qualsiasi valutazione di non credibilità della narrazione non può in alcun modo essere posta a base, ipso facto, del diniego di cooperazione istruttoria cui il giudice è obbligato ex lege. Quel giudice non sarà mai in grado, ex ante, di conoscere e valutare correttamente la reale ed attuale situazione del Paese di provenienza del richiedente asilo, sicché risulta frutto di un evidente paralogismo l’equazione mancanza di credibilità/insussistenza dell’obbligo di cooperazione».

19. Cgue, sentt. MM, C-277/11, 22 novembre 2012, EU:C:2012:744, punti 64 ss., e A, C-148/13, 2 dicembre 2014, ECLI:EU:C:2014:2406, punti 17 ss. Per una puntuale descrizione delle diverse operazioni logiche contenute nella decisione di merito può esser utile rileggere P. Calamandrei, Opere giuridiche (vol. I), op. cit., sinteticamente ma nitidamente riassunte nel par. 26.

20. Per un’approfondita disamina vds. G. Leo, Il diritto alla prova nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Quaderni del Csm, vol. I: La Prova nel processo civile, n. 108, 1999, pp. 71 ss.

21. M. Taruffo, afferma che «Il diritto alla prova implica che ogni parte possa dedurre tutte le prove di cui dispone, ed abbia altresì il diritto a che tali prove siano ammesse, assunte e valutate dal giudice»: vds. Id., L’istruzione probatoria, in Id. (a cura di), La prova nel processo civile, Trattato Cicu - Messineo - Mengoni - Schlesinger, Giuffrè, Milano, 2012, p. 84 – cit. in Prova (voce), Treccani - Diritto on line, 2017, www.treccani.it/enciclopedia/prova-dir-proc-civ_(Diritto-on-line)/.

22. La differenza tra mezzo di prova e giudizio probatorio, indicati entrambi nella lingua italiana con il termine prova, emerge nitidamente nella lingua inglese, laddove compaiono due termini diversi per distinguere tra “evidence” e “proof”.

23. Cass. civ., n. 8282/2013.

24. La correttezza della necessità di una tale ricostruzione, che vede la valutazione di credibilità radicata sulle singole circostanze rilevanti e frazionata per differenti presupposti della protezione, appare corroborata proprio dal ruolo che tale valutazione gioca nell’esame delle domande di protezione internazionale delle donne che, soggette a tratta per prostituzione, proprio per l’asservimento alla struttura criminale, neghino, nel ricorso e nelle dichiarazioni in giudizio, lo sfruttamento e la tratta; donne che narrano un’altra e diversa storia, di frequente, molto inverosimile. Donne che, se da un lato non possono essere ammesse alla protezione per tratta (protezione sociale in via amministrativa o status di rifugiato) quando le relative fattispecie non possono ritenersi dimostrate perché gli elementi costitutivi non sono allegati e, anzi, sono negati dalla richiedente, dall’altro non possono certamente rimanere senza protezione alla luce della estrema vulnerabilità dimostrata proprio dalla inverosimile narrazione. Vds. L. Minniti, La tutela delle vittime di tratta davanti al giudice della protezione internazionale. Le peculiarità, le possibilità, le necessità, gli obblighi, in questa Rivista online (Diritti senza confini), 12 febbraio 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/la-tutela-processuale-delle-donne-vittime-di-tratta_12-02-2019.php.

25. Vds. I. Staffans, Evidence, op. cit., cap. IV, par. 5.5, p. 95, la quale nitidamente afferma che «The effect of testimony that is not credible is that the value of that testimony for evidentiary assessment is low or none, not that the theme of proof cannot be established. Hence, credibility assessment is not itself linked to assessment of the refugee status of the applicant – credibility is not a pre-requisite for refugee status», nel quale è citato in nota Sweeney (Credibility, Proof and Refugee Law, in International Journal of Refugee Law, vol. 21, n. 4/2009, pp. 700-726) «and the discussion on inadmissibility versus evidentiary value».

26. Per usare l’espressione di Cass., n. 26921/2017.

27. Cass., n. 26969/2018, secondo la quale: «la centralità di questa valutazione richiede che sia eseguita seguendo i parametri indicati nell’art. 3 e, in particolare considerando nella sua interezza le dichiarazioni del richiedente. Al riguardo si riporta la massima della pronuncia n. 26921 del 2017: In tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nell’art. 3, comma 5, del d.lgs n. 251 del 2007 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del d.lgs cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale. (cfr. anche Cass. n. 19716 del 2018)».

28. Cass., ord. 24 maggio 2019, n. 14283.

29. Cass., n. 14283/2019: «In conclusione, dunque, nell’ipotesi di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), d.lgs n. 251/2007, il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese di origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda la richiamata forma di protezione». In senso opposto Cass., n. 15794/2019 e Cass., n. 16208/2019.

30. Evidenzia questo rischio anche Cass. civ., sez. III, n. 8819/2020, Rv. 657916-03, par. 7.

31. Cass., sez. VI-1, ord. n. 4892/2019; Cass., sez. VI-1, ord. n. 33096/2018; Cass., sez. I, ord. n. 16208/2019.

32. Evidenzia questo rischio anche Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2020, n. 8819, par. 7.

33. Cass., sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 4892.

34. Ma l’art. 18 prevede che: «1. La revoca dello status di protezione sussidiaria di uno straniero è adottata se, successivamente al riconoscimento dello status, è accertato che: a) [omissis]; b) il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti».

35. Cass. civ., sez. III, n. 8819/2020, Rv. 657916-03, par. 8.9.

36. La norma può poi esser portata a sostegno anche della necessità di una valutazione frazionata e distinta della credibilità del richiedente.

37. Cass. civ., sez. VI, n. 4892/2019.

38. In questo senso Cass. civ., sez. III, n. 8819/2020, Rv. 657916-03, par. 8.8.

39. Così Easo, Un’analisi giuridica, op. cit., p. 80.

40. Cass., n. 26921/2017: «In tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nell’art. 3, comma 5, del d.lgs n. 251 del 2007 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del d.lgs cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale» (cfr. anche Cass., n. 19716/2018).

41. Sez. I, n. 10922/2019, Rv. 653474-01. Nello stesso senso si vedano anche Cass. civ., n. 8282/2013 e Cass., n. 15782/2014.

42. Cass. civ., sez. III, n. 8819/2020, Rv. 657916-03.

43. Comitato Onu contro la tortura, General Comment n. 4 (2017) on the implementation of article 3 of the Convention in the context of article 22, 9 febbraio 2018, punto 42 (X, A), www.refworld.org/docid/5a903dc84.html.

44. Easo, Un’analisi giuridica, op. cit., p. 76.

45. Appare consapevole della necessità ai fini istruttori dell’audizione giudiziale in assenza di videoregistrazione la Corte di cassazione, n. 9228/2020, laddove afferma il seguente principio di diritto: «Nei procedimenti di riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria, qualora la videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa non sia disponibile, o perché non eseguita o perché comunque non acquisita agli atti del processo, il giudice di merito deve sempre fissare l’udienza di comparizione personale del richiedente, da un lato al fine di consentire a quest’ultimo un accesso ed un contatto diretto con il suo giudice naturale precostituito per legge, e quindi la piena ed effettiva esplicazione delle garanzie processuali, e dall’altro lato in modo da acquisire tutti gli elementi necessari per condurre la valutazione di credibilità, o meno, della storia personale riferita dal richiedente medesimo. Ne deriva che detta udienza costituisce il luogo naturalmente deputato allo svolgimento dell’audizione personale del richiedente, che può essere evitata soltanto in via eccezionale, qualora il giudice di merito ritenga, all’esito di motivata decisione, che le contraddizioni e le carenze esterne della storia non possano essere superate dall’audizione stessa. In tal caso, va comunque garantita al richiedente la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni». Si vedano anche Cass., sez. I, 11 dicembre 2019, n. 32367, Cass., sez. I, 17 dicembre 2019, n. 33389, Cass., sez. I, 19 dicembre 2019, n. 34044.

46. M. Veglio, Asilo, falsi miti e poteri divinatori. Così muore il diritto al contraddittorio. Osservazioni critiche a Cass. n. 1681/2019, in questa Rivista online, 14 aprile 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/asilo-falsi-miti-e-poteri-divinatori-cosi-muore-il_14-04-2019.php.

47. In questa direzione si muove Cass., sent. n. 27073/2019, con la quale il collegio di legittimità ha affermato che: «8.2. Il diritto ad una tutela effettiva, sancito dall’art. 46 par. 1 della direttiva 2013/32, incide sul dovere di cooperazione del giudice e sulla necessità di disporre l’audizione del ricorrente, che è il momento centrale in cui tale dovere può esprimersi, sui nuovi temi introdotti in ricorso (che siano sufficientemente distinti e significativi), ove sugli stessi il richiedente non sia stato sentito dalla Commissione». Ed ancora la recente ordinanza interlocutoria Cass., sez. I, 27 luglio 2020, n. 15979, ha osservato: «i principi elaborati dalla Corte di Giustizia escludono la legittimità di un potere discrezionale insindacabile da parte del giudice del merito che rigetti l’istanza di audizione e compia nello stesso tempo una valutazione d’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente davanti la Commissione territoriale. Ritiene, di conseguenza, il Collegio che sia di rilievo nomofilattico oltre che nuovo il quesito sollevato con il primo motivo sia in ordine alla legittimità della formulazione di un giudizio d’inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente per genericità o imprecisione dei riferimenti storici o geografici che segua al rigetto dell’istanza di audizione, sia, più in generale, sulla conformazione del potere discrezionale del giudice del merito che sia investito della richiesta di audizione, sia, infine, in relazione alla configurabilità ed al contenuto minimo dell’obbligo di motivazione del rigetto dell’istanza di audizione tenuto conto del parametro della manifesta infondatezza indicato dalla Corte di Giustizia».

48. In primis, l’assenza del difensore e il diverso assetto ordinamentale dell’organo giudicante.

49. Ai sensi degli artt. 183, commi 7 e 8, e 281-ter cpc.

50. Easo, Un’analisi giuridica, op. cit., p. 49.

51. Cass., sez. VI, ord. n. 17981/2020, che cita Cass., n. 18896/2015, che, a sua volta, richiama i principi di cui a Cass., sez. unite, n. 789/1963.

52. Aliens Decree 2000, art. 3.118b, commi 2 e 6.

53. Cgue, Abdulla, C-175/08, 2 marzo 2010, ECLI:EU:C:2010:105.

54. Nella sentenza Shamayev, la Corte Edu ha statuito che il reclamo di un richiedente, il quale affermava che la sua espulsione lo avrebbe esposto a condotte contrarie all’articolo 3 Cedu, «doveva assolutamente essere soggetto a un attento esame da parte di un’autorità nazionale». Corte Edu, Shamayev e altri c. Georgia e Russia, ric. n. 36378/02, 12 aprile 2005. Si vedano anche: Corte Edu, NA c. Regno Unito, ric. n. 25904/07, 17 luglio 2008, punto 111; Corte Edu [GC], Chahal/Regno Unito, ric. n. 22414/93, 15 novembre 1996, punto 96; Corte Edu [GC], Saadi c. Italia, ric. n. 37201/06, 28 febbraio 2008, punto 128.

55. Da ultimo, Corte di cassazione, ord. 26 settembre 2019, n. 24051; Cass., n. 17923/2016 si esprime nel senso di «esige[re] l’impossibilità della sua acquisizione simmetrica», che è proprio ciò che riscontriamo nel diritto di asilo.

56. Nitidamente in Cass. civ., sez. III, n. 8819/2020, Rv. 657916-03, si afferma che «È del tutto consolidato, ancora, il principio per cui la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente asilo non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poiché incombe al giudice, nell’esercizio del detto potere-dovere di cooperazione, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa ed attuale conoscenza della complessiva situazione dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (per tutte, Cass. sez. 6, 25/07/2018, n. 19716)».

57. Ove in ipotesi il giudice ritenga di utilizzare altre Country of origin information di fonte diversa o più aggiornate che depongono in senso opposto a quelle offerte dal richiedente, egli dovrà sottoporle preventivamente al contraddittorio, perché diversamente si arrecherebbe, in concreto, un irrimediabile vulnus al diritto di difesa. Sul punto vds. Cass. civ., sez. I, ord. n. 29056/2019.

58. Cass. civ., sez. III, n. 8819/2020, Rv. 657916-03, afferma che «non appare conforme a diritto la semplicistica affermazione secondo cui le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di credibilità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedano, in nessun caso, alcun approfondimento istruttorio officioso».

59. Vds. Cass., sez. VI-1: n. 26921/2017, Rv. 647023-01; n. 8282/2013, Rv. 625812-01; n. 24064/2013, Rv. 628478-01; n. 16202/2012, Rv. 623728-01.

60. Magari peculiare nei diversi clan o tribù, come di consueto per le regole di matrice religiosa animista.

61. Ma non in via generale.

62. Per la verità, anche in Europa l’evoluzione della sacralità o dei codici d’onore, per non parlare dei codici di condotta mafiosa et similia, rende la realtà molto più complessa del suo stereotipo neo-positivista.

63. Cfr. Cass., sez. VI-1, sent. n. 22111/2014, secondo la quale «La ripetitività delle ragioni di fuga (…) lungi dall’integrare un criterio normativo di credibilità impone ancor più rigorosamente l’esame delle condizioni oggettive del paese». Ma nel rischio di banalizzazione dei fatti allegati sembra incorrere persino Cass., sez. I, 7 agosto 2019, n. 21142.

64. Storie ritenute dai decisori o troppo rare o troppo frequenti, ma in ambo i casi considerate, sol per questo, non veritiere; Unhcr, Al di là della prova, op. cit., p. 8. Lo studio dell’Unhcr ha evidenziato che, considerata la natura ripetitiva del compito che i funzionari preposti all’esame delle domande di protezione si trovano a svolgere, c’è il rischio che essi tendano, consciamente o inconsciamente, a categorizzare le richieste di asilo sulla base di profili di caso generici che predeterminano le considerazioni in materia di credibilità. La maggioranza dei funzionari addetti all’esame delle domande intervistati in uno degli Stati membri ha dichiarato che, «quando si sentono per tante volte storie simili, si è portati a concludere che le storie siano false». Ed ancora che «Gli esaminatori possono soffrire di stress psicologico a causa della loro esposizione a simili testimonianze – il cosiddetto trauma vicario – e mettere in atto di conseguenza naturali strategie di coping che possono involontariamente compromettere la loro imparzialità. Essi possono trovare il contenuto delle prove talmente orribile da essere tentati di rifiutarle come inimmaginabili, costruite e quindi prive di credibilità. Lo scetticismo è una strategia di coping molto umana, che però compromette l’obiettività e l’imparzialità. Il distacco emotivo può essere percepito come essenziale per mantenere l’obiettività. Tuttavia, i funzionari preposti all’esame delle domande devono prestare attenzione a che tale distacco non si traduca in una certa riluttanza a farsi coinvolgere dal resoconto del richiedente, e/o in scetticismo».

65. B. Sorgoni, Storie vere, op. cit.

66. Anche eventualmente disponendo una consulenza tecnica in materia antropologica.

67. Una particolare attenzione a questa sorta di trappole della logica è prestata da H. Zahle, Competing Patterns for Evidentiary Assessments, in G. Noll (a cura di), Proof Evidentiary Assessment and Credibility Asylum Procedures, Martinus Nijhoff, Leida/Boston, 2005, p. 16, dove si evoca il romanzo Catch 22 di Joseph Heller: citazione ripresa da Unhcr, Al di là della prova, op. cit., p. 11.

68. «(…) D’un caso terribile, che il messo non sapeva né circostanziare né spiegare», A. Manzoni, I Promessi sposi, Tipografia Guglielmini e Redaelli, Milano, 1840, p. 462.

69. Cgue, Mahdi, C-146/14, 5 giugno 2014, ECLI:EU:C:2014:1320.

70. Destano qualche perplessità Cass., sez. VI, ord. n. 9204/2018 e Cass., sez. I, ord. n. 7441/2020, che nel confermare la sentenza di appello non ha censurato il giudizio di non credibilità fondato anche sulla mancata prova della stessa identità per mancanza di documenti perché giustificata solo con la generica allegazione del loro smarrimento.

71. Cass., n. 16201/2015.

72. Cass., sez. VI-1, nn. 16201/2015 e 14998/2015.

73. Cfr. Cass., n. 26921/2017, ove si afferma che «la credibilità delle dichiarazioni del richiedente la protezione non può essere esclusa sulla base di mere discordanze o contraddizioni nell’esposizione dei fatti su aspetti secondari o isolati, quando sia mancato un preliminare scrutinio dei menzionati criteri legali previsti per la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni» e Cass., n. 21610/2018, con la quale si annulla la decisione fondata sul fatto che le circostanze narrate al giudice non sarebbero «esattamente le stesse» di quelle narrate in CT. Più recentemente anche Cass., n. 17448/2020, afferma che «[n]ell’esaminare la domanda di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, condotta alla stregua dei criteri indicati nell’art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 251 del 2007, non è esclusa dall’esistenza di mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento nel suo complesso, sulla base delle informazioni sul Paese di provenienza». Né «la valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo deve essere rivolta ad una capillare ricerca di eventuali contraddizioni – atomisticamente esaminate – insite nella narrazione della sua personale situazione, dovendosi piuttosto effettuare una disamina complessiva della vicenda persecutoria narrata»: così sez. I, n. 07546/2020, Rv. 657584-01.

74. In fattispecie relativa a istanza di protezione basata su persecuzione per motivi di orientamento sessuale, non addotti alla prima occasione disponibile, Cass., sez. VI-1, n. 18128/2017, ha escluso che, per ciò solo, le autorità nazionali procedenti possano considerare non credibile il richiedente asilo, dovendosi tenere conto delle peculiarità del caso, dell’estrazione sociale e delle esperienze di vita, del sesso e dell’età del richiedente, nonché più in generale del contesto sociale di provenienza e delle caratteristiche individuali della persona esaminata.

75. Non si può ricavare il principio opposto da Cass. civ., sez. I, ord. 30 ottobre 2019, n. 27951, che sembra dar per scontato, seppure incidentalmente, la legittimità dell’uso delle dichiarazioni raccolte nel modello C3 come fonte di verifica di coerenza delle dichiarazioni.

76. Consiglio di Stato olandese, 7 marzo 2012, (201007907/1/V3) JV2012/184; LJN: BV9262; 118 art. 3.109 (3) Aliens Decree 2000; Unhcr, Al di là della prova, op. cit., p. 156.

77. Pur con tutta la prudenza che si è in precedenza raccomandata.

78. In Easo, Un’analisi giuridica, op. cit., p. 80 si legge: «Il riferimento alle informazioni generali può riguardare l’ambito in cui si dice siano avvenuti eventi specifici o la situazione generale esistente nel Paese d’origine. Tuttavia, in alcuni casi particolari, i richiedenti possono essere in grado di individuare circostanze specifiche che conferiscono credibilità alla loro storia anche se in contraddizione con le COI in generale. Gli organi decisionali e i membri degli organi giudiziari dovrebbero continuare a prendere in considerazione l’esistenza di possibili eccezioni».

79. Vds. Al di là della prova, op. cit., p. 4.

80. … e dell’art. 3, comma 5, d.lgs n. 251/2007, che lo trasferisce nel nostro patrimonio normativo.

81. Cfr. Cass., sez. I, n. 3340/2019, e Cass. civ., sez. I, ord. n. 30031/2019.

82. Per alcuni esempi di annullamento per motivazione apparente/pleonastica, vds. Cass., n.3758/2018 in materia di credibilità di minaccia non statale, e Cass., n. 23604/2017, Cass., n. 26822/2019 in materia di credibilità di orientamento sessuale.

83. Vds. da ultimo anche Cass. civ., sez. III, n. 08819/2020, Rv. 657916-03, par. 8, che riscontra nella specie: «l’error procedendi in cui è incorso il tribunale nella valutazione della credibilità del racconto si sostanzia nell’esserne stati esaminati i singoli elementi secondo un criterio puramente atomistico, caratterizzato da una (non condivisibile) scomposizione/dissociazione/confutazione di ciascun singolo fatto esposto rispetto al generale contesto narrativo, così omettendosi la – pur necessaria, e ben diversa – disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo».

84. La nozione di personalizzazione della valutazione è un fattore di crescita della tutela giurisdizionale già noto nel nostro diritto civile, ad esempio con riferimento all’evoluzione del criterio di determinazione del risarcimento integrale del danno alla persona. Da ultimo, all’esito di un risalente percorso di analisi dei profili di danno non patrimoniale, si legga, tra le altre, Cass. civ., III sez., sent. n. 28989/2019, in punto di risarcimento del danno terminale.

85. H. Zahle, op. cit., scrive: «Bringing the evidentiary problems of asylum into this broader context is not meant to imply that asylum law is not something special when it comes to the evidence and proof. Quite the contrary, the broader context makes special elements of the discipline visible» (p. 13).

86. S. Laacher, Croire à l’incroyable. Un sociologue à la Cour nationale du droit d’asile, Gallimard, Parigi, 2018; L. Breggia, L’audizione del richiedente asilo davanti al giudice: la lingua del diritto oltre i criteri di sintesi e chiarezza, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2018, p. 190, www.questionegiustizia.it/rivista/2018/2/l-audizione-del-richiedente-asilo-dinanzi-al-giudi_546.php; R. Russo, Ruolo del giudice, soggetti vulnerabili e soft skills, in Giustizia insieme, 17 dicembre 2019, www.giustiziainsieme.it/it/news/74-main/816-ruolo-del-giudice-soggetti-vulnerabili-e-soft-skills.

87. M. Cappelletti, La testimonianza, op. cit., p. 1.