Magistratura democratica

Il decreto interministeriale sui Paesi di origine sicuri e le sue ricadute applicative

di Giovanni Armone

Il decreto interministeriale sui cd. Paesi sicuri attiva numerose disposizioni del dl n. 113 del 2018, con il rischio di rendere ancor più rigido e penalizzante il sistema della protezione internazionale. Il saggio propone una ricognizione di tali disposizioni e ne analizza le conseguenze applicative.

1. Le disposizioni normative di riferimento / 1.1. La legislazione nazionale / 2. La giurisprudenza / 3. Le questioni problematiche / 3.1. Diritto intertemporale / 3.2. L’incidenza della presunzione relativa sugli oneri di allegazione e prova / 3.3. La sospensione dell’efficacia del provvedimento amministrativo

 

1. Le disposizioni normative di riferimento

 

1.1. La legislazione nazionale

L’art. 7-bis del dl 4 ottobre 2018, n. 113 (cd. decreto sicurezza), introdotto in sede di conversione dall’art. 1 della l. 1°dicembre 2018, n. 132, ha inserito nel d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25 l’art. 2-bis, intitolato «Paesi di origine sicuri».

Il nuovo art. 2-bis del d. lgs n. 25 del 2008 è articolato in cinque commi e recita:

«Art. 2-bis (Paesi di origine sicuri). - 1. Con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, è adottato l’elenco dei Paesi di origine sicuri sulla base dei criteri di cui al comma 2. L’elenco dei Paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente ed è notificato alla Commissione europea.

2. Uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione quali definiti dall’articolo 7 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.

3. Ai fini della valutazione di cui al comma 2 si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del Paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10 dicembre 1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.

4. La valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all’Unione europea è un Paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, che si avvale anche delle notizie elaborate dal centro di documentazione di cui all’articolo 5, comma 1, nonché su altre fonti di informazione, comprese in particolare quelle fornite da altri Stati membri dell’Unione europea, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

5. Un Paese designato di origine sicuro ai sensi del presente articolo può essere considerato Paese di origine sicuro per il richiedente solo se questi ha la cittadinanza di quel Paese o è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel Paese e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova».

Il decreto interministeriale indicato nel primo comma (d’ora in avanti “d. intermin.”) è stato emanato il 4 ottobre 2019 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 7 ottobre 2019.

L’art. 1, comma 1, indica i Paesi che sono considerati al momento sicuri: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina[1].

L’emanazione del d. intermin. rende operative altre disposizioni modificative del d.lgs n. 25/2008, introdotte dallo stesso art. 7-bis dl n. 113/2018, che concernono il procedimento (amministrativo e giurisdizionale) di riconoscimento della protezione internazionale[2].

Le più rilevanti sono le seguenti:

- il nuovo comma 2-bis dell’art. 9, secondo cui «la decisione con cui è rigettata la domanda presentata dal richiedente di cui all’articolo 2-bis, comma 5, è motivata dando atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso»;

- la nuova lettera c-ter dell’art. 28, comma 1, che aggiunge un nuovo caso di esame prioritario delle domande di protezione internazionale, facendo riferimento a quelle dei richiedenti che provengono da un Paese designato di origine sicuro;

- il nuovo art. 28-bis, comma 2, lett. a, in base al quale i termini di trasmissione ed esame della domanda di protezione, rispettivamente da parte della questura e della commissione territoriale, sono raddoppiati nelle ipotesi dell’art. 28-ter, contestualmente introdotto;

- il nuovo art. 28-ter: «1. La domanda è considerata manifestamente infondata, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, lettera b-bis), quando ricorra una delle seguenti ipotesi: a) il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251; b) il richiedente proviene da un Paese designato di origine sicuro ai sensi dell’articolo 2-bis; c) il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie o palesemente false, che contraddicono informazioni verificate sul Paese di origine; d) il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi o omettendo informazioni o documenti riguardanti la sua identità o cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente, ovvero ha dolosamente distrutto o fatto sparire un documento di identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza; e) il richiedente è entrato illegalmente nel territorio nazionale, o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno, e senza giustificato motivo non ha presentato la domanda tempestivamente rispetto alle circostanze del suo ingresso; f) il richiedente ha rifiutato di adempiere all’obbligo del rilievo dattiloscopico a norma del regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013; g) il richiedente si trova nelle condizioni di cui all’articolo 6, commi 2, lettere a), b) e c), e 3, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142»;

- il nuovo art. 32, comma 1, lett. b-bis, in cui si prevede che il rigetto della domanda per manifesta infondatezza debba avvenire, da parte della commissione territoriale, nei casi del nuovo art. 28-ter.

A cascata, l’introduzione delle disposizioni relative ai Paesi sicuri, in particolare l’attrazione dei provvedimenti di rigetto per appartenenza del richiedente a un Paese sicuro nel novero dei rigetti per manifesta infondatezza, determina ulteriori conseguenze.

Ci si riferisce:

- all’art. 35-bis, comma 3, d.lgs n. 25/2008, dove è stabilito che la proposizione del ricorso giurisdizionale determini la sospensione automatica dell’efficacia esecutiva del provvedimento di rigetto della domanda di asilo, ma con alcune eccezioni, tra cui l’ipotesi in cui la domanda sia stata rigettata per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 32, comma 1, lett. b-bis. Poiché tale ultima norma fa rinvio al novellato art. 28-ter, che comprende nella manifesta infondatezza la domanda del richiedente asilo proveniente da un Paese sicuro, le novità in materia di Paesi sicuri incidono anche sulle garanzie giurisdizionali dei richiedenti asilo; il venir meno dell’effetto sospensivo automatico lascia aperta al richiedente asilo la sola strada dell’istanza cautelare di sospensione, ai sensi dell’art. 35-bis, comma 4: «Nei casi previsti dal comma 3, lettere a), b), c) e d), l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni e assunte, ove occorra, sommarie informazioni, con decreto motivato, pronunciato entro cinque giorni dalla presentazione dell’istanza di sospensione e senza la preventiva convocazione della controparte. Il decreto con il quale è concessa o negata la sospensione del provvedimento impugnato è notificato, a cura della cancelleria e con le modalità di cui al comma 6, unitamente all’istanza di sospensione. Entro cinque giorni dalla notificazione le parti possono depositare note difensive. Entro i cinque giorni successivi alla scadenza del termine di cui al periodo precedente possono essere depositate note di replica. Qualora siano state depositate note ai sensi del terzo e quarto periodo del presente comma, il giudice, con nuovo decreto, da emettersi entro i successivi cinque giorni, conferma, modifica o revoca i provvedimenti già emanati. Il decreto emesso a norma del presente comma non è impugnabile. Nei casi di cui alle lettere b), c) e d), del comma 3 quando l’istanza di sospensione è accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo».

- all’art. 35-bis, comma 17, d.lgs n. 25/2008, dove è stabilito che «quando il ricorrente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato e l’impugnazione ha ad oggetto una decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi degli articoli 29 e 32, comma 1, lettera b-bis), il giudice, quando rigetta integralmente il ricorso, indica nel decreto di pagamento adottato a norma dell’articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, le ragioni per cui non ritiene le pretese del ricorrente manifestamente infondate ai fini di cui all’articolo 74, comma 2, del predetto decreto». La provenienza da un Paese sicuro può, in sostanza, comportare per il richiedente non abbiente il venir meno del patrocinio a spese dello Stato.

 

2. La giurisprudenza

Prima dell’adozione del d. intermin., il riferimento ai Paesi sicuri era servito alla Cassazione per valorizzare, nell’istruttoria che il giudice deve compiere, i dati conoscitivi forniti dal Mae ed equipararli a quelli tratti da agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale. Il fatto che l’art. 2-bis d.lgs n. 25/2008 abbia attributo proprio al Mae, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, il compito di adottare, con decreto, l’elenco dei Paesi di origine sicuri, induce la Suprema corte a ritenere affidabile l’istruttoria compiuta da quel Ministero[3].

Del resto, già Cass., sez. VI, 23 ottobre 2017, n. 25083, Rv. 647042-01, aveva affermato il dovere del giudice di acquisire, al fine di valutare l’eccezionalità della situazione posta a base della domanda, le informazioni elaborate dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo sulla base dei dati forniti dall’Acnur, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello nazionale.

In un’altra decisione (Cass., sez. I, 3 aprile 2019, n. 9292, non massimata), poi, la Suprema corte si era dovuta confrontare con un caso in cui il giudice di merito aveva negato la protezione internazionale sulla base del fatto che il Paese di origine del richiedente (Kosovo) rientrava nell’elenco dei Paesi sicuri stilato dalla Commissione europea. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile, perché le censure sollecitavano il giudice di legittimità a compiere una rivisitazione dei fatti come insindacabilmente accertati dal giudice di merito, in sede di indagine officiosa.

Nella giurisprudenza di legittimità, la prima pronuncia in cui è stato espressamente menzionato il d. intermin. è Cass., sez. I, 18 novembre 2019, n. 29914.

La Suprema corte ha cassato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale, facendo leva sul principio, già più volte enunciato, secondo cui «nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente»[4].

Nel far ciò, la sentenza ha escluso di poter derogare a tale principio per il fatto che il richiedente asilo provenisse dal Senegal e che, nelle more del giudizio di cassazione, fosse stato approvato il citato d. intermin., che ha incluso il Senegal tra i Paesi sicuri.

Ha infatti osservato la Suprema corte: «in disparte ogni considerazione circa l’applicabilità di detta normativa sopravvenuta ai giudizi in corso e alle domande già presentate, anche alla luce di quanto affermato dalla recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 29460 del 13.11.2019, va considerato che l’inserimento del Paese nel predetto elenco non preclude la possibilità per il ricorrente di dedurre la propria provenienza da una specifica area del Paese stesso interessata a fenomeni di violenza e insicurezza generalizzata che, ancorché territorialmente circoscritti, possono essere rilevanti ai fini della concessione della protezione internazionale o umanitaria, né esclude il dovere del giudice, in presenza di detta allegazione, di procedere all’accertamento in concreto sulla pericolosità di detta zona e sulla rilevanza dei predetti fenomeni».

In tempi molto recenti, lo stesso iter motivazionale è stato seguito da Cass., sez. II, 16 settembre 2020, n. 19252, a proposito di un cittadino del Ghana.

In altre occasioni, la menzione dell’elenco dei Paesi sicuri è stata operata, ma più di sfuggita, in chiave meramente rafforzativa, se non di obiter dictum: si vedano Cass., sez. I, 15 gennaio 2020, n. 677 e Cass., sez. VI, 10 febbraio 2020, n. 3107, che hanno respinto i ricorsi, perché volti a un riesame dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, aggiungendo però rispettivamente: «non senza rilevare che il Senegal risulta incluso nell’elenco dei c.d. Paesi sicuri» e «limitandosi ad un riferimento generico alla attuale situazione del Ghana (peraltro con recente DM 4/10/2019 inserito nella lista dei Paesi sicuri)».

Cass., sez. I, 10 febbraio 2020, n. 3092, ha invece ritenuto che la provenienza del ricorrente da un Paese sicuro – sempre il Senegal – e la necessità dunque di valutare l’applicabilità del d. intermin. desse luogo a una questione d’interesse nomofilattico e non giustificasse pertanto la trattazione in camera di consiglio.

 

3. Le questioni problematiche

Le questioni problematiche che l’adozione del d. intermin. sui Paesi sicuri solleva appaiono allo stato le seguenti.

 

3.1. Diritto intertemporale

La prima questione da affrontare concerne il diritto intertemporale.

Si tratta cioè di stabilire se gli effetti che si ricollegano all’emanazione del d. intermin. sui Paesi sicuri operino anche rispetto alle domande amministrative presentate in epoca anteriore.

L’art. 4 del d. intermin. sotto la rubrica «Entrata in vigore», prevede: «il presente decreto si applica dal quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana». Non è chiaro se la disposizione si limiti a ribadire quanto stabilito dall’art. 10, comma 1, disp. prel. cc o se, invece, intenda offrire un criterio-guida di diritto intertemporale.

Si ripropongono dunque i dubbi nati all’indomani della soppressione della cd. protezione umanitaria da parte del dl n. 113/2018, dubbi che, almeno con riferimento ai ricorsi giurisdizionali, sono stati dissipati dalla recente pronuncia n. 29459 del 13 novembre 2019 (e vds. anche le coeve, identiche, nn. 29460 e 29461).

Con tali decisioni, le sezioni unite hanno stabilito che il diritto alla protezione umanitaria, espressione del diritto di asilo costituzionale, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile, con la conseguenza che la normativa abolitrice, introdotta con il dl n. 113/2018, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima della sua entrata in vigore.

Sennonché, le norme dell’art. 2-bis, a differenza di quelle sul riconoscimento della protezione umanitaria, si profilano come norme sulla prova, in quanto introducono una presunzione relativa di infondatezza della domanda di protezione internazionale dei migranti provenienti da Paesi sicuri. Si potrebbe così ritenere che si tratti di norme processuali, immediatamente applicabili.

Chi si è occupato in modo specifico del problema con riferimento al decreto sui Paesi sicuri ha tuttavia osservato, sulla scorta degli approdi di autorevole dottrina processualcivilistica, che le norme sulla prova non si applicano retroattivamente quando non si limitino a modificare semplicemente gli strumenti processuali utilizzabili dal giudice, ma orientino i comportamenti dei consociati e incidano sul contenuto della decisione finale[5].

Si tratterebbe in questo caso di norme primarie e materiali, come tali irretroattive.

In effetti, anche la giurisprudenza di legittimità è orientata a ritenere che le presunzioni abbiano natura sostanziale e non processuale, con conseguente irretroattività delle norme che le introducano nel corso del giudizio[6].

Alla luce di tale orientamento, sembrerebbe potersi affermare che anche il decreto di designazione dei Paesi sicuri e le norme la cui efficacia era subordinata alla sua emanazione non possano trovare applicazione alle domande amministrative e giudiziali presentate prima dell’entrata in vigore del d. intermin., ossia prima del 22 ottobre 2019.

Ne dovrebbe scaturire, rispetto a tali domande, oltre all’inoperatività della presunzione relativa:

- l’illegittimità di un rigetto della domanda amministrativa per manifesta infondatezza, motivato solo con riferimento alla mancanza dell’invocazione dei gravi motivi di cui all’art. 2-bis, comma 5, d.lgs n. 25/2008;

- la perdurante idoneità dell’impugnazione del provvedimento amministrativo di rigetto (se motivato con la provenienza del richiedente da un Paese sicuro) a determinare la sospensione automatica della sua efficacia esecutiva;

- la irrevocabilità del patrocinio a spese dello Stato in caso di rigetto dell’impugnazione giurisdizionale, anche per manifesta infondatezza.

 

3.2. L’incidenza della presunzione relativa sugli oneri di allegazione e prova

Il secondo più spinoso nodo problematico concerne le conseguenze dell’introduzione della presunzione relativa sugli oneri di allegazione, nonché sul dovere di cooperazione istruttoria.

L’introduzione dell’art. 2-bis ha indubbiamente aggravato gli oneri di allegazione del richiedente asilo proveniente da un Paese designato come sicuro. Egli dovrà infatti non soltanto allegare fatti specifici, ma fatti che, ove dimostrati, denotino una situazione di gravità della sua situazione particolare.

La fattispecie normativa astratta costitutiva del diritto azionato si è dunque arricchita di un elemento, così che la domanda del richiedente asilo può in teoria essere rigettata senza istruttoria, qualora l’allegazione sia carente. Se dunque la domanda prospetta un’ipotesi di rischio che, anche se dimostrato, non presenta i connotati della gravità, il suo rigetto immediato è giustificato.

Bisogna tuttavia svolgere alcune considerazioni, tese a evidenziare che una lettura troppo rigida di queste disposizioni mette a serio rischio di compromissione il diritto alla prova del richiedente asilo, lettura che – al di là degli omaggi rispettosi alla libertà del legislatore nel delineare il modello processuale che preferisce – cela l’antica diffidenza verso ogni deroga al principio dispositivo, che ci si illude essere il modello-base dal quale troppo spesso ci si allontana in modo dissennato[7].

In realtà, in questo atteggiamento ci sono delle contraddizioni, poiché un sistema più rigido di oneri allegativi e preclusioni si allontana dal principio dispositivo di marca liberale, in quanto costituisce attuazione di un principio di funzionamento ordinato e razionale del processo, che vede un ruolo attivo dell’apparato statale e del giudice.

Un sistema più rigido che implica l’adesione all’ideologia legale-razionale della decisione giudiziaria, ideologia che, sia pure con alcuni temperamenti, mira pur sempre alla scoperta della verità e che, facendo del processo civile uno «strumento finalizzato a “fare giustizia” e non soltanto a risolvere controversie», giustifica deroghe al principio dispositivo e un rafforzamento dei poteri officiosi istruttori e decisionali del giudice[8].

A) Anzitutto, è necessario fare attenzione alla circostanza che il fatto da allegare è divenuto quello che la dottrina chiama un «fatto valutativamente determinato»[9]. Ci troviamo cioè di fronte a un’ipotesi in cui «la rilevanza giuridica di una circostanza viene riferita non tanto al suo verificarsi come fenomeno empirico, quanto ad un aspetto valutativo di essa»[10]. Rispetto a queste ipotesi la dottrina avverte: «ciò non toglie che oggetto di prova e quindi di previa allegazione non sia la componente valutativa della determinazione del fatto ma la sua componente empirica (…) per stabilire se un danno è grave bisognerà accertare che un danno si è verificato, poi si valuterà se esso è o non è grave»[11].

Questo non serve a escludere che il giudice possa, in teoria, rigettare la domanda in limine litis per carenza di allegazione corrispondente alla fattispecie astratta. È difficile far degradare la gravità dei motivi a fatto secondario, rispetto al quale cioè, secondo una parte della dottrina, non vale l’onere di allegazione.

Bisogna tuttavia avvertire che in questi casi il rischio di arbitrio, specie da parte delle commissioni territoriali, è elevato, poiché la componente valutativa del fatto allegato è qui costituita da una clausola generale e non da un dato predeterminato, come può accadere quando, ad esempio, la norma richiede che la soglia di esposizione a un determinato agente patogeno produttiva di danno risarcibile sia almeno di 100 e l’attore prospetti egli stesso un’esposizione pari a 80. La gravità della situazione particolare nel Paese astrattamente sicuro non è quantificabile ex ante, ma si specifica in realtà solo all’esito dell’istruttoria.

B) Un secondo rischio, strettamente connesso a quello appena esposto, è che la valutatività della componente del fatto da allegare rifluisca sull’onere probatorio e sul dovere di cooperazione istruttoria.

Se infatti si afferma l’idea che «il dovere di cooperazione istruttoria, collocato esclusivamente dal versante probatorio, trova per espressa previsione normativa un preciso limite tanto nella reticenza del richiedente (in ciò risolvendosi l’omissione di uno sforzo ragionevole per circostanziare i fatti) quanto nella non credibilità delle circostanze che egli pone a sostegno della domanda. Si tratta quindi di deficienze, reticenza e non credibilità, parimenti riferibili al quadro delle allegazioni, di guisa che, intanto si concretizza il dovere di cooperazione istruttoria, in quanto si sia in presenza di allegazioni precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili. Compete insomma al richiedente innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria»[12], allora sarà facile concludere che in presenza di un’allegazione che, pur completa, si presenti poco credibile, vi sarà la tendenza – per le commissioni territoriali e i giudici alle prese con un richiedente asilo proveniente da un Paese sicuro – a rigettare la domanda facendo leva sul punto di minor resistenza, cioè sulla gravità dei motivi.

Il rischio è quello di creare un fatto notorio negativo (art. 115, comma 2, cpc).

Se invece dovesse farsi strada l’idea, che è stata illustrata da alcuni dei precedenti relatori e che a me pare l’unica percorribile, che il dovere di cooperazione istruttoria non sia annullato dalla scarsa credibilità del racconto del richiedente asilo, allora anche un racconto inverosimile, purché prospetti una situazione di oggettiva gravità, innescherà il dovere di cooperazione istruttoria.

In tale direzione si è indirizzata di recente la III sezione civile della Corte di cassazione, con una sentenza nella quale è stato perentoriamente affermato: «in materia di protezione internazionale, il giudice, prima di decidere la domanda nel merito, deve assolvere all’obbligo di cooperazione istruttoria, che non può essere di per sé escluso sulla base di qualsiasi valutazione preliminare di non credibilità della narrazione del richiedente asilo, dal momento che anteriormente all’adempimento di tale obbligo, egli non può conoscere e apprezzare correttamente la reale e attuale situazione dello Stato di provenienza e, pertanto, in questa fase, la menzionata valutazione non può che limitarsi alle affermazioni circa il Paese di origine. Ne consegue che solo ove queste ultime risultino immediatamente false, oppure la ricorrenza dei presupposti della tutela invocata possa essere negata in virtù del notorio, l’obbligo di cooperazione istruttoria verrà meno; alle stesse conclusioni, inoltre, dovrà giungersi qualora la difesa del ricorrente non esponga fatti storici idonei a rendere possibile l’esame della domanda, ovvero rinunci espressamente e motivatamente ad una delle possibili forme di protezione»[13].

C) Infine, bisogna fare attenzione a come la previsione sul rigetto della domanda amministrativa per manifesta infondatezza si rifletta sull’eventuale procedimento davanti all’autorità giudiziaria.

La mancata invocazione dei gravi motivi davanti all’autorità amministrativa è idonea a fondare anche un provvedimento di rigetto giudiziale per manifesta infondatezza oppure all’autorità giudiziaria è sempre consentito di verificare la sussistenza di tali motivi, eventualmente esercitando i poteri officiosi previsti dagli artt. 8, comma 3, e 27, comma 1-bis, d.lgs n. 25/2008[14]?

La prima lettura potrebbe trovare un aggancio nel fatto che la normativa non distingue tra domanda amministrativa e domanda giudiziale ai fini dell’esame dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale[15].

Tuttavia, il d.lgs n. 25/2008 è chiaro nel differenziare l’autorità competente a esaminare le domande di protezione (individuata nella commissione territoriale) e l’autorità competente a conoscere dei ricorsi contro i provvedimenti amministrativi delle commissioni (il tribunale, sezione specializzata in materia di immigrazione). Oltre all’art. 3, che opera questa distinzione in via generale, l’intero capo III del d.lgs n. 25/2008 è dedicato alle procedure di primo grado e alle decisioni della commissione territoriale, con pochi, sporadici e verosimilmente tassativi richiami alle ipotesi in cui i poteri dell’autorità amministrativa si estendono anche alla fase di impugnazione davanti al giudice (uno di questi casi è, appunto, quello della cooperazione istruttoria ex art. 27, comma 1-bis), mentre le procedure di impugnazione davanti all’autorità giudiziaria sono regolate separatamente, nel capo V.

Questa seconda strada è del resto assecondata da vari elementi: a) la natura del giudizio sulla domanda di protezione internazionale, che non si esaurisce in un mero sindacato di legittimità dell’atto amministrativo, ma consiste in un accertamento pieno della sussistenza del diritto, al punto che neppure la nullità del provvedimento amministrativo di diniego giustifica il suo mero annullamento[16]; b) la necessità, strettamente collegata alla natura del giudizio, che il giudizio sulla sussistenza del diritto alla protezione sia emesso dal giudice con riferimento all’attualità[17]; c) la perentorietà con cui l’art. 27, comma 1-bis, impone alla commissione territoriale e al giudice di acquisire d’ufficio le informazioni necessarie a integrare il quadro probatorio fornito dal richiedente.

Ove si acceda a tale lettura, l’omessa invocazione dei gravi motivi determinerà il rigetto della domanda per manifesta infondatezza solo nel procedimento amministrativo.

Davanti al giudice, il richiedente potrà far valere circostanze idonee a dimostrare la sua situazione particolare, sia che la domanda amministrativa fosse priva di ogni allegazione, sia che le deduzioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio siano nuove e diverse rispetto a quelle invocate con la domanda amministrativa. Il richiedente dovrebbe poter inoltre contestare il giudizio negativo espresso dalla commissione territoriale sulle circostanze fatte valere con la domanda amministrativa, sia che quest’ultima abbia giudicato non gravi i motivi per come allegati, sia che sia giunta a tale conclusione all’esito dell’istruttoria.

Questo dovrebbe stemperare anche il problema, pur esistente, della motivazione del provvedimento di rigetto della commissione territoriale, che, ai sensi del nuovo art. 9, comma 2-bis, d.lgs n. 25/2008, può limitarsi a dare atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi.

Delle due l’una, infatti:

- se il giudice può interamente sostituire la propria istruttoria a quella amministrativa per le ragioni che si sono dianzi illustrate, la motivazione tautologica o assente del provvedimento di rigetto avrà come unica, ancorché grave, conseguenza «di spostare interamente sull’eventuale fase giurisdizionale lo svolgimento dell’attività di accertamento del rischio tipica dei procedimenti d’asilo, non avendo il giudice la possibilità di beneficiare di un provvedimento motivato da parte della Commissione territoriale»[18];

- se, invece, si dovesse ritenere che la motivazione del provvedimento amministrativo, “autorizzata” dal nuovo art. 9, comma 2-bis, vincoli anche il giudice, le forti perplessità sulla legittimità di tale previsione rispetto al diritto eurounitario, convenzionale e costituzionale si accrescerebbero, poiché verrebbe minato alla radice il diritto fondamentale a un ricorso giurisdizionale effettivo sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[19].

 

3.3. La sospensione dell’efficacia del provvedimento amministrativo

Un ulteriore significativo effetto dell’approvazione del d. intermin. sui Paesi sicuri è quello di aver reso operativa la disposizione, anch’essa introdotta dal dl n. 113/2018, che esclude che il ricorso giudiziale produca l’effetto sospensivo automatico dell’efficacia del provvedimento di rigetto della domanda amministrativa, nel caso in cui tale rigetto avvenga per manifesta infondatezza[20].

Per evitare il rischio di immediata espulsione, al richiedente asilo resta aperta la sola strada di chiedere una sospensione cautelare al giudice davanti al quale il provvedimento amministrativo è impugnato (art. 35-bis, comma 4, d.lgs n. 25/2008).

Tali previsioni non sembrano porsi in aperto contrasto né con il diritto Ue, né con la Cedu.

Quanto al diritto Ue, l’art. 46, par. 5 della direttiva procedure contempla di fatto l’effetto sospensivo automatico del ricorso giurisdizionale, allorché stabilisce che «gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso», ma fa espressamente salvo il successivo par. 6, in cui è appunto regolata l’ipotesi della domanda amministrativa rigettata per manifesta infondatezza: in tal caso, l’autorizzazione a rimanere nel territorio deve essere concessa dal giudice, su istanza del richiedente o d’ufficio, e salve disposizioni più favorevoli del diritto nazionale.

Quanto alla Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo è molto attenta ai rischi di compromissione dei diritti fondamentali che possono derivare dall’allontanamento dal territorio, vuoi nell’ipotesi pura di espulsione, vuoi quando l’espulsione avvenga nel corso di una procedura d’asilo, per difetto dei presupposti per il riconoscimento della protezione.

Tale attenzione non si traduce, tuttavia, in una immediata contrarietà alla Convenzione delle normative nazionali che rendano più difficile l’esercizio di difesa in tali casi. Secondo la giurisprudenza della Corte Edu, lo scrutinio giurisdizionale deve essere attento, indipendente e rigoroso rispetto ai rischi del rimpatrio, ma la domanda che tale scrutinio sollecita deve essere «difendibile» («arguable claim»)[21].

Ciò vuol dire che il mancato riconoscimento dell’effetto sospensivo automatico in caso di domanda manifestamente infondata, cioè “non difendibile”, non si pone in contrasto aperto con la Cedu[22].

Si è tuttavia osservato in dottrina, con riferimento al ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione, che «la sua effettività è subordinata alla circostanza che in sede cautelare sia data un’interpretazione in senso convenzionalmente orientato della nozione di “gravi e circostanziate ragioni” che giustificano la sospensione, quale mero accertamento della “difendibilità” della doglianza, senza richiedere una prova compiuta della sussistenza del rischio. Si giungerebbe, altrimenti, al paradosso che al richiedente sarebbe chiesto in sede cautelare di dimostrare più di quanto non gli sia richiesto nella fase di merito»[23].

 


1. Per una puntuale rassegna, Paese per Paese, della situazione socio-politica e delle ragioni che renderebbero ingiustificata l’inclusione di ciascun Paese nell’elenco, vds. Asgi, Nota di commento del decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale 4 ottobre 2019 sull’elenco dei Paesi di origine sicuri, 27 novembre 2019, www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/11/Nota-ASGI-commento-d.M.A.E.-4-10-2019-paesi-sicuri-definitivo-27-11-2019.docx.pdf.

2. F. Venturi, Il diritto di asilo: un diritto “sofferente”. L’introduzione nel diritto italiano del concetto di “Paesi di origine sicuri” ad opera della legge 132/2018 di conversione del c.d. “decreto sicurezza”, in Dir. imm. citt., n. 2/2019, p. 149.

3. Si vedano al riguardo le decisioni della prima sezione, nn. 11106, 21106, 21107, 21108, 21109, 21110, 21111, 25102, 25103, 25107 del 2019.

4. Cass., sez. I, 22 maggio 2019, n. 13897, Rv. 654174-01; Cass., sez. I, 17 maggio 2019, n. 13449, Rv. 653887-01; Cass., sez. I, 26 aprile 2019, n. 11312, non massimata.

5. Vds. F. Venturi, Il diritto di asilo: un diritto “sofferente”, op. cit., pp. 187 ss., spec. p. 188, secondo cui una diversa soluzione determinerebbe «una grave lesione dei principi, costituzionalmente garantiti, di parità di trattamento e di tutela del legittimo affidamento di quei medesimi richiedenti protezione internazionale». La dottrina processualcivilistica cui questo Autore fa riferimento è G. Verde, Prova, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXVII, Giuffrè, Milano, 1988. Sull’affidamento come criterio-guida nella valutazione sulla legittimità di una legge retroattiva, vds. M. Luciani, Il dissolvimento della retroattività, in Giur. it., 2007, cc. 1833 ss. e A. Pugiotto, Il principio d’irretroattività preso sul serio, in C. Padula (a cura di), Le leggi retroattive nei diversi rami dell’ordinamento, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018.

6. Vds. tra le più recenti, all’interno però di filoni consolidati, Cass., sez. V, 19 dicembre 2019, n. 33893, in corso di massimazione; Cass., sez. II, 13 dicembre 2019, n. 32992, Rv. 656219-01.

7. Per una riflessione sui falsi miti che circondano il principio di disponibilità delle prove, vds. M. Taruffo, L’istruzione probatoria, in Id. (a cura di), La prova nel processo civile, in A. Cicu - F. Messineo - L. Mengoni - P. Schlesinger (dir.), Trattato di diritto civile e commerciale, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 93 ss.

8. Vds. M. Taruffo, L’istruzione probatoria, op. ult. cit., p. 113 e ivi riferimenti.

9. Vds. M. Taruffo, Fatti e prove, in Id. (a cura di), La prova nel processo civile, op. cit., p. 20.

10. Ivi, p. 21.

11. Ibid.

12. Cass., sez. II, 11 agosto 2020, n. 16925; Cass., sez. I, 12 giugno 2019, n. 15794, Rv. 654624-02; Cass., sez. VI-1, 19 febbraio 2019, n. 4892, Rv. 652755-01; Cass., sez. VI-1, 12 novembre 2018, n. 28862, Rv. 651501-01; Cass., sez. VI-1, 27 giugno 2018, n. 16925, Rv. 649697-01. All’interno di tale indirizzo vi è poi un’ulteriore diversificazione, tra chi (Cass., sez. I, 12 giugno 2019, n. 15794) sostiene che la valutazione di credibilità debba essere compiuta con riferimento a qualsiasi tipo di protezione internazionale e chi invece (Cass., sez. I, 24 maggio 2019, n. 14283, Rv. 654168-01; Cass., sez. III, 12 maggio 2020, n. 8819, Rv. 657916-03) la esclude per le domande volte a ottenere la protezione sussidiaria dell’art. 14, lett. c, d.lgs n. 251/2007, atteso che in tale forma di protezione, resa necessaria dalla presenza di violenza indiscriminata nel Paese di origine, l’individualizzazione è indifferente.

13. Cass., sez. III, 12 maggio 2020, n. 8819, Rv. 657916-04.

14. Previsione, la seconda, introdotta dall’art. 5, comma 1, lett. b-quater, dl n. 119/2014, convertito, con mod., dalla l. n. 146/2014.

15. Sembra aderire a questa impostazione, pur con forti accenti critici, F. Venturi, Il diritto di asilo: un diritto “sofferente”, op. cit., p. 172.

16. La natura dichiarativa è stata più volte affermata dalla giurisprudenza di legittimità (vds. da ultimo Cass., sez. unite, 13 novembre 2019, n. 29459, Rv. 653931-01 e 653931-02; Cass., sez. I, 15 maggio 2019, n. 13086, Rv. 654172-01; Cass., sez. unite, 12 dicembre 2018, n. 32177, non massimata; Cass., sez. VI-1, 29 ottobre 2018, n. 27337, Rv. 651147-01), in linea del resto con l’art. 46, par. 13, direttiva 2013/32/UE e con la giurisprudenza della Corte di giustizia Ue (vds. la sentenza 14 maggio 2019, cause C-391/16, C.77/17 e C-77/18). In dottrina vds. C. Pitea, La nozione di “Paese di origine sicuro” e il suo impatto sulle garanzie per i richiedenti protezione internazionale in Italia, in Riv. dir. internaz., n. 3/2019, p. 642.

17. Sulla necessità di una valutazione compiuta all’attualità e, dunque, di un esercizio penetrante dei poteri officiosi di cooperazione istruttoria, vds. di recente Cass., sez. VI-1, 19 giugno 2019, n. 16411, Rv. 654716-01; Cass. sez. I, 22 maggio 2019, n. 13897, Rv. 654174-01; Cass., sez. VI-1, 17 aprile 2018, n. 9427, Rv. 648961-01; la sentenza capostipite al riguardo può essere considerata Cass., sez. unite, 17 novembre 2008, n. 27310, Rv. 605498-01. Nella giurisprudenza della Corte Edu, vds. la sentenza del 23 maggio 2007, Salah Sheek c. Paesi Bassi, che ha affermato la necessità di un «full and ex nunc assessment» della situazione del Paese di origine e di eventuale rimpatrio. In dottrina, vds. C. Pitea, La nozione di “Paese di origine sicuro”, op. cit., p. 642; M. Acierno e M. Flamini, Il dovere di cooperazione del giudice, in Dir. imm. citt., n. 1/2017, pp. 5 e 18.

18. C. Pitea, La nozione di “Paese di origine sicuro”, op. cit., p. 652.

19. Ivi, p. 642. Sul principio di effettività come presidio della tutela giurisdizionale in materia di protezione internazionale vds. M. Acierno e M. Flamini, Il dovere di cooperazione, op. cit., p. 11.

20. Per osservazioni fortemente critiche su tale effetto vds. F. Venturi, Il diritto di asilo: un diritto “sofferente”, op. cit., pp. 176 ss.

21. Vds. Corte Edu, 2 aprile 2013, Hussein c. Paesi Bassi e Italia.

22. Di recente vds. Corte Edu, 21 novembre 2019, Ilias e Ahmed c. Ungheria, in cui la Corte di Strasburgo ha ribadito che essa, non costituendo un giudice di prima istanza, non può valutare l’attendibilità di una domanda di asilo e non può sindacare le scelte legislative di uno Stato che abbia scelto di dettare delle condizioni di ammissibilità della domanda molto rigorose, anche con riferimento ai Paesi sicuri; tuttavia, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che, avendo lo Stato valutato nel merito la domanda di asilo, un problema di “difendibilità” della stessa non si poneva. Sul tema vds. S. Bolognese, Il diritto di asilo costituzionalmente garantito versus il concetto di “Stato terzo sicuro” nel parere dell’Assemblea generale del Consiglio di Stato francese, in questa Rivista online, 3 ottobre 2018, p. 9, www.questionegiustizia.it/articolo/il-diritto-di-asilo-costituzionalmente-garantito-v_03-10-2018.php.

23. C. Pitea, La nozione di “Paese di origine sicuro”, op. cit., p. 658.