Magistratura democratica

Il giudizio a cognizione piena innanzi al tribunale

di Silvia Izzo

L’Autrice offre una panoramica delle principali novità introdotte dal d.lgs n. 149/2022 con riferimento al giudizio a cognizione piena innanzi al tribunale, fortemente modificato rispetto alla struttura della fase introduttiva e, di conseguenza, di quelle successive, non mancando di evidenziare – pur ancora senza il confronto della prassi – una certa sfiducia nelle soluzioni prescelte in termini di semplificazione e riduzione dei tempi per l’accertamento. 

1. Premessa / 2. Uno sguardo d’insieme / 3. La fase introduttiva e la costituzione delle parti / 4. La definizione del thema decidendum e probandum. Gli ulteriori contenuti delle «verifiche preliminari» / 4.1. Le «memorie integrative» / 5. La geometria variabile dell’udienza di prima comparizione e trattazione / 6. La fase istruttoria / 7. La fase decisoria / 7.1. Altre modalità di definizione del processo. Le ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda / 8. Un’amara conclusione

 

1. Premessa

Chi scrive rientra tra quanti non ritenevano necessaria e neppure utile una ulteriore riforma delle regole processuali, articolata, peraltro, lungo le medesime coordinate già sperimentate nell’ultimo ventennio e, dunque, sull’ennesima estensione dell’ambito di applicazione delle condizioni di procedibilità della domanda, sull’irrigidimento della disciplina delle spese e delle sanzioni processuali, sulla sommarizzazione dell’accertamento. Il mantra, ripetuto sempre uguale a ogni nuovo intervento legislativo, è quello della necessità di un recupero dell’efficienza del settore, capace di incidere favorevolmente sul Pil in modo da vincere le resistenze che una giustizia civile lenta e dagli esiti incerti genera negli investitori. Al mantra, stavolta, si è aggiunto il condizionamento dell’accesso ai fondi di Next Generation EU ad un processo civile più celere. Infine, per accedere alla seconda tranche del piano di finanziamento europeo, l’entrata in vigore del d.lgs n. 149/2022, in origine fissata al 30 giugno 2023, è stata frettolosamente anticipata attraverso una disciplina transitoria[1] lacunosa e foriera di non poche incertezze interpretative[2].

Eppure, è noto che l’imprevedibilità del quadro normativo, tanto sotto il profilo della sua precaria stabilità quanto con riferimento alla qualità dei precetti che lo compongono, impedisca ai decisori privati e pubblici di stimare correttamente i presupposti e gli effetti economici del proprio operato, disincentivando gli investimenti e impedendo scelte efficienti e razionali nell’economia pubblica, con inevitabili conseguenze sul piano del prodotto interno lordo del Paese[3]. Tale considerazione costituisce, d’altronde, l’assunto di partenza di quegli osservatori internazionali alla stregua dei quali l’esercizio della giurisdizione, più che una funzione coessenziale allo Stato di diritto, ha finito con il diventare indice o sotto-indice di qualità delle economie statali e di misurabilità del «Doing business»[4]. Per tali ragioni, gli studi economici rappresentano che l’intervento riformatore risulta opportuno soltanto là dove effettivamente migliorativo in termini di qualità e chiarezza del tessuto normativo[5]

Con riferimento alla legislazione processuale, questi tratti risultano ancor più evidenti ove si consideri quanto negativamente incidano sulla funzionalità e la durata del processo e, di conseguenza, sull’effettività della tutela giurisdizionale, le “inefficienze” determinate dall’affastellarsi di una moltitudine di discipline intertemporali e l’instabilità dell’interpretazione di norme di nuovo conio, specie se oscure o asistematiche[6]. Pertanto, nella consapevolezza che è «impossibile pensare a discipline processuali nate con l’ambizione di valere sub specie aeternitatis», chi scrive dubita fortemente della scelta effettuata col cimentarsi nell’edificazione dell’ennesima «grande cattedrale» al fine di raggiungere gli ambiziosi risultati negoziati in sede europea in termini di riduzione dei carichi e dei tempi della giustizia civile[7]. Sarebbe stato più opportuno limitarsi a interventi di semplificazione e razionalizzazione dell’esistente, ovvero, per rimanere nella metafora, costruire «edifici, eventualmente modesti, ma capaci di continui adattamenti»[8]

Con riferimento peculiare all’oggetto di queste riflessioni, ovvero alla nuova disciplina del giudizio di primo grado a cognizione ordinaria, si è invece conseguito l’effetto opposto. Si è consegnato agli operatori un modello processuale rigido, troppo complesso per le cause semplici e foriero di complessità per quelle che non lo sono. Un modello ben distante, insomma, dall’obiettivo dichiarato di «assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo»[9]

Non a caso, nei diversi convegni, webinar, mailing list e protocolli tra uffici giudiziari e consigli dell’ordine degli avvocati vengono avanzate le più disparate interpretazioni, volte a superare, soprattutto con riferimento alla fase introduttiva e ancor prima alla scelta del rito, l’eccessiva rigidità della struttura consegnata dal legislatore a interpreti e operatori. L’impressione che se ne trae è che sia stato praticamente azzerato l’ambito dei poteri del giudice «intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento», di cui riferisce l’art. 175.

 

2. Uno sguardo d’insieme

Pochi accorgimenti migliorativi, e non già una decisa rivoluzione, sarebbero stati preferibili anche a giudizio della «Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi» presieduta da Francesco Paolo Luiso[10]. Nella Relazione finale, si esprimeva la convinzione che «la fase introduttiva e di trattazione del giudizio di primo grado, una volta fissato il mantenimento del rito ordinario accanto a quello semplificato», non postulasse, di per sé nessuno stravolgimento dell’esistente, bensì richiedesse «alcune modifiche, volte ad incrementar[ne] la flessibilità»[11]. Pertanto, con la cd. «proposta A», si era suggerito un intervento sull’art. 183, comma 6, che offrisse al giudice maggiore spazio di manovra consentendo, per esempio, lo scambio soltanto di alcune delle memorie ivi previste, senza alterare la collocazione e le attività della prima udienza, né il sistema delle preclusioni in punto di allegazione e prova. Espressamente si osservava come «La negativa esperienza del c.d. processo societario induce[sse] a non ripetere gli errori commessi». Al contrario, il legislatore, deviando sia da questa principale proposta sia da quella, più radicale, formulata in alternativa (cd. «proposta B»), proprio a quella «negativa esperienza» ha inteso orientare la disciplina di nuovo conio[12]

La cognizione ordinaria riformata risulta, infatti, articolata riproponendo (con qualche correttivo) il modello previsto dall’abrogato d.lgs n. 5/2023 e, dunque, colloca l’attività di definizione del thema decidendum e probandum in una fase antecedente alla celebrazione della prima udienza, con l’obiettivo di consentire al giudice di giungervi già in grado di provvedere sulle istanze istruttorie ovvero – ove possibile – di rimettere immediatamente la causa in decisione. 

Il legislatore delegato, saggiamente memore dell’esperienza del rito utilizzato come archetipo, con licenza rispetto alla delega, ha inserito uno spazio dedicato alle «verifiche preliminari» del giudice successivo allo scambio degli atti introduttivi e prodromico rispetto alle conseguenti attività di allegazione delle parti. 

Sempre rimanendo nell’ambito di uno svolgimento fisiologico del processo, la prima udienza torna ad essere sede del tentativo di conciliazione, eventualmente accompagnato da una proposta del giudice, opzione che consentirebbe un’ancora più rapida definizione del giudizio (art. 185-bis). In ogni caso, essa è luogo deputato alla programmazione delle attività successive attraverso la predisposizione del calendario del processo, all’uopo rafforzato. L’art. 80-bis delle disposizioni attuative stabilisce, infatti, che «Il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario da parte del giudice, del difensore o del consulente tecnico d’ufficio» possa costituire violazione disciplinare, nonché essere «considerato ai fini della valutazione di professionalità̀e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi». 

La fase decisoria – sia per le cause di competenza collegiale sia per quelle affidate al giudice in composizione monocratica – riproduce con qualche modifica la disciplina previgente, finendo, anche in questo caso, per complicare il quadro sul quale interviene. Si collocano nell’ambito del giudizio ordinario riformato altresì le due ordinanze decisorie di nuovo conio disciplinate dagli artt. 183-ter e quater, nonché il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, di cui al novellato art. 363-bis[13]

 

3. La fase introduttiva e la costituzione delle parti

Andando per ordine, le modifiche apportate ai requisiti di contenuto forma dell’atto di citazione e della comparsa di risposta – pur non particolarmente impattanti se considerate in sé e per sé, né foriere di nullità – si collocano e risultano coerenti con la totale revisione della fase introduttiva del giudizio. Leggendo il testo riformato dell’art. 163, comma 1, n. 7, attraverso i suoi rimandi ai termini di costituzione del convenuto, si ha immediatamente la misura della dilatazione del tempo di accesso alla giurisdizione e al giudice. Il contatto tra quest’ultimo e le parti, già insopportabilmente procrastinato in concreto dal grave sovraccarico della maggior parte dei tribunali italiani, viene ulteriormente ritardato dall’estensione delle ipotesi di mediazione obbligatoria[14] e da una disciplina che – come anticipato – colloca l’udienza di comparizione al termine dello scambio di una pluralità di scritti difensivi tendenzialmente destinati a definire il quod decidendum et probandum

Pertanto, i giorni liberi che debbono intercorrere dalla notificazione dell’atto di citazione all’udienza di comparizione ivi individuata passano da 90 a 120, senza possibilità di chiederne l’abbreviazione fino alla metà (art. 163-bis), atteso che nel lasso di tempo così individuato si collocano le «verifiche preliminari» del giudice, previste dal novellato art. 171-bis e il successivo scambio tra le parti delle memorie integrative di cui all’art. 171-ter

L’art. 163, comma 1, n. 7 onera l’attore di informare il convenuto anche dell’obbligo di difesa tecnica, ove sussistente, nonché della possibilità di presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Inoltre, ai sensi del n. 3-bis della medesima disposizione, l’attore dovrà indicare di aver assolto gli oneri che incidono sulla procedibilità della domanda[15].

Infine, questa volta con conseguenze che potrebbero avere qualche rilievo sugli sviluppi del processo, l’attore dovrà esporre i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda «in modo chiaro e specifico» e agli stessi requisiti di redazione il convenuto dovrà attenersi nella comparsa di risposta nel «prendere posizione sui fatti esposti» dalla controparte. 

Ferma la sinteticità che dovrà caratterizzare (assieme alla chiarezza) «tutti gli atti del processo» (art. 121), l’esplicitazione in questa sede degli oneri di redazione non può in ogni caso costituire vizio degli stessi, salvo immaginarne qualche riverbero sulle modifiche alla disciplina della nullità dell’atto di citazione che – intoccato il testo dell’art. 164 – emerge però dall’art 183-quater, rubricato «ordinanza di rigetto della domanda»; come pure, all’inverso, potrebbe sostenere l’istanza di definizione del processo con «ordinanza di accoglimento della domanda» – istituto previsto dal precedente e speculare art. 183-ter cpc (cfr., infra, par. 7.1.) –, ove contribuisse a una valutazione della stessa in termini di manifesta fondatezza. 

Neppure con riferimento al convenuto la previsione espressa della specificità è, in realtà, foriera di novità: è noto che la contestazione analitica delle circostanze allegate dalla controparte costituisca per costante giurisprudenza principio generale «che discende dagli oneri processuali (…) ricavabile dall’art. 167 c.p.c. e come tale proprio di qualunque giudizio»[16]. Né la modifica apportata può essere intesa quale limite temporale all’esercizio della contestazione, attesi i contenuti delle memorie integrative disciplinate dall’art. 171-ter

Costituiscono un’innovazione assoluta, invece, le «verifiche preliminari» che il giudice è tenuto a effettuare successivamente allo scambio degli atti introduttivi e, segnatamente, entro i 15 giorni dalla scadenza del termine di costituzione delle parti. 

Come anticipato, la previsione dell’art. 171-bis risponde in primo luogo all’esigenza di correggere le storture e i ritardi che hanno caratterizzato la (breve) vita del processo societario. Rimandare il controllo sulla corretta introduzione del giudizio a un momento avanzato della trattazione avrebbe significato nuovamente correre il serio rischio di dover ripetere le attività assertive e asseverative compiute con le «memorie integrative», in assenza dei necessari presupposti. 

Dunque e naturaliter, il primo contenuto delle verifiche preliminari atterrà ai profili relativi alla notificazione e al contenuto formale dell’atto di citazione e della comparsa contenente domande riconvenzionali (art. 164), all’evocazione delle giuste parti del giudizio (art. 102) e alla regolare costituzione delle stesse (artt. 182[17], 291, 292), cui – in caso di vizi, irregolarità o necessità di integrazione – conseguirà l’adozione con ordinanza delle misure necessarie alla sanatoria[18], nonché la fissazione con decreto, della «nuova udienza per la comparizione delle parti». Lo spostamento della data d’udienza sarà, inoltre, necessario nel caso in cui il convenuto abbia chiamato un terzo in causa. L’immutata necessità di garantire a quest’ultimo termini di “comparizione” pari a quelli del convenuto originario impone, dunque, di fissare nuovamente l’udienza nel rispetto dei termini di cui all’art. 163-bis.

Il giudice sarà in ogni caso tenuto, con decreto, a confermare o fissare una nuova data di udienza posticipandola fino a un massimo di 45 giorni (analogamente a quanto previsto dal vigente art. 168 cpc). 

Infatti, qualunque sarà l’interpretazione che la prassi di uffici giudiziari sovraccarichi adotterà, l’art. 171-ter àncora i termini (a ritroso) di deposito delle memorie integrative delle parti alla data dell’udienza di comparizione confermata o fissata dal giudice con decreto. Va, tuttavia, ricordato che la Corte di cassazione ha di recente confermato che la mancata assegnazione dei termini di cui all’art. 190 cpc per il deposito di memorie conclusionali e repliche «non comporta la nullità “ipso iure” della sentenza, qualora tra l’udienza di precisazione delle conclusioni e il deposito della stessa siano comunque intercorsi i termini sanciti dalla predetta disposizione»[19]. Esportando il ragionamento a quelli previsti dall’art. 171-ter, potrebbe ritenersi analogamente che là dove la data d’udienza sia sta individuata dall’attore nel rispetto della legge, non sia necessaria l’adozione del decreto del giudice per procedere alle attività successive[20]

Va rimarcato che la revisione della fase introduttiva ha comportato una modifica dei termini di costituzione del convenuto, che ha l’onere di provvedervi nei 70 giorni precedenti l’udienza, anziché nei 20 finora previsti dall’art. 166, con una conseguente riduzione a 50 giorni del tempo necessario alla predisposizione delle difese. Al contrario, non sono mutati i termini per la costituzione tempestiva dell’attore, che rimangono individuati nei 10 giorni successivi alla notificazione della citazione. Il “tempo” in cui verificare l’eventuale contumacia delle parti viene in ogni caso fatto coincidere con quello di costituzione del convenuto e, dunque, risulta anticipato rispetto alla prima udienza, con ricadute di non poco momento. 

La disciplina del processo contumaciale troverà applicazione prima del contatto reale tra giudice e parti, dovendo essere dichiarata ai sensi e nei termini dell’art. 171-bis, sicché in presenza di parti non costituite nei termini di cui all’art. 167, «le memorie integrative» e «le comparse (…) contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte» dovranno essere loro notificate personalmente. Perde, in tal modo, di rilievo la differenza tra costituzione tempestiva e tardiva del convenuto, che finora, oltre ad avere un significato normativo specifico, era stata scandita da luoghi e tempi processuali ben definiti. L’ipotesi in cui la costituzione di quest’ultimo intervenga oltre il termine indicato dall’art. 166, ma prima che il giudice provveda ai sensi dell’art. 171-bis, non evita infatti la dichiarazione di contumacia (come pure è stato proposto)[21] ma comporta, esclusivamente, l’impossibilità di proporre domande riconvenzionali ed eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio, ivi compresa quella di competenza. Sicché l’avvertimento di cui all’art. 163, comma 1, n. 7 avrebbe dovuto coerentemente contenere anche quest’ultimo riferimento[22]

La disciplina, inoltre, presenta una lacuna o quantomeno un difetto di coordinamento con riferimento alla posizione dell’attore. Ai sensi dell’art. 171, comma 3, quest’ultimo, per evitare la dichiarazione di contumacia, può giovarsi del lasso di tempo che va dai 10 giorni successivi alla notificazione della citazione (art. 165) fino ai 70 che precedono l’udienza di prima comparizione da lui stesso fissata (art. 166), senza che la costituzione tardiva determini conseguenze di sorta[23]. Tuttavia, attraverso il richiamo dei soli artt. 291 e 292, l’art. 171-bis considera esclusivamente la posizione del convenuto, né è stato oggetto di modifica l’art. 290, che individua nell’udienza di prima comparizione il luogo in cui il giudice, a fronte della contumacia dell’attore, deve ordinare la cancellazione della causa dal ruolo e la conseguente estinzione del processo, salvo che il convenuto costituito proponga istanza per la prosecuzione del giudizio. Stando alla nuova disciplina, dunque, quest’ultimo non potrebbe ottenere il provvedimento di absolutio ab instantia prima di giungere innanzi al giudice. La disciplina finisce dunque col tradire la ratio della previsione – che è, per l’appunto, quella di evitare il costo di attività ulteriori e inutili – con buona pace, oltretutto, dell’obiettivo di ridurre i tempi del processo e più radicalmente il numero di quelli pendenti. 

Pertanto, pur nel silenzio della legge, chi scrive ritiene che il giudice che, ai sensi dell’art. 171-bis, comma 1, rilevi che l’attore non si sia costituito nei termini, possa senz’altro dichiararne la contumacia e, con il medesimo provvedimento, sollecitare il convenuto a manifestare la propria intenzione sulla prosecuzione del processo fin nella prima memoria integrativa. Così facendo, sia la dichiarazione espressa, sia il mancato deposito dell’atto difensivo[24] consentirebbero al giudice di provvedere immediatamente alla cancellazione della causa dal ruolo e alla dichiarazione di estinzione del processo senza dover attendere l’udienza. 

 

4. La definizione del thema decidendum e probandum. Gli ulteriori contenuti delle «verifiche preliminari» 

Alla definizione dell’oggetto del giudizio, anche nel regime riformato, contribuisce anche il giudice. Sicché, nei tempi indicati dall’art. 171-bis, al pari di quanto avveniva in prima udienza, egli può indicare «alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione». Si tratta, senz’altro, delle questioni dalle quali può dipendere la definizione del giudizio – e, dunque, attinenti ai presupposti processuali e alle condizioni dell’azione –, la cui risoluzione potrebbe condurre al passaggio immediato in decisione (art. 187), come pure vi rientrano «le condizioni di procedibilità della domanda» e la «sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato» espressamente richiamate dalla disposizione. Come per il passato, il giudice, poi, può evidenziare ogni altra questione rilevabile d’ufficio, anche di «puro fatto», che emerga dagli atti introduttivi di cui ritenga opportuna o finanche dirimente la trattazione. 

L’art. 171-ter prosegue statuendo che le questioni rilevate d’ufficio siano «trattate dalle parti nelle memorie integrative di cui all’articolo 171-ter», contribuendo a definire i temi di rilievo, nel rispetto del disposto dell’art. 101 – decisamente rafforzato dall’ultima riforma – che onera il giudice dall’assicurare il principio del contraddittorio anche ove operi fuori udienza. 

Tra le diverse ipotesi finora evidenziate, ve ne sono alcune per le quali è sicuramente ultronea la necessità dello scambio di tre memorie. Si pensi al mancato assolvimento di una condizione di procedibilità, fattispecie per la quale sarebbe opportuno che il giudice provveda immediatamente a spostare l’udienza di prima comparizione – e le conseguenti attività difensive – in modo da consentirne il previo superamento. L’art. 163, comma 1, n. 3-bis, d’altronde, prevede espressamente che l’attore indichi nell’atto di citazione di avervi provveduto, cosicché subordinare il necessario rinvio dell’udienza all’esercizio del contraddittorio delle parti sul punto appare del tutto ultroneo, non trattandosi peraltro di questione dalla cui decisione, in prima battuta, può dipendere l’esito della causa. 

Ugualmente ultroneo appare il deposito delle memorie successivamente al rilievo, da parte del giudice, dell’esistenza dei presupposti di applicazione necessaria delle forme semplificate di cognizione di cui all’art. 281-decies. All’opportunità, ad avviso di chi scrive, non corrisponde tuttavia la praticabilità di una soluzione alternativa. L’art. 181-bis, infatti, dispone che il giudice vi provveda con ordinanza non impugnabile all’udienza di trattazione. Ne consegue la totale inutilità della prevista “segnalazione” e dell’interlocuzione delle parti sul punto, a meno di ammettere, come pure è stato proposto con un’interpretazione sostanzialmente abrogativa della disposizione, che il giudice, «ove ritenga opportuno convertire il rito», possa «limitarsi a fissare l’udienza, senza ulteriore scambio di memorie, ed interloquire con le parti sulla conversione», esercitando ex art. 175 «tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento», così anticipando il “contatto” con le parti[25]

La complessità del disegno generale è evidente già in astratto. Diventa insostenibile ove si consideri, in concreto, che la situazione di affanno dei tribunali renderà difficilmente esigibile il rispetto del termine di 15 giorni indicato dall’art. 171-bis, termine dal quale, ex lege, prendono avvio le attività successive. 

Se è vero che l’oralità non può essere considerata alla stregua di un dogma, è altrettanto vero che il quadro emergente dalla riforma appesantisce insopportabilmente situazioni processuali agevolmente superabili in udienza sol perché le colloca in uno schema a contraddittorio scritto, necessariamente differito e rigido, che non farà altro che dilatare ancor più di oggi i tempi dell’accertamento. 

 

4.1. Le «memorie integrative»

Fissata o confermata con decreto l’udienza di comparizione, le parti, ivi compreso l’eventuale terzo chiamato dal convenuto, proseguiranno nell’attività di definizione del perimetro soggettivo e oggettivo del giudizio attraverso lo scambio degli scritti difensivi previsti dall’art. 171-ter

Dalla lettura della disposizione si evince che i contenuti delle tre «memorie integrative» corrispondono in gran parte a quanto dispone l’art. 183, comma 6, per la cd. appendice di trattazione scritta, tuttora applicabile ai processi pendenti al 28 febbraio 2023. Rispetto a queste ultime, tuttavia, le “nuove” memorie si arricchiscono di temi ulteriori, in conseguenza delle «questioni rilevabili d’ufficio» indicate dal giudice in sede di verifiche preliminari. Si tratta nondimeno, come anticipato, di un’interlocuzione non destinata a imprimere una diversa svolta al processo, atteso che, finanche a fronte di una questione pregiudiziale impediente l’esame del merito, il luogo in cui il giudice potrà disporre la rimessione della causa in decisione rimane individuato nell’udienza ex art. 183. 

Si tratta di un indubbio spreco di tempi e attività processuali a fronte di situazioni che incidono sulla stessa ammissibilità del giudizio ovvero sulla sua prosecuzione innanzi al giudice adito; in tali casi, con evidenza, postergare la conseguente decisione allo scambio di tre memorie costituisce un peggioramento della disciplina previgente. È del tutto ultroneo ricordare, infatti, che la giurisprudenza ha costantemente escluso la necessità di concedere termini per la trattazione scritta a fronte della possibilità di rimettere immediatamente la causa in decisione ai sensi dell’art. 187, possibilità oggi senza dubbio preclusa dalla disciplina di nuovo conio, salvo a volerne forzare la lettera con ricadute non prevedibili, in quanto basate sulle determinazioni dei singoli giudici investiti della controversia. 

Venendo alle attività realmente relative alla progressiva definizione dell’oggetto del processo, la prima memoria – da depositarsi entro i 40 giorni precedenti all’udienza confermata o nuovamente fissata – è il luogo in cui l’attore deve, a pena di decadenza, proporre le domande e le eccezioni nuove che sono conseguenza delle eccezioni proposte dalle parti costituite, nonché chiedere l’autorizzazione alla chiamata in causa di un terzo. Tutte le parti possono precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte. 

Nella seconda memoria – da depositarsi entro i 20 giorni precedenti all’udienza – trovano spazio le attività di replica rispetto ai nova emersi dallo scritto precedente, nonché l’articolazione a pena di decadenza della richiesta di prova diretta e i depositi documentali. La terza e ultima memoria – da depositarsi entro i 10 giorni precedenti all’udienza – è invece destinata alla richiesta della sola prova contraria, oltre che a contenere le repliche rispetto a quanto articolato dalle controparti in precedenza. Fatta salva la complicazione derivante dall’autorizzazione alla chiamata del terzo da parte dell’attore, che avverrà in udienza e, dunque, successivamente allo scambio delle memorie tra le parti fino a quel momento costituite, il testo riformato ripropone, dunque, per la definitiva perimetrazione dell’oggetto del processo, quanto era previsto dal richiamato art. 183, comma 6[26]

 

5. La geometria variabile dell’udienza di prima comparizione e trattazione

La prima udienza assume, dunque, nell’intenzione del legislatore, un valore centrale per la sollecita definizione del giudizio: thema decidendum e probandum sono stati tendenzialmente definiti, con la conseguenza che la causa potrebbe rapidamente proseguire verso la decisione di merito. 

Prima di analizzare i diversi scenari che emergono dall’art. 183 riformato, va specificato che sarà questa la sede per la dichiarazione di estinzione del giudizio nel caso di contumacia di entrambe le parti e in quello in cui gli ordini di rinnovazione, integrazione o sanatoria relativi alla regolare introduzione del giudizio non siano stati ottemperati. 

In realtà, per la specifica ipotesi della mancata sanatoria della nullità dell’atto di citazione per vizi dell’editio actionis, l’art. 183-quater (tra l’altro) stabilisce che il giudice «nel corso del giudizio di primo grado, all’esito dell’udienza di cui all’articolo 183, può pronunciare ordinanza di rigetto della domanda (…) se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito di cui all’articolo 163, terzo comma, n. 3), e la nullità non è stata sanata o se, emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al numero 4), terzo comma del predetto articolo 163». Coordinare le tradizionali conseguenze della mancata “sanatoria” dell’atto di citazione con la nuova modalità di definizione della lite, attivabile esclusivamente su istanza di parte, non appare affatto agevole. A tal proposito, va ricordato che il legislatore delegato ha opportunamente soprasseduto ad attuare in toto il criterio di delega, che, a completamento della disposizione qui richiamata, disponeva altresì di «coordinare la disciplina dell’articolo 164, quarto, quinto e sesto comma, del codice di procedura civile» con il nuovo istituto[27]. Dalla relazione illustrativa al decreto può leggersi che «si è ritenuto di non modificare l’articolo 164, mantenendo in prima battuta la sanabilità dei vizi dell’atto di citazione (…), ritenendo che il legislatore non si sia espressamente spinto sino ad abrogare tale possibilità». 

Il riferimento, tuttavia – che oltretutto è privo di efficacia normativa –, non scioglie il nodo del coordinamento tra le diverse disposizioni. Volendo proporre una soluzione interpretativa, potrebbe sostenersi che – nonostante il tenore dell’art. 183-quater – il convenuto che voglia avvalersi di tale modalità di definizione del giudizio debba proporre istanza in tal senso, al più tardi, in sede di prima comparizione, dovendosi attivare altrimenti il giudice nel senso della disciplina generale che deriva dal combinato disposto degli artt. 164 e 307, non essendo di certo possibile proseguire nella trattazione a fronte di una editio actionis carente in termini di causa petendi o di petitum

Continuando nell’analisi della lettera dell’art. 183 riformato, può osservarsene la “geometria variabile” che, ancor più che in passato, l’udienza di prima comparizione e trattazione può assumere. 

(i) Essa potrebbe essere l’unica udienza del processo là dove il giudice ritenesse di rinviare direttamente le parti in decisione, ai sensi del novellato art. 187 cpc, perché non occorre procedere ad attività istruttoria, ovvero per la sussistenza di una questione pregiudiziale o preliminare impediente l’esame nel merito purché già sottoposta alle parti con il provvedimento reso ex art. 171-bis e sulla quale, dunque, le medesime abbiano già esercitato il proprio diritto al contraddittorio. 

Tale rilievo permette di specificare che, seppure le disposizioni riformate collochino le verifiche preliminari del giudice in una fase precedente, il relativo potere-dovere non può senz’altro dirsi precluso. Ove, dunque, rilevi in prima udienza questioni relative alla regolare introduzione del giudizio non preventivamente sottoposte alle parti ai sensi dell’art. 171-bis, il giudice sarà tenuto a pronunciare i provvedimenti utili alla regolare prosecuzione del processo, fissando ove necessario una nuova udienza. 

Anche in questa ipotesi, dunque, il processo si troverebbe a retrocedere a uno stadio precedente dopo e nonostante lo scambio delle memorie integrative. 

(ii) Uguale inconveniente si presenterà ove venga disposta la conversione del rito nelle forme della cognizione semplificata, ai sensi dell’art. 183-bis

(iii) Nelle prime battute dell’udienza il giudice dovrà necessariamente pronunciarsi sulla chiamata in causa del terzo richiesta dall’attore. La facoltà di chiamata si preclude, infatti, nella prima memoria integrativa (art. 171-ter, comma 1, n. 1), ragion per cui, nel caso in cui il giudice la autorizzi, occorrerà fissare una nuova udienza per garantire al terzo il medesimo spazio difensivo individuato, per le parti originarie, dagli artt. 163-bis e 166. Dalla data così fissata, decorreranno perciò nuovamente i termini per le memorie integrative, ferme restando le preclusioni già maturate per quanti si siano precedentemente costituiti. 

I problemi che si sono verificati in sede di applicazione del rito societario, nel caso di pluralità di parti, sono destinati a riemergere con il nuovo rito di cognizione ordinaria. Anche in questo caso, come nei precedenti appena rassegnati, il processo non avanza ma retrocede, nonostante il numero e la consistenza delle attività già svolte. 

(iv) Ugualmente necessario sarà provvedere all’interrogatorio libero delle parti «richiedendo, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e tentare la conciliazione a norma dell’articolo 185», ovvero formulare la proposta di conciliazione di cui all’art. 185-bis[28]

Viene, dunque, nuovamente prescritta la comparizione personale[29], valutabile, se omessa senza giustificato motivo, alla stregua di un argomento di prova (art. 183, comma 3)[30]. Può, dunque, escludersi la possibilità per il giudice di disporre, ai sensi dell’art. 127-ter, la celebrazione dell’udienza mediante trattazione scritta. 

La medesima conclusione sarebbe auspicabile anche con riferimento allo svolgimento da remoto, nonostante l’art. 127-bis generalizzi l’opzione per tutte le udienze, anche pubbliche, in cui «non è richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice». In più sedi il legislatore delegato, in conformità della delega[31], ha imposto la comparizione personale, ma ha espressamente considerato la modalità da remoto soltanto in relazione ai procedimenti di interdizione, inabilitazione e amministrazione e soltanto ove la celebrazione canonica potrebbe «arrecare grave pregiudizio» ai soggetti destinatari delle relative misure[32]. Tali previsioni espresse consentirebbero di escludere la possibilità di ricorrere alla dematerializzazione dell’udienza ovunque sia prevista – ex lege, su disposizione del giudice, o su richiesta di parte – la comparizione personale delle parti, nonostante il riferimento a queste ultime contemplato dell’art. 127-bis. Invero, l’esperienza degli ultimi tre anni ha dimostrato che una trattazione accurata sia possibile indipendentemente dal “contenitore”, e dunque anche attraverso l’impiego di strumenti informatici; tuttavia, un confronto reale e genuino sembra ancora richiedere «istintivamente» le «garanzie del contatto sociale», soprattutto con riferimento ad attività – come il tentativo di conciliazione o l’interrogatorio libero – in cui il confronto reale con il giudice si avverte come maggiormente necessario[33]

Inoltre, la cd. funzione «chiarificatrice» o di «cognizione»[34] propria dell’interrogatorio libero svolto in prima udienza assume, a mio avviso, un’importanza peculiare nel contesto riformato, atteso che può realmente consentire a ciascuna delle parti di chiarire, finalmente oralmente, le rispettive allegazioni di fatto e le proprie conclusioni, in modo da «spiegar meglio (…) le proprie ragioni, all’uopo sollecitate dal giudice che, nel conoscerle per iscritto, le abbia ritenute “incomplete” od “oscure”»[35]. Il primo contatto “reale” tra giudice e parti, pur senza voler troppo enfatizzare il valore e il peso dell’oralità, può effettivamente costituire, se l’interrogatorio verrà condotto con la necessaria attenzione e con cognizione dei fatti di causa, un momento essenziale per l’utile e sollecita prosecuzione del processo e per la programmazione della prosecuzione dello stesso[36]

Va perciò ricordato che anche a seguito dell’interrogatorio libero potrebbero emergere nuove questioni rilevabili d’ufficio. In questo caso, ai sensi del riformato art. 101 e se ritiene di porle a fondamento della decisione, il giudice dovrà assegnare alle parti, a pena di nullità, un termine non inferiore a 20 giorni e non superiore a 40 per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla stessa[37]

(v) Infine, salvo che le alternative appena rassegnate abbiano fatto assumere un percorso diverso al processo, il giudice provvederà sulle richieste istruttorie a fissare entro 90 giorni l’udienza per l’assunzione. 

In ogni caso, come anticipato, il giudice predisporrà il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando attività e incombenti che verranno svolti in ciascuna di esse.

 

6. La fase istruttoria

La struttura del rito riformato consente che, in prima udienza, il giudice possa provvedere sull’ammissibilità e la rilevanza delle prove richieste e, dunque, programmarne l’assunzione. Tale possibilità, sia pur di rarissima verificazione, non era, invero, preclusa nel regime previgente, presupponendo la mancata richiesta dell’appendice di trattazione scritta. Resta salva, in ogni caso, la possibilità di provvedere sulle istanze istruttorie entro i 30 giorni successivi. 

More solito, nel caso in cui il giudice disponga l’assunzione di prove d’ufficio, occorrerà concedere alle parti un adeguato spatium difensivo di reazione. Il quarto comma dell’art. 183 conferma, dunque, che in tal caso il giudice assegnerà alle parti termini perentori per le articolazioni istruttorie che si rendano necessarie, nonché per depositare successiva memoria di replica. 

Quanto alla fase istruttoria in senso stretto, la novità più rilevante[38] consiste nella conferma della soluzione relativa alla semplificazione delle modalità di giuramento del consulente tecnico, adottata per la prima volta nel periodo dell’emergenza sanitaria e poi oggetto di sperimentazione sino all’entrata in vigore della riforma. 

Ai sensi del novellato secondo comma dell’art. 193, anziché fissare l’udienza di comparizione del consulente (artt. 191, 192, comma 1), nell’ordinanza di nomina il giudice «può assegnare un termine per il deposito di una dichiarazione sottoscritta (…) con firma digitale, recante il giuramento previsto dal primo comma». La disposizione prosegue stabilendo che con il medesimo provvedimento il giudice determina le scadenze per il compimento delle attività successive indicate dall’art. 195. 

Si tratta di soluzione, come detto, già ampiamente sperimentata, opportuna in termini di celerità e recupero di efficienza, se e in quanto si limiti a evitare la celebrazione di un’udienza volta al solo giuramento, surrogando l’adempimento di forma con il deposito digitale della corrispondente dichiarazione. 

Resta inteso che la formulazione dei quesiti precede il giuramento, e opportuno sarebbe che tale attività avvenisse (come spesso avviene) nel corso di un’udienza partecipata, atteso che una piana discussione tra parti e giudice sul punto favorisce una più utile prosecuzione del processo e il pieno dispiegarsi delle attività difensive, esigenza non necessariamente soddisfatta attraverso la partecipazione alle operazioni peritali o le osservazioni riferite alla ctu (artt. 194 e 195 cpc)[39]. Il giuramento “a distanza”, in sostanza, rischia di eliminare quel momento di confronto tra parti e giudice sui quesiti da sottoporre al consulente o sulle modifiche e integrazioni da apportare a quelli formulati dal primo al momento del conferimento dell’incarico che ben spesso può rilevarsi indispensabile per la corretta impostazione dell’attività demandata al consulente e, di conseguenza, per l’utilità che essa apporterà alla decisione[40].

 

7. La fase decisoria 

Dalla legge delega emergeva chiaramente la volontà di semplificare la fase decisoria nonché di armonizzare, ancor più che in precedenza, la disciplina applicabile innanzi al tribunale in composizione monocratica e a quello in composizione collegiale. Pertanto, si sono previsti criteri volti a garantire uniformità tra i due riti con riferimento al regime di preclusioni e alla definizione dell’oggetto del processo (ivi, art. 1, comma 6, lett. b) nonché volti a garantire che, nel passaggio tra giudice monocratico e collegio, fosse consentita la discussione orale innanzi al secondo senza dover ripetere le attività già svolte innanzi al primo (deposito delle note di precisazione delle conclusioni, delle comparse conclusionali e delle memorie di replica). 

I modelli decisori rimangono i tre già noti, applicabili quale che sia la composizione richiesta per la decisione, ma muta il meccanismo di raccordo tra la conclusione dell’istruzione e la pubblicazione della sentenza. Se finora esso è consistito nell’udienza di precisazione delle conclusioni, dalla quale si dipanavano i termini per lo scambio degli atti difensivi e per il deposito del provvedimento del giudice, nel modello riformato le memorie di parte precedono l’udienza di rimessione della causa in decisione, attraverso termini che vengono calcolati a ritroso da quest’ultima, che verrà immediatamente fissata dal giudice in esito all’istruttoria, ovvero nelle ipotesi previste dall’art. 187. 

Per il modello decisorio, a seguito di discussione orale si consente la riserva di deposito della sentenza, che dunque non dovrà più essere immediatamente letta e pubblicata e – ove venga disposto per le cause di competenza collegiale ai sensi del neo-introdotto art. 271-quinquies – contempla comunque il deposito di due scritti difensivi (note di precisazione delle conclusioni e note conclusionali) prima della discussione.

Da quanto appena sintetizzato, appare a chi scrive che la contrazione dei tempi della fase decisoria e la sua complessiva semplificazione dichiarate dalla Relazione introduttiva al decreto legislativo risultino tutt’altro che realizzate. Vero è che l’attività di precisazione delle conclusioni non potrà più svolgersi in un’udienza fissata ad hoc[41], dovendosi al contrario collocare in un’apposita memoria, prevista finanche nell’ipotesi di decisione a seguito di discussione orale innanzi al collegio (275-bis), ma proprio per tale ragione si aggiunge un ulteriore scritto ai due previgenti e si prevede una diversa udienza – per la rimessione della causa in decisione (art. 189)[42]. Si è discusso dell’utilità di quest’ultima e finanche della reale necessità di fissarla, anziché considerarla «semplicemente una “data” dalla quale decorrono i termini per il deposito della sentenza»[43], proprio in quanto l’unica utilità che ne consegue è quella di dare certezza e uniformità ai termini per i depositi di parte che precedono la sentenza[44]. Là dove si ritenesse, poi, che detta udienza[45] o finanche la discussione orale possano essere sostituite con la forma cartolare, come la Cassazione ha ritenuto da ultimo in riferimento al regime oggetto di sperimentazione[46], scritti e tempi si allungherebbero ulteriormente, dovendosi cumulare le modalità previste dall’art. 127-ter con quelle indicate dall’art. 189. 

Più nel dettaglio, ai sensi dell’art. 189 o 271-quinquies[47], il giudice, al termine dell’istruttoria ovvero nelle ipotesi di cui all’art. 187, fissa innanzitutto una nuova udienza in cui la causa sarà rimessa in decisione (terzo comma) e assegna tre termini alle parti, da calcolarsi a ritroso rispetto a quest’ultima, rispettivamente destinati al deposito «di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni» (non superiore a 60 giorni), «delle comparse conclusionali» (non superiore a 30 giorni) e «delle memorie di replica» (non superiore a 15 giorni). Nel caso di competenza collegiale, seguirà il deposito della decisione nei 60 giorni successivi. Termine che si contrae a 30 per il giudice monocratico. 

Rimane ammissibile, in caso di richiesta da effettuarsi con la nota di precisazione delle conclusioni, la possibilità di discutere oralmente innanzi al collegio le memorie di replica. In questo caso, resta fermo il solo termine per il deposito delle comparse conclusionali (art. 275)[48]. Tale possibilità è contemplata anche innanzi al tribunale in composizione monocratica (art. 281-quinquies), con istanza che va formulata al giudice stesso il quale, di conseguenza, disporrà il solo scambio delle note di precisazione delle conclusioni, contestualmente fissando non oltre 30 giorni l’udienza per la discussione, cui seguirà, nei 30 giorni successivi, il deposito della sentenza. 

Come già rilevato, per quanto attiene alla decisione a seguito di discussione orale innanzi al collegio[49], l’udienza a ciò preposta verrà preceduta dal deposito innanzi all’istruttore prima di note limitate alla precisazione delle conclusioni (nei 30 giorni precedenti l’udienza), poi di note conclusionali (nei 15 giorni precedenti). La sentenza, oltre a poter essere pronunciata e letta in udienza in esito alla discussione, può formare oggetto di riserva di deposito, che dovrà avvenire nei successivi 60 giorni. 

Tale possibilità è contemplata anche per il giudice monocratico, ma i giorni, more solito, si riducono a 30. Nell’art. 281-sexies riformato resta il riferimento alla precisazione delle conclusioni e non è previsto lo scambio delle due note richiamate dall’art. 271-quinquies. In questi casi, pertanto, l’attività potrà avvenire, come per il passato, in udienza – anche fissata ad hoc –, auspicabilmente in forma scritta. 

 

7.1. Altre modalità di definizione del processo. Le ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda

Poche battute sono necessarie, ad avviso di chi scrive, per affrontare gli istituti di nuovo conio contemplati dagli artt. 183-ter e quater, rispettivamente per le ordinanze di accoglimento e rigetto della domanda. Tali provvedimenti possono essere pronunciati dal giudice su istanza di parte, nei giudizi aventi ad oggetto diritti disponibili di competenza del tribunale, nell’intero corso del giudizio di primo grado, consentendo, dunque, anche la definizione del giudizio in prima udienza[50]. Si tratta di ordinanze idonee a definire il processo pendente, ma in nessun caso idonee al giudicato, la cui (sostanzialmente inesistente) «autorità (…) non può essere invocata in altri processi». Con esse il giudice, pertanto, è chiamato a liquidare le spese di lite. Nel caso di accoglimento dell’istanza, sono reclamabili ai sensi dell’art. 669-terdecies e, nel caso di accoglimento del reclamo, il giudizio è destinato a proseguire «innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata». 

L’ordinanza di accoglimento della domanda può essere resa quando «i fatti costitutivi sono provati e le difese della controparte appaiono manifestamente infondate». Il provvedimento ha efficacia esecutiva, attributo che lo confinerebbe, pur nel silenzio della legge, alle ipotesi di tutela di condanna, salvo a voler ritenere superate tutte le obiezioni che finora l’anticipazione degli effetti delle sentenze di accertamento e costitutive ha portato con sé[51]. Nella cd. “proposta Luiso”, l’ordinanza di accoglimento risultava configurata sulla falsariga di istituti quali «il référé provision di cui all’articolo 809 del code de procédure civile francese o il summary judgment di cui all’articolo 24 delle civil procedure rules anglosassoni e modellato sulle fattispecie di c.d. condanna con riserva delle difese del convenuto, già prevista nel nostro ordinamento (cfr. gli articoli 1462 c.c. e 35, 648 e 665 c.p.c.)» (p. 33). Un provvedimento sommario e provvisorio, dunque, munito di efficacia esecutiva immediata, da collocarsi tra i procedimenti speciali. In tal maniera – in qualche modo potenziando la tendenza già manifestatasi nel 2005 con l’affievolimento della strumentalità delle misure cautelari anticipatorie –, si sarebbe effettivamente potuto offrire uno strumento non cautelare effettivo e rapido, sia pur non assistito dall’autorità del giudicato. Nella proposta Luiso, il provvedimento in questione poteva oltretutto essere pronunciato, con funzione anticipatoria, non soltanto nel corso del processo di primo grado, ma anche, in via autonoma, prima dell’inizio dello stesso. La legge delega e, di conseguenza, il decreto legislativo non hanno saputo cogliere lo spunto e hanno consegnato agli operatori un istituto sostanzialmente inutile e presumibilmente destinato a non trovare applicazione concreta. A fronte di una «domanda manifestamente fondata», una qualche forma di strumentalità, sia pur eventuale e attenuata, rispetto all’accertamento pieno e, soprattutto, resa avulsa dalla situazione di periculum richiesta per la tutela cautelare sarebbe stata senz’altro opportuna anche in termini di effettività della tutela giurisdizionale, attesa la nota durata dei processi civili. 

Al contrario, l’ordinanza disciplinata dall’art. 183-ter è destinata a definire il giudizio, sicché a fronte della configurazione che le rispettive allegazioni di parte debbono assumere (manifesta fondatezza per l’attore e manifesta infondatezza per il convenuto), rinunciare a un provvedimento idoneo al giudicato e, come tale, avente “autorità” al di fuori del giudizio, appare a chi scrive un sacrificio eccessivamente gravoso in termini di utilità concreta. 

Tale impressione diviene ancora più netta con riferimento all’ordinanza di rigetto. Oltre all’ipotesi già esaminata (vds., supra, par. 5) e relativa alla mancata ottemperanza dell’ordine di sanatoria dell’atto di citazione viziato con riferimento all’editio actionis, l’art. 183-quater ne predica l’utilizzo nel caso in cui la domanda sia «manifestamente infondata». In buona sostanza, il convenuto evocato in giudizio senza che la pretesa abbia un sia pur minimo fondamento dovrebbe rinunciare finanche al diritto di ottenere un giudicato di rigetto e accontentarsi di un provvedimento non idoneo a precludere una nuova azione sul medesimo oggetto. Appare evidente, a mio avviso, l’assoluta inutilità dell’istituto. 

All’inutilità si aggiunga che l’incompatibilità sancita tra giudice che pronuncia l’ordinanza, competenza per il reclamo e competenza per l’eventuale prosecuzione del giudice di merito rischiano di creare problemi organizzativi enormi anche in tribunali di medie dimensioni e di paralizzare quelli di piccole dimensioni, dilatando in ogni caso irragionevolmente i tempi dell’accertamento. 

 

8. Un’amara conclusione

Le riflessioni svolte non hanno ancora avuto il riscontro dell’applicazione pratica, ragion per cui le interpretazioni offerte potrebbero risultare smentite. Già in passato, istituti mal congegnati sono stati sostanzialmente disapplicati o migliorati dall’applicazione concreta. Molti uffici giudiziari, d’altronde, stanno offrendo diffusione degli orientamenti e delle interpretazioni frutto della discussione in atto tra i magistrati al fine di mitigare alcune evidenti storture o lacune della disciplina di nuovo conio. Tuttavia, tale encomiabile intento non elimina la necessità e l’urgenza di un intervento legislativo che risolva le criticità che studiosi e attori del processo hanno finora coralmente evidenziato, e che garantisca che il processo resti affidato a un’unica legge processuale e non a tante singole interpretazioni correttive o abrogative di norme di ardua applicazione concreta, che garantisca, in sostanza, il rispetto del principio di stretta legalità in materia processuale, che è corollario del principio dell’uguaglianza dei cittadini innanzi alla legge. 

 

 

1. L’articolo 1, comma 380 della legge di bilancio per il 2023 (l. n. 197/2022) è intervenuta modificando gli artt. 35, 36 e 41 del d.lgs n. 149/2022, contenenti la disciplina relativa all’entrata in vigore delle modifiche al codice di procedura civile e relative disposizioni di attuazione (art. 35), al d.lgs n. 28/2010 e alla l. n. 162/2014 (art. 41) e infine al codice penale alle relative disposizioni di attuazione (art. 36).

2. Cfr., per esempio, B. Capponi, Un dubbio sul regime transitorio della riforma dell’art. 614 bis c.p.c., in Judicium, 7 febbraio 2023; Id., Un dubbio sul regime transitorio della riforma degli artt. 475, 476, 478 e 479 c.p.c., ivi, 27 febbraio 2023. 

3. Cfr. E. Zaccaria, La perdita della certezza del diritto: riflessi sugli equilibri dell’economia e della finanza pubblica, in M. Bernasconi e M. Marrelli (a cura di), Diritti, regole, mercato. Economia pubblica ed analisi economica del diritto (atti del XV Convegno Siep, Pavia, 3-4 ottobre 2003), Franco Angeli, Milano, 2004; S. Margiotta, Certezza del diritto e diritto positivo, in Nomos, n. 1/2021, pp. 10 ss.; G. Carriero - P. Ciocca - M. Marcucci, Diritto e risultanze dell’economia nell’Italia unita, in P. Ciocca e G. Toniolo (a cura di), Storia economica d’Italia, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 455 ss. 

4. L’espressione nel testo è volutamente utilizzata per richiamare l’omonimo studio, redatto annualmente dalla Banca mondiale, per stilare la classifica dei Paesi in cui è più semplice e competitivo fare impresa. Nell’ultimo pubblicato, relativo al 2020, è stato assegnato all’Italia il 58° posto, successivo alla posizione del Kosovo, del Kenya e del Marocco – facendole registrare un calo di sette posizioni rispetto all’anno precedente e di dodici rispetto al 2018. Lo studio utilizza diversi indicatori quantitativi, confrontando 190 economie mondiali. Tra gli 11 (sotto)indicatori di competitività, campeggia l’efficienza della giustizia civile. L’impatto di questo e altri studi simili sul Legislatore nazionale è dimostrato, per esempio, dalla circostanza che il doing business è menzionato finanche nel preambolo del disegno di legge sulla riforma del processo civile elaborato dalla Commissione presieduta da Giuseppe Berruti, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati nel marzo 2016 e successivamente passato all’esame del Senato come AS 2284, ove si legge: «L’intervento, attese le finalità indicate nella sezione I, lett. A), è volto a migliorare la competitività del sistema paese, contribuendo a fare recuperare all’Italia posizioni nel ranking enforcing contracts della Banca mondiale».

5. Cfr. F. Auletta, Quantitative Approach to Study the Normativity of the Jurisprudence of Courts in Countries from the Civil Law Tradition, in International Journal of Procedural Law, n. 1/2020, pp. 117-118, nota 113. 

6. Cfr. G. Costantino, Perché ancora riforme della giustizia?, in Questione giustizia online, 13 luglio 2021, pp. 33 ss., che evidenzia quante e quali modifiche al codice di rito si siano affastellate dal 1940 ad oggi, con conseguente necessità di una ricognizione e razionalizzazione. 

7. Ovvero, entro il 2026, la riduzione del disposition time complessivo per i tre gradi di giudizio del 40% e l’abbattimento del 90% dell’arretrato.

8. Parafrasando G. Verde, La giustizia italiana nel 2000, in Foro it., 2020, V, cc. 47 ss., al quale si riferiscono le citazioni nel testo. 

9. Così il criterio direttivo informatore delle modifiche al processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione monocratica, di cui all’art. 1, comma 5, lett. a della legge delega n. 206/2021. Il medesimo criterio, in forza dei richiami previsti dal comma 6, avrebbe dovuto orientare la disciplina del processo innanzi al tribunale collegiale.

10. Istituita con dm 12 marzo 2021. Per la Relazione finale e le proposte formulate, vds. www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_LUISO_relazione_finale_24mag21.pdf.

11. Ivi, p. 36. 

12. Delegato e, di conseguenza, delegante, che pure ha tentato di adottare qualche correttivo. Non appare peregrino osservare che “i due Legislatori”, in realtà, coincidano funzionalmente atteso che la legge di delega nel caso di specie è di iniziativa governativa, è stata approvata ricorrendo all’istituto della fiducia e, dunque, senza possibilità di modifica parlamentare, a seguito dei lavori delle Commissioni giustizia di Camera e Senato, che hanno accolto emendamenti e sub-emendamenti di esclusiva fonte governativa. 

13. Che non troverà spazio nel prosieguo della riflessione e sul quale – oltre al sottolinearsi un serio dubbio di costituzionalità nella parte in cui sembra escludere l’impugnazione della sentenza laddove applichi il principio di diritto affermato dalle sezioni unite, il quale è «vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti» – si rimanda alla riflessione di M. Gattuso, La riforma governativa del primo grado: le ragioni di un ragionevole scetticismo e alcune proposte organizzative ancora possibili, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2021, pp. 66 ss. (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/957/3-2021_qg_gattuso.pdf). In particolare, là dove si sottolinea come il «nuovo strumento rischi di non tenere conto del valore culturale della giurisdizione e di sottovalutare il contributo che l’elaborazione della giurisprudenza di merito, e della dottrina che con essa dialoga, fornisce alla Corte di cassazione nello svolgimento della sua funzione nomofilattica. Rischia di sacrificare, sull’altare della speditezza e dell’efficienza (peraltro con risultati assai dubbi, a partire dal rischio di sospensione del processo ogniqualvolta il giudice pensi, a ragione o a torto, di avere dinnanzi una questione giuridica complessa), l’altrettanto rilevante esigenza di un diritto aderente alla evoluzione della realtà sociale e economica. Una realtà sempre più complessa e in rapido mutamento (…), la quale necessita dell’approfondimento culturale proveniente dalla giurisprudenza di merito». L’Autore evidenzia poi, del tutto condivisibilmente, un «rischio di rifugio nel conformismo giudiziario» dei giudici di merito e «di un impoverimento della giurisprudenza della stessa Cassazione, non più preceduta dalle riflessioni dei giudici di primo e secondo grado, e il pericolo di una gestione troppo accentrata e verticistica della giustizia civile». 

14. Alla negoziazione assistita obbligatoria e alle già previste ipotesi di mediazione obbligatoria se ne aggiungono altre, cosicché, ai sensi dell’art. 5 d.lgs n. 28/2010, modificato dalla medesima riforma, chi – sempre a partire dal 1° marzo 2023 – intenda esercitare un’azione relativa anche a contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, d’opera, di rete, di somministrazione, di società di persone e di subfornitura dovrà tentare la mediazione ovvero, per le materie di competenza, optare per le ADR considerate equipollenti (comma 3). 

15. … E, probabilmente, fornire un principio di prova. Così facendo, il giudice sarebbe immediatamente in grado di verificare se la condizione di procedibilità sia già stata assolta o se sussista la necessità di provvedervi. In caso di dubbio, il giudice può comunque invitare le parti a interloquire sul punto nelle memorie integrative, ma l’immediata conoscenza della circostanza consentirebbe di spostare l’udienza di prima comparizione per consentire di procedere alla mediazione e ai suoi equipollenti, o alla negoziazione assistita. 

16. Così, da ultimo, Cass., ord. 31 maggio 2022, n. 17731, con riferimento al giudizio di insinuazione al passivo fallimentare.

17. Disposizione che, nella versione riformata, contempla altresì l’assoluta carenza di procura al difensore, ipotesi sulla quale in giurisprudenza si erano registrati due diversi orientamenti, risolti di recente dalle sezioni unite con la sentenza 21 dicembre 2022, n. 37434, che ha propeso per la tesi inversa rispetto alla previsione dell’art. 182 riformato. 

18. La forma dell’ordinanza – e non del decreto – rimane la più coerente rispetto alle attività che il giudice deve disporre e che non risultano modificate su quest’aspetto dalla riforma. 

19. Cass., ord. 25 novembre 2022, n. 34861. 

20. È chiaro che questa interpretazione rischia di determinare decadenze involontarie nelle parti che facciano affidamento sul tenore letterale della disposizione. L’eventuale pubblicità che i singoli uffici giudiziari volessero offrire agli orientamenti sezionali potrebbe soltanto mitigare il problema, atteso che il diritto processuale non può mutare da ufficio a ufficio come purtroppo è successo nel periodo dell’emergenza sanitaria attraverso il sistema dei decreti presidenziali.

21. Non è neppure il caso di ricordare che la mancata costituzione nei termini di legge è un dato puramente oggettivo e fattuale, che prescinde dal tempo in cui sia dichiarata la contumacia. 

22. In concreto, tuttavia, nulla cambia rispetto al passato qualora la costituzione del convenuto dichiarato contumace avvenga mediante il tempestivo deposito della prima delle tre memorie integrative previste dall’art. 171-ter.

23. La stessa Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimità costituzionale dell’art. 171, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost., nella parte in cui prevede(va) un regime di preclusioni e decadenze solo per il convenuto tardivamente costituitosi e non anche per l’attore che si trovasse nella medesima condizione (sent. 4 giugno 1997, n. 168). Finora, infatti, nessuna conseguenza negativa era concepibile per quest’ultimo prima della celebrazione dell’udienza, con conseguente impossibilità per il rimettente di prospettare alla Corte e, in realtà più radicalmente, di dover «decidere su questioni che postulassero la concreta applicazione della norma in esame». Al contrario, nel regime riformato, nel caso in cui il convenuto insista per la prosecuzione del processo, la costituzione tardiva dell’attore contumace comporterà le preclusioni che discendono dalla disciplina dettata dall’art. 171-ter.

24. In questo senso anche F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, Giuffrè, Milano, 2023, p. 64. 

25. Cfr. l’intervento di G. Costantino al secondo seminario di Magistratura democratica su «La riforma della giustizia civile», 19 gennaio 2023 (www.magistraturademocratica.it/articolo/registrazione-secondo-seminario-la-riforma-della-giustizia-civile).

26. Sul delicato profilo dei rapporti tra domanda nuova e domanda modificata, si è registrato un certo fermento giurisprudenziale anche successivamente agli arresti delle sezioni unite del 2015 e del 2018, destinato a permanere nel contesto della nuova disciplina. Sul punto cfr., da ultimo, A. Scarpa, Il nuovo confine tra emendatio e mutatio libelli, in Judicium, n. 4/2022, pp. 501 ss. 

27. Cfr. art. 1, comma 5, lett. q, l. n. 206/2022.

28. Che risulta rafforzata dalla riforma. Occorre precisare che, ad avviso di chi scrive, a dispetto di talune interpretazioni prospettate, la proposta di conciliazione non può essere formulata prima della celebrazione della prima udienza, ovvero fissandone una apposita e precedente ad essa in occasione delle verifiche previste dall’art. 171-bis. Sarebbe del tutto irragionevole ritenere che il tentativo di conciliazione di cui all’art. 185-bis possa essere esperito prima di quello previsto dall’art. 185, che della proposta è privo e che il legislatore colloca nell’udienza di prima comparizione e trattazione. 

29. L’obbligo di comparizione personale, introdotto dalla l. n. 353/1990 è stato abrogato nel 2005 con il dl n. 35/2005, convertito in l. n. 206/2005, per essere reintrodotto oggi. 

30. A tal proposito è utile ricordare che, sia per l’interrogatorio libero sia per il tentativo di conciliazione, le parti possono utilmente farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale edotto delle circostanze di causa, come espressamente prevede l’art. 185 per il secondo. Cfr., M. Taruffo, voce Interrogatorio, in Dig. disc. priv., Utet, Torino, 1993, p. 63. Sul punto, cfr. anche C. Mandrioli, Diritto processuale civile, vol. II, Giappichelli, Torino, 2007, p. 254; R. Vaccarella, voce Interrogatorio – II. Interrogatorio delle parti, in Enc. dir., vol. XXII, Giuffrè, Milano, 1972, pp. 353 ss., 389. In giurisprudenza, con riferimento all’interrogatorio libero, già Cass., 30 agosto 1991, n. 9316. 

31. Cfr., per esempio, proprio l’art. 1, comma 5, lett. i, n. 1, l. n. 206/2022 – «dell’udienza di comparizione (…) ai fini del tentativo di conciliazione previsto dall’articolo 185 del codice di procedura civile». 

32. Cfr. art. 473-bis.54, rubricato «Udienza di comparizione», con riferimento all’audizione di interdicendo e inabilitando. 

33. Cfr. F. Picardi, La giustizia nella seconda fase dell’emergenza sanitaria, Il diritto vivente (L’Emergenza Covid-19: le risposte della giustizia), n. monografico, 2020, p. 72. Sulle modalità alternative di celebrazione dell’udienza, si vis, S. Izzo, Le modalità alternative di celebrazione delle udienze civili, in R. Tiscini e F.P. Luiso (a cura di), Scritti in onore di Bruno Sassani, tomo I, Pacini, Pisa, 2022, pp. 339 ss.

34. Cfr., per tutti, V. Andrioli, Commento al Codice di procedura civile, vol. I, Jovene, Napoli, 1961 (III ed.), p. 341; per ulteriori riferimenti e rilievi, vds. L.P. Comoglio, Le prove civili, Utet, Torino, 2004 (II ed.), p. 520; M. Taruffo, voce Interrogatorio, op. cit., p. 64; R. Vaccarella, voce Interrogatorio, op. cit., p. 356; B. Capponi, L’art. 183 c.p.c. dopo le “correzioni” della legge 28 dicembre 2005, n. 263, in Giur. it., 2006, IV, pp. 880 ss.

35. Le espressioni riportate nel testo sono riprese dalla «Relazione del Ministro Guardasigilli al Re sul c.p.c.», 1940, par. 29, p. 6. 

36. Come anticipato, ai sensi dell’art. 183, comma 3, il giudice è tenuto a predisporre, con ordinanza, «il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse», se non provvede ai sensi del secondo comma.

37. Sulla modifica all’art. 101, oltre ai commentari, cfr. D. Buoncristiani, Il principio del contraddittorio nel rapporto tra parti e giudice, in Judicium, 2010, www.judicium.it/wp-content/uploads/saggi/39/Buoncristiani.pdf.

38. Cfr., pure, le modifiche apportate in materia di ordine di esibizione (art. 210) e di richiesta di informazioni alla p.a., ove l’art. 213 novellato individua un termine di 60 giorni all’amministrazione per trasmettere le informazioni richieste o comunicare le ragioni del diniego. Più ampiamente su tali modifiche, cfr. A. Carratta, Le riforme del processo civile, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 62 ss. 

39. Nel medesimo senso, U. Corea, Il diritto di difesa e di accesso alla giustizia civile ai tempi (e oltre) l’emergenza sanitaria, in Judicium, 4 giugno 2020, par. 4. 

40. Per far fronte a tale esigenze, Gian Andrea Chiesi, nel corso del webinar organizzato dalla Scuola superiore della magistratura il 2 febbraio 2023, ha proposto le seguenti alternative opzioni:
«Opzione 1: esaurita l’assunzione degli altri mezzi istruttori (evidentemente in presenza), il giudice invita le parti ad indicare a verbale eventuali quesiti da sottoporre al C.T.U. in caso di nomina e, quindi, provvede all’esito dell’udienza, in camera di consiglio o a scioglimento di riserva; Opzione 2: esaurita l’assunzione degli altri mezzi istruttori (evidentemente in presenza), il giudice si riserva sul conferimento di incarico peritale, assegnando alle parti termine per il deposito di memorie sui soli quesiti da eventualmente sottoporre al C.T.U.; Opzione 3: ove non sia necessaria l’assunzione di altri mezzi istruttori e, dunque, debba semplicemente provvedere all’esito della udienza di trattazione svolta in presenza, il giudice provvederà secondo una delle due modalità proposte in precedenza; Opzione 4: ove non sia necessaria l’assunzione di altri mezzi istruttori e, dunque, debba semplicemente provvedere all’esito della udienza di trattazione svolta in modalità scritta, il giudice, con il provvedimento ex art. 127-ter, comma 2, invita le parti ad indicare nelle note i quesiti (da ricomprendere nel concetto di “istanza” volta a sollecitare un potere ufficioso comunque riservato al giudice di merito. Arg. da Cass., n. 9461 del 21/04/2010, da rivolgere al C.T.U., in caso di eventuale conferimento di incarico peritale» (vds., più ampiamente,
www.scuolamagistratura.it/documents/20126/3773571/Gian+Andrea+Chiesi+-+La+nuova+disciplina+del+processo+di+primo+grado.pdf/).

41. Salvo per la richiamata ipotesi della decisione a seguito di discussione orale innanzi al tribunale in composizione monocratica. 

42. È dato notorio, però, quello per cui il termine oltremodo lungo di fissazione dell’udienza di p.c. costituisca una sorta di modalità organizzativa del lavoro del giudice, che in tal modo meglio programma rispetto al ruolo complessivo i tempi di deposito della singola sentenza. Per tale ragione, non si era mai realmente discusso della possibilità di rimettere la causa in decisione in esito all’istruzione senza la fissazione di un’udienza ad hoc, in realtà non imposta neppure nel regime previgente. A partire dall’emergenza sanitaria, l’udienza di p.c. naturalmente destinata ad affrontare “solo istanze e conclusioni”, era già stata completamente sostituita con il deposito di note scritte, senza particolare rammarico degli operatori. Se, dunque, la previsione di un apposito termine per il deposito di note limitate alla sola precisazione delle conclusioni risponde all’esigenza di sottrarlo ai tempi variabili che anche la “celebrazione” di un’udienza scritta comportava, chi scrive non comprende l’utilità di continuare a sdoppiare tale attività rispetto a quella da svolgersi con le comparse conclusionali, il cui contenuto non può che comprendere altresì la precisazione delle conclusioni. 

43. Così G.A. Chiesi, nel citato intervento al webinar organizzato dalla Ssm in data 2 febbraio 2023, che conclude nel senso che un’udienza ad hoc vada comunque fissata (vds. www.scuolamagistratura.it/documents/20126/3773571/Gian+Andrea+Chiesi+-+La+nuova+disciplina+del+processo+di+primo+grado.pdf/, pp. 23 ss.).

44. Atteso che, ove si fosse optato per la fissazione con “semplice ordinanza” resa fuori udienza, i termini sarebbero dipesi dalla data di avvenuta comunicazione a ciascuna parte; in questo senso, A. Carratta, Le riforme, op. cit., p. 68. 

45. In linea con quanto espresso nel testo, vds. I. Pagni, Le novità della riforma del processo civile con riferimento agli atti introduttivi, all’art. 101 c.p.c. e alle udienze, vds. www.scuolamagistratura.it/documents/20126/3775502/Ilaria+Pagni+-+Le+novit%C3%A0+della+riforma+del+processo+civile+con+riferimento+agli+atti+introduttivi,+all%E2%80%99art.+101+c.p.c.(SSM).pdf/, p. 7. Secondo A. Carratta, Le riforme, op. cit., al contrario, sarebbe opportuna la celebrazione secondo modalità alternative dell’udienza di rimessione della causa in decisione. 

46. Cass., 19 dicembre 2022, n. 37137, ha ritenuto ammissibile la sostituzione del modulo decisorio dell’art. 281-sexies con l’udienza cartolare, mentre la precedente Cass., 10 novembre 2021, n. 33175 lo aveva escluso. 

47. Disposizione applicabile in forza del rimando contenuto nell’art. 281-quinquies.

48. In tale ipotesi, prosegue il comma 3 dell’art. 275, «Il presidente provvede sulla richiesta revocando l’udienza di cui all’articolo 189 e fissando con decreto la data dell’udienza di discussione davanti al collegio, da tenersi entro sessanta giorni». 

49. Come anticipato, disponibile d’ufficio anche per il giudice istruttore che debba rimettere la decisione al collegio ai sensi dell’art. 275-quinquies.

50. Non sembra possibile attribuire un peculiare significato alla circostanza che soltanto l’art. 183-ter contempli espressamente la locuzione «all’esito dell’udienza di cui all’articolo 183», limitandosi la norma precedente a riferire esclusivamente della possibilità per il giudice di pronunciarle «nel corso del giudizio di primo grado». Entrambe le ordinanze possono condurre alla definizione del processo anche in prima udienza e non prima della stessa, ovvero non potrebbero in ogni caso precederla, inserendosi – attraverso la fissazione di un’udienza ad hoc ai sensi dell’art. 175 cpc – negli spazi destinati alle memorie integrative delle parti successive ai provvedimenti di cui all’art. 171-bis

51. Va rilevato, a tal proposito, che, sia pur in ipotesi rare e con esiti che presentano un elevato grado di complessità, si è ritenuto di poter concedere provvedimenti cautelari d’urgenza a tutela di situazioni oggetto di tutela costitutiva e di accertamento. Cfr., con riferimento alla tutela di accertamento, Trib. Napoli, 22 settembre 2021; Trib. Verona, sez. I, 21 febbraio 2022, n. 315; con riferimento alla tutela costitutiva, Trib. Genova, 27 aprile 2007.