Magistratura democratica

Il futuro dei giudici onorari di tribunale dopo la legge n. 57, in attesa dei decreti delegati

di Claudio Viazzi

Per affrontare i problemi posti dalla riforma attualmente al cospetto del legislatore delegato in primo luogo vengono ricostruiti i tasselli fondamentali di una storia lunga e dall’altra, stigmatizzando le modifiche parlamentari al disegno di legge governativo, con fulminante chiarezza individuati i nodi ordinamentali e pratici che non potranno esser elusi prima di tutto dal legislatore delegato e poi dal Consiglio superiore della magistratura.

1. Il problema

Nella riforma della magistratura onoraria introdotta con la l. 57/16, uno dei problemi più evidenti riguarda la precisa sorte (che vuol dire numero, modalità di assegnazione, durata, tipo di funzioni) degli attuali Got posto che, da un lato, una magistratura onoraria continuerà ad esserci nei Tribunali, ma, per contro, il suo esatto “perimetro” nella Legge delega rimane poco delineato, anche perché per effetto delle norme transitorie sembra che per almeno i prossimi cinque anni gli attuali Got rimarranno dove sono continuando a svolgere le attuali funzioni. Ciò posto, se si vogliono dare risposte prospettiche attendibili alla questione, appare indispensabile interrogarsi in primo luogo su come si è arrivati alle dimensioni dell’attuale impiego dei Got, non sfuggendo credo, infatti, a nessuno come questa realtà e la storia pasticciata che si colloca alle sue spalle, abbiano pesato e condizionato la riforma del settore, così come peseranno sulle scelte del legislatore delegato. Certo è che il legislatore della riforma non sembra che ne abbia colto tutti i risvolti specifici finendo con l’effettuare una scelta ordinamentale di base (la creazione di un ufficio unico per tutti i giudici onorari) alquanto approssimativa e densa, come si vedrà, di criticità, pur partendo dalla giusta esigenza di unificare le discipline e lo status delle diverse figure di magistrato onorario createsi nel tempo. Affrontare allora in maniera esaustiva e consapevole le tante questioni che tale scelta comporterà, significa in primo luogo illustrare le principali ipoteche negative che condizionavano una qualsiasi riforma del settore, raccontando rapidamente come si è arrivati all’odierna situazione e cominciando dal lungo silenzio delle istituzioni che ha accompagnato negli ultimi anni la crescita disordinata ed incontrollata di questa vera e propria galassia di figure onorarie[1]. Si è trattato, invero, di una crescita tumultuosa avvenuta nel sostanziale disinteresse per molti anni del Parlamento, del Governo e della stessa magistratura (che ha solo irresponsabilmente favorito il moltiplicarsi anarchico delle figure onorarie negli uffici), associazioni di categoria (a cominciare dall’Anm, che sarà stata sì impegnata in questi anni su altri terreni sicuramente più importanti, come difendere l’assetto costituzionale della magistratura, ma che di fatto si è sempre totalmente disinteressata della questione “magistratura onoraria”) e per finire l’avvocatura, intenta, pressoché esclusivamente a demonizzare la realtà esistente senza saper proporre alternative concrete. Insomma quello che è mancato è stato, per troppo tempo, un progetto organico d’insieme che cercasse di incanalare razionalmente le dinamiche “espansive” presenti all’interno di quella galassia, legittimate anche dalle “benedizioni” generose impartite dalla giurisprudenza di legittimità e dalla stessa Corte costituzionale, attente da un lato a salvare sul piano processuale usi disinvolti verificatisi negli uffici dei magistrati onorari (per non invalidare magari processi a tanti anni di distanza dai fatti) e dall’altro sul piano dei principi costituzionali a salvare le norme censurate sempre in nome della solita emergenza che giustificava lo strappo legislativo di turno, adottato fuori dall’area consentita dall’art. 106 Cost.[2].

E tale assenza di un progetto organico di riforma ha favorito ineluttabilmente prima i provvedimenti “tampone”, costituiti per anni dalle proroghe dello status quo, e da ultimo da una “riformetta” che – tra l’altro snaturando, come meglio si vedrà, l’impianto originario del progetto iniziale governativo – ha introdotto alcune scelte farraginose e pasticciate, frutto sicuramente di una certa incapacità nel saper leggere la realtà che si è venuta a creare. Occorre allora decifrare con urgenza questa realtà complessa e ingarbugliata, verificarne le precise dinamiche in atto e le linee di tendenza, non dimenticare le distorsioni più gravi createsi in molti uffici, per vedere se esistano rimedi introducibili, che possano, si spera, trovare una razionale composizione nella non facile normativa delegata che dovrà essere varata nel prossimo anno dal Governo, termine fissato dalla Legge delega.

Auspicio questo, non certo incoraggiato dal primo decreto delegato appena varato (se il buon giorno si vede dal mattino...) che inopinatamente ha saputo solo ridurre autoritativamente i già ridottissimi ranghi dei giudici onorari, specie quelli di pace, mandando a casa da un giorno all’altro i magistrati onorari ultra sessantottenni e creando così ulteriori vuoti pericolosi negli organici di tanti uffici.

Il punto di partenza più negativo, cui non si può sapere fino a che punto la riforma (con la normativa delegata) potrà porre rimedio, è certamente costituito dalla clamorosa scissione che si è attuata negli ultimi anni tra norme e prassi, tra modelli astratti e assetti concreti: l’attuale realtà “magistratura onoraria”, a cominciare da quella che chi scrive meglio conosce, rappresentata dai Got, ha assunto un ruolo e caratteristiche radicalmente diverse dal modello normativo originario che si rinviene nell’art. 106 Costituzione e nella sua traduzione ordinamentale rappresentata, storicamente, dai vice pretori onorari. Le figure più rilevanti di magistrati onorari oggi in funzione e su cui ha operato la riforma, infatti, appaiono completamente cambiate rispetto alle loro leggi istitutive: e ciò vale per l’odierno giudice di pace, irriconoscibile se si compara con la figura delineata nella legge che lo introdusse del 1991 per effetto dei vari stravolgimenti successivamente effettuati (ad iniziare dai criteri di reclutamento), come per i Got e Vpo se si confrontano il ruolo di fatto assunto negli ultimi tempi in Tribunali e Procure e il modello molto più circoscritto quanto a ruolo e funzioni delineato nell’art. 10 del d.lgs 51/98 (riforma del giudice unico di primo grado) che introdusse, com’è noto, l’art. 43bis dell’ordinamento giudiziario la cui sopravvivenza rispetto alla l. 57 non appare ben chiara. La questione è, appunto, se tale norma – come si dovrebbe ritenere in una ricostruzione sistematica della riforma alla luce dell’art. 106 Cost. – debba continuare ad essere o no la norma primaria di riferimento per il legislatore delegato circa le modalità d’impiego di tali figure onorarie negli uffici maggiori.

Infatti, l’art. 1.1 lett. e) della Legge delega si limita a stabilire che il Governo dovrà emanare un apposito decreto delegato diretto a «disciplinare le modalità d’impiego dei magistrati onorari all’interno del Tribunale e della procura della Repubblica» sulla base dei principi e criteri direttivi di cui all’art. 2; in esso si rinviene come unica norma il comma 5 lett. c) che stabilisce quanto segue: «Prevedere i casi tassativi in cui il giudice onorario di pace, che abbia svolto i primi due anni dell’incarico, può essere applicato per la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario; prevedere che in ogni caso il giudice onorario di pace non possa essere applicato per la trattazione dei procedimenti ovvero per l’esercizio delle funzioni, indicati del terzo comma dell’art. 43bis dell’ordinamento giudiziario... nonché per la trattazione dei procedimenti in materia di rapporti di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie».

Orbene, da tali norme si ricava espressamente la vigenza del solo richiamato art. 43 III comma ord. giud., ma sarebbe davvero singolare, in assenza di un’abrogazione espressa, ritenere non più vigenti, perché implicitamente abrogati (ma allora da quale principio incompatibile), i primi due commi che, come è opportuno ricordare, stabiliscono, da un lato che in ogni Tribunale ordinario il lavoro ai giudici ordinari e onorari è assegnato dal presidente e dai presidenti di sezione e, dall’altro (che è quello che più rileva) che «i giudici onorari di tribunale non possono tenere udienza se non nei casi di impedimento o di assenza dei giudici ordinari».

Il quesito è quindi il seguente: nei «casi tassativi» cui fa riferimento la Legge delega in relazione alle «modalità d’impiego» dei nuovi Got e Vpo rientrano o no i paletti fissati dalla norma ordinamentale in esame? La risposta dovrebbe essere, a mio avviso, sicuramente positiva non rinvenendosi alcuna ragione nella Legge delega per ipotizzare un mutamento di atteggiamento legislativo riguardo al ruolo eccezionale di natura solo “ausiliaria” e/o “vicaria” che può giustificare, sul piano costituzionale, la conservazione di una magistratura onoraria nell’ambito degli uffici ove operano giudici ordinari e che aveva spiegato l’introduzione, in occasione della riforma del giudice unico di primo grado del 1998, dell’art. 43bis.

Conseguentemente il legislatore delegato dovrebbe considerarsi tenuto, nella costruzione delle modalità d’impiego dei nuovi magistrati onorari, a rispettare, come vincolo normativo primario rimasto vigente, quanto disposto nel secondo comma dell’art. 43bis ord. giud., riaffermandolo con forza e senza, cioè lasciarsi fuorviare dal fatto (patologico) che, tale vincolo troppo spesso si sia allentato negli ultimi anni per effetto delle prassi formatesi negli uffici e di una normazione secondaria dei vari Csm a dir poco oscillante e, nella sostanza, via via sempre più permissiva.

Ma questa affermazione credo richieda una doverosa spiegazione e dunque una necessaria ricostruzione di questa vicenda istituzionale, cui sono destinate le considerazioni che qui di seguito si svilupperanno.

2. La vicenda emblematica dei Got e dei Vpo dalla riforma del giudice unico ad oggi

Partendo da queste figure di magistrati onorari incardinati dentro agli uffici di primo grado, il primo dato di fatto con cui fare i conti è che, nel giro di pochi anni dall’entrata in vigore della riforma del giudice unico, andata a regime all’inizio degli anni 2000, si è riprodotta a livello di tali uffici una situazione non solo analoga ma sicuramente molto più grave, di quella che, all’inizio degli anni 80, si era incancrenita a livello di Preture e che richiese gli interventi drastici e moralizzatori adottati dal Csm nel 1985 in materia di vice pretori onorari, per stroncare una serie di prassi anomale sedimentatesi in molti uffici e per evitare (già allora) il pericolo di leggine di stabilizzazione che venivano da più parti invocate e ventilate e che in due occasioni negli anni precedenti si erano comunque tradotte in provvedimenti straordinari concretamente adottati dal Parlamento[3]. La situazione odierna, consolidatasi negli anni seguenti dopo la riforma del giudice unico, si presenta ovviamente con una precisa aggravante: che questo assetto “reale” si è formato a livello di uffici dove mai storicamente erano state inserite figure di magistrati onorari, in ossequio costante prima alla tradizione ordinamentale del Paese e quindi al precetto costituzionale che, nel limitare l’istituzione di tali figure alle funzioni esercitabili dai giudici “singoli”, tracciava – secondo il volere dei padri costituenti – un identikit del magistrato onorario oggettivamente in termini di magistrato “minore” che non avrebbe avuto nulla a che fare con tribunali,  procure, corti d’appello, come erano in effetti le figure tradizionali dei giudici monocratici, giudice conciliatore e pretore (o, con la riforma delle cd. “procurine”, del sostituto circondariale), storicamente supplito e coadiuvato dal vice pretore onorario (ovvero dal vice procuratore onorario). Inoltre, e questo probabilmente è stato l’aspetto più trascurato dal legislatore delegato del 1998 che non ha sufficientemente soppesato gli squilibri ordinamentali che rischiava di introdurre, le competenze monocratiche del nuovo Tribunale non rimanevano quelle dell’ex Pretura che al primo si unificava, dato che si ampliavano notevolmente sino a ricomprendere buona parte di quelle collegiali dei Tribunali ante unificazione, per cui continuare a ragionare in termini di attribuibilità al magistrato onorario delle funzioni svolte dai giudici singoli poteva e potrà essere “formalmente” conforme al dettato costituzionale (ed in tal senso si spiega l’excamotage di trasformare la decisione di certi contenziosi da collegiale a monocratica, adottato con la l. 276/97 per istituire i Goa, che in ogni caso sul piano dei principi costituzionali restò un forte strappo), ma non certo alla sua ratio.

Nella sostanza non v’è dubbio che la semplicistica equazione “funzione monocratica/attribuibilità al magistrato onorario” ha finito col tradire obiettivamente la ratio della norma costituzionale di riferimento, che non esprimeva, quando fu fatta nel 1948, e continua a non esprimere ancor oggi un rinvio puramente formale ed indifferente alla quota di giurisdizione di volta in volta, in base all’evoluzione dell’ordinamento processuale ed ordinamentale, affidata ai giudici singoli, bensì conteneva un rinvio sostanziale a funzioni di limitata rilevanza e dunque ad un modello di magistrato onorario deputato al contenzioso “minore”, proprio perché all’entrata in vigore della Costituzione tale era il ruolo del giudice singolo nell’ordinamento giudiziario italiano.

E di questo postulato di base pare essere fortunatamente avvertito il legislatore della recente Legge delega n. 57 laddove all’art. 1 n. 5 lett. b) (contenuto della delega) con riferimento alle modalità d’impiego dei magistrati onorari di pace nell’ufficio del processo costituito presso il Tribunale ordinario, rinvia ai parametri della «“natura degli interessi coinvolti” e della “semplicità” delle questioni da risolvere», che dovrebbero orientare il legislatore delegato a circoscrivere le funzioni delegabili ai giudici in questione, combinando questa direttiva con l’altra, contenuta nello stesso articolo 1.5 lett. c) prima esaminato; così come nella norma relativa all’aumento della competenza dove si parla di trasferire al nuovo Gop le controversie di «minore complessità» in certi settori.

Questi profili della riforma fanno ben sperare ma non è detto che le scelte finali saranno del tutto coerenti ed organiche, rimanendo zone d’ombra e questioni irrisolte che si spera il legislatore delegato provvederà a chiarire.

Un esempio significativo che si può al proposito fare riguarda l’appello sulle sentenze pronunciate dai giudici di pace che la riforma del 1998 ha trasformato come procedimento monocratico del tribunale: ora, pur in assenza di norme ordinarie che lo vietino espressamente, possiamo ragionevolmente pensare che l’art. 106 Cost. consenta che una causa decisa in primo grado da un giudice onorario, solo perché il gravame è stato reso monocratico, possa essere tranquillamente deciso anche in secondo grado da un Got?

In altri termini, la risposta negativa (che ha trovato anche il Csm schierato in tal senso nel momento in cui ha vietato nella sua circolare sulle tabelle l’assegnazione ai Got degli appelli in oggetto), conferma come la semplice estensione delle competenze assegnate al giudice monocratico non comporta affatto una sorta di automatica estensione delle funzioni attribuibili al giudice onorario, finendo altrimenti ciò con l’obliterare la ratio del precetto costituzionale, da attuare invece nella sua portata effettiva e non in relazione al mero tenore letterale della norma. Nessuna automaticità dunque tra criterio della monocraticità e conferimento di competenze al giudice onorario, anche se è indubbio che il rapporto tra giurisdizione “maggiore” e “minore” non è qualcosa di fisso ed immutabile nel tempo ma è materia che nel tempo si evolve e può assumere connotati variabili, tanto è vero che la l. 57 prevede un cospicuo aumento della competenza del nuovo giudice onorario di pace. Certo è, comunque, che i pericoli di alterazione del disegno costituzionale insiti nella manovra riformatrice restano costituiti, da un lato, nel vasto (e destinato non certo a regredire) ampliamento determinatosi nel 1998 della monocraticità e, dall’altro, nelle stesse aperture all’utilizzabilità della figura onoraria anche nei collegi, fatto che rappresenta un vulnus evidente ed insanabile, nonostante il tentativo di circoscriverne la praticabilità fatto dall’art. 2.5 lett. b) della Legge delega che qui stiamo commentando.

Ora, tutti questi pericoli non furono ignorati dallo stesso legislatore delegato del 1998, che cercò di limitare temporalmente la portata dell’inserimento di magistrati onorari negli uffici giudiziari maggiori, con la norma transitoria del quinquennio (art. 245 d.lgs 51/98), che si rivelò tuttavia assolutamente inconsistente, stante la valanga di successive leggine di proroga che subì, e, quanto alle funzioni attribuibili, con le norme di sbarramento dell’art. 43bis, altra difesa che si rivelò fragilissima nelle concrete dinamiche degli uffici. Se si osserva, infatti, obiettivamente quello che è successo dopo, sembra che tale consapevolezza e cautela siano andate, a tutti i livelli, completamente smarrite, tanto è vero che con l’ultima riforma si è dato per scontato che le figure onorarie dovessero rimanere in tali uffici nonostante il significativo aumento di competenza del nuovo giudice di pace, che se rendeva indispensabile la figura del Vpo, non altrettanto assicurava la permanenza necessaria di giudici onorari nei tribunali.

Ma ciò purtroppo non è certo stato frutto del caso, ma conseguenza obbligata del pasticcio creatosi negli anni precedenti.

Quindi, precipitato di una vicenda emblematica, del tutto “italiana”, in cui si è creato volutamente un assetto deformato della magistratura onoraria negli uffici di Tribunale e di Procura dove l’intero settore monocratico è stato in pratica affidato ai Vpo. Precipitato, dunque, di diversi vizi e difetti cronici del nostro sistema giudiziario che chiamano pesantemente in causa, a livello di responsabilità, in primis il potere legislativo ed esecutivo, e quindi la stessa magistratura nel suo complesso ed il suo sistema di governo autonomo. Nel giro di pochi anni, infatti, una realtà che solo uno sguardo distratto poteva non percepire in tutta la sua abnormità, è cresciuta a dismisura secondo una vera e propria eterogenesi dei fini rispetto alle sofferte scelte legislative della riforma del giudice unico[4]: tra le due spinte “politiche” opposte allora sul tappeto (mantenimento tout court delle figure onorarie provenienti dagli uffici soppressi: che era la forte richiesta della magistratura, preoccupata per l’impatto sugli uffici della riforma; ovvero, loro eliminazione immediata: che era la perentoria richiesta dell’avvocatura) com’è noto la scelta adottata è stata, rivelatasi una pia illusione, quella compromissoria del mantenimento temporaneo (5 anni) prevedendosi, al termine del periodo transitorio, una secca alternativa: o una organica revisione di queste figure onorarie, nell’ambito della più generale riforma di tutta la magistratura onoraria oppure la loro soppressione. E tale alternativa poggiava ragionevolmente (anche se un poco ottimisticamente) sulla previsione che, una volta superata la fase di rodaggio della riforma del giudice unico, in cui appariva preziosa se non indispensabile la conservazione della risorsa costituita dai magistrati onorari presenti nelle ex Preture e Procure circondariali, potessero verificarsi le condizioni per un riassetto definitivo della materia.

Trascorsi “solo” diciotto anni (!) dal decreto delegato n. 51/98, contenente questa soluzione di compromesso, ci ritroviamo oggi al contrario davanti questa inedita situazione: la riforma cd. “organica” della magistratura onoraria è stata finalmente varata ma pesantemente condizionata dalla realtà distorta che nel lungo periodo di letargo istituzionale si è creata negli uffici dove, parallelamente, è andato inesorabilmente avanti un massiccio ricorso a queste figure onorarie, ben al di là dei limiti legislativi, senza la possibilità da parte di nessuno di comprendere dove vi fosse un reale bisogno di ciò e dove meno.

Parallelamente si può ricordare come si sia innescato un processo di agguerrita sindacalizzazione di questo comparto di magistrati onorari (circa 3500 persone) sull’onda soltanto della parola d’ordine, perdente, della stabilizzazione (che trovava peraltro linfa reale in tanti uffici nelle condizioni materiali di vero e proprio sfruttamento cui erano sottoposti tali soggetti) che ha, in certe fasi, avuto inaspettate sponde politiche addirittura bipartisan trovando sfogo, (ma si è trattato del massimo traguardo istituzionale raggiunto, in un disegno di legge discusso alla Camera, ma poi abortito), avente ad oggetto l’ipotesi di istituzione di un nuovo circuito di magistrati professionalizzati denominato magistratura di complemento[5].

Sappiamo che la speranza della stabilizzazione è definitivamente naufragata con la l. 57 e pur tuttavia il pasticcio (e le aspettative) che si era creato ha causato una farraginosa normativa transitoria (con la proroga fino a 16 anni dei magistrati onorari in servizio) che certamente intralcerà e interferirà pesantemente sulla creazione a regime del nuovo assetto.

Insomma, la riforma aveva davanti un macigno da spostare (il precariato formatosi negli uffici) e ha fatto quello che ha potuto per eliminarlo/assorbirlo. Non appare, allora, esercizio inutile ricercare più da vicino le colpe e le responsabilità di chi ha lasciato formarsi quel macigno, che si collocano a due livelli distinti. A livello politico, v’è sicuramente stata per troppi anni una totale abdicazione da ogni compito riformatore, a cominciare dall’accantonamento delle conclusioni raggiunte dalla commissione ministeriale presieduta dal Prof. M. Acone agli inizi degli anni duemila, fino alla non tanto nascosta scelta, con le proroghe annuali a colpi di decreto legge del regime transitorio, il blocco dei concorsi ordinari ed il ricorso ad un massiccio aumento dei magistrati onorari reclutati senza alcun vaglio professionale adeguato, di precostituire o avallare il solito fatto compiuto che potesse un domani rendere ineluttabile il reclutamento straordinario degli attuali Got e Vpo. Il tutto, poi, in nome di una fantasiosa magistratura popolare contrapposta a quella ordinaria “castale” ed inaffidabile[6], come ad un certo punto si cominciò ad affermare in certi ambienti politici e governativi. Per contro, non possono tacersi i tanti nodi lasciati irrisolti dall’incompleto processo riformatore avviato nella legislatura che portò al giudice unico di primo grado e mai completati nelle successive legislature: insufficiente revisione delle circoscrizioni giudiziarie; mancata introduzione di canali realmente efficaci di soluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione; riforme insignificanti dei Tribunali metropolitani e della magistratura distrettuale; mancato riordino delle competenze ed aumento insufficiente dell’organico magistratuale; assenza di misure concrete di attuazione del nuovo art. 111 Cost.. E tutti questi problemi strutturali irrisolti hanno pesantemente giocato nella vicenda di cui ci occupiamo.

A livello gestionale, poi, è l’intero circuito dell’autogoverno ad essere chiamato in causa di fronte all’accusa dell’avvocatura di aver promosso e favorito l’uso indiscriminato dei magistrati onorari negli uffici anche per non vedere aumentato l’organico dei magistrati professionali[7]. Ora, che questa accusa fosse giusta o sbagliata o che cogliesse soltanto una parte di verità poco importa: ciò che è indubbio è che il problema di come è cresciuta anarchicamente in ruolo e funzioni la magistratura onoraria nei Tribunali è veramente un problema ed una responsabilità soprattutto degli uffici giudiziari, univocamente protesi (come in passato avveniva per i vice pretori onorari) a richiedere pressantemente sempre ulteriori magistrati onorari (manovalanza a basso costo e di facile manovrabilità tabellare), indotti a tali richieste dal caos organizzativo in cui tanti uffici versavano e continuano oggi a versare (in assenza di seri controlli esiste anche un ricorrente alibi costituito dalla sempre immancabile emergenza) e da atteggiamenti oscillanti dello stesso Csm che ha fissato pochi paletti negli anni (es. il tetto numerico di magistrati onorari per ufficio), è rimasto ambiguo su alcune questioni (es. sull’uso dei Got in caso di vacanza del giudice ordinario) e non ha svolto mai controlli effettivi sui reali bisogni degli uffici, sul rispetto degli impieghi dei magistrati onorari previsti nelle tabelle approvate e sui tangibili vantaggi e risultati ottenuti dagli uffici con questa risorsa supplementare.

3. La circolare del Csm sulle tabelle degli uffici giudiziari 2004/2005

A questo punto appare importante ricordare la prima importante circolare emessa in materia di Got dal Csm nel 2003, perché alcune scelte decisamente sbagliate in essa effettuate hanno pesato decisamente su tutta la successiva normativa secondaria emanata e sono un fardello che ancora oggi ci portiamo dietro.

Prima di tale circolare le interpretazioni fornite dal Csm dopo l’entrata in vigore della riforma del giudice unico (v. in particolare la risoluzione del 20 aprile 2000) avevano prudentemente sempre ritenuto che (ferma la possibilità di utilizzare i giudici onorari in funzione collaborativa per le attività per cui non era previsto lo svolgimento di udienze), ove l’assegnazione di compiti si traducesse anche nello svolgimento di udienze, i Got potessero essere utilizzati solo come supplenti per ruoli monocratici di magistrati assenti ovvero, sempreché non fosse possibile prevedere altrimenti, facendo ricorso al magistrato distrettuale, in relazione a posti vacanti. La supplenza per i collegi, viceversa, era consentita solo in via eccezionale quale extrema ratio. Rispetto poi al compito di supplenza, la possibilità di utilizzo dei giudici onorari restava limitata agli affari già di competenza del pretore, con esclusione per il civile delle materie del lavoro, famiglia, societario e fallimentare. Come si vede, l’atteggiamento era quello di tenere attentamente conto dei limiti normativi primari e di mantenere un costante agganciamento alle competenze dell’ex Pretura, posto che la conservazione in via transitoria della figura onoraria in Tribunale derivava solo dalla soppressione dell’ufficio inferiore in cui, costituzionalmente parlando, si giustificava la presenza di onorari.

Con la circolare sulle tabelle degli uffici giudiziari per il biennio 2004/2005 si è, viceversa, cominciato a “deviare” pesantemente da tale solco minimalista e attento agli equilibri complessivi del sistema. Il Csm ha sicuramente tentato, relativamente alla magistratura onoraria in Tribunali e Procure, di razionalizzare la situazione esistente che si era già nel frattempo ingarbugliata in tanti uffici, ma nel far ciò ha provocato oggettivamente le premesse di un’ulteriore espansione del ruolo, laddove, a proposito dei Got, ha “aperto” alla loro possibile utilizzazione non solo in funzione di supplenza ma anche con la improvvida previsione dell’assegnazione in via stabile ed ordinaria di ruoli a prescindere dalla mancanza o impedimento di un giudice professionale, vale a dire saltando disinvoltamente i paletti normativi dell’art. 43bis ordinamento giudiziario[8].

Una tale apertura – spiegabile sicuramente con molte prassi nel frattempo invalse in tal senso negli uffici e con le conseguenti fortissime pressioni anche clientelari a conservarle – appariva criticabile per almeno tre ordini di ragioni: a) l’art. 43bis ord. giud. è chiarissimo nel limitare l’uso dei Got solo in caso di mancanza o impedimento del giudice professionale, vale a dire la funzione assolta per norma primaria dal Got doveva essere solo quella vicaria di supplenza e non era dunque consentito creare negli uffici circuiti paralleli di giurisdizione “più semplice” affidati stabilmente al giudice onorario per impegnare quello professionale nelle solite questioni più importanti; b) l’orientamento della Corte costituzionale nelle occasioni in cui è intervenuta in materia di magistratura onoraria è stato quello di salvare le figure di onorari rimesse al suo giudizio distinguendo chiaramente la nomina dall’assegnazione precaria ed occasionale in cui si sostanzia la supplenza che resta il connotato indefettibile di ogni figura onoraria incardinata in un ufficio giudiziario (dai vecchi Vice pretori onorari ai Vpo assegnati a gestire le cause di vecchio rito in Tribunale previsti da un decreto del Guardasigilli Mancuso del 1994): la possibilità viceversa consentita dal Csm di attribuire certe tipologie di materie ai Got appariva in irriducibile contrasto con l’art 106 Cost.; c) il Csm infine pericolosamente finiva per sostituirsi al legislatore ordinario laddove prevedeva con una fonte di rango inferiore quale la circolare di assegnare in pianta stabile ai Got lo stralcio degli ex affari di Pretura ancora pendenti, assimilando in pratica i Got all’istituto precedente dei Goa ma senza alcuna copertura normativa primaria; e laddove addirittura chiariva (nella relazione accompagnatoria della circolare sulle tabelle) che il Consiglio «si sarebbe orientato in tal senso alla luce delle indicazioni contenute in alcuni progetti di riforma in discussione in Parlamento»; con il che anche il progetto di legge entrava, inopinatamente, a vele spiegate tra le fonti del diritto. E che questo sia stato affermato tranquillamente da un organo di rilevanza costituzionale interamente composto da supposti “giuristi” appare circostanza sicuramente degna di rilievo e che resta come “perla” nei “memorabilia” del Consiglio!

L’effetto dirompente (perché ce lo siamo portati appresso fino ad oggi) di una tale impostazione consiliare è stato evidente e si colloca su due distinti piani: da un lato ha avallato la rinascita di una sorta di nuovo Pretore – perché a questo, alla fine, ha portato la riforma del giudice unico – con la creazione nello stesso ufficio giudiziario di due figure coesistenti di magistrati togati ed onorari, attribuendosi a questi ultimi le controversie monocratiche più semplici, ma tradendo in tal modo la stessa riforma del giudice unico che non era certo stata effettuata per ricreare negli uffici unificati una doppia fascia di magistrati, perché allora era sicuramente preferibile conservare il Pretore professionale; dall’altro lato si avallava un ricorso massiccio alla risorsa precaria “magistratura onoraria”, alimentandone (a questo punto arrivo a dire “giustamente”) le aspettative di conseguente stabilizzazione e di reclutamento straordinario, dato il ruolo che la magistratura professionale le aveva rapidamente in pochi anni di fatto attribuito e legittimato con tali avventurosi pronunciamenti, finendo così per occultare i veri problemi da affrontare sul piano ordinamentale, organizzativo e processuale concernenti il rapporto tra organici, tra contenzioso e carichi di lavoro, la produttività dei singoli giudici togati e degli uffici (ad es.: sappiamo di quanto è aumentata realmente la stessa grazie ai magistrati onorari?), la perimetrazione dei confini tra magistratura togata ed onoraria, il riordino di strumenti efficaci di mobilità interna (magistrati distrettuali, tabelle infradistrettuali, applicazioni). Insomma continuare ad abusare della comoda risorsa/scorciatoia degli onorari in Tribunali e Procure allontanava sempre più nel tempo la predisposizione di una strategia globale, sicuramente meno facile ma non rinviabile, che affrontasse, insieme alla questione di quale futuro per la magistratura onoraria, i temi di quale magistratura professionale, quale ordinamento giudiziario e quale processo. Certo, la nuova circolare del Consiglio presentava anche aspetti positivi di maggiore chiarezza sistematica, superando oscillazioni ed ambiguità che la precedente consiliatura non aveva del tutto sciolto, e tuttavia è un fatto che essa ha determinato un fortissimo spostamento in avanti della soglia di praticabilità delle prassi consentite, autorizzandosi soluzioni organizzative che certamente in precedenza erano vietate e sanzionabili perché ritenute fuori dei paletti fissati dall’art. 43bis ord. giud.: in tal modo si è da quel momento reso più chiaro il confine tra ciò che è consentito e non dall’organo di governo autonomo della magistratura ma ciò non significa affatto (e questo è il punto) che tale discrimine coincidesse con quello tra legittimità e illegittimità, perché purtroppo ciò non è così.

Ecco perché, concludendo sul punto, le esigenze di un riordino razionale della materia restavano urgentissime, pur dopo l’innovativa circolare destinata alle tabelle del biennio 2004/2005, avendo la prassi, ormai, superato abbondantemente il livello di guardia sulla scia delle solite croniche emergenze che affliggevano la giurisdizione e gli uffici: dall’aumento incontrollato del numero (eravamo già ad oltre 3000 addetti tra Got e Vpo) per le continue richieste degli uffici cui si contrapponeva solo una fragilissima norma di circolare sul tetto “invalicabile” della metà della pianta organica dell’ufficio; alle utilizzazioni ben al di là degli stessi limiti posti dal Consiglio al di là della legge vigente: attribuzione ai Got di funzioni collegiali, gestioni di ruoli in via ordinaria, utilizzazione anche in materie specialistiche (es. lavoro) vietate, affidamento di reggenze di sezioni distaccate, e chi più ne ha più ne metta; facili aggiramenti del fragile regime di incompatibilità con l’esercizio della professione forense a livello di mero circondario. In altri termini, già allora sarebbe stato urgente effettuare un attento monitoraggio della reale situazione esistente, al di là delle stesse formali previsioni tabellari, e renderlo pubblico, ma ciò non è accaduto[9].

4. Le successive circolari e interventi del Consiglio superiore della magistratura

Dopo che nella circolare sulle tabelle 2004-2005 il momento centrale di utilizzabilità dei Got passò dalla funzione collaborativa in ottica suppletoria ex art. 43bis ord. giud. ad altri profili più ampi di assegnazione di ruoli autonomi e di allargamento delle materie assegnabili (es. locazioni e condominio), con un’importante delibera del 16 luglio 2008 si approfondì la disciplina relativa all’utilizzazione dei Got in preparazione della successiva circolare in vista delle tabelle 2009-2011.

Con la delibera in oggetto si riaffermò il divieto di destinazione alle funzioni collegiali e si reintrodusse nel civile il divieto di assegnazione di ruoli autonomi (che rimasero integralmente vietati con la circolare per il triennio 2009-2011), mentre si ampliò la nozione di impedimento, in primo luogo sulla spinta di alcune soluzioni organizzative escogitate in determinati uffici, a cominciare dal Tribunale di Genova nelle cui tabelle si era inteso per impedimento del giudice togato «anche l’impegno concomitante del giudice nella trattazione di altri affari prioritari in relazione ai programmi di smaltimento dell’arretrato e di gestione prioritaria di determinati affari stabiliti in ogni sezione». Scelta organizzativa che era stata inizialmente dettata in tale ufficio a seguito di sperimentazioni saltuarie in alcune sezioni di gestione di contenziosi ritenuti prioritari e poi, a partire dal 2010, sfociate in un organico piano di definizione dell’arretrato civile denominato «progetto anti-Pinto» che vide in ogni sezione l’utilizzazione stabile dei Got per le controversie più semplici e “giovani”, mentre ai togati si assegnava la gestione di tutte le controversie più risalenti e ricadenti nel piano di smaltimento generale dell’ufficio.

Affermò, invero, il Consiglio nella citata delibera del 2008 sul punto che «la nozione di impedimento potrebbe configurarsi anche in modo più ampio, ossia in tutte quelle situazioni non strettamente riconducibili ad impegni processuali coincidenti con una certa udienza, ma in cui debba comunque considerarsi il complessivo carico di lavoro del giudice in un determinato arco temporale, e quindi la trattazione di un certo numero di processi particolarmente impegnativi per complessità o numero delle parti in concomitanza dell’ordinario carico di lavoro. Nelle situazioni suddette ben può parlarsi di un impedimento contingente che può essere fronteggiato con l’utilizzazione di un Got cui attribuire parte degli affari del giudice togato in tal modo impedito, fatti ovviamente salvi gli affari che il magistrato onorario non può comunque trattare».

Sulla scorta di tale delibera la successiva circolare sulle tabelle 2009-2011 consolidò questa nozione estesa di impedimento, prevedendo in via generale la possibilità di destinare «i giudici onorari come supplenti dei giudici professionali, nei casi di assenza o impedimento del magistrato, come compiutamente delineati nella Risoluzione del 16 luglio 2008, per la trattazione dei processi con rito monocratico» e fatti salvi i limiti per materia specificamente individuati consistenti per il settore civile nei: procedimenti cautelari e possessori, controversie di lavoro e previdenza, materie societaria e fallimentare, materia di diritto di famiglia e del giudice tutelare, materia di immigrazione, sezioni stralcio, sezioni specializzate in materia di proprietà intellettuale e industriale.

Per le ipotesi di assenze o vacanze perduranti, la nuova circolare 2009-2011 introduceva poi limiti più severi che in passato, consentendo l’uso dei Got, ma solo in rotazione, e unicamente in caso di impossibilità di ricorrere all’utilizzazione dei magistrati distrettuali ovvero alla sostituzione mediante tabelle infradistrettuali ed esclusivamente nelle materie corrispondenti a quelle per le quali in precedenza era consentita la supplenza ossia le esecuzioni mobiliari, gli affari civili e penali ex Pretura pendenti, le prove delegate, la determinazione dell’equo canone e il condominio.

La normativa secondaria in tema di impiego dei Got è stata quindi radicalmente modificata con la circolare sulle tabelle 2012-2014 (una volta tanto confermata interamente nella circolare successiva sul triennio 2014-2016), essendosi il Consiglio fatto carico soprattutto delle sollecitazioni provenienti dagli uffici in tema di impiego dei Got (ad es. circa l’impossibilità di utilizzarli nei collegi, circa la previsione consiliare di limiti di materia non previsti dalla normativa primaria, e così via: insomma secondo un ricorrente leit motiv teso ad ampliarne il più possibile l’uso), dettando in tal modo una disciplina che comportava per un verso un ritorno al passato in cui si erano consentite soluzioni più “largheggianti” e per l’altro introducendo alcune innovazioni non certo esenti da critiche sotto il profilo della loro conformità al dato normativo primario.

Sono stati così introdotti, in un evidente e comprensibile sforzo di sistematizzazione più funzionale alle esigenze degli uffici, tre diversi moduli di fondo di utilizzazione dei Got: l’affiancamento ad un giudice professionale nella trattazione di procedimenti individuati con criteri generali ed astratti, con connessa assegnazione al giudice affiancato di un ruolo aggiuntivo; l’assegnazione di un ruolo in caso di significative vacanze nell’organico dell’ufficio; la destinazione in supplenza di giudici professionali anche nei collegi.

Parallelamente a questi tre moduli, venivano altresì nuovamente disciplinate, in senso ampliativo, le materie attribuibili, nel momento in cui si restringeva drasticamente l’area delle materie escluse ai soli settori societario e fallimentare e della proprietà intellettuale ed industriale (oltre, ovviamente l’unica esclusione ex lege costituita dai procedimenti cautelari e possessori ante causam, e quella – che a mio avviso discende dalla ratio del sistema costituzionale - in materia di appelli per cui non può consentirsi un doppio grado onorario nel giudizio di merito).

Modello ordinario d’impiego era sicuramente l’affiancamento, ma tale nuovo istituto entrava nuovamente in tensione con l’art 43bis ord.giud.. Di ciò era consapevole il Csm che forniva così una giustificazione del nuovo istituto, ma fondata su un vero e proprio excamotage: il ruolo aggiuntivo – si sosteneva – rende «impedito» il giudice affiancato che, pertanto, si fa affiancare in funzione vicaria dal Got. Ma una domanda semplice semplice scopre subito il “trucco”: e se tutti i giudici professionali (in un ufficio o in una sezione) chiedono l’affiancamento dove va a finire il ruolo aggiuntivo che determina l’impedimento? In tal caso, infatti, i ruoli finiscono in realtà per restare immutati non potendosi assegnare ruoli aggiuntivi; quindi salta l’aggancio all’impedimento fissato dalla norma primaria e dunque, in conclusione, il modello può funzionare solo se sono pochi i giudici ad avvalersene, il che equivale a negarne in radice i caratteri dell’ordinarietà: che è esattamente quanto avviene, per fare un esempio concreto, al dibattimento penale del Tribunale presieduto da chi scrive dove solo alcuni giudici hanno chiesto l’affiancamento di un Got ed hanno quindi avuto un’assegnazione di processi maggiore degli altri giudici.

5. Il futuro dei Got: alcune criticità delle Legge delega n. 57

Con questo concreto assetto ordinamentale si è arrivati alla riforma della l. n. 57 che ha dovuto in gran parte scontare la situazione pasticciata creatasi nei tanti anni di sole proroghe, risolvendo così in modo discutibile ed un po’ farisaico alcuni nodi che si erano creati a cominciare da quello della sorte del precariato che si era formato negli uffici. Come spiegare altrimenti una normativa transitoria che, davvero un unicum, incredibilmente proroga tutti i magistrati onorari in servizio per ben 16 anni? Non è questa una forma surrettizia di semi-stabilizzazione? Per non parlare della mancata soluzione del problema previdenziale e del peggioramento, nel complesso, del trattamento economico dei magistrati onorari.

In realtà, esaminandola nel suo complesso, sembra davvero che la riforma sia stata molto più attenta alla soluzione delle esigenze interne degli uffici giudiziari che ai problemi della categoria dei magistrati onorari che, fatta eccezione per la lunghissima proroga di cui s’è appena detto, sono stati del tutto misconosciuti.

C’è sicuramente, nella riforma, in primo luogo il perseguimento del preciso obiettivo di riempire il “guscio vuoto” dell’Ufficio per il processo, di recente introdotto dall’art. 50 dl 24.6.2014 n. 90, sino ad oggi non decollato, e che viene introdotto ex professo anche nelle Procure dall’art. 2, comma 6, lett. a) della Legge delega più volte citata. Le indicazioni relative appaiono, tuttavia, alquanto nebulose in ordine al preciso ruolo svolto dalle figure onorarie entro tale articolazione e contraddittorie per quanto concerne l’esperienza e capacità occorrenti per svolgere tali funzioni: da un lato, invero, sembrerebbe ricavarsi dal combinato disposto delle norme contenute nell’art. 2, comma 5, lett.a) n. 1 e lett. c) che i magistrati onorari debbano transitare in tale struttura, dove non possono svolgere attività giurisdizionali, quanto meno nei primi due anni dal loro reclutamento, visto che possono essere applicati alla trattazione di procedimenti civili e penali solo dopo i primi due anni dell’incarico (ma per converso non è escluso che possano rimanere nell’ufficio per il processo con mere funzioni collaborative anche per periodi più lunghi, ma in questo caso mancano nella delega direttive di sorta); dall’altro, la norma transitoria sulla proroga per quattro mandati quadriennali (art. 2, comma 17, lett. a) n. 2), prevede inopinatamente con una disposizione di cui sfugge davvero il senso che «nel corso del quarto mandato i giudici onorari possano svolgere i compiti inerenti all’ufficio del processo e i vice procuratori onorari possano svolgere esclusivamente i compiti di cui al comma 6, lett. b), n. 1)», con il che, come giustamente già rilevato dal Csm nel suo parere, si introduce una sorta di «retrocessione professionale» per i magistrati onorari più anziani che verrebbero confinati nell’ambito dell’ufficio per il processo a svolgere funzioni non più giurisdizionali ma solo collaborative e preparatorie.

Vero è che la norma si esprime in termini di facoltà («possano svolgere compiti …») ma resta la stravaganza e incoerenza della disposizione, ragion per cui sarà compito del legislatore delegato quello di svuotare la stessa dai contenuti più inaccettabili, ma soprattutto senza lasciare troppa discrezionalità ai presidenti dei Tribunali e procuratori capi in ordine alle concrete modalità di utilizzazione in questo ufficio degli onorari.

In realtà, da queste considerazioni negative prende le mosse la critica principale che, a mio avviso, si può muovere alla riforma, che è quella di aver perso per strada l’originaria maggiore linearità del progetto governativo di riordino della magistratura onoraria da cui è scaturita.

Da esso emergeva chiaramente una filosofia di fondo rappresentata dall’affiancare alla magistratura ordinaria un secondo unitario circuito di giurisdizione onoraria caratterizzata da uno status preciso, incentrato pur sempre sulla sua temporaneità (anche se temporalmente dilatata) e caratterizzata da una sorta di sviluppo professionale interno che si snodava in successione attraverso quattro fasi: un tirocinio iniziale; un’attività di collaborazione inserita nell’ufficio del processo; un’attività giudiziaria di supplenza ed affiancamento in Tribunale e Procura; un’attività giurisdizionale, infine, autonoma nell’ambito degli uffici del giudice di pace.

La normativa transitoria prevedeva, poi, tre proroghe quadriennali per i magistrati onorari in servizio, salvo il tetto dei 70 anni di età. Tuttavia, lo stesso progetto ministeriale appariva sicuramente ambiguo e non accettabile nel momento in cui prevedeva che «per coloro che alla scadenza del terzo quadriennio non abbiano raggiunto il predetto limite massimo di età (id est: 70 anni), potrebbero ipotizzarsi il mantenimento in servizio nell’ufficio del processo per un ulteriore periodo».

Si trattava infatti di una disposizione che, in quanto applicabile come norma transitoria a tutti i magistrati in servizio alla data della riforma, finiva col garantire a molti se non alla maggior parte di essi (cioè a tutti coloro che non avessero raggiunto i 70 anni con l’ulteriore proroga di 12 anni) un periodo aggiuntivo, tra l’altro indeterminato, che rischiava fortemente di compromettere l’esigenza stessa di separare la sorte dei magistrati onorari in servizio che avessero già beneficiato di proroghe oltre i sei anni previsti dall’allora vigente normativa (art. 43ter ord. giud. e art. 6 dm 7.7.1999), ai quali andava certamente assicurato un congruo (ma non interminabile) periodo per la loro uscita dall’ordine giudiziario, da quella dei nuovi reclutati sulla base della nuova organica disciplina.

In quel progetto, comunque, del tutto condivisibile risultava la scelta di inserire esclusivamente, nel primo quadriennio di attività, i nuovi magistrati onorari nella struttura dell’ufficio del processo, struttura introdotta espressamente nell’ordinamento, poco tempo prima, dalla riforma del processo civile telematico. La previsione sembrava così davvero delineare un percorso professionale del nuovo magistrato onorario che avrebbe dovuto quindi, prima “formarsi” in tale struttura fornendo un ausilio di tipo collaborativo e non direttamente giurisdizionale, per poi cimentarsi in attività giudiziaria vera e propria, svolgendo quello che già oggi, sostanzialmente, svolgono dentro ai nostri uffici. Infine, nella terza fase di questa sorta di “carriera” onoraria, si sarebbe potuto accedere alle funzioni di giudice di pace. Ecco allora che, entro un tale contesto, si giustificava l’ulteriore previsione nel progetto ministeriale della “differenziazione” dei compensi tra quanti esercitassero funzioni giurisdizionali e quanti di supporto all’attività del magistrato professionale.

Non sembrava, viceversa, giustificarsi affatto, in questa riorganizzazione unitaria delle diverse figure onorarie, la previsione ministeriale secondo cui, nel corso della fase transitoria, «i giudici di pace potranno essere impiegati nell’ufficio per il processo esclusivamente previo loro consenso», disposizione davvero bislacca di cui sfuggiva la ratio e che sembrava davvero incrinare la linearità del percorso professionale che si è cercato di tratteggiare e che emergeva chiaramente dal progetto.

Questo, in altri termini, costituiva una base di partenza solida che poteva essere solo migliorata. Purtroppo, a mio avviso, è stata notevolmente peggiorata dal Parlamento con alcune scelte della l. 57.

I quadrienni di proroga da tre sono divenuti quattro; è rimasta la possibilità di impiegare i Gdp più anziani nell’ufficio per il processo; ma soprattutto al ruolo unico è stato aggiunta la previsione di un ufficio unico a cui assegnare tutti i giudici onorari, come se questi ultimi potessero essere totalmente equiparati ai Vpo che sono incardinati necessariamente solo all’interno delle Procure, non esistendo un ufficio requirente presso il Gdp. I giudici onorari, al contrario, continuano ad operare, proprio per le funzioni svolte completamente differenti tra loro, in due uffici giudiziari differenti: nel tribunale in cui possono esercitare, tra l’altro, diverse funzioni, solo amministrative/ausiliarie nell’ufficio per il processo o giurisdizionali nelle sezioni; e nell’ufficio autonomo del Gop (nuovo acronimo per denotare il vecchio Gdp, oggi divenuto giudice onorario di pace) .

Con la riforma, viceversa, faranno tutti parte di quest’ultimo ufficio cui sono assegnati, spettando al legislatore delegato disciplinare le modalità con cui poi potranno essere assegnati al tribunale.

Orbene, questo della indistinzione ordinamentale tra figure/funzioni è un problema non certo secondario perché la riforma va a disegnare oltre che un ruolo unico di magistrati onorari (il che appare condivisibile, stante l’attuale giungla ordinamentale e retributiva che caratterizza le varie figure esistenti) un unico ufficio giudiziario dove verranno assegnati giudici che opereranno, come s’è detto, in due uffici giudiziari diversi e che continueranno ad essere, da un punto di vista ordinamentale e processuale, uffici giudiziari autonomi e distinti, in quanto l’uno continuerà ad essere il giudice superiore (quale giudice d’appello) dell’altro. Si tratta cioè di una soluzione del tutto inedita, in forza della quale nello stesso ufficio sono assegnati giudici che poi finiscono per esercitare funzioni giurisdizionali in uffici diversi, le une superiori processualmente alle altre.

Ecco dove sta il peggioramento del testo normativo cui si faceva accenno in precedenza, frutto dell’appannamento verificatosi in sede parlamentare, nella costruzione dei principi che governeranno le varie funzioni che i nuovi magistrati onorari andranno a disimpegnare.

L’originaria precisa scansione temporale di questi diversi compiti, cui implicitamente si accompagnava l’assegnazione degli onorari ad uffici diversi, si è ridotta, invero, alla semplice previsione del biennio iniziale obbligatorio presso l’ufficio per il processo (nel corso del quale, comunque i giudici onorari fanno parte dell’ufficio del Gop,) senza nessuna chiarezza sull’assegnazione e durata degli incarichi successivi salvo la discutibile disposizione in cui, anche se come regola dettata per il periodo transitorio, si stabilisce che nell’ultimo quadriennio dei quattro mandati previsti per i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore della legislazione delegata, potranno svolgere i compiti inerenti all’ufficio per il processo, che sono notoriamente i più elementari e limitati (in una logica quindi di evidente “demansionamento” o del “più si sale e meno si lavora”?).

Ma questo non appare un inconveniente marginale inserito nelle maglie della farraginosa normativa transitoria, essendo in realtà figlio del nuovo impianto della Legge delega che, per prevedere il giusto superamento dell’attuale giungla, prevedendo un’unica figura di magistrato onorario, ha finito per tralignare inserendo questa nuova figura unitaria anche in un unico ufficio: scelta che è però contraddetta da tutto il resto della riforma nella quale i nuovi magistrati onorari sono inseriti effettivamente non in un unico ufficio, ma nel Gop, nei Tribunali e nelle Procure.

Il problema più delicato diventa allora, davvero, di tipo ordinamentale perché resta avvolto nel vago un punto nevralgico costituito dal come il presidente del Tribunale dovrà designare i magistrati onorari all’uno o all’altro ufficio e dal come il procuratore capo potrà distribuire i Vpo tra l’ufficio per il processo e l’attività giudiziaria[10]: e l’incertezza concerne i presupposti, i criteri di individuazione, il numero e la durata di tale distribuzione, che non ritengo possano essere lasciati alla situazione di ogni ufficio, dovendo invece essere oggetto di regole uniformi generali. Sembrerebbe, infatti, a prima vista un problema risolvibile facilmente in via tabellare, ma non può essere, a mio avviso, rimesso alla sola normativa secondaria del Csm, con l’eventuale circolare sulle procedure tabellari, lo stabilire quale magistrato onorario starà nel “circuito” del Gdp e quale opererà come “giudice onorario vicario” in tribunale e quale infine come “Cot” (collaboratore onorario) nell’ufficio del processo, senza cioè svolgimento di funzioni giudiziarie. Può immaginarsi che si possa lasciare alle sole prescrizioni tabellari, senza fare i conti con l’art. 107 della Costituzione, la discrezionale scelta, che incide sull’inamovibilità del giudice, tra far svolgere funzioni solo di collaborazione, funzioni giurisdizionali ausiliarie e funzioni giurisdizionali piene in uffici diversi?

Del resto, se si ritiene che l’istituto ordinamentale più appropriato per governare questa mobilità dei giudici onorari tra le diverse funzioni esercitabili presso gli uffici del Gop e del tribunale operanti nello stesso circondario, sia l’applicazione e non l’assegnazione interna (che non può operare tra uffici distinti) appare necessario introdurre una disciplina speciale ad hoc non essendo certo applicabile la normativa generale vigente (v. art. 110 ord. giud.) che, per citare solo alcune regole confliggenti con le esigenze della nuova riforma, attribuiscono al presidente della Corte d’appello il potere di disporre applicazioni endodistrettuali, vale a dire tra uffici diversi del distretto, prevedono fino a 6 mesi di durata senza il necessario consenso dell’interessato e per periodo più lunghi previo tale consenso. Qui, invece, trovandoci di fronte ad un assetto ordinamentale inedito in cui più uffici sono diretti, tra l’altro per effetto di altre disposizioni della stessa l. 57, dallo stesso soggetto (il presidente del Tribunale) e prevedendo la Legge delega che sia tale organo ad assegnare i giudici onorari dislocandoli presso i diversi uffici, appare indispensabile che vadano indicate dettagliatamente le regole e i criteri nella Legge delegata, in ordine alle modalità di inserimento dei magistrati onorari nei due uffici e di assegnazione alle diverse funzioni nonché i criteri di ripartizione tra le stesse: quanti magistrati onorari, cioè, andranno a fare i tre distinti lavori.

Se è invero ipotizzabile che, a fronte delle nuove significative competenze che la riforma ha attribuito al nuovo giudice di pace – a cominciare dalle cause di risarcimento danni in materia di r.c.a. fino ad € 50.000 – si verifichino in futuro una minore necessità di Got in Tribunale ed un parallelo aumento degli organici dei nuovi uffici autonomi, le scelte di fondo sul riparto dei magistrati onorari tra uffici giudicanti e requirenti e tra tribunale e ufficio del Gop debbono essere tutte fatte dal legislatore delegato e non trasferite a cascata sui livelli istituzionali inferiori.

È impensabile infatti che possa operare in questa situazione la generica norma dell’art. 47 ord. giud. che attribuisce al presidente del Tribunale il compito di dirigere l’ufficio e di distribuire il lavoro tra le sezioni nei tribunali divisi in sezioni. Occorre, invece, riempire l’ulteriore disposizione della stessa norma laddove aggiunge che il presidente «esercita le altre funzioni che gli sono attribuite dalla legge nei modi da questa stabiliti». Essa, invero, risulta confermata in pieno da quanto stabilito con la riforma della l. 57 che ha attribuito proprio a tale soggetto il nuovo importante compito di dirigere tutti i giudici onorari concentrati nell’unico ufficio del Gop demandando al legislatore delegato il compito di disciplinare «le modalità di impiego dei magistrati onorari all’interno del tribunale e il della procura della Repubblica» così come «le modalità con cui il presidente del tribunale provvede all’inserimento dei giudici onorari di pace nell’ufficio per il processo costituito presso il tribunale ordinario». Sarebbe a questo punto certamente un cattivo esercizio della delega, una disciplina attuativa che con “self restraint” se la cavasse con un eventuale rinvio alle procedure tabellari ed alla normazione consiliare per la determinazione di tali modalità, perché essendoci in gioco precisi valori costituzionali non si può assolutamente rinunciare ad un compito di attuazione piena della riserva di legge costituzionalmente prevista, ragion per cui dovranno essere norme di ordinamento giudiziario quelle che regoleranno i criteri di distribuzione dei giudici onorari tra il tribunale e l’ufficio autonomo del Gop. Non si può lasciare, in merito, fissate le nuove piante organiche, una discrezionalità pericolosissima al presidente del Tribunale nella successiva distribuzione dei giudici onorari incentrata su un eventuale ampio potere di applicazione, dato che questa finirebbe per intervenire sull’assegnare i magistrati onorari a funzioni che incidono direttamente sia sull’ufficio di appartenenza, sul loro status (meri collaboratori dei giudici togati; loro sostituti; giudici autonomi) sia sulla diversa misura delle indennità loro spettanti.

È il decreto delegato, dunque, che dovrà colmare i tanti vuoti della Legge delega sul punto, cercando in primo luogo di recuperare le distinzioni tra le diverse funzioni attribuibili così come erano delineate dal disegno originario e la sequenza temporale di quella che ho chiamato “carriera” del magistrato onorario, disciplinando in modo articolato queste funzioni, i criteri di incardinamento dei singoli onorari nei due diversi uffici di primo grado anche tenendo presenti la diversità e il peso delle esperienze pregresse stante la lunga durata della fase transitoria, nonché le modalità del passaggio da una all’altra funzione e da uno all’altro ufficio. Per fare solo un esempio: occorreranno precise disposizioni che regolino l’eventuale passaggio, anche con apposite procedure concorsuali, degli ex Got di tribunale più “anziani” al nuovo ufficio del Gop, oppure in senso inverso di ex Gdp in tribunale, e così via. In altri termini occorre una regolamentazione pienamente conforme al principio costituzionale di inamovibilità che non può non valere anche per i giudici onorari, secondo il quale, non va mai dimenticato, la destinazione ad altra sede o funzione è provvedimento adottabile unicamente «o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso».

Questo mi sembra uno dei problemi istituzionali più urgenti e delicati della riforma (e stranamente fino ad oggi del tutto trascurato dai primi commentatori), perché attiene proprio al suo nuovo assetto a regime che, al contempo, si deve misurare con il problema della sistemazione di tutto il personale proveniente dai regimi ante riforma.

Ma non solo: altre questioni di tipo più organizzativo rischiano poi di esplodere in relazione alle norme transitorie che non tengono conto della reale situazione attuale degli uffici dei giudici di pace, il cui organico previsto dalla legge istitutiva in 2700 unità è al momento assottigliato a soli circa 1500 gdp e con la previsione che si riducano a 900 entro un biennio.

La norma transitoria dell’art.2, comma 17, lett. b, co. 1,2, 3, prevede, nonostante questo, uno sbarramento che si ritiene davvero assurdo: che i Got confluiscano nell’ufficio del Gdp a decorrere solo dal 5° anno successivo alla riforma, per cui non si potranno irragionevolmente per tutto tale periodo utilizzare Got per coprire i vuoti del Gdp, mentre nel frattempo andranno via molti Gdp per raggiungimento dei limiti di età: varrebbe quindi la pena rivedere questo punto perché, sempre sotto l’ossessionante e prioritaria esigenza del risparmio, si rischia la chiusura, o quanto meno il peggioramento radicale delle performance di tanti uffici a cominciare da quello di Genova in cui i Gdp presenti si sono ormai ridotti a 11 su un organico originario di 57!

Altra disposizione criticabile, tra l’altro di dubbia costituzionalità, appare poi quella dell’art. 1, comma 5, lettera a), punto 2, in cui si prevede che «il giudice professionale stabilisca le direttive generali cui il giudice onorario di pace deve attenersi nell’espletamento dei compiti delegati» e che «quando questi non ritiene ricorrenti nel caso concreto le condizioni per provvedere in conformità alle direttive ricevute, possa chiedere che l’attività o il provvedimento siano compiuti dal giudice professionale titolare del procedimento». La norma, invero, sembra proprio riferirsi a direttive (seppure pudicamente qualificate «generali») concernenti il merito dell’attività giudiziaria delegata e cozza irrimediabilmente contro la garanzia d’indipendenza fissata dall’art. 101 Cost. laddove, proprio con l’avverbio «soltanto» sottintende un diritto di ogni giudice di non dipendere da nessun’altra volontà che non sia quella della legge e dunque, neppure dal giudice professionale cui sia affiancato e che gli abbia delegata una qualche attività giudiziaria, anche istruttoria. Né appare rimedio efficace la possibilità di rifiuto per il delegato di sottostare alle direttive con restituzione dell’affare delegato al delegante per almeno due ragioni: perché la garanzia costituzionale è assoluta e quindi non è “disponibile”, vale a dire rimessa alla volontà abdicativa dell’interessato; e poi perché il rimedio escogitato del rifiuto esporrebbe il giudice onorario a oggettive difficoltà se non a ritorsioni, in primo luogo di ordine psicologico per il diverso “potere contrattuale”, nel contrapporsi al giudice professionale che, alla fine, è quello che gli dà lavoro.

L’unico modo di intrepretare la disposizione in modo costituzionalmente orientato sarà quello di prevedere nella normativa delegata che le eventuali direttive impartite dall’organizzazione professionale ai giudici onorari saranno soltanto quelle operanti per tutti i giudici nell’ufficio e connesse agli aspetti organizzativi del lavoro e mai al profilo del merito dell’attività giudiziaria da svolgere.

Conclusioni

Dare un giudizio complessivo sulla riforma della l. 57 non è, a questo punto, semplice e probabilmente perfino prematuro, perché si tratterà di vedere come andrà in porto con i decreti delegati. Facile dire, già ora, che sia una riforma a luci e ombre, con molte criticità, singole scelte discutibili e altre ambigue, con norme transitorie contraddittorie e farraginose. Certo è che una riforma siffatta esalterà le capacità del legislatore delegato nel migliorarne gli effetti: miglioramento che ci sarà se saprà colmarne le lacune, riportare linearità e razionalità nel sistema. In conclusione, la riforma deve essere l’occasione – unica e irripetibile – per mettere in circolo nell’organizzazione giudiziaria una serie di fattori positivi e per evitare il perpetuarsi di tutto quanto di negativo si è accumulato negli anni attorno alla galassia magistratura onoraria. Cominciando da questo secondo aspetto, la speranza che abbiamo davanti è di veder presto davvero superato l’assetto abnorme che si era creato: una vasta sacca di precariato in continua espansione numerica, priva di serie garanzie lavorative a cominciare dal rispetto di quelle costituzionali, sfruttata e sottopagata, in balia dei moduli organizzativi interni agli uffici più disparati, mal reclutata e non soggetta ad alcun serio controllo professionale iniziale e successivo; ma al contempo sempre più richiesta e utilizzata perché risorsa sempre più preziosa e a basso costo, ormai indispensabile per il funzionamento quotidiano della giurisdizione.

Per questa realtà che ci portiamo dietro e su cui volutamente mi sono dilungato nella prima parte dello scritto per meglio focalizzare i problemi che ha davanti il legislatore delegato, occorre davvero una cura drastica di “resettazione” in grado di gestire con equilibrio il doppio binario della fase transitoria che, per un lungo periodo, vedrà in servizio i vecchi magistrati onorari prorogati ed i nuovi; di dettare regole normative chiare sui tempi, modalità di inserimento negli uffici, durata, materie delegabili, in relazione alle diverse funzioni esercitabili dai giudici onorari; di limitare la funzione collaborativa nell’ufficio per il processo al primo periodo di impiego dei nuovi giudici e chiarire il ruolo vicario dei giudici onorari che continueranno a svolgere funzioni giudiziarie in tribunale, mantenendo in toto i principi dell’art. 43 ord. giud.; di recuperare con chiare e uniformi indicazioni per gli uffici un ruolo del magistrato onorario come gestore del contenzioso minore, secondo la ratio dell’art. 106 Cost.; di chiarire come ogni qual volta un magistrato onorario eserciti funzioni giudiziarie la sua attività è presidiata dalle stesse garanzie costituzionali dei magistrati professionali; di ripartire rigorosamente le nuove competenze del Gop, sulla base di materie chiaramente individuate e superando le “nebbie” della Legge delega laddove (art. 2, comma 15, lett. b), c) ed f)) si parla di ripartire le competenze in certi settori (successioni, diritti reali, comunione) in base alla «minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria»: direttiva vaga che deve però tradursi in precise regole processuali circa il contenzioso trasferito essendo palesemente irrazionale ed incostituzionale (per violazione dell’art. 25 Cost.) una competenza non predeterminata dalla legge ma rimessa ex post alla scelta caso per caso sulla base del concreto contenuto dell’oggetto (semplice o complesso) della regiudicanda[11].

È dunque una rilevante ed ambiziosa scommessa che abbiamo davanti, trattandosi di dar corpo finalmente ad un doppio stabile circuito di giurisdizione, ordinario ed onorario, in grado di concorrere in pari dignità e legittimazione a perseguire l’unico e convergente fine della tutela dei diritti di ogni persona.

[1] V. sulla questione della “galassia” inesplorata, C. Viazzi, Il ruolo della magistratura onoraria, relazione al convegno nazionale Il giudice unico e la giustizia civile, organizzato a Bari dall’osservatorio barese sulla giustizia e svoltosi l’11 e 12 dicembre 1999, 133 ss. degli atti; G. Gilardi, S.Mattone, C. Viazzi, Il futuro della magistratura onoraria : appunti e proposte per una discussione, in questa Rivista, ed. F. Angeli, n, 4/2003, 747 ss..

[2] Il riferimento è alle sentenze della Corte cost. n. 99 del 1964 sui Vpo e n. 103 del 1998 sull’uso dei Got nelle cause di cd. vecchio rito in Tribunale, consentito in via transitoria dal dl n. 432/1995 del Ministro guardasigilli Mancuso. Nelle due sentenze, comunque, la Corte ha affermato il principio per cui vanno tenute «ben distinte la nomina dall’assegnazione precaria e occasionale, qual è nella sostanza la supplenza, che non può e non deve incidere sullo “stato” del magistrato tanto da trasformare l’incarico temporaneo in un sostanziale incardinamento in un ufficio; con il rischio dell’emergere di una nuova categoria di magistrati “fuori da un concorso”».

[3] V l. 18.5.1974 n. 217, Sistemazione giuridico-economica dei vicepretori onorari incaricati di funzioni giudiziarie ai sensi del secondo comma dell’art. 32 dell’ordinamento giudiziario; l. 4.8.1977 n. 516 Sistemazione giuridico-economica dei vice pretori onorari reggenti sedi di preture prive di titolare da almeno quindici anni ed in servizio al 30 giugno 1976 con remunerazione a carico dello Stato, non esercenti la professione forense né altra attività retribuita.

[4] V. C. Viazzi, Commentario agli art. 8, 9 e 10 d.lgs. n. 51/1998, in Commento alla normativa delegata sul giudice unico, diretto da M. Chiavario ed E. Lupo, Torino, 2000, pag. 57-99.

[5] V. Proposta di legge n. 5163 presentata alla Camera il 19.7.2004 dai deputati Vitali ed altri avente ad oggetto Istituzione del ruolo dei magistrati di complemento, il cui art. 1 c.2 recita: «I magistrati di complemento si distinguono dagli altri magistrati ordinari (nel senso quindi che anch’essi diventano, in quanto stabilizzati sine die, ordinari) soltanto per diversità di funzioni (nel senso che continuano i Got a fare i Got, i Vpo a fare i Vpo, i Gdp a fare i Gdp, ma non più a tempo determinato bensì a tempo indeterminato, salvo la possibilità di transito nei ranghi dei magistrati di Tribunale con il concorso riservato previsto dal successivo art. 6) e per modalità di reclutamento (posto che i magistrati di complemento accedono al ruolo solo mediante concorso per titoli)». Ora se semplicemente si compara questa norma con l’art. 107, 3° comma, «I magistrati (ovviamente ordinari) si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni», già si comprende perché il progetto confligga in primo luogo in modo radicale e senza possibilità di soluzione con la Costituzione.

[6] È un fatto certo che nel primo decennio degli anni duemila una parte dell’allora maggioranza governativa abbia investito sulla magistratura onoraria come “controparte” da contrapporre alla magistratura professionale, con un tentativo di politicizzazione della prima e di accreditamento in termini di magistratura vicina al popolo, in antagonismo con l’altra lontana dallo stesso. Solo in questa chiave si possono spiegare una serie di cose: l’attribuzione al Gdp della competenza in materia di immigrazione; l’avallo più o meno esplicito alla proposta della Federmot; la rinuncia da parte del Ministero ad elaborare una riforma organica della materia su linee diverse; il blocco dei concorsi ordinari; le proroghe dei magistrati onorari in scadenza ai sensi dell’art. 245 d.lgs 51/98.

[7] V., ad esempio emblematico di questa posizione, l’articolato documento approvato dall’assemblea dell’Organismo unitario dell’avvocatura riunito in Roma il 17.12.2004 avente ad oggetto la riforma delle magistrature onorarie (già l’uso del plurale è significativo), in cui, dopo una serie di premesse ineccepibili sullo stato allarmante della questione e l’affermazione dell’auspicio di «sciogliere il nodo cruciale della magistratura onoraria attualmente utilizzata in quantità esorbitante, sì da costituire un ordine parallelo alla magistratura togata, privo di formazione, di responsabilità e di controllo», individua come linee di una possibile riforma i seguenti punti, sicuramente in massima parte condivisibili:

-riserva dell’esercizio delle funzioni di magistrato onorario agli avvocati;

-disciplina uniforme (non meglio precisata) di tutte le figure onorarie esistenti nell’ordinamento giudiziario;

-garanzia di pari dignità tra magistratura togata ed onoraria; di terzietà, autonomia e indipendenza anche per i magistrati onorari;

-individuazione per la magistratura onoraria di una competenza giurisdizionale esclusiva;

-garanzia di un’equa retribuzione e di una costante verifica di professionalità;

-previsione di un serio sistema di incompatibilità;

-valorizzazione dei Consigli dell’ordine nella selezione; previsione di un tirocinio prima dell’assunzione della funzione e di meccanismi di formazione permanente;

-istituzione di un organo di controllo per la magistratura onoraria.

[8] Il punto 58.3 della circolare del Csm sulle tabelle degli uffici giudiziari 2004/2005 testualmente recitava: «La proposta tabellare può prevedere che i giudici onorari siano destinati alla trattazione delle seguenti controversie: 1) nel settore civile: a) le esecuzioni mobiliari; b) gli ex affari di Pretura ancora pendenti presso i singoli uffici; c) l’assunzione di prove delegate; d) le cause di locazione ad uso abitativo, limitatamente alle controversie aventi ad oggetto la determinazione dell’equo canone e le accessorie richieste di pagamento e restituzione di somme; e) la materia del condominio; 2) nel settore penale: a) gli affari ex Pretura ancora pendenti, sempreché si tratti di procedimenti diversi da quelli di cui all’art. 550 cpp». Significativa, del resto, appare la spiegazione di questo allargamento di ruolo espressamente consentito dalla circolare: le fortissime pressioni provenienti dai dirigenti degli uffici giudiziari che lamentano continuamente le insufficienze degli organici e l’eccessivo onere dei magistrati di ogni ufficio.

[9] Fonti interne al Consiglio superiore del tempo evidenziarono un impatto variegato della circolare, con l’emersione di alcune tendenze: nel 50% circa di tabelle approvate dal Consiglio l’utilizzazione avallata dei Got era stata esattamente quella censurata nelle precedenti indicazioni tabellari, laddove in molti uffici espressamente si era prevista in tabella l’assegnazione di ruoli in via esclusiva ai Got, a volte con l’indicazione specifica della materia (es. esecuzioni mobiliari), altre e più numerose volte mediante il rinvio alle «materie consentite dal paragrafo 58»; in particolare la tabella del Tribunale di Torino era stata oggetto di speciale attenzione da parte del Consiglio non venendo approvata proprio per quanto concerne l’utilizzazione dei Got – nell’ambito del progetto denominato dal presidente di quel Tribunale “Strasburgo”, poi divenuto tanto famoso – ritenuta inizialmente frutto di una violazione della normativa vigente in materia (e nonostante gli allargamenti e le forzature attuate dal Consiglio); nel 30% poi delle proposte tabellari degli uffici – e questo appare un altro dato particolarmente inquietante – non vi era stata alcuna indicazione in merito all’utilizzazione dei Got, il che comportava su una quantità notevole di uffici il rischio di non effettuare alcun controllo, non sapendosi neppure cosa succedeva in materia di utilizzazioni dei magistrati onorari; risultavano poi una serie di uffici che, nonostante le aperture dell’ultima circolare, continuavano a contestare (sic!) le limitazioni poste dal Consiglio, auspicando ulteriori allargamenti degli spazi di utilizzabilità dei giudici onorari; pochissimi uffici, infine, avevano fornito indicazioni con riguardo alla possibilità di prevedere meccanismi organizzativi per il coordinamento dei Got.

Sulla base di questi dati, che parlano da soli, ben si comprende allora perché, da anni, si sia da parte di pochi denunciato l’avvenuto superamento della soglia di guardia e l’urgenza estrema di un intervento riformatore che mettesse ordine nella materia: ma ancora una volta una grande responsabilità della situazione va attribuita agli uffici giudiziari stessi (dai singoli magistrati che sempre più spesso reclamano usi più massicci dei Got, ai dirigenti che si lamentano di avere pochi giudici e chiedono nuove immissioni di onorari, agli organi di autogoverno che non sono capaci di sceverare chiaramente i bisogni effettivi, le scelte giuste da fare, gli abusi e gli alibi che continuano in tal modo a rendere opaca la nostra organizzazione).

[10] I Vpo davvero pongono molti meno problemi dal punto di vista organizzativo ed ordinamentale, in primo luogo per il fatto che non decidono e quindi sia dal punto di vista costituzionale, sia per quanto riguarda le ipotesi di cumulo con la professione forense, la loro figura è meno “esposta” di quella dei Got; tanto è vero che in diverse occasioni, nel dibattito di questi anni, è emersa la proposta di sopprimere i Got (specie se parallelamente si fosse proceduto ad un ulteriore aumento di competenza del Gdp) e di conservare i Vpo, anche per la sopravvenuta riforma della competenza penale del Gdp che ha reso la figura del Vpo come complemento coerente, sul versante dell’accusa, di un processo in cui già il giudicante è un onorario.

[11] Per una veemente critica, proprio su questo punto si veda: G. Scarselli, Note critiche sul disegno di legge per la riforma organica della magistratura onoraria, in Foro It., 2015, parte V, col. 326.