Magistratura democratica

La Corte e la stagione dei protocolli con le corti supreme

di Guido Raimondi
Negli ultimi anni, la pratica dei protocolli d’intesa conclusi tra la Corte di Strasburgo e corti superiori nazionali – nell’ottica di una sempre migliore applicazione della Cedu – è legata al grande tema della sussidiarietà, o responsabilità condivisa. Lo scritto tratta della rete delle corti superiori europee e, in particolare, della cooperazione della Corte Edu con le corti superiori italiane, citando le intese concluse con queste ultime.

1. Sussidiarietà

Lo sviluppo, negli ultimi anni, della pratica dei protocolli d’intesa conclusi tra la Corte di Strasburgo e corti superiori nazionali e, più in generale, di varie forme di collaborazione tra queste corti, nell’ottica di una sempre migliore applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è legato al grande tema della sussidiarietà.

Per il sistema europeo di tutela dei diritti fondamentali, incentrato sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), questa è certamente l’era della sussidiarietà.

Specialmente negli ultimi tempi è sempre più maturata la consapevolezza che la Corte europea dei diritti dell’uomo, unico interprete autorizzato della Cedu, è – certamente senza volerne sminuire il ruolo – solo uno degli attori del sistema di tutela dei diritti fondamentali. Si pone così l’accento su quello che è il tema imprescindibile nel dibattito attuale sul sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quello cioè della cd. responsabilità condivisa (responsabilité partagée), che è un modo moderno di riferirsi alla sussidiarietà.

La riflessione sulla responsabilità condivisa – s’intende, tra il livello internazionale, al quale operano la Corte di Strasburgo e il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa (CdE), e quello interno – è stata centrale in occasione della recente Conferenza intergovernativa sul futuro della Corte Edu che si è tenuta a Bruxelles, nell’ambito della presidenza belga del CdE, nel mese di marzo 2015, e anche nella successiva Conferenza tenutasi a Copenaghen il 12 aprile 2018, sotto l’egida della presidenza danese del CdE.

L’idea è che solo uno Stato che sia in grado di tutelare efficacemente i diritti umani al suo interno può aderire alla Convenzione. Questo significa che il primo difensore, il primo giudice dei diritti umani nel sistema europeo non è la Corte di Strasburgo, ma il giudice interno: soprattutto le corti supreme e le corti costituzionali, ma anche il giudice di merito, il giudice di primo grado. Il livello internazionale del sistema è destinato a funzionare solo per riparare a quelle violazioni che, per così dire, sfuggono a un livello – quello nazionale – che già per suo conto dovrebbe essere in grado di prevenire o riparare la violazione dei diritti della persona umana. Il principio di sussidiarietà è espresso, in primo luogo, da una precisa disposizione della Convenzione, l’art. 35, che pone la regola del previo esaurimento delle vie di ricorso interne, ed è stato sviluppato nella giurisprudenza della Corte Edu, che ha cercato di definire i ruoli rispettivi dei giudici interno ed europeo nell’assolvimento di un compito comune, cioè la corretta applicazione della Convenzione. In quest’ambito è stata elaborata la dottrina del margine di apprezzamento, cioè della relativa “deferenza” della Corte verso le soluzioni adottate a livello nazionale, sia dal legislatore sia dal giudice.

Questo è il concetto “classico” di sussidiarietà nell’ambito del sistema della Convenzione: un concetto che, certamente, corrisponde all’idea di sussidiarietà emergente dalla giurisprudenza della Corte.

Si deve avvertire, però, che si è recentemente fatta strada un’altra idea di sussidiarietà. Più che dai testi convenzionali e dalla giurisprudenza della Corte, essa trae origine da un atteggiamento critico di taluni Stati contraenti verso quello che è considerato un certo “attivismo giudiziario” da parte della Corte, che non sarebbe sufficientemente rispettosa del margine di apprezzamento di cui si è detto, che spetta agli Stati contraenti secondo la stessa giurisprudenza della Corte. In particolare – si trova traccia di questa idea nella Dichiarazione che ha chiuso la Conferenza intergovernativa di Brighton dell’aprile 2012 –, secondo questa visione la Corte di Strasburgo non dovrebbe rimettere in discussione l’applicazione della Convenzione fatta dai giudici nazionali, salvo che sia riscontrabile un errore manifesto. In questa prospettiva, la sussidiarietà, piuttosto che riferirsi alle responsabilità degli Stati nell’applicazione della Convenzione, esprime l’idea secondo la quale l’azione della Corte dovrebbe essere caratterizzata da self-restraint e deferenza verso le decisioni statali.

Come si sa, i concetti di “sussidiarietà” e di “margine di apprezzamento” sono destinati a fare il loro ingresso nel preambolo della Cedu quando entrerà in vigore il Protocollo n. 15, uno dei due prodotti principali della Conferenza di Brighton. L’altro è il Protocollo n. 16, sul quale mi soffermerò in seguito, che attiene alla possibilità per le corti interne più alte, incluse le corti costituzionali, di rivolgere alla Corte Edu una richiesta di parere sull’interpretazione o l’applicazione della Convenzione. Ora, tornando al Protocollo n. 15, ci sono pochi dubbi su quale delle due visioni della sussidiarietà gli Stati contraenti avessero in mente quando hanno deciso di emendare il preambolo. Naturalmente, è presto per dire se queste modifiche potranno avere un effetto sulla giurisprudenza della Corte. Non è, tuttavia, inutile ricordare che, secondo gli artt. 19 e 32 Cedu, spetta alla Corte di Strasburgo la parola finale sull’interpretazione di questo strumento.

2. Dialogo tra i giudici

Le corti costituzionali e supreme nazionali sono l’interlocutore naturale della Corte di Strasburgo. Normalmente, per effetto della regola del previo esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte Edu si trova a operare avendo a disposizione una decisione della corte costituzionale o suprema del Paese convenuto. Nella maggior parte dei casi, la questione sottoposta alla Corte è stata già esaminata dalla corte più alta dello Stato interessato: pertanto, è con la soluzione data dalla corte nazionale che la Corte Edu si dovrà confrontare.

La parola chiave in questo contesto è, ovviamente, “dialogo” – parola che si deve continuare a usare, anche se non si può negare che ne sia stato fatto un certo abuso. Il dialogo avviene a vari livelli. Innanzitutto, evidentemente, attraverso le giurisprudenze delle rispettive giurisdizioni interessate, ma anche attraverso scambi diretti tra i membri delle stesse giurisdizioni mediante visite ad hoc, o in occasione della cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario alla Corte Edu, alla quale sono invitati tutti i presidenti delle corti supreme e costituzionali europee, e a margine della quale è sempre organizzato un seminario tematico inquadrato in una serie significativamente denominata «Dialogo tra i giudici».

In questo contesto va inquadrata la prassi dei protocolli d’intesa conclusi dalla Corte di Strasburgo con diverse corti superiori europee. Questi documenti, che non contengono disposizioni vincolanti, esprimono generalmente il desiderio delle giurisdizioni interessate di proseguire e sviluppare il dialogo nelle varie forme possibili, inclusa quella degli incontri diretti, e hanno un alto valore simbolico. La prassi dei protocolli d’intesa ha accompagnato la nascita e lo sviluppo della Rete delle corti superiori europee, una realizzazione di grande importanza sulla quale vorremmo soffermarci. Normalmente, un protocollo d’intesa tra la Corte di Strasburgo e una corte superiore nazionale segna in modo solenne l’ingresso di quest’ultima nella Rete.

3. La Rete delle corti superiori europee

Quando si evoca il riavvicinamento tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e le giurisdizioni supreme degli Stati parte della Convenzione, uno dei punti forti da sottolineare è certamente la creazione, nel 2015, della Rete delle corti superiori[1]. L’iniziativa fu dell’allora presidente della Corte, Dean Spielmann. Chi scrive ne ha, poi, fatto una priorità del suo mandato presidenziale, iniziato il 1° novembre 2015.

Si trattava di favorire ulteriormente la collaborazione tra le corti nazionali e la Corte Edu. Qualche mese dopo essere stata annunciata, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2015, questa iniziativa era salutata nella Dichiarazione di Bruxelles, adottata a chiusura della Conferenza sull’avvenire della Corte cui accennavamo più sopra.

Qualche mese dopo, il progetto – basato essenzialmente sulla creazione di una piattaforma digitale per lo scambio d’informazioni sulle giurisprudenze rispettive – vedeva infine la luce nell’ottobre del 2015, con il sostegno delle due corti superiori francesi, il Conseil d’État e la Cour de cassation. Queste due giurisdizioni dello Stato che ospita la Corte, in effetti, avevano manifestato per questa iniziativa il loro più vivo interesse. Con loro, alla Corte di Strasburgo abbiamo redatto, in uno spirito di grande collaborazione, le regole operative della Rete e il suo statuto, elaborando anche gli strumenti necessari alla sua gestione.

Certamente, l’idea non era quella di limitare questa iniziativa a un solo Stato parte: nel 2016, il progetto è entrato felicemente nella sua fase multilaterale. In effetti, sin dall’inizio un certo numero di corti aveva espresso il proprio interesse per il progetto. Tra le primissime, la Corte di cassazione italiana, con la quale veniva firmato un documento preliminare già l’11 dicembre 2015. Naturalmente, prima di passare dalla fase sperimentale a quella a regime, è stato necessario valutare le implicazioni della creazione di questo nuovo strumento – anche tenendo conto della limitatezza delle risorse della Corte – e apprezzarne la funzionalità prima di procedere al suo allargamento. Non appena è stato possibile, abbiamo offerto la possibilità di entrare nelle Rete a tutte le corti interessate.

I mezzi a disposizione della Rete sono limitati, ma si tratta di un progetto di grande valore. La Corte ha la responsabilità di farlo evolvere in maniera utile, di ascoltare i partecipanti, di riflettere e di individuare vie appropriate per il suo sviluppo. Certamente, in futuro, si dovrà avanzare con prudenza per accompagnare lo sviluppo della Rete verso una piattaforma ancora più compiuta di scambi sulla giurisprudenza della Convenzione. In ogni caso, in due anni di esistenza, la Rete ha ampiamente dimostrato la sua utilità.

Nel corso del 2016 e del 2017, la Rete ha conosciuto un’espansione che ha superato tutte le attese. Costituita da 23 corti superiori di 17 Stati alla fine del 2016, essa ha percorso un cammino impressionante. In effetti, al giorno d’oggi essa conta 69 corti di 35 Stati parte. La Rete fa ormai parte del “paesaggio” della Convenzione. È chiaro a tutte le corti superiori che partecipano alla Rete che il progresso dei diritti garantiti dalla Cedu è affidato, in primo luogo – come dicevamo poc’anzi – al giudice nazionale, primo giudice incaricato dell’applicazione della Convenzione. L’accessibilità ottimale della giurisprudenza della Corte è un elemento cruciale per assicurare il successo di questa missione. Questo risultato si può ottenere, in particolare, fornendo informazioni sulla giurisprudenza, traducendole all’occorrenza, aggiornandole, ma anche garantendo la leggibilità di queste informazioni, che vanno selezionate, strutturate e, qualche volta, “decrittate”. Diversi lavori condotti in seno alla Cancelleria della Corte assicurano già una diffusione efficace della giurisprudenza. Oltre al materiale che proviene da questi lavori – accessibile in rete –, le corti superiori che partecipano alla Rete beneficiano di un accesso privilegiato ad altri documenti, come i commenti del giureconsulto[2]sui nuovi casi decisi dalla Corte e i rapporti di ricerca sulla giurisprudenza di Strasburgo su diverse tematiche. Le corti partecipanti adottano pratiche diverse per disseminare queste informazioni al loro interno e presso le corti inferiori, nel rispetto delle regole di funzionamento della Rete.

La Rete è basata sull’idea che le garanzie della Cedu possono trovare concreta realizzazione solo attraverso una cooperazione affidabile e permanente tra la Corte Edu e le corti superiori nazionali. Durante tutto il 2017, scambi fruttuosi hanno avuto luogo tra la Corte e le corti superiori, creando risorse che sono state poi condivise all’interno della Rete. Da parte sua, la Corte di Strasburgo ha beneficiato delle informazioni fornite dalle corti partecipanti, in particolar modo quando essa ha avuto bisogno di lavori di diritto comparato per i quali le corti partecipanti sono state e sono fonti preziose. Contribuendo regolarmente agli studi di diritto comparato condotti dalla Divisione delle ricerche e della biblioteca della Corte, queste giurisdizioni hanno facilitato la conoscenza, da parte della Corte, del diritto nazionale, in particolare della giurisprudenza.

Al di là di questi scambi regolari, esiste la possibilità per le corti superiori di porre domande specifiche legate alla giurisprudenza relativa alla Convenzione, alle quali il giureconsulto risponde con una lista di riferimenti giurisprudenziali. Le risposte non vincolano la Corte nella sua attività giurisdizionale perché sono fornite sotto la sola responsabilità del giureconsulto.

Gli scambi della Rete si svolgono normalmente attraverso le persone di contatto (focal points) designate dalla Corte di Strasburgo e dalle corti partecipanti. Il 16 giugno 2017, si è tenuto a Strasburgo il primo forum delle persone di contatto e altri rappresentanti di 44 corti superiori e dei loro omologhi designati dalla Corte. In quest’occasione le persone di contatto hanno avuto la possibilità, in una atmosfera conviviale, di fare conoscenza e di discutere del funzionamento e dell’avvenire della Rete.

Alla fine del 2017, la Rete è diventata uno strumento privilegiato di dialogo: un modo molto concreto di mettere in pratica la responsabilità condivisa dell’applicazione della Cedu tra livello nazionale e livello europeo. In effetti, la Rete potrebbe avere un ruolo precursore – non giurisdizionale – nella cooperazione giudiziaria, che il Protocollo n. 16, entrato in vigore il 1° agosto 2018, prevede tra le corti. Rendere permanente e arricchire la cooperazione tra la Corte Edu e le corti superiori in seno alla Rete resta una priorità per la Corte. Era così prima dell’entrata in vigore di questo strumento ed è così ora, nel tempo della sua vigenza, per i dieci Stati parte che finora lo hanno ratificato.

Oggi, a due anni dalla sua creazione, si può dire che la Rete è un vero successo, a testimonianza della fede della Corte di Strasburgo e delle corti superiori partecipanti nel dialogo, nella cooperazione e nella messa in opera congiunta della Convenzione. I predecessori di chi scrive, i presidenti che si sono avvicendati alla guida della Corte, hanno sempre attribuito un’importanza considerevole allo sviluppo di un dialogo intenso con le corti superiori nazionali. La Rete fornisce una struttura a questo dialogo intorno alla giurisprudenza della Corte.

Con l’entrata in vigore del Protocollo n. 16, che non è stato ancora applicato, al dialogo è stata fornita una cornice istituzionale. Il nuovo strumento permette alle corti superiori designate dagli Stati ratificanti di richiedere, in casi concreti dinanzi a loro pendenti, il parere della Corte sull’interpretazione e l’applicazione della Convenzione. Come è noto, le corti nazionali non saranno tenute a richiedere il parere, che non sarà vincolante. Come dicevamo, questo nuovo strumento pattizio nulla toglie all’importanza della Rete e alle sue ulteriori prospettive di sviluppo.

4. La Rete e le corti italiane

Le corti superiori italianesi sono dimostrate subito molto sensibiliallo sviluppo della cooperazione con la Corte Edu.

Prima ancora che la Rete superasse la fase sperimentale e fosse aperta alle corti superiori di tutti i Paesi parte della Convenzione, l’11 dicembre 2015 era firmato a Strasburgo, come accennavamo più sopra, un «Progetto per il dialogo tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di cassazione italiana», in occasione della visita alla Corte europea dell’allora primo presidente della Corte di cassazione, il compianto Giorgio Santacroce, accompagnato dal consigliere Roberto Giovanni Conti. Oltre alla volontà espressa dalla Corte di cassazione di partecipare alla Rete non appena possibile, si affermava nel documento il desiderio di continuare il dialogo per «approfondire i meccanismi di funzionamento delle due giurisdizioni e i temi di attualità giurisprudenziale, confrontando la prospettiva del diritto interno e quella della Cedu anche attraverso uno scambio reciproco di informazioni sulla rispettiva giurisprudenza, interna ed europea. Una speciale importanza sarà dedicata all’analisi del ragionamento giuridico delle corti e alle eventuali modalità di dialogo “attraverso le sentenze”». Tali intese erano ribadite, una volta aperta la Rete, con il Memorandum firmato a Strasburgo il 26 maggio 2016 in occasione della visita alla Corte europea di una delegazione della Corte di cassazione condotta dal primo presidente aggiunto, Renato Rordorf, in rappresentanza del primo presidente Giovanni Canzio, del quale va ricordato l’impegno nel proseguire proficuamente il dialogo con la Corte di Strasburgo, in perfetta continuità con il suo predecessore.

Dopo la Corte di cassazione, entrava nella Rete la Corte di conti, il cui ingresso era solennizzato con la firma a Varenna, il 22 settembre 2017, tra l’allora Presidente della Corte dei conti, Arturo Martucci di Scarfizzi, e chi scrive, di un «Progetto per il dialogo e la formazione tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte dei conti». Con questo documento, i presidenti delle due giurisdizioni si impegnavano in particolare «a organizzare attività di scambio e di formazione al fine di favorire il dialogo tra le due istituzioni. Compatibilmente con le disponibilità delle due istituzioni potranno tenersi incontri, anche di tipo seminariale, durante i quali sarà possibile approfondire i meccanismi di funzionamento delle due giurisdizioni e i temi di attualità giurisprudenziale, confrontando la prospettiva del diritto interno e quella della Cedu anche attraverso uno scambio reciproco di informazioni sulla rispettiva giurisprudenza. Una particolare attenzione sarà dedicata all’analisi del ragionamento giuridico delle corti e alle eventuali modalità di dialogo “attraverso le sentenze”».

Poco dopo, il 16 novembre 2017, veniva firmato a Roma, a Palazzo Spada, un «Protocollo di intesa per l’attuazione del progetto per il dialogo tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e il Consiglio di Stato italiano», in occasione di due giorni di incontri romani con una delegazione della Corte Edu, organizzati congiuntamente dal Consiglio di Stato e dalla Corte di cassazione. Il Protocollo, firmato dal presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e da chi scrive, segnava l’ingresso nella Rete della suprema giurisdizione amministrativa italiana. In particolare, il documento si riferisce alla cooperazione tra le due istituzioni come a «uno strumento proficuo ed efficace al fine di consentire l’approfondimento reciproco dei meccanismi di funzionamento delle due giurisdizioni e dei temi di maggiore attualità, confrontando la prospettiva del diritto interno e quella della Corte Edu, anche mediante lo scambio di informazioni sulla rispettiva giurisprudenza interna ed europea e sulle specificità dell’ordinamento interno». Vale la pena di ricordare la partecipazione agli incontri dell’allora primo presidente della Corte di cassazione, Giovanni Canzio, del presidente aggiunto del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, dell’allora procuratore generale della Corte dei conti, Claudio Galtieri, e del futuro primo presidente della Corte di cassazione, Giovanni Mammone.

Recentemente anche la Corte costituzionale ha fatto conoscere il suo interesse per la Rete e la firma di un protocollo d’intesa con la Corte di Strasburgo. Non c’è bisogno di sottolineare l’importanza, anche simbolica, della possibile partecipazione alla Rete del giudice delle leggi del nostro Paese.

Il quadro non sarebbe completo senza la menzione del «Protocollo per il dialogo tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e il Consiglio superiore della magistratura», firmato a Strasburgo il 4 ottobre 2017, in occasione della visita alla Corte europea di una delegazione del Csm guidata dal vicepresidente Giovanni Legnini.

5. Conclusioni

Come si vede, il dialogo tra la Corte di Strasburgo e le corti superiori nazionali, costituzionali o supreme, è intenso. Queste giurisdizioni sono partner essenziali della Corte europea dei diritti dell’uomo. Non devono risparmiarsi gli sforzi perché il dialogo si traduca in un’armonizzazione delle rispettive giurisprudenze. Due anni di fruttuoso funzionamento della Rete e la prospettiva del “dialogo istituzionalizzato” nel quadro del Protocollo n. 16 autorizzano, a parere di chi scrive, un moderato ottimismo. Certamente, vi saranno sempre delle difficoltà e dei casi nei quali si dovranno registrare divergenze tra la Corte Edu e le corti nazionali.

L’importante è che, una volta interiorizzata l’idea della comune responsabilità nella realizzazione degli obiettivi della Convenzione, vi siano sempre, dalle due parti, rispetto e disponibilità all’ascolto. Crediamo che il costante avvicinamento tra la Corte di Strasburgo e le corti superiori nazionali, perseguito negli ultimi anni, abbia grandemente facilitato la nascita e lo sviluppo di un clima di fiducia che è condizione indispensabile di un dialogo proficuo.

[1] Il sito internet della Rete può essere consultato all’indirizzo: www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=court/network&c.

[2] Il giureconsulto (jurisconsult, jurisconsulte)è un alto funzionario della Cancelleria della Corte, giurista esperto che ha il compito di assistere la Corte – in particolare, le formazioni giudicanti –, fornendo informazioni e opinioni sulla giurisprudenza (cfr. art. 18B Regolamento della Corte).