Magistratura democratica

Il dialogo multilevel tra corti in materia di lavoro e previdenza

di Laura Torsello
La dimensione sovranazionale della disciplina in materia di lavoro e previdenza è nuova e complessa, e risente direttamente di opzioni “sovraniste” contrarie a un governo condiviso tra Stati che ne garantisca l’unificazione. Fondamentale è, quindi, un dialogo tra corti europee e nazionali (compresi i giudici di merito e di legittimità) al fine di implemantare e garantire l’uniformità dei livelli di tutela in materia di diritti sociali.

1. Premessa: i diritti sociali nell’ordinamento mulitilivello

Se fino al secolo scorso, in Italia, ma non solo, i diritti sociali e la loro tutela venivano prevalentemente disciplinati in una dimensione statuale, oggi non è più così in quanto assistiamo a un mutamento del rapporto tra Stato e ordinamento sovranazionale[1]. Non si tratta soltanto di una “evoluzione” conseguente allo “sviluppo” dell’Unione europea, dove un ruolo sempre maggiore è dato dalla “forza” della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cd. Carta di Nizza)[2], quanto dell’ampliamento di una dimensione di governo e regolativa a seguito di trattati e convenzioni internazionali, come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la sua giurisprudenza, con l’attività della Corte europea dei diritti umani[3].

Occorre, poi, tenere presente l’adesione di praticamente tutti gli Stati al sistema Onu, in cui spicca il ruolo dell’Organizzazione internazionale del lavoro[4], oltre alla circostanza che l’Unione europea non ha ancora firmato la Cedu, ma si è autonomamente impegnata a rispettarne i vincoli.

Dunque, nei Paesi che aderiscono all’Ue, la tutela dei diritti sociali è assicurata da molteplici fonti: le carte costituzionali nazionali, i trattati dell’Ue e le carte da essi richiamate, le convenzioni internazionali, fra cui va annoverata la Convenzione europea dei diritti umani.

A questa articolata compresenza di “fonti apicali” si dovrà aggiungere la considerazione che le questioni in materia sociale nell’Ue sono a competenza condivisa e che le linee di ripartizione non risultano ben demarcate.

Insomma, il tema della dimensione sovranazionale della disciplina in materia di lavoro e previdenza è particolarmente nuovo e complesso, in continuo assestamento e direttamente dipendente da opzioni “sovraniste”, oggi revivescenti, rispetto a un governo condiviso tra Stati e a un’unificazione della disciplina a livello sovranazionale.

A ciò va aggiunto che, sotto il profilo della tutela giudiziaria, chiamate a giudicare sulle carte citate si annoverano più corti tra cui le singole corti costituzionali nazionali, la Corte di giustizia dell’Ue, la Corte Edu, nonchè i giudici di merito e di legittimità dei singoli Stati nazionali, i cui spazi e ambiti sono oggetto di continui ripensamenti, in una logica in cui gli attori sono – principalmente – giudici con formazione ed estrazione diversa, che devono risolvere controversie sulla base del diritto nazionale, del diritto dell’Unione europea e del diritto internazionale.

2. La compressione dei diritti sociali e il ruolo del giudice nazionale

Le vicende che hanno caratterizzato lo sviluppo dello Stato sociale, a partire dell’enunciazione costituzionale dei diritti sociali, non possono essere studiate separatamente dall’esame degli strumenti posti a garanzia dell’effettività di quei diritti: tali, cioè da assicurarne l’esigibilità in concreto, considerato che la natura dei diritti sociali è strettamente connessa alla loro attuazione attraverso un intervento positivo da parte dello Stato.

Si è detto, tuttavia, che gli Stati nazionali, e tra questi l’Italia, nell’attuale contesto storico, caratterizzato da una profonda crisi economico-finanziaria globale, sperimentano una riduzione gli spazi destinati ai diritti sociali, in primis quelli della previdenza sociale e del lavoro. Le ragioni della compressione, oltre al contesto di crisi, possono essere riconnesse al difficoltoso processo di integrazione europea e all’attenzione dedicata al funzionamento del mercato interno, su cui poggia il diritto della libera circolazione, che avrebbe come conseguenza solo mediata «l’armonizzarsi dei sistemi sociali» (art. 151, comma 3, Tfue).

In un tale scenario, il diritto del lavoro è considerato come strumentale al corretto funzionamento del mercato e si è potuto, parallelamente, assistere a un nuovo orientamento della Corte di giustizia proteso a quella che sembra essere una “uniformazione verso il basso” degli standard di tutela e a travalicare, tradendola, la principale funzione del diritto del lavoro dell’Unione europea, che è quella di assicurare la coesistenza e l’interdipendenza delle costituzioni nazionali sociali nello spazio comune.

In particolare, si pensi alle sentenze con le quali si è realizzato il bilanciamento tra diritti dei lavoratori e libertà economiche, come Viking o Laval[5], o a quelle di protezione sociale e di controllo, previste dalla stessa direttiva comunitaria e adottate dai singoli Stati membri, ritenute limitative dell’attività d’impresa e restrittive della libertà di prestazione di servizi[6]. In tali casi, la Corte di giustizia non ha negato di trovarsi di fronte a diritti fondamentali, attribuendo valore alla garanzia di difesa delle condizioni di lavoro, riconoscendo sia il diritto di sciopero, sia gli altri diritti di azione collettiva come facenti parte dei principi fondamentali del diritto comunitario, e tuttavia neutralizzandoli ove limitino le libertà economiche fondamentali. Riconoscere i diritti sociali rappresenta, per la Corte, il presupposto per poterli bilanciare con le libertà economiche, mentre l’estraneità dell’Unione e della sua Corte a tali diritti avrebbe comportato l’impossibilità di maneggiarli. Il suddetto orientamento viene, poi, confermato con le sentenze Alemo c. Herron e Aget c. Itaklis[7] in cui la Corte, nell’operare il bilanciamento tra diritti sociali e libertà d’impresa, privilegia ancora una volta quest’ultima, “alleggerendo” notevolmente il peso dei diritti sociali dei lavoratori[8].

Emergono, pertanto, nuovi interrogativi sulla tutela dei diritti sociali che, legati come sono al concetto di persona, risultano imprescindibilmente connessi alla categoria dei diritti fondamentali.

A tal fine, in primo luogo, appare utile porre attenzione al ruolo svolto dal giudice ordinario e, prima ancora, da quello costituzionale, al fine di assicurare garanzia ed effettività ai diritti sociali. L’elaborazione giurisprudenziale della Corte costituzionale, infatti, da sempre ha svolto un ruolo fondamentale nell’evoluzione in materia sociale del nostro ordinamento: facendo ricorso a interpretazioni adeguatrici volte a elevare il livello di tutela dei lavoratori e delle fasce deboli della società, mediante un giudizio di bilanciamento tra beni e valori costituzionalmente protetti, la Corte ha affrontato il problema del contemperamento delle politiche sociali con le risorse economiche, rilevando al riguardo che il costo dei diritti sociali non deve invalidarne l’effettività.

Nel quadro appena descritto, è del tutto evidente che le ordinarie sedi giudiziarie non appaiono più idonee a fronteggiare e contenere una sempre più crescente domanda di giustizia in materia di diritto del lavoro e previdenziale. Le problematiche connesse ai diritti sociali non sempre riescono a trovare un’adeguata risposta nelle sedi nazionali, anche a causa di un legislatore che, invece che razionalizzare il contenzioso lavoristico e previdenziale, tende a rendere più impervia la strada processuale, imponendo oneri e decadenze alla persona che richiede protezione e percorrendo, in tal modo, una via contraria a quella che aveva animato la riforma del processo del lavoro disegnata dalla l. n. 533/1973 – tanto che, di fronte all’arretramento delle tutele speciali giuslavoristiche, si può sopperire volgendo lo sguardo al diritto privato generale integrato dalle fonti sovranazionali, eurounitarie o convenzionali[9].

3. Una nuova responsabilità per i giudici nazionali: la Carta di Nizza

Il rapporto che intercorre tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario con riferimento ai diritti sociali è uno dei temi affrontato fin da quando, ormai trent’anni fa, si propose il passaggio da una comunità economica a una «Unione» non più solo fondata sul libero scambio di merci, ma in cui i diritti sociali fossero riconosciuti e tutelati. Senza voler ripercorrere la storia dell’Europa “a due velocità”, è chiaro che anche la Carta di Nizza, con la sua dimensione spiccatamente sociale, è stata prima svalutata e, poi, valorizzata[10]. Questa dimensione lavoristica ci porta a comprendere, nella definizione di diritti sociali enucleati dalla Carta di Nizza: il diritto al lavoro, il diritto alla previdenza sociale e all’assistenza sociale, il diritto all’abitazione, il diritto alla conciliazione della vita professionale con quella familiare, il diritto delle persone disabili all’inserimento e il diritto all’istruzione[11].

Va subito evidenziato che la Corte costituzionale non ha mai avuto esitazioni a utilizzare la Carta di Nizza e che sempre più consistenti sono stati, nel tempo, i richiami alla stessa da parte dei giudici ordinari, tra cui le sezioni della Corte di cassazione, laddove i contenuti normativi siano stati corrispondenti a diritti riconosciuti dalla Costituzione italiana. Tra le motivazioni di questa scelta spicca la possibilità, per il giudice, di disapplicare la norma nazionale contrastante con la Carta di Nizza, invece che sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale rispetto alla violazione di norme contenute nella nostra Costituzione[12].

Occorre, tuttavia, considerare il disposto dell’art. 51, par. 1, secondo cui le disposizioni della Carta di Nizza si applicano agli Stati membri «esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione», richiedendo pertanto una corrispondenza con una specifica competenza dell’Unione, benché a tale disposizione, secondo alcuni, debba attribuirsi un’interpretazione ampia[13]. Complessivamente, la Corte di giustizia tende a una generosa interpretazione delle proprie competenze a fronte delle richieste da parte del giudice[14], anche se, dalla lettura combinata di due recenti sentenze – la Poclava[15], che esclude possa applicarsi la tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, di cui all’art. 30, al contratto a tempo indeterminato con prova lunga, e la Florescu[16], secondo cui non contrasta col diritto dell’Unione una legislazione nazionale che vieti il cumulo di una pensione del settore pubblico di ammontare superiore a una certa soglia con altri redditi da lavoro con una pubblica amministrazione –, emerge la necessità di un «collegamento diretto tra previsioni eurocomunitarie (vincolanti) e normativa interna», in mancanza del quale non può realizzarsi l’attuazione del diritto dell’Unione[17].

Vi è chi segnala, inoltre, che la via di disapplicare la norma interna non solo rischia di «erodere il ruolo della giurisdizione costituzionale», ma anche di «compromettere le garanzie di certezza» in considerazione del fatto che, mentre le decisioni della Corte costituzionale hanno effetti erga omnes realizzando, quindi, criteri di uniformità e certezza,  la disapplicazione – di contro – lascia in vita la norma rendendola utilizzabile da altro giudice[18].

Tale rischio, di recente, sembra essere stato avvertito dalla Corte costituzionale che, con la decisione del 14 febbraio 2017, n. 269, dà indicazioni su come debba comportarsi il giudice ordinario di fronte a un eventuale contrasto tra norma interna e norma dell’Ue che non abbia efficacia diretta. Al punto 5.1. della sentenza, da un lato, la Corte afferma che «ove la legge interna collida con una norma dell’Unione europea, il giudice – fallita qualsiasi ricomposizione del contrasto su base interpretativa, o se del caso, attraverso il rinvio pregiudiziale – applica direttamente la disposizione dell’Unione europea dotata di effetti diretti, soddisfacendo, a un tempo, il primato del diritto dell’Unione e lo stesso principio di soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.)»; dall’altro, precisa che «viceversa, quando una disposizione di diritto interno diverge da norme dell’Unione europea prive di effetti diretti occorre sollevare una questione di legittimità costituzionale, riservata alla competenza di questa Corte, senza delibare preventivamente i profili di incompatibilità con il diritto europeo”[19].

In altri termini, stando all’obiter contenuto nella sentenza n. 269/2017, proprio l’ipotesi di sovrapponibilità fra diritti di matrice costituzionale e diritti protetti dalla Carta Ue determina, in caso di vulnus concorrente alle due Carte, l’intervento regolatore della Corte costituzionale, al fine di salvaguardare la certezza del diritto, obbligando il giudice comune a sollevare questione di costituzionalità, in mancanza della quale egli non potrà disapplicare la norma interna, analogamente a quanto avviene per le norme della Cedu, determinando che la questione di pregiudizialità eurounitaria andrebbe messa in coda rispetto al controllo di costituzionalità[20].

A fronte di tale nuovo assetto, il pericolo è che la Carta dei diritti dell’Unione europea venga sottoposta a un eccessivo controllo sul rispetto dei diritti fondamentali da parte della Corte costituzionale, come ad attribuirle la responsabilità della crisi economica che ha investito l’Europa con particolare riferimento alla tenuta dei diritti sociali, mentre, semmai, alcune situazioni di sottoprotezione o anomia derivano proprio dalla mancata garanzia di diritti da tutelare attraverso la stessa[21].

4. Quale rapporto tra ordinamento interno e Cedu?

Contrariamente alla Carta di Nizza, la Cedu non offre disposizioni direttamente definibili di diritto del lavoro e della sicurezza sociale; tuttavia, le sue disposizioni contengono i germi per una loro espansione ad altri ambiti del diritto,considerato che le norme che attribuiscono prestazioni socio-economiche oggi risultano fortemente condizionate, con i conseguenti rischi di compressione di diritti sociali.

La Cedu sancisce direttamente dei diritti per i privati e trova nella Corte Edu l’organo di protezione dei diritti della persona ivi riconosciuti. Il sistema ha la peculiarità del riconoscimento ai singoli, previo esaurimento delle vie di ricorso interne, della possibilità di fare valere direttamente, e addirittura – almeno, all’inizio della procedura – anche senza l’intermediazione di un avvocato, davanti a un organo giurisdizionale indipendente, la responsabilità internazionale dello Stato per violazione dei diritti garantiti loro dalla Convenzione e dai suoi protocolli[22], con il vantaggio per il ricorrente individuale dell’accollo dell’onere probatorio sulla disponibilità effettiva di soluzioni giurisprudenziali domestiche a carico dello Stato convenuto. Non è, quindi, previsto il meccanismo del rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali.

L’articolo 4 Cedu proibisce in modo assoluto la schiavitù, la servitù e il lavoro obbligatorio, esigendo la criminalizzazione delle condotte che violino detta disposizione oltre a una tutela concreta ed efficace, atteso che lo sfruttamento attraverso il lavoro è incompatibile con la dignità umana. Pertanto, più volte la Corte Edu si è occupata di lavoro incompatibile con la dignità umana, spesso impattando contro vicende penalmente rilevanti, riconducibili a forme di caporalato oppure relative all’obbligo di lavoro richiesto ai detenuti, ergedosi a baluardo contro le forme più odiose di sfruttamento del lavoro, con frequenti richiami, nelle proprie decisioni, alla produzione convenzionale dell’OIL, in particolare la Convenzione n. 29 del 1930. Si ricorderà, ad ogni modo, che le norme internazionali poste a tutela della dignità umana nel lavoro non sono assistite da un apparato sanzionatorio dotato di efficacia deterrente. Ciò, oltre a rappresentare una delle principali cause di indebolimento dell’OIL, pone dubbi sulla loro effettiva cogenza e sulla loro spendibilità interna.

Occorre sottolineare principalmente una differenza di metodo tra l’operare della Corte di Strasburgo e quello dei giudici delle leggi nazionali, ma anche della Corte di giustizia. Infatti, mentre i giudici nazionali e la Cgue mirano a mantenere l’equilibrio di un sistema giuridico in una visione d’insieme, la prima, come visto, giudica solo su specifiche violazioni in rapporto a pretese individuali – ed emerge, quindi, il limitato angolo di visuale.

Un altro aspetto da tener presente è che i diritti sociali, nella Corte Edu, discendono direttamente da diritti civili e di libertà, con la conseguenza che «tutelare il nucleo di un diritto sociale come riflesso di un diritto di proprietà o di credito o giudicare di un licenziamento alla luce del diritto di associazione o della libertà di religione è certamente operazione fino ad oggi estranea all’orizzonte del giudice ermeneutico o costituzionale di Paesi come l’Italia (ndR) e della stessa Corte di giustizia»[23].

Se è vero che, in campo penale, le corti sovranazionali dialogano in modo armonioso, ciò non si può dire con riferimento ai diritti civili e a quelli sociali, a cui si aggiunge la difficoltà dell’interprete interno di accettare una sorta di coordinamento o dialogo con corti di medesimo – quando non superiore – livello. Tutto ciò è disgregante della stessa credibilità della tutela multilivello, essendo incomprensibile – come rilevato in dottrina [24] – per il comune cittadino che esistano tre diverse tutele “apicali” per lo stesso fatto, a seconda che la medesima questione sia affrontata come “interna”, “convenzionale” o “comunitaria”.

Perciò, se è indubitabile che anche nella Convenzione l’aspetto più importante è il riconoscimento di alcuni diritti del lavoro come diritti civili fondamentali, non si può non convenire che alcuni principi del diritto del lavoro sono stati elevati nella gerarchia dei diritti e godono della protezione della Convenzione, fonte di diritto negli Stati membri, che non può non riverberarsi sull’interpretazione costituzionale. Sembra questo essere, dunque, il contributo più importante della Corte Edu nel campo dei diritti sociali.

Lascia, invece, dubbiosi la scelta della Corte costituzionale italiana, secondo cui il contrasto con le norme interne obbliga, da un lato, all’interpretazione conforme, ma non comporterebbe la disapplicazione diretta della disciplina nazionale[25].

Sennonché, se i giudici di merito hanno ormai introitato il principio per cui le questioni di applicabilità del diritto comunitario possono essere sollevate anche ex officio e in ogni stato e grado del processo, non sembra sia lo stesso ogni qual volta si discuta della applicazione della Cedu.

Come sostenuto da autorevole dottrina, la praticabilità di un’interpretazione della legge in senso conforme alla Cedu non dovrebbe incontrare, però, ostacoli in campo lavoristico[26].

5. Il Dialogo tra Corte Edu e Corte di giustizia europea

Altro aspetto particolarmente interessante è tentare di comprendere il “dialogo” tra Corte Edu e Cgue.

Per avere uno spaccato dell’attuale situazione, senza entrare nello specifico della questione, si può portare ad esempio la recente vicenda della privacy dei lavoratori, che ricade nell’ambito di applicazione del diritto dell’Ue ai sensi dell’art. 51 e, in particolare, dell’art. 8 della Carta di Nizza[27].

La Corte di Strasburgo ha avuto modo di esprimersi[28] e l’importanza di queste sentenze risiede anche nel loro indiretto rilievo sulla giurisprudenza della Corte di giustizia.

In tale ambito, le due Corti europee hanno già dimostrato di saper armonizzare la loro giurisprudenza, posto che quella di Lussemburgo, anche nel «trittico su internet»[29], ha sempre fatto specifico riferimento agli orientamenti dei giudici di Strasburgo. Tuttavia, i nuovi orientamenti della Corte Edu sembrano superare quelli della Corte di Lussemburgo in quanto, passando attraverso la tutela della privacy,si arriva a prospettare l’invalidità del licenziamento disciplinare posto in essere dal datore di lavoro – profilo questo mai affermato, almeno sino ad oggi, dalla giurisprudenza della Cgue – quale effetto della lesione dei diritti protetti dall’art. 8 della Carta di Nizza. In ambito Cedu, si viene così a profilare, per via della protezione della riservatezza, una strada (ovviamente indiretta) di impugnazione di licenziamenti disciplinari, che l’altra Corte (quella del Lussemburgo) non ha, allo stato, ritenuto di poter percorrere, posta l’inesistenza di una competenza in materia di licenziamento individuale, con i conseguenti limiti di applicabilità della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[30].

6. La prospettiva di una possibile convergenza

Il diritto del lavoro e i diritti sociali in generale sembrano oggi rappresentare uno dei canali di sperimentazione del dialogo tra Corti.

Per tentare di completare il quadro, e aver modo di formulare alcune conclusioni, può essere utile richiamare i punti salienti della vicenda giudiziaria che ha riguardato il caso delle pensioni spettanti ai cittadini italiani che avevano lavorato in Svizzera e che, valendosi di una convenzione italo-svizzera in materia di sicurezza sociale, avevano chiesto il trasferimento in Italia dei contributi versati all’estero ai fini della determinazione della pensione[31].

Sulla normativa di riferimento, costituita dal dPR 27 aprile 1968, n. 488 («Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria»), interveniva il legislatore italiano con una norma di interpretazione autentica (l. n. 296/2006, art. 1, comma 777), che disponeva che la retribuzione pensionabile dovesse essere proporzionata alla misura dei contributi effettivamente versati, anche nell’ipotesi di attività lavorativa svolta all’estero, avallando così l’interpretazione di rigetto da parte dell’ente pensionistico.

Esauriti i ricorsi interni, alcuni lavoratori decidevano di rivolgersi alla Corte Edu, la quale, con la sentenza Maggio e altri c. Italia, del 31 maggio 2011[32], decideva la questione condannando l’Italia per violazione dell’art. 6, par. 1, Cedu, in quanto il legislatore italiano era intervenuto con una norma ad hoc per assicurarsi un esito favorevole nel giudizio in cui lo Stato era parte attraverso l’ente previdenziale.

La portata applicativa di tale sentenza travalicava il caso concreto nei confronti del quale era resa, dovendosi ritenere che ben potesse trovare applicazione in tutti i giudizi pendenti con il medesimo oggetto, al fine di salvaguardare lo Stato nei confronti di nuove e identiche sentenze di condanna da parte della Corte di Strasburgo.

È a questo punto che si evidenzia la peculiarità del dialogo tra Corte Edu e giudice nazionale, in quanto quest’ultimo, pur trovandosi di fronte a un caso analogo, non può disapplicare una legge per contrasto con la Convenzione, dovendo rimettere la questione alla Corte costituzionale.

Nella vicenda esposta, la questione in materia di pensioni svizzere, al vaglio della Corte costituzionale italiana, veniva decisa con la sentenza n. 264/2012[33], ove si riteneva non fondata la questione di incostituzionalità prospettata vertente sulla legge di interpretazione autentica.

Di fronte a tale decisione si aprono notevoli problemi interpretativi, che solo prima facie possono essere inquadrati nel rifiuto della Corte costituzionale di accettare le conclusioni della Corte Edu o in base alla volontà di affermare la centralità della sovranità statale rispetto al sistema convenzionale.

In verità, appare opportuno valutare un altro aspetto, incentrato sulle differenze sostanziali tra la Corte Edu e la Corte costituzionale e, in particolare, sul bilanciamento tra il diritto dei singoli tutelato dalla prima e altri diritti costituzionalmente tutelati, tra cui va considerato l’art. 81, comma 4, Cost., ma anche principi di uguaglianza e solidarietà che la Corte costituzionale, a presidio di una tutela dei diritti di tipo coordinato e sistemico, deve considerare[34].

Sulla base di quanto appena esposto, non sembra potersi ritenere che la sentenza della Corte costituzionale abbandoni – almeno, non del tutto – un rapporto dialogico con la Corte Edu, che probabilmente si implementerà nel tempo.

Tuttavia, con riferimento al tema delle pensioni svizzere, il dialogo tra Corte costituzionale e Corte Edu non sembra essere andato avanti, considerato che  di recente si è assistito a un epilogo analogo a quello appena descritto, in quanto di nuovo la Corte di Strasburgo si è pronunciata sul tema con la sentenza Stefanetti e altri c. Italia[35], accertando che la disposizione interpretativa, o comunque retroattiva, del 2006 avrebbe provocato un sacrificio eccessivo e ingiustificato del diritto pensionistico dei ricorrenti, così come i giudici costituzionali, con la sentenza n. 166/2017[36], hanno ribadito il loro precedente orientamento dichiarando la questione sollevata inammissibile, pur sollecitando il legislatore a risolvere il grave problema segnalato dalla Corte di Strasburgo.

Sulla base delle descritte decisioni e del ruolo assunto da entrambe le Corti sembra emergere sempre più il ruolo da protagonista che la Corte costituzionale ha saputo ritagliarsi rispetto alla valutazione di compatibilità delle soluzioni adottate dai giudici di Strasburgo; occorre, tuttavia, verificare se questa sia la strada per l’instaurazione di una reale collaborazione tra le Corti.

Di fronte alle manifestazioni della crisi dei diritti, è auspicabile che le corti abbiano la volontà di coltivare le convergenze, piuttosto che esasperare le divergenze, tra i diversi ordinamenti, tendendo verso una uniformità di trattamento. Accanto ai legislatori nazionali, il cui ruolo non viene disconosciuto, si auspica che le corti costituzionali nazionali abbiano capacità di recepire, ma anche di influenzare, le posizioni di Strasburgo coinvolgendo anche i giudici ordinari che, in verità, nelle recenti decisioni della Corte, sembrano vedere limitati i loro poteri di dialogo diretto con la Cgue, ma che svolgono una importante attività di interpretazione conforme della legislazione interna, anche attraverso la rimessione alla Corte costituzionale di norme “sospettate” di illegittimità costituzionale.

[1] Se, in un primo momento, l’art. 117 del Trattato CEE affidava agli Stati membri l’attuazione delle politiche sociali, materia da sempre sotto l’egida statale, prevedendo, nell’art. 118, l’attribuzione alla Commissione di una competenza limitata a promuovere e coordinare la collaborazione tra gli Stati membri in campo sociale, oggi assistiamo a un mutamento di paradigma che ha condotto per lo più a una compressione dei diritti sociali sotto molteplici profili. Descrive efficacemente la parabola del diritto del lavoro dell’Unione europea S. Giubboni, Diritto del lavoro europeo. Una introduzione critica, Wolters Kluwer Italia, Milano, 2017. L’Autore sottolinea che un sistema siffatto, in tempo di crisi, ha colpito l’Unione nel suo insieme anche se, indubbiamente, i contraccolpi maggiori sono stati subiti dagli Stati più deboli, che si sono visti imporre dalla nuova linea eurounitaria, attraverso la sottoscrizione dei trattati sul MES e il Fiscal Compact, interventi diretti sugli ordinamenti nazionali, perdendo la garanzia di autonomia sulle politiche economiche e sociali di cui avevano sempre goduto.

[2] Cfr. G. Arrigo, La Carta di Nizza: natura, valore giuridico, efficacia, in Dir. lav., n. 1/2001, pp. 607 ss.; più recentemente Id., Diritto del lavoro dell’Unione Europea, Piemme, Milano, 2018. L’Autore evidenzia sin da subito il valore intrinseco della Carta, destinata a condizionare il futuro assetto politico e istituzionale dell’Unione e a rappresentare la piattaforma della futura integrazione sociale europea. Tuttavia, vi era anche chi considerava la Carta di Nizza un doppione di altre carte europee dei diritti, guardando al testo con diffidenza. Ricostruisce il dibattito G. Zilio Grandi, Diritti socali e diritti nel lavoro, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 23 ss.

[3] Sul ruolo della Corte di Strasburgo nel sistema Cedu, si rinvia aF. Buffa, Il ricorso alla CEDU ed il filtro, Key Editore, Vicalvi (Fr), 2018.

[4] E. Ales, Diritti sociali e discrezionalità del legislatore nell’ordinamento multilivello: una prospettiva giuslavoristica, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, n. 3/2015, p. 462.

[5] Cgue [GS]: C-438/05, 11 dicembre 2007 e C-431/05, 18 dicembre 2007. In dottrina, si vedano A. Lo Faro, Diritti sociali e libertà economiche del mercato interno: considerazioni minime in margine ai casi Laval e Vikig, in Lav. dir., n. 1/2008, pp. 63 ss.; B. Caruso, I diritti sociali nello spazio sociale sovranazionale e nazionale: indifferenza, conflitto o integrazione? (prime riflessioni a ridosso dei casi Viking e Laval), «Centro studi di diritto del lavoro europeo “Massimo D’Antona”», working paper  n. 61/2008, p. 27.

[6] Il riferimento è a Cgue, Commissione delle Comunità europee c. Granducato di Lussemburgo, C-319/06, 19 giugno 2008; [GS] Commissione delle Comunità europee c. Repubblica federale di Germania, C-271/08, 15 luglio 2010.

[7] Cgce, C-426/11, 18 luglio 2013; C-201/15, 21 dicembre 2016. Cfr. S. Giubboni, Libertà d’impresa e diritto del lavoro nell’Unione europea, in Costituzionalismo, n. 3/2016, p. 93 (www.costituzionalismo.it/download/Costituzionalismo_201603_598.pdf).

[8] Per una interpretazione giuslavoristica dei diritti sociali, E. Ales, Diritti sociali, op. cit., p. 455.

[9] P. Tullini, Effettività dei diritti fondamentali del lavoratore: attuazione, applicazione, tutela, in Giorn. dir. lav. rel. ind., n. 2/2016, pp. 291 ss.

[10] Come opportunamente rilevato da G. Raimondi – Il ruolo della Corte dei diritti dell’uomo, intervento in occasione dell’incontro di studi a cura del Csm «La tutela multilivello dei diritti umani: il ruolo delle Corti dopo Lisbona: il giudice nazionale e l’interpretazione conforme», Roma, 1° febbraio 2010 – la più rilevante novità della Carta di Nizza risiede nel fatto di contemplare non soltanto i tradizionali diritti civili e politici, detti “di prima generazione”, ma anche i cd. diritti “di seconda generazione” (cioè economici e sociali), i cd. diritti “di terza generazione”, vale a dire «quelli che sono il frutto, come si ricorda nel preambolo, “dell’evoluzione della società”», oltre ai «diritti riservati ai cittadini dell’Unione».

[11] Per una compiuta analisi dei singoli diritti cfr. E. Ales, Diritti sociali, op. cit., p. 462.

[12] Così, A. Barbera, La Carta dei diritti: per un dialogo tra la Corte italiana e la Corte di giustizia, in Quad. cost., n. 1/2018, pp. 153 ss. Tra i molti casi in cui si è scelta tale via da parte dei giudici italiani, per quel che qui interessa, giova ricordare il caso Corte appello Firenze, 9 giugno 2007, n. 702 in cui si riconosce a un citttadino extracomunitario l’indennità di accompagnamento disapplicando la normativa italiana perché in contrasto con l’art. 34, par. 2, della Carta di Nizza; altri giudici solleveranno invece questione di legittimità costituzionale. Per un approfondimento, sia permesso rinviare a L. Torsello, I diritti sociali degli stranieri nella legislazione italiana tra previdenza e assistenza, in A. Di Stasi (a cura di), I diritti sociali degli stranieri, Ediesse, Roma, 2008, pp. 55 ss.

[13] Osserva M. Delfino, Ancora sul campo di applicazione della Carta dei diritti fondamentali: Poclava vs Florescu?, in Giorn. dir. lav. rel. ind., n. 1/2018, p. 184, che tale riferimento non deve essere inteso in senso restrittivo e che «si ha un elemento di collegamento quando la legislazione nazionale recepisce una direttiva dell’Unione in violazione dei diritti fondamentali, o quando un’autorità pubblica applica una norma dell’Unione in violazione di tali diritti», come specificato nella Comunicazione della Commissione europea «Strategia per un’attuazione effettiva della Carta dei diritti fondamentali dell’UE», del 19 ottobre 2010 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52010DC0573).

[14] In materia pensionistica, è stato riconosciuto il diritto a pensione del superstite di una coppia dello stesso sesso (Maruko c. Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen, C-267/06, 1° aprile 2018).

[15] Cgue, C-117/14, 5 febbraio 2015.

[16] Cgue, C-258/14, 13 giugno 2017.

[17] M. Delfino, Ancora, op. cit., p. 191,

[18] A. Barbera, La Carta dei diritti, op. cit., p. 156.

[19] La dottrina ha messo in risalto la carica fortemente innovativa di tale pronunzia tra cui A. Ruggeri, Svolta della Consulta sulle questioni di diritto eurounitario assiologicamente pregnanti, attratte nell’orbita del sindacato accentato di costituzionalità, pur se riguardanti norme dell’Unione self-executing (a margine di Corte cost. n. 269 del 2017), in Riv. dir. comp., n. 3/2017, pp. 230 ss.; C. Caruso, La Corte costituzionale riprende il “cammino comunitario”: invito alla discussione sulla sentenza n. 269/2017, in Forum di Quad. cost., 18 dicembre 2017 (www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/11/nota_sent_269_2017_caruso.pdf). Fortemente critico G. Bronzini, La Corte costituzionale mette sotto tutela i giudici ordinari nell’applicazione diretta dei diritti della Carta di Nizza, in Riv. giur. lav., n. 2/2018, pp. 383 ss.

[20] In verità, vi è chi osserva che il richiamo alla marginalizzazione della Corte costituzionale non si fonda su dati che possano creare una relazione tra l’aumento dei rinvii pregiudiziali alla Cgue e la riduzione degli incidenti di costituzionalità.  Infatti, la Cgue si è dimostrata pronta a fare funzionare il “dialogo” nel modo migliore, per l’appunto rispondendo alle richieste di chiarimento e non chiudendosi con comode “non risposte”.  Ne consegue che il rifiuto, da parte della Corte di Lussemburgo, di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo teorico o qualora la Corte non disponga degli elementi necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte. R. Conti, Qualche riflessione, a terza lettura, sulla sentenza n. 269/2017, in Riv. dir. comp., n. 1/2018, p. 282.

[21] G. Bronzini, La Corte costituzionale, op. cit., p. 197. Segnala lo sbilanciamento tra diritti sociali e libertà comunitarie S. Giubboni, Libertà d’impresa, op. cit., il quale tuttavia non nega il valore sovranazionale della Carta.

[22] Ciò ha rappresentato un evento rivoluzionario nell’ambito del diritto internazionale, in precedenza caratterizzato dal principio di non interferenza nelle questioni interne dei singoli Stati. Cfr. F. Buffa, Il diritto del lavoro e della previdenza sociale nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, Ufficio del massimario della Corte suprema di cassazione, Relazione tematica n. 112, 7 giugno 2012.

[23] G. Bronzini, Rapporto di lavoro, diritti sociali e Carte europee dei diritti. Regole di ingaggio, livello di protezione, rapporti tra le due Carte, «Centro studi di diritto del lavoro europeo “Massimo D’Antona”», working paper n. 118/2015, p. 21.

[24] Op. ult. cit., p. 23.

[25] A. Ruggeri, I rapporti tra le corti e tecniche decisorie a tutela dei diritti fondamentali, in questa Rivista trimestrale, Franco Angeli, Milano n. 1/2014, pp. 53-79. Le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007 chiariscono la portata e gli effetti del limite del rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, previsto dall’art. 117, comma 1, Cost. quale limite per la potestà legislativa statale e regionale, con riferimento alle norme della Cedu. Preliminarmente, la Corte chiarisce che il giudice comune non ha il potere di disapplicare la norma legislativa interna ritenuta in contrasto con una norma Cedu, poichè «l’asserita incompatibilità tra le due si presenta come una questione di legittimità costituzionale, per eventuale violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., di esclusiva competenza del giudice delle leggi». Ciò però «non significa che le norme della Cedu, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, acquistano la forza delle norme costituzionali e sono perciò immuni dal controllo di legittimità costituzionale di questa Corte (...) La particolare natura delle stesse norme, diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa sì che lo scrutinio di costituzionalità non possa limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali o dei principi supremi, ma debba estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le “norme interposte” e quelle costituzionali». L’art. 117, comma 1, Cost. non consente di «attribuire rango costituzionale alle norme contenute in accordi internazionali, oggetto di una legge ordinaria di adattamento, com’è il caso delle norme della Cedu», ma determina «l’obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della Cedu e dunque con gli obblighi internazionali di cui all’art. 117, comma 1, viola per ciò stesso tale parametro costituzionale». Le disposizioni della Cedu diventano, dunque, “norme interposte” nel giudizio di legittimità costituzionale, in relazione al parametro degli obblighi internazionali previsto dall’art. 117, comma 1, Cost.

[26] In tali termini G. Bronzini, Rapporto di lavoro, op. cit., p. 25, anche sulla scorta delle riflessioni di R. Conti, Il rinvio pregiudiziale alla Corte UE: risorsa, problema e principio fondamentale di cooperazione al servizio di una nomofiliachia europea, relazione presentata al convegno «Le questioni ancora aperte nelle Corti supreme nazionali e le Corti di Strasburgo e Lussemburgo», tenutosi il 29 ottobre 2014 presso la Corte di cassazione.

[27] Del carattere self executing dell’art. 8, fino ad oggi, non non si è dubitato, come riportano G. Bronzini e S. Giubboni, La tutela della privacy dei lavoratori e la Corte di Strasburgo, oltre il Jobs Act, in Riv. crit. dir. priv., n. 1/2018, pp. 143 ss, cui si fa rinvio.

[28] Vds., per tutte, il noto caso Barbulescu c. Romania, ric. n. 61496/08, 5 settembre 2017. Sul tema, F. Buffa, Il controllo datoriale delle comunicazioni elettroniche del lavoratore dopo la sentenza Barbulescu 2 della Cedu, in Questione Giustizia on line del 18/10/2017, (www.questionegiustizia.it/articolo/il-controllo-datoriale-delle-comunicazioni-elettro_18-10-2017.php).

[29] Cgue [GS], Schrems, C-362/2014, 6 ottobre 2015, che giunge ad annullare un accordo tra Unione europea e USA sul trasferimento dei dati dall’Europa alle aziende americane per violazione degli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza; [GS] Google Spain, C-131/2012, 13 maggio 2014, che configura un nuovo diritto fondamentale all’oblio su internet; Digital rights Ireland, C-293/2012, 8 aprile 2014, che cancella un’intera direttiva (sul trattamento dei dati o data retention). Cfr. S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Laterza, Roma-Bari, 2014, pp. 92 ss.

[30] Funditus, G. Bronzini e S. Giubboni, La tutela, op. cit.

[31] In sistesi, tali lavoratori, a fronte di stipendi più elevati di quelli italiani, avevano versato in Svizzera contributi inferiori a quelli previsti in Italia, ma in base all’interpretazione prevalente in giurisprudenza (Cfr. Cass., 6 marzo 2004, n. 4623, in MGC, 2004, 3; Cass., 26 ottobre 2004, n. 20731, inedita; Cass., 12 aprile 2005, n. 7455, inedita) avevano l’aspettativa di vedersi liquidare le pensioni sulla base delle retribuzioni percepite. Tuttavia, l’ente pensionistico sceglieva di tenere conto, per il calcolo della pensione, della minore aliquota contributiva vigente in Svizzera, con il risultato che la liquidazione dei trattamenti pensionistici risultava inferiore rispetto alle attese dei richiedenti, che decidevano di incardinare contenziosi innanzi al giudice del lavoro. Per un approfondimento, si veda B. Caponetti, Le pensioni svizzere e il dialogo tra le Corti: non guardarmi, non ti sento!, in Riv. giur. lav., n. 1/2018, pp. 91 ss.

[32] Corte Edu, Maggio c. Italia, ricc. nn. 46286/09 e altri 4, 31 maggio 2011, in Riv. giur. lav., n. 2/2012, p. 356, con nota di L. Menghini, I contrasti tra Corte Edu e Corte costituzionale nelle leggi interpretative che eliminano diritti di lavoratori e pensionati: qualche idea per un avvio di soluzione, pp. 362 ss.

[33] Corte cost. 28 maggio 2012, n. 264, in Giur. it., n. 4/2013, 769.

[34] Nel valutare la mancata conformazione alla Corte Edu, va tenuto in considerazione che la sentenza della Corte costituzionale non si pone in rapporto di diretta esecuzione rispetto alla sentenza Maggio c. Italia, in quanto originava da un giudizio a quo in cui la parte nulla aveva a che fare con la pronuncia della Corte di Strasburgo, se non il fatto di vantare le medesime pretese, ben potendo il ricorrente adire autonomamente i giudici di Strasburgo al fine di ottenere una nuova pronuncia di condanna nei confronti dell’Italia.

[35] Corte Edu, Stefanetti e altri c. Italia, ricc. nn. 21838/10 e altri 7, 15 aprile 2014, in Riv. giur. lav., n. 2/2012, II, 356, con nota di L. Menghini, I contrasti, op. cit.

[36] Nel caso di specie il giudice a quo solleva un diverso dubbio di legittimità costituzionale del citato comma 777 (l. n. 296/2006, art. 1), ancora in riferimento all’art. 117, comma 1, Cost., ma questa volta in relazione al parametro interposto di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Cedu, oltre che a quello di cui all’art. 6, par. 1, della stessa Convenzione.