Magistratura democratica

La nuova udienza preliminare tra interpretazione normativa e interpretazione organizzativa

di Ezia Maccora e Giuseppe Battarino

L’entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2022 rende necessaria una lettura delle norme che tenga conto dei loro effetti processuali immediati, che le collochi in un contesto sistematico, che porti ad attivare da subito tutte le soluzioni organizzative necessarie a far sì che la riforma produca gli effetti positivi a cui è destinata, in particolare sulla durata del procedimento penale attraverso la “nuova” udienza preliminare e una serie di istituti applicabili dal gup. 

1. Una riflessione minima sulle influenze sistematiche e organizzative della riforma / 2. La riduzione dei tempi del procedimento penale / 3. Il momento dell’interpretazione, il momento – immediato – dell’organizzazione / 4. Il valore sistematico del nuovo presupposto per la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere / 5. Un’esigenza di consapevolezza organizzativa / 6. Iniziative per l’applicazione di istituti deflattivi affidati alla funzione gip/gup / 7. Conclusioni

 

1. Una riflessione minima sulle influenze sistematiche e organizzative della riforma

L’entrata in vigore, il 30 dicembre 2022, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 conferma la necessità di ripensare complessivamente il ruolo del giudice dell’udienza preliminare, senza nascondere, tuttavia, che il modello processuale complessivo ricostruibile sulla base delle norme novellate si sovrappone a una realtà preesistente che non è stata modificata strutturalmente: il che rischia di aprire delle contraddizioni, sia teoriche sia pratiche.

Vi è intanto da dire che lo svolgimento concreto dell’udienza preliminare comporta l’applicazione di una serie ampia di norme introdotte dal d.lgs n. 150/2022, costituendo, di volta in volta, il primo momento di contatto tra imputato e giudice ovvero il luogo di una decisione di merito.

L’esame della disciplina dell’udienza preliminare dovrebbe dunque estendersi a tutti gli istituti compresi tra la verifica della posizione dell’imputato e il contenuto della sentenza, anche in punto di sanzioni sostitutive.

Ci limiteremo, in questa sede, a evidenziare alcuni aspetti della disciplina specifica di questo momento processuale, in una prospettiva di esame delle influenze sistematiche e organizzative della riforma, con i necessari accenni a istituti comunque pertinenti l’udienza preliminare.

 

2. La riduzione dei tempi del procedimento penale

La ratio unificante dell’attuazione delle deleghe al Governo in materia di processo civile, processo penale e ufficio per il processo è dichiaratamente quella della riduzione dei tempi del processo.

In ambito processualpenalistico, si deve rimodulare questa espressione in “riduzione dei tempi del procedimento penale”, che è ontologicamente unico, nella sua fase necessaria – dall’iscrizione della notizia di reato sino alla scelta del pubblico ministero tra richiesta di archiviazione ed esercizio dell’azione penale – e nelle sue fasi eventuali: quella processuale e quella, ulteriormente subordinata ed eventuale, dell’esecuzione penale.

Questo non solo e non tanto per le esigenze “produttivistiche” che il legame tra PNRR e riforme suggerisce o veicola, ma perché, comunque, la realtà del procedimento penale come pena in sé per chi lo subisce costituisce un dato da acquisire culturalmente e acquisito costituzionalmente: la sentenza della Corte costituzionale n. 184 dell’8-23 luglio 2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis della legge 24 marzo 2001, n. 89 in materia di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, nella parte in cui prevede che il processo penale si considera iniziato con l’assunzione della qualità di imputato, ovvero quando l’indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari «anziché quando l’indagato, in seguito a un atto dell’autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento penale a suo carico». 

La formulazione della norma dichiarata incostituzionale escludeva che nel computo della durata del processo rientrasse il periodo occupato dallo svolgimento delle indagini preliminari. La Corte richiama la giurisprudenza della Corte Edu (16 luglio 1971, Ringeisen c. Austria; 15 luglio 1982, Eckle c. Germania; 10 dicembre 1982, Corigliano c. Italia; 19 febbraio 1991, Manzoni c. Italia; 26 febbraio 1993, Messina c. Italia; 4 aprile 2006, Kobtsev c. Ucraina), che tiene conto «del periodo che segue la comunicazione ufficiale, proveniente dall’autorità competente, dell’accusa di avere commesso un reato». Il criterio di individuazione dell’incidenza del procedimento penale sulla sfera giuridica del cittadino è la conoscenza formale che egli ne abbia: la quale, afferma la Corte, costituisce l’inizio di un «patimento».

È evidente che un fluire razionale del procedimento penale deve prevedere momenti di valutazione sulla necessità del “procedersi oltre” mediante l’utilizzo di criteri che salvaguardino l’interesse punitivo dello Stato (che significa anche tutela della sicurezza della collettività e mantenimento della coesione sociale nelle forme giurisdizionali, il cui depotenziamento apre, storicamente, la strada all’uso esecutivo della forza senza controlli), da conciliare con l’esigenza costituzionale di ragionevole durata del processo.

Il legislatore della riforma sembra avere tenuto in conto questo quadro: tuttavia, non può non notarsi come i punti sensibili affrontati fossero già oggetto di un significativo dibattito giurisprudenziale che, anche senza interventi normativi, avrebbe potuto indirizzarsi verso soluzioni costituzionalmente orientate. 

Ciò è a dirsi del controllo sui tempi di iscrizione delle notizie di reato, sulla corretta formulazione dell’imputazione, e degli esiti dell’udienza preliminare, di cui si dirà più ampiamente oltre.

 

3. Il momento dell’interpretazione, il momento – immediato – dell’organizzazione

La cogenza delle norme pone ora l’interprete giurisdizionale della riforma di fronte ad alcuni problemi interpretativi, che daranno luogo a loro volta a uno sviluppo giurisprudenziale: ma sull’interprete “organizzativo” della riforma incombono, da subito, degli oneri rilevanti. Non affrontarli rischia di compromettere seriamente l’avvio della riforma nelle sue parti più innovative e positive.

Si consideri che, a fronte di calendari e ruoli di udienza, preliminari e dibattimentali, ovunque già affollati al limite della sostenibilità, i dirigenti degli uffici giudiziari, con la collaborazione dei presidenti di sezione penale e gip/gup e dei coordinatori degli uffici gip/gup dovranno introdurre tabellarmente quantomeno tre nuove tipologie di udienza: l’udienza di comparizione predibattimentale di cui all’art. 554-bis cpp; l’udienza di “ripresa” dei processi sospesi ai sensi dell’art. 420-quater cpp; l’udienza di integrazione del dispositivo ai sensi dell’art. 545-bis cpp.

Il che significa non soltanto un impegno ulteriore in udienza per tutti i magistrati del settore penale (con la correlativa necessità, per gli uffici requirenti, di garantire la presenza di pubblici ministeri), ma anche la necessità di garantire luoghi di celebrazione e assistenza del personale amministrativo.

Non meno significativa l’esigenza di configurare correttamente i sistemi informativi rispetto ai nuovi possibili sviluppi procedimentali e subprocedimentali, con l’impegno alla traduzione dell’atto nel caso in cui il destinatario non comprenda e parli la lingua italiana. 

Cumulano aspetti di rilevanza teorica e pratica, importanti anche per il giudice dell’udienza preliminare come possibile giudice di riti alternativi, gli istituti ora previsti dall’art. 545-bis cpp, che introduce una possibile eventuale complessa fase subprocedimentale destinata a una “integrazione del dispositivo” con l’irrogazione di sanzioni sostitutive dopo la determinazione della pena ex artt. 444 e 438 cpp; e dall’art. 442, comma 2-bis cpp, che prevede un’ulteriore diminuzione di pena per la condanna in giudizio abbreviato non impugnata dall’imputato o dal suo difensore.

Con un flusso maggiore di incidenti di esecuzione attivabili[1] in caso di mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa a seguito del rito abbreviato, per ottenere l’ulteriore riduzione di un sesto della pena inflitta (art. 442, comma 2-bis, cpp), e con l’esigenza di adeguare i registri informatici alla nuova normativa. Ad esempio, per un corretto calcolo del termine per il deposito dei motivi della decisione, occorrerà “scaricare” in SICP solo il dispositivo integrato o confermato ex art. 545-bis cpp, perché è da quel momento che dovranno essere calcolati i termini per il deposito. 

Con la rilevante differenza teorica – ma con riflessi organizzativi/tabellari – dell’introduzione in tale ultimo caso di un “accenno” di procedimento bifasico, in cui lo stesso giudice della cognizione ritorna sulla sentenza di condanna per determinarne successivamente il contenuto sanzionatorio; mentre nel primo caso è il giudice dell’esecuzione a intervenire sulla sentenza (secondo canoni fisiologici nell’attuale sistema, quantunque la previsione della norma possa soffrire all’apparenza di un disallineamento rispetto all’art. 648 cpp).

 

4. Il valore sistematico del nuovo presupposto per la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere 

Quanto all’esito dell’udienza preliminare, con la modifica dell’art. 425 cpp, è necessario collocare l’intervento riformatore in termini sistematici.

La delega legislativa contenuta nella legge n. 134 del 2021 prevedeva un intervento regolatore dell’intero “senso” del procedimento penale in senso riduttivo delle fasi processuali, prevedendo di:

«a) modificare la regola di giudizio per la presentazione della richiesta di archiviazione, prevedendo che il pubblico ministero chieda l’archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna»;

«m) modificare la regola di giudizio di cui all’articolo 425, comma 3, del codice di procedura penale nel senso di prevedere che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna».

Come si è avuto modo di rilevare, la modifica normativa si sovrappone all’evoluzione della giurisprudenza di merito – con aperture in tal senso anche nella giurisprudenza di legittimità – nell’interpretazione dell’art. 425 cpp, previgente, come filtro reale rispetto a casi di esercizio dell’azione penale privi di prospettive finali di condanna, a causa di «elementi acquisiti» inidonei, anche nel prevedibile sviluppo istruttorio dibattimentale, a superare la regola finale di giudizio di cui all’art. 533, primo comma, cpp.

L’innovazione intervenuta sul parametro di giudizio per la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere è espressa da una formula semantica che oscilla tra una pericolosa potenziale deriva verso una “ragionevole presunzione di colpevolezza” e una “razionale limitazione dei dibattimenti a quelli utili”: né è dato sapere, al momento, come si orienteranno le prassi e la giurisprudenza.

Si può solo credibilmente prevedere che l’impulso normativo possa abbattere le persistenti distorsioni dell’udienza-agenda, in cui ci si limita, con percentuali altissime di decreti che dispongono il giudizio, a determinare quale effetto principale il solo calendario dei dibattimenti[2].

Ci si attende, anche, che la magistratura operi alla luce di quanto emerge dai dati statistici raccolti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Nella relazione del presidente della Corte di cassazione si conferma, anche per il 2023, una percentuale molto alta di assoluzioni, pari al 47,8% . 

Anche nel distretto della Corte d’appello di Milano, la percentuale di assoluzioni rilevata è sempre superiore al 30% e, in alcuni casi, si attesta anche intorno al 50%, come per Lecco e Como, arrivando fino al 56% per Varese. 

Dati che rimandano a una riflessione seria sul funzionamento del processo penale e sulla occasione, offerta dalla riforma, di operare affinché non prosegua tutto quello che oggi inutilmente sfocia nel dibattimento penale e si conclude con una sentenza di assoluzione.

Considerando altresì – e questa è una possibile interpretazione dell’anomalia dei dati di assoluzioni più altri – che, anche a causa di una cattiva organizzazione delle sezioni dibattimentali, le sentenze, alcune volte, arrivano molti anni dopo il fatto reato, quando la formazione della prova in dibattimento diviene ardua. 

Occorre essere consapevoli di quanto è possibile fare per eliminare quell’inutile «patimento» che ci ricordano la Corte costituzionale e la Corte Edu.

Una delle aporie sistematiche della nuova disciplina si coglie nella difficoltà, in questa fase, delle scelte difensive, non essendo razionalmente prevedibile quale sarà il punto di caduta della giurisprudenza dei giudici dell’udienza preliminare: e dunque se, a fronte di indagini deboli, sia più utile adire un rito abbreviato basato sulla regola di giudizio di cui all’art. 533, primo comma, cpp ovvero discutere un’udienza preliminare in cui il criterio di valutazione del giudice è quello dell’art. 425, terzo comma, cpp come riformato.

Ma: se quest’ultimo criterio ha il suo fulcro nella “ragionevole previsione di condanna”, il giudice non può fare altro che proiettarsi nella dimensione finale del giudizio che, in dibattimento non diversamente che nel giudizio abbreviato, si basa sulla regola dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”.

Salvo che si voglia ritenere (ma si ritornerebbe alla giurisprudenza sulla norma previgente) che la diversità delle formule lasci spazio a una previsione ragionevole di “sviluppabilità” in dibattimento di elementi di indagine presenti nel fascicolo trasmesso ai sensi dell’art. 419 cpp, tale da indurre al rinvio a giudizio. Una prospettiva non in linea con la filosofia che permea tutto l’intervento riformatore, teso a introdurre nel procedimento penale plurime finestre valutative del giudice, volte ad arrestarne il cammino qualora gli elementi agli atti si presentino inadeguati/insufficienti nell’ottica di una ragionevole previsione di condanna.

Vi è poi da valutare, nella prospettiva della nuova regola di giudizio, se si debbano modificare i criteri applicativi degli artt. 421-bis e 422 cpp: se cioè, in sintesi, risulti ampliato un eventuale “potere asimmetrico” di integrazione probatoria del giudice orientato a un robusto favor rei

Così come occorre approfondire il tipo di controllo sull’imputazione affidato al giudice dell’udienza preliminare dai riformati articoli 421 e 423 cpp[3], che costituisce sicuramente un ulteriore ampliamento delle finestre valutative del giudice rispetto all’operato del pubblico ministero, consentendo la modifica dell’imputazione quando essa appaia non adeguata e non corretta, anche al fine di favorire le opportune scelte difensive in termini di accesso ai riti alternativi o, comunque, quale momento di corretta definizione del perimetro delle imputazioni in vista del giudizio dibattimentale.

La riforma, sul punto, sembra muoversi sul cammino già aperto dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare con la pronuncia delle sezioni unite 20 dicembre 2007, n. 5307, Battistella, nell’ottica della “stabilizzazione” dell’imputazione quale leva di efficienza del processo.

 

5. Un’esigenza di consapevolezza organizzativa

Questa pur sintetica rassegna di questioni che la riforma apre, mostra ancora una volta l’intreccio tra aspetti normativi e aspetti organizzativi in senso ampio.

Alcune norme hanno – e acquisteranno – senso solo se la loro applicazione sarà accompagnata da interventi organizzativi e di allocazione di risorse coerenti con una previsione d’impatto che i dirigenti degli uffici sono tenuti a compiere con un dinamismo ben superiore a quello che, sin qui, si è al più tradotto in buoni programmi di gestione. 

In questo senso, appare forse troppo prudente e in parte rinunciatario l’approccio di chi subordina la ridistribuzione delle attuali (e certamente insufficienti) risorse umane all’acquisizione e valutazione dei primi dati sui flussi di lavoro post-riforma, così spostando necessariamente nel tempo un intervento quanto mai urgente; perché se da un lato occorrerà ovviamente verificare in concreto come la riforma opererà nell’interpretazione giurisprudenziale (aumenteranno le sentenze ex art. 425 cpp? Ci saranno più richieste di riti alternativi?), dall’altro già oggi appare evidente che le sezioni e gli uffici gip/gup saranno quelli su cui graverà il maggior carico di lavoro. Con la conseguenza che, se non si ripenseranno rapidamente le dimensioni di tali sezioni e il Csm non modificherà le proporzioni, oggi previste dalla circolare sulle tabelle degli uffici, tra tali sezioni, il dibattimento penale e la Procura della repubblica, sarà sempre più difficile attendersi quel salto di qualità deflattivo e quella velocizzazione dei tempi del procedimento che la riforma vuole perseguire e che le sezioni e gli uffici gip/gup, a organici invariati, non potranno certamente assicurare[4].

Ha ricordato di recente il presidente della Corte di cassazione, Piero Curzio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023 in Cassazione:

«Una riforma è un cambiamento delle regole. Qualsiasi cambiamento delle regole, qualunque sia il suo ambito, una famiglia, un’impresa, un’associazione, richiede un periodo di adattamento per la comprensione del nuovo, la sperimentazione, il rodaggio del diverso modo di operare, eventuali correzioni. Tutto ciò è più complesso quando la dimensione è quella dello Stato, ed ancor più quando interessa, come nel nostro caso, praticamente tutti i settori del vasto mondo della giustizia, che ha una sua architettura, in cui lo spostamento di una tessera determina conseguenze sul tutto e in cui bisogna rispettare i pilastri costituiti dai principi della Costituzione e delle Carte europee».

Una posizione condivisibile: e, peraltro, non può essere sottovalutato che l’incentivo al necessario cambiamento della cultura del giudice dell’udienza preliminare non può che essere agevolato da una rapida riorganizzazione dell’esistente, dato che solo così si contrastano alibi di resistenza al cambiamento.

Ne è consapevole il presidente della Corte d’appello di Milano, Giuseppe Ondei, che nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023 ha espressamente affermato: 

«Occorre ricordare, infatti, che la sezione Gip/Gup verrà prevedibilmente caricata di incombenze significative in aggiunta a quelle – non indifferenti – di cui è già oggi titolare: non solo si aggiungono atti di controllo sull’operato del p.m. in sede di indagini preliminari, ma nell’auspicio del legislatore della riforma dovrebbero aumentare i non luogo a procedere e i riti alternativi celebrati in tale sede. È evidente che un tale maggior carico di lavoro richiede una ridistribuzione delle forze all’interno degli Uffici, ma, ragionevolmente, anche un aumento della percentuale di copertura delle piante organiche (…) si rischia di non modificare in concreto il modus operandi dei singoli magistrati (sempre più gravati da pesanti carichi di lavoro e da compiti valutativi sensibili) posto che il decreto che dispone il giudizio continua ad essere un provvedimento assai più “conveniente”, sul piano del carico di lavoro, di una sentenza di non luogo a procedere».

Mai come in questo caso occorre, quindi, trovare un giusto punto di equilibrio tra la riforma, le scelte organizzative affidate ai dirigenti degli uffici e la predisposizione delle risorse necessarie di competenza del Ministro della giustizia. 

In assenza di questa positiva intersezione, si rischia di non raggiungere nessuno dei pur positivi cambiamenti che la riforma offre. 

Altre questioni riguardano, oltre a quanto già si è detto a proposito dei calendari e ruoli di udienza, l’incremento del catalogo dei reati di competenza del tribunale in composizione monocratica per i quali l’azione penale è esercitata nelle forme di cui all’art. 552 cpp; la necessità di relazioni esterne e protocolli per l’irrogazione di sanzioni sostitutive; le modalità concrete di emissione dei decreti penali di condanna; l’impatto dell’asimmetria tra il più stringente criterio per l’archiviazione di cui all’art. 408 cpp e l’immutata[5] disciplina delle opposizioni all’archiviazione negli artt. 409, 410, 411 cpp, che presumibilmente ne produrrà un significativo aumento.

Vi è, poi, un riflesso dei criteri di esercizio dell’azione penale e di giudizio nell’udienza preliminare che esige una piena coerenza nella valutazione dei magistrati, su cui non è possibile in questa sede esprimere certezze, ma che certamente deve portare a un’evoluzione netta rispetto a quelli che, in altra occasione, abbiamo definito «rilievi statistici “ciechi e sordi” rispetto all’efficacia del processo (ma continuamente richiesti ai magistrati) e che misurano solo le quantità di carte “mandate avanti” dall’attore di ciascun segmento del procedimento penale, senza una valutazione complessiva di efficacia»[6].

Di certo, alla luce della sovrapposizione dei criteri ora previsti dall’art. 408, primo comma, e dall’art. 425, terzo comma, cpp, la valutazione della “produttività” di un pubblico ministero non potrà più essere fondata sul mero conteggio del numero degli atti di esercizio dell’azione penale.

E anzi, considerando la nuova valutazione posta alla base dell’art. 408 cpp, è ragionevole presumere che le richieste di archiviazione, già oggi molto numerose, aumenteranno sensibilmente e richiederanno soluzioni organizzative efficaci per evitare eccessive pendenze in un settore che, spesso, statisticamente inquina l’impegno professionale quantitativo e qualitativo delle sezioni e degli uffici gip/gup e il dato delle pendenze del tribunale nel suo complesso.

Sia pur rifuggendo dalle pure e semplici lamentazioni sulla scarsità delle risorse, che rischiano di diventare un succedaneo del necessario impegno di chi ha doveri dirigenziali di organizzazione degli uffici, e di tutti i magistrati che, in una prospettiva “orizzontale” della giurisdizione, i dirigenti devono chiamare a parteciparvi, ci si deve chiedere sin da ora dove e come i tribunali troveranno le risorse necessarie: sotto questo profilo, l’udienza preliminare – e, più in generale, la funzione gip/gup – rappresenta un vero snodo critico.

Una funzione che, anche guardando al flusso degli affari, appare, in quasi tutti i territori, l’anello del procedimento penale più in difficoltà[7].

 

6. Iniziative per l’applicazione di istituti deflattivi affidati alla funzione gip/gup

In questo senso, alcune interpretazioni organizzative consentirebbero approcci da subito più efficaci per attuare alcune delle parti più significative della riforma, che affidano proprio alla funzione gip/gup l’applicazione di istituti deflattivi.

Si pensi al tema delle sanzioni sostitutive e al ruolo che ciascun attore del procedimento può assumere per rendere effettiva ed efficace la nuova normativa.

Sappiamo, infatti, che il vero punto critico del nuovo assetto normativo in materia di applicazione delle pene sostitutive riguarda il carico di lavoro gravante sugli uffici di esecuzione penale esterna, da sempre sommersi da numerosi e impegnativi compiti a fronte di organici spesso ridotti all’osso. Basta guardare ai dati statistici al 15 dicembre 2022, che evidenziano un totale di soggetti in carico agli uffici di esecuzione penale esterna pari a 121.375, di cui 74.558 relativi a misure alternative e 46.817 relativi a indagini e consulenze. 

Oggi, per avere una relazione, in presenza di una richiesta di messa alla prova, si attende oltre sei mesi. Se si pensa di coinvolgere comunque l’ ufficio di esecuzione penale esterna in caso di richiesta di applicazione di una pena sostitutiva, anche in considerazione dei nuovi compiti affidati a tale ufficio in tema di giustizia riparativa, il rischio dell’eterogenesi dei fini è altissimo, dato che anziché arrivare a una sanzione sempre più ravvicinata al fatto reato, potrebbe verificarsi un ulteriore allungamento della durata del processo ove l’ufficio di esecuzione penale esterna non riesca ad essere tempestivo nelle risposte. 

D’altra parte, il carico di lavoro a cui l’ufficio di esecuzione penale esterna deve far fronte è veramente imponente. 

Sempre i dati statistici, pubblicati sul sito del Ministero della giustizia, sono al riguardo particolarmente eloquenti. A giugno 2022 i soggetti a carico erano: 34.413 in misura alternativa alla detenzione, 9.077 con lavori di pubblica utilità, 25.126 in messa alla prova, a cui si aggiungono 4389 liberi vigilati. Di cui l’81,5 % di nazionalità italiana e solo il 18.5 % stranieri. 

Ecco, allora, che pensare a protocolli tra le parti (uffici giudiziari, consigli dell’Ordine degli avvocati, Uepe) che facilitino l’attuazione della riforma e in cui, ad esempio, si stimolino le difese a documentare quanto necessario alla valutazione del giudice in relazione alle condizioni di vita personali, familiari, sociali economiche e patrimoniali dell’imputato, consentirebbe di non coinvolgere l’ufficio di esecuzione penale esterna nella fase valutativa, ma solo in quella esecutiva, e di decidere sulla pena sostitutiva nell’immediatezza della richiesta anche senza rinviare il procedimento, come previsto dall’art. 545-bis cpp[8].

La riforma offre, su questo punto, strumenti efficaci che non devono essere dispersi o sottovalutati. Non dimentichiamo l’importanza di superare il problema esistente dei cd. “liberi sospesi” e cogliamo l’occasione di applicare una pena sostitutiva in un tempo sempre più ravvicinato alla commissione del reato, anche per ancorare da subito i condannati a programmi di recupero per le dipendenze o a progetti predisposti per soggetti violenti, particolarmente utili sotto il profilo della prevenzione e della rieducazione. 

Analogamente, protocolli tra uffici giudiziari (tribunali e procure) e Ordini degli avvocati in relazione agli elementi necessari, in caso di emissione di decreto penale, per determinare l’ammontare della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva (vista la nuova forbice che varia da un minimo di cinque euro a un massimo di duecentocinquanta euro), guardando, come già oggi si fa per le violazioni del codice della strada, a diversificare le fasce in relazione alla gravità del reato e alle condizioni economiche del reo, possono facilitare l’obiettivo deflattivo, soprattutto se si considera che, con la rinuncia all’opposizione, la pena pecuniaria applicata viene ridotta di un ulteriore quinto (art. 460, quinto comma, cpp).

Tra l’altro, la riforma investe sulla definizione del procedimento attraverso il decreto penale perché, da un lato, estende il termine per proporlo da sei mesi a un anno dall’iscrizione del nome dell’indagato nel registro delle notizie di reato[9] e, dall’altro – come sopra detto –, amplia la portata della pena sostitutiva pecuniaria.

La riforma punta altresì a incentivare l’accesso ai riti alternativi riconoscendo alle parti, nel patteggiamento a pena superiore ai due anni, la facoltà di estendere l’accordo alle pene accessorie e alla loro durata e, nel rito abbreviato condizionato, ancorando la valutazione dell’economia processuale ai prevedibili tempi dell’istruzione dibattimentale. Sembra che il legislatore abbia voluto recepire l’indicazione della Corte costituzionale (sentenza n. 115 del 2001), che aveva sottolineato come vi sia sempre il risparmio di tempo rispetto al dibattimento, dato che l’istruttoria del giudice dell’udienza preliminare, da un lato, è integrativa e non sostitutiva degli atti di indagine, e le prove, dall’altro, sono assunte nelle forme semplificate dell’art. 422 cpp. Con l’ulteriore beneficio, di cui s’è detto, della riduzione di un sesto della pena nel caso di mancata impugnazione della decisione, affidata al giudice dell’esecuzione. 

L’incentivo ai riti alternativi, in una ottica deflattiva, si rinviene anche nella nuova formulazione dell’art. 458 cpp, che obbliga il giudice a fissare l’udienza per la valutazione della richiesta di rito abbreviato condizionato dopo l’emissione del decreto di giudizio immediato, sede in cui l’imputato o il suo difensore, munito di procura speciale, possono chiedere in via gradata gli altri riti (abbreviato semplice se è stato rigettato quello condizionato, patteggiamento o sospensione della pena con messa alla prova). 

 

7. Conclusioni

I prossimi mesi ci restituiranno un quadro più stabile degli approdi della giurisprudenza e delle scelte organizzative effettuate. Occorrerà certamente ritornare sui punti oggi appena toccati, per valutare se l’intervento riformatore sarà veramente in grado di fornire un nuovo volto all’intervento penale e all’apparato sanzionatorio nel suo complesso, oltre che rispettare la ragionevole durata del processo. 

Come in tutte le occasioni in cui ci si trova di fronte a una riforma complessa, come quella che in questo numero viene esaminata nelle sue diverse sfaccettature, occorre del tempo per valutarne effettivamente la portata. 

La riflessione deve quindi proseguire, e quella odierna costituisce solo un primo sguardo.

Ci permettiamo, però, già ora di sottolineare come introdurre nell’intero procedimento penale e nelle sue diverse fasi finestre giurisdizionali di controllo sulla necessità del “procedersi oltre” e agire così, seriamente, sul momento del “patimento” dell’indagato/imputato, ampliare gli istituti della particolare tenuità del fatto, della sospensione con messa alla prova, e rimodulare la risposta sanzionatoria ampliando il catalogo delle sanzioni e consentendo al giudice della cognizione di esprimersi sulle stesse, costituiscono tutti momenti qualificanti dell’intervento riformatore, su cui gli operatori della giustizia dovrebbero seriamente investire.

Questo primo sguardo alla riforma vuole essere un invito per tutti coloro che operano nel mondo della giustizia (magistrati, avvocati, pubblici ministeri, polizie giudiziarie, operatori) ad assumersi collettivamente questa responsabilità. 

 

 

1. Non viene chiarito se d’ufficio o a istanza di parte: soluzione, quest’ultima, che sarebbe in linea con la previsione generale di cui all’art. 666, primo comma, cpp, ma non con la formulazione assertiva («la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione») di cui al nuovo art. 442, comma 2-bis, cpp. Il decreto legislativo n. 150 del 2022 ha invece affrontato la questione del procedimento, che è quello de plano previsto dall’art. 676 con riferimento all’art. 667, quarto comma, cpp.

2. «[U]n luogo in cui – assegnando le risorse indispensabili e vivendo la consapevolezza dei ruoli – non accada più che la microdialettica delle parti si compendi in un richiamo alla richiesta di rinvio a giudizio, in una rituale richiesta di non luogo a procedere, nella lettura di una data di inizio del processo. Perché sappiamo che, in molti casi, questa è stata fino ad oggi la vera dinamica dell’udienza preliminare, una dinamica che porta molti giuristi a ritenerla superflua, ma che la riforma rivitalizza attribuendole quel ruolo di vero filtro che è da sempre indispensabile nella struttura e funzionalità di un processo penale che tenda veramente alla ragionevole durata» – così E. Maccora e G. Battarino, Il giudice dell’udienza preliminare nella riforma, in questa Rivista trimestrale, n. 4/2021, p. 139 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/994/4-2021_qg_maccora-battarino.pdf).

3. Imputazione generica in violazione dell’art. 417, lett. b, cpp; imputazione non corrispondente allo stato degli atti, sia perché il fatto risulta diverso da come descritto, sia perché diverse risultano le norme in cui sussumerlo.

4. Sul punto, si richiama E. Maccora e G. Battarino, Il giudice dell’udienza preliminare, op. cit.

5. Se non per l’inserimento dell’informazione rituale, in sede di fissazione di udienza, a imputato e persona offesa, «della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa».

6. E. Maccora e G. Battarino, Il giudice dell’udienza preliminare, op. cit., p. 138.

7. I dati illustrati nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano sono esemplificativi, se si pensa che in tutti i tribunali del Distretto più che una pendenza su tre è della sezione gip/gup e, nella più parte dei tribunali (circa i due terzi), questa sezione sembra versare in particolari difficoltà. 

8. In questo senso, si fa apprezzare particolarmente lo «Schema Operativo per l’applicazione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi» siglato il 13 febbraio 2023 a Milano dalla Corte d’appello, dal Tribunale di sorveglianza, dal Tribunale ordinario, dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati, dalla Camera penale, dall’Uepe, che si colloca proprio nell’alveo di quelle iniziative utili, volte a dare immediata attuazione alle parti positive della riforma. Vds. Schema operativo per l’applicazione delle pene sostitutive previste dalla c.d. Riforma Cartabia, in Questione giustizia online, 17 febbraio 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/schema-operativo).

9. Indicazione priva, comunque, di sanzione processuale in caso di superamento.