Magistratura democratica

L’immigrazione come fenomeno giuridico-sociale

di Franco Ippolito

Dopo il naufragio di Roccella Ionica, consumatosi nel silenzio delle autorità che presenziavano al G7, parlare di “Patto europeo sull’asilo e le migrazioni” può comportare, una volta di più, l’accettazione del compromesso fragile, delle morti in mare come “danno collaterale”, della solidarietà come obbligo imposto… A meno che non intervenga una nuova narrazione, capace di considerare i protagonisti della migrazione come una risorsa, un motore di cambiamento e di sviluppo: non solo – utilitaristicamente – in senso economico e materiale, ma anche umano e sociale. Una risorsa capace di garantire un futuro all’Europa e ai principi che la fondano come soggetto politico unitario. 

1. Il “nuovo” Patto europeo su asilo e migrazioni / 2. La “Fortezza Europa” tradisce l’anima dell’Unione / 3. Cambiare narrazione per modificare il senso comune / 4. Un impegno di lunga durata

 

1. Il “nuovo” Patto europeo su asilo e migrazioni

Roberta Metsola e Ursula von der Leyen hanno espresso la loro soddisfazione, con dichiarazioni altisonanti, per il “risultato storico” dell’approvazione da parte del Parlamento europeo, il 10 aprile scorso, dei nuovi regolamenti sul Patto per l’asilo e le migrazioni. Le risicate maggioranze che hanno condiviso i vari provvedimenti e, soprattutto, il risultato davvero modesto delle innovazioni, che lasciano sostanzialmente immutato il Patto di Dublino (che, più di ogni altro regolamento, ha bisogno di modifiche per i tanti problemi che scarica sulle spalle dei Paesi di primo ingresso, tra cui principalmente l’Italia) non legittimano affatto tali trionfalismi, pur dovendosi riconoscere nella nuova normativa taluni interventi di razionalizzazione procedurale e una maggiore attenzione alla necessità di rispettare la Carta dei diritti fondamentali e gli strumenti di diritto internazionale a tutela dei minori e delle persone vulnerabili.

Con molta più modestia (e qualche evidente punta d’imbarazzo), il socialista Juan Fernando López Aguilar, presidente della Commissione LIBE («libertà civili, giustizia e affari interni») del Parlamento, ha ammesso che il risultato, frutto di stressante lavoro della sua commissione – ancorché «poco soddisfacente e limitato» – costituisce un «passo avanti (…) per migliorare una situazione inaccettabile e ingiusta», che grava sui Paesi mediterranei. In sintesi, ha valutato l’accordo come «un compromesso tra posizioni molto distanti (…) un bilanciamento accettabile», che produce «un equilibrio tra responsabilità condivisa e solidarietà obbligatoria».

Chi condivide le riflessioni di Hans Kelsen sull’Essenza e valore della democrazia non può che apprezzare la paziente ricerca, all’interno di assemblee parlamentari, di mediazioni tra opposte visioni, ben sapendo che in democrazia il compromesso tra le diverse posizioni è un fattore di crescita e di coesione collettiva.

Va, tuttavia, osservato che ciò che López Aguilar ritiene «accettabile» non costituisce affatto una mediazione tra esigenze di sicurezza e controllata apertura alle immigrazioni nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone, ma – riprendiamo ancora le sue stesse parole – «un equilibrio tra responsabilità condivisa e solidarietà obbligatoria», ossia un mediocre compromesso tra le richieste di collaborazione avanzate dai Paesi di primo ingresso (Grecia, Italia, Spagna) e le resistenze dei Paesi di nord-est ad accogliere una parte delle persone che riescono (vincendo tutte le avversità, anche quelle messe in atto dai governi europei) a superare i confini esterni dell’Unione. La mediazione consiste nella previsione di solidarietà obbligatoria, con versamento di contributi finanziari, da parte di Paesi indisponibili a partecipare alla ricollocazione dei migranti. Come appare evidente, non si tratta di una mediazione tra differenti esigenze sostanziali (chiusura o apertura controllata all’immigrazione), ma di un compromesso economico tra Stati dell’Ue, che rende più lieve il peso economico per gli Stati membri di primo ingresso e consente ulteriori risorse per potenziare il controllo alle frontiere e finanziare gli Stati terzi che si prestano a funzionare da frontiera esternalizzata.

Al dramma delle migrazioni gioverà molto poco il profluvio di parole, di strumenti, di escamotages tecnici (come la finzione del “non ingresso” nei confini europei o la creazione di campi di detenzione in Paesi terzi, come l’Albania) che tentano di nascondere l’effettiva sostanza della decisione assunta, che è invece chiarissima: l’Unione persevera – come ha fatto nell’ultimo quindicennio – nel ritenere l’immigrazione non già una preziosa risorsa da governare e regolare, ma un fattore di pericolo e di rischio per i confini e per l’ordine pubblico. Ne è riprova, come spia linguistica, l’ossessiva ricorrenza nella nuova normativa dell’espressione «minaccia per la sicurezza interna o per l’ordine pubblico» e, per contro, uno sporadico accenno a operazioni di soccorso e assistenza nel Mediterraneo e qualche fugace riferimento a teoriche procedure di immigrazione regolare da parte degli Stati membri.

I provvedimenti approvati sono connotati dalla stessa impronta securitaria che, negli ultimi decenni, ha trasfigurato il volto dell’Europa in una fortezza. Non solo un’occasione mancata, ma una riaffermazione di linea con cui si ribadisce sostanzialmente il rifiuto di ogni apertura nei confronti del Sud del mondo, con l’ulteriore invenzione di “stati terzi di primo asilo” che, insieme alla “finzione di non ingresso” e alla qualificazione di “soggiorno” riferita ai campi di detenzione amministrativa, rappresentano una sostanziale ipocrisia giuridica. Se si aggiunge la legalizzazione dell’esternalizzazione, fino a ieri illegale e oggi digerita, metabolizzata e normalizzata, non è azzardato affermare che è stata compiuta una concreta ulteriore regressione giuridica, politica e culturale. 

Tale decisione non solo è disumana e contraria ai diritti umani, ma controproducente e contrastante con gli stessi interessi presenti e futuri dell’Italia e dell’Ue[1]. Non soltanto agli occhi dei profughi e dei migranti, ma a tutti quelli delle popolazioni che “producono migrazioni”, viene confermato che l’Unione è sostanzialmente la prosecuzione del Continente coloniale e neo-coloniale che ha depredato per secoli le risorse materiali e umane dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina.

Per il Sud del mondo è intollerabile che il potere politico ed economico europeo facciano finta di ignorare di aver brutalmente utilizzato lo ius migrandi – come ci ricorda Luigi Ferrajoli – ad esclusivo vantaggio degli europei. Quel principio fu elaborato e affermato per legittimare la conquista delle Americhe e il genocidio delle popolazioni native. Oggi, per i migranti dell’America latina, dell’Africa e dell’Asia, non vale più.

Il rimprovero d’ipocrisia e d’incoerenza mosso all’Occidente è perciò ampiamente giustificato dall’atteggiamento dell’Unione e degli Stati membri, che, da un lato, proclamano l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti fondamentali e, dall’altro, adottano politiche che tali diritti ignorano o calpestano.

 

2. La “Fortezza Europa” tradisce l’anima dell’Unione

L’Europa delle Costituzioni e delle Carte dei diritti fondate sulla pari dignità delle persone non può chiudersi in una fortezza, alzando muri materiali o giuridici, senza tradire se stessa e perdere la sua identità e la sua “anima”, e senza compromettere il suo stesso futuro. L’Unione europea è sorta per contrastare e superare le cause e i fattori delle tante guerre che hanno insanguinato il Continente, per combattere nazionalismi e razzismi, per affermare solennemente il “mai più” a violazioni della dignità umana, a campi di confinamento, a discriminazioni razziali.

Il continente più ricco del pianeta, invece, continua egoisticamente a chiudersi in se stesso, a costruire nuovi ostacoli giuridici e muri anche fisici[2]; adotta politiche di contrasto all’immigrazione così rigide, con ostacoli materiali, burocratici e procedurali, da limitare e comprimere (sino a negare di fatto) persino il diritto di asilo, da sempre vanto della civiltà europea.

Il Mediterraneo, da crocevia di civiltà, è stato trasformato in un immenso cimitero, in cui sono morte o scomparse decine di migliaia di persone. La rotta balcanica è divenuta un calvario di sofferenze per diseredati. Violenze, torture e sfruttamento sono anche la conseguenza delle politiche di “esternalizzazione” dei confini meridionali dell’Europa[3], realizzata con finanziamenti miliardari al regime turco per la chiusura della rotta balcanica e alle milizie libiche per il blocco dei migranti africani (mentre nuovi patti si stipulano con Niger, Tunisia, etc.); chiusura e blocco effettuati con inaudite violenze, sottratte a effettivi controlli, come risulta dagli allarmi continui dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Ciò nonostante, il Governo italiano si ostina a ritenere affidabile le autorità libiche contro la realtà ben conosciuta e dichiarata dall’OIM e dall’UNHCR[4].

La politica di contrasto della migrazione è illegittima per il diritto internazionale fondato sui diritti umani; è ingiusta verso persone che intraprendono un doloroso viaggio per fuggire da guerre, da carestie, da disastri ambientali, spesso causati o aggravati anche da politiche del sistema economico occidentale ed europeo; è discriminatoria e razzista nel respingere qualche centinaio di migliaia di profughi e migranti africani e asiatici, mentre accoglie meritoriamente milioni di profughi ucraini[5]; è illusoria giacché tutta la storia umana prova che mai, nel corso dei millenni, le migrazioni dei popoli sono state effettivamente impedite da ostacoli materiali o giuridici; è dannosa per la stessa Europa e per l’Italia. L’analisi recentemente compiuta da Stefano Allievi evidenzia che la chiusura e il blocco dell’immigrazione regolare (coi connessi divieti) produce gli effetti di ogni proibizionismo: perdita di controllo del fenomeno migratorio, immigrazione irregolare con connesso mercato illegale che frutta lucrosi affari alle mafie internazionali, aumento del numero dei morti, aumento dell’immigrazione dei minori non accompagnati con relativi costi per l’Italia, abbassamento del livello di istruzione degli immigrati, “clandestinità”, paure, xenofobia, razzismo[6]

Il razionale governo dei flussi migratori, che realisticamente è il massimo degli obiettivi possibili, non può essere raggiunto con metodi violenti e repressivi, la cui insensata prosecuzione può soltanto degenerare e determinare ulteriori conflitti, ancor più difficili da governare.

Occorre adoperarsi non già per impedire le partenze, ma per prevenire le cause e i motivi di migrazione, per evitare che le persone siano costrette ad abbandonare il proprio Paese. Soltanto provvedimenti di tal genere, unitamente a politiche di accoglienza e di integrazione, appaiono efficaci e coerenti non solo con la civiltà e le Carte dei diritti dell’Europa, ma con gli interessi dell’Europa e del mondo.

Chi esercita attività giuridiche deve avere la piena consapevolezza che, per governare fenomeni complessi, non basta invocare il diritto, ma è necessaria la politica, a cui compete la cura e la responsabilità degli interessi delle popolazioni.

Chi ha il compito di adottare scelte politiche deve certamente tener conto delle dimensioni dei movimenti migratori e non può ignorare i diffusi timori che percorrono le società europee né la complessità dei processi di integrazione dei migranti e dei rifugiati.

La politica, tuttavia, per essere all’altezza delle promesse di pace e di rispetto per la dignità delle persone e dei popoli formulate solennemente dal diritto internazionale (dallo Statuto dell’ONU alla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue), deve individuare soluzioni che trovino un solido fondamento di diritto sia per garantire i diritti dei rifugiati e dei migranti, sia per delineare la sostanza e l’immagine della società democratica europea. La politica deve essere in ogni caso rispettosa dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli, giacché la tutela dei diritti fondamentali costituisce un limite invalicabile per tutti, anche per i legislatori e i governi, che devono farsi carico di queste necessità, indicare prospettive e fornire soluzioni che rendano effettivi i diritti umani e l’aspirazione alla pacifica convivenza tra diversi.

 

3. Cambiare narrazione per modificare il senso comune

Dobbiamo tutti insieme riflettere sul fatto che il senso comune, ma anche la pubblica opinione, da vari decenni continuano a esprimere ostilità verso le immigrazioni, senza significative attenuazioni. 

In questa sede, val la pena ricordare che il primo convegno di magistrati sulle migrazioni fu organizzato da Md a Torino nell’aprile 1989, seguito dalla pubblicazione di un libro che recava lo stesso titolo: L’Europa degli stranieri[7]. Sin dalle prime pagine dell’introduzione venivano individuati tutti i temi su cui la politica e l’opinione pubblica hanno discusso, confrontandosi e scontrandosi, in questi 35 anni.

Nel consultare quel libro, al compiacimento per la correttezza e la lungimiranza dell’analisi allora compiuta si accompagna un senso di scoramento nel costatare che, dopo ben 35 anni, le modalità con cui i responsabili politici italiani ed europei affrontano i problemi dell’immigrazione sono ancora quelle legate alle emergenze e che, sostanzialmente, poco sono cambiate le reazioni della pubblica opinione e della popolazione autoctona, sia pure con qualche oscillazione percentuale[8]

I discorsi sui diritti e sulla dignità di ogni persona, oltre al ricordo dell’emigrazione italiana in Europa e nelle Americhe, non procurano mutamenti del senso comune, incline a farsi manipolare dagli imprenditori politici della paura. 

Se non vogliamo rassegnarci a fare “prediche inutili” a testimonianza della civiltà del diritto e dei diritti, ma agire invece anche per ottenere risultati, dobbiamo mutare la narrazione dei nostri discorsi[9], utilizzando non soltanto diritto e politica, ma anche e soprattutto demografia ed economia, che incidono direttamente sugli interessi[10]. Ovviamente, interlocutori privilegiati a cui rivolgersi sono mass-media e giornalisti, il cui ruolo è rilevante per formare e modificare il senso comune.

I cambiamenti demografici già realizzati e previsti per i prossimi 25 anni per l’Europa e l’Italia parlano da sé. Si prevede un netto declino della popolazione europea e, nello stesso periodo, un’esplosione della popolazione africana, in relazione ai diversi livelli di riproduttività. Nel 1900 l’Europa contava un quarto della popolazione mondiale (408 milioni); nel 2050 ne avrà un dodicesimo (703 milioni). L’Africa nel 1900 rappresentava poco più dell’8% (133 milioni); nel 2050 ne avrà quasi un quarto (2485 milioni). Le quantità di popolazione prevista sono dunque ribaltate rispetto all’inizio del secolo scorso[11].

Ancora più illuminante e allarmante risulta la composizione della popolazione. L’Europa invecchia rapidamente. L’Italia è il Paese più vecchio d’Europa (e, assieme al Giappone, il più vecchio del mondo). In Italia nacquero 1.035.207 bambini nel 1964, 577.000 nel 2008; nel 2023 ne sono nati soltanto 379.000[12]. Il declino sembra inarrestabile. Ipotizzando con l’ottimismo della volontà e della speranza un’efficace e immediata svolta di politica per la natalità, gli effetti si cominceranno ad avere tra 20 anni.

Intuitivi e rilevanti saranno gli effetti sul welfare. Per rimarcare il dato più evidente, la Sanità avrà necessità di apprestare maggiori cure per gli anziani e per il numero crescente di non autosufficienti. Anche l’Istat «prevede che, nell’arco della prossima generazione, la popolazione italiana non smetterà di calare: (…) il rapporto tra chi è in età da lavoro (…) e chi non lo è passerà da 3:2 a 1:1 (…) ogni persona che lavora dovrà produrre abbastanza per mantenere, oltre a se stessa, anche un’altra [persona]»[13].

Si stima che i ritmi attuali di immigrazione in Italia (150.000 all’anno) rappresentano «il minimo indispensabile, quello che ci serve perché il Paese non si fermi»[14]. Degli immigrati l’Europa e l’Italia hanno dunque estrema necessità[15]. Senza immigrati, tra non molti anni, con le attuali politiche dell’immigrazione, l’Inps non potrà pagare le pensioni.

Tutte le analisi, peraltro, mostrano il positivo contributo economico portato dagli immigrati. Uno studio di Banca d’Italia del 2018 ha dimostrato che «il contributo complessivo alla crescita del PIL nel decennio 2001-2011 è stato positivo per 2,3 punti percentuali, mentre in assenza di immigrazione saremmo calati del 4,4. Anche nel quinquennio successivo, nonostante la grande crisi, sono stati gli immigrati a salvarci dal tracollo, limitando all’1,9% un declino che altrimenti sarebbe stato del 3»[16].

Dal recente Dossier statistico sulle immigrazioni 2023, realizzato dal Centro studi e ricerche IDOS, in collaborazione con la rivista Confronti, emerge che «[c]ontinua ad essere positivo il contributo degli immigrati all’economia italiana e al suo sistema di protezione sociale: nel 2021 (…) ha segnato un guadagno per l’erario pubblico di 6,5 miliardi di euro, fortemente cresciuto rispetto al 2020 (circa un miliardo di euro in più). Analogamente, dal 2011 al 2021, se le imprese in capo a italiani sono diminuite del 4,1%, quelle gestite da immigrati sono cresciute del 41,5%. Nel 2022, con ulteriori 5.000 nuove attività aperte nell’anno (+0,8%), le imprese immigrate operanti in Italia si avvicinano a quota 650.000 (il 10,8% del totale). A crescere sono soprattutto l’imprenditorialità femminile (pari al 24,6% delle attività a conduzione immigrata) e le società di capitali, più che raddoppiate dal 2011 al 2021 (+149,9% e +65.000)».

 

4. Un impegno di lunga durata

«Migrare è un atto esistenziale e politico. Lo ius migrandi è il diritto umano del nuovo millennio che, sostenuto dall’associazionismo militante, dai movimenti internazionali e dalla opinione pubblica più avvertita e vigile, richiederà una lotta pari a quella per l’abolizione della schiavitù»[17]. È questo il nostro impegno. Per adempierlo bisogna conquistare consensi in Italia e in Europa. Ricordiamoci che all’abolizione della schiavitù si pervenne non solo e non tanto per sentimenti umanitari o considerazione dei diritti, della dignità e della libertà di ogni persona: furono decisivi motivazioni e interessi economici.

 

 

1. «L’appellativo di Fortezza Europa (…) è un ben triste viatico per lo sviluppo del nostro continente nel mondo»: M. Livi Bacci, La geodemografia. Il peso dei popoli e i rapporti tra stati, Il Mulino, Bologna, 2024, p. 32.

2. Secondo uno studio del Servizio di ricerca parlamentare europeo, nel periodo 2014-2022 le recinzioni e i muri di confini sono aumentati da 315 a 2048 km.

3. Sul punto vds. A. Fazzini, L’esternalizzazione delle frontiere e la responsabilità degli Stati europei, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023, nonché RiVolti ai Balcani (a cura di), Chiusi dentro. I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo, Altreconomia, Milano, 2024. 

4. Quelle tragedie costituiscono una «vergogna insanabile per il nostro continente»: così l’Alto commissario dell’UNHCR il 22 marzo 2018, evidenziando tra l’altro l’aumento dei morti in mare per effetto delle restrizioni adottate per il soccorso, operate con la criminalizzazione delle attività delle Ong. 

5. Una proposta di immigrazione selettiva è stata evocata dall’attuale Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in un discorso ai giovani: «Ogni nazione ha diritto a privilegiare un’immigrazione più compatibile con la propria cultura. E vi faccio un esempio. In Venezuela ci sono milioni di persone che stanno letteralmente morendo di fame. Sono cristiani, sono spesso di origine italiana, io dico, ci servono migranti? Prendiamoli in Venezuela!» – riportato in F. Pastore, Migramorfosi. Apertura o declino, Einaudi, Torino, 2023, p. 134.

6. S. Allevi, Governare le migrazioni. Si deve, si può, Laterza, Bari-Roma, 2023, p. 36.

7. A. Perduca e F. Pinto (a cura di), L’Europa degli stranieri. Stranieri extracomunitari tra accoglienza e rifiuto alle soglie del 1993, Franco Angeli, Milano, 1991.

8. Cfr. le analisi di Ilvo Diamanti e i sondaggi effettuati dal centro di ricerca Demos.

9. S. Allevi, Governare, op. cit., pp. V-VII.

10. È quanto stiamo facendo con il Forum Disuguaglianze Diversità, che ha recentemente pubblicato il libro curato da E. Granaglia e G. Riva, Quale Europa. Capire, discutere, scegliere, Donzelli, Roma, 2024.

11. M. Livi Bacci, La geodemografia, op. cit., pp. 15-17 e p. 117. 

12. F. Pastore, Migramorfosi, op. cit., pp. 3-9.

13. Ivi, pp. 7-8.

14. Ivi, p. 9.

15. Non è di questo parere ovviamente la Presidente del Consiglio, che nel già citato discorso del 2018 affermò: «Una delle più grandi menzogne [è che] noi abbiamo bisogno degli immigrati perché in Italia non si fanno i figli. In Italia non si fanno i figli perché (…) lo Stato italiano, invece di mettere i soldi sulla famiglia, spende miliardi di euro per l’immigrazione incontrollata» – riportato in F. Pastore, op. ult. cit., p. 134. 

16. Ivi, p. 6. 

17. Dalla sentenza del Tribunale permanente dei popoli, all’esito della sessione «Sulla violazione dei diritti delle persone migranti e rifugiate», Palermo, 17-18 dicembre 2017 (https://permanentpeoplestribunal.org/wp-content/uploads/2018/01/TPP_PALERMO_MIGRANTI_SENTENZA_DEF_ITA.pdf).