Magistratura democratica

Così fallisce il Patto europeo sulla migrazione e l’asilo

di Satvinder S. Juss

Il nuovo Patto UE su migrazione e asilo rende più difficile per i migranti accedere alle garanzie di sicurezza in diversi modi. Tra questi, esso finirà per rafforzare la dipendenza dell’Ue dagli Stati al di fuori dei suoi confini per la gestione dell’immigrazione. Il recente Protocollo Italia-Albania rappresenta un esempio rilevante di tale approccio, che comporta diversi problemi pratici, etici e giuridici.

1. Introduzione / 2. Il Protocollo Italia-Albania / 2.1. Problemi pratici / 2.2. Problemi etici / 2.3. Problemi giuridici

 

1. Introduzione 

Il mondo ricco si trova nel bel mezzo di un boom migratorio senza precedenti. La sua popolazione straniera sta crescendo più rapidamente che in ogni altro periodo storico. Lo scorso anno si sono trasferite in Gran Bretagna 1.2 milioni di persone. L’Australia ha raddoppiato la sua percentuale di popolazione migrante rispetto a prima della pandemia da Covid-19. In Spagna i numeri sono i più alti di sempre. In America si sono trasferite 1.4 milioni di persone, ovvero un terzo in più rispetto a prima della pandemia. Per il Canada, il numero è più che raddoppiato. La Germania ha un tasso migratorio persino più alto che durante la crisi migratoria del 2015!

Eppure, le riforme concordate il 21 dicembre 2022 con il Patto europeo sulla migrazione e l’asilo riporteranno indietro di decenni la normativa europea sull’asilo. Le proposte di intervento normativo riformeranno il diritto eurounitario sull’immigrazione e sull’asilo attraverso una serie di disposizioni che regolano il modo in cui gli Stati rispondono all’arrivo delle persone in Europa. La Commissione europea, il Consiglio dell’Unione europea e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo, ma questo accordo andrà a detrimento dei diritti delle persone migranti. Ne aumenterà le sofferenze a ogni passo del loro viaggio verso l’Europa alla ricerca dell’asilo, metterà in pericolo tutto: dal modo in cui le persone migranti sono trattate nei Paesi esterni all’Ue, all’accesso all’asilo e all’assistenza legale alle frontiere dell’Unione, fino alla loro accoglienza entro i suoi confini. 

Il Patto rende più difficile l’accesso in sicurezza per le seguenti sei ragioni.

(i) Innanzitutto comporterà un aumento, alle frontiere con l’Unione europea, delle detenzioni de facto dei richiedenti asilo, incluse le loro famiglie con bambini e persone in condizioni di vulnerabilità. Un numero crescente di persone sarà incanalato attraverso procedure di asilo alla frontiera al di sotto degli standard, unicamente per finire poi trattenuto. 

(ii) Il Patto sulla migrazione non fornirà alcun supporto allo Stato europeo di primo arrivo, vale a dire ai Paesi alla frontiera dell’Unione, in particolare Italia, Spagna e Grecia. L’Ue avrebbe dovuto dare priorità alla solidarietà con questi Paesi, aiutandoli nel ricollocamento e rafforzando i meccanismi di protezione in tutta Europa, così da condividerne gli oneri. Poiché ciò non è avvenuto, questi Stati semplicemente ne pagheranno altri per rafforzare le frontiere esterne. L’Italia lo sta facendo adesso con l’Albania (vds. infra), ma in modo discutibile. Questi Stati ne sovvenzioneranno altri al di fuori dell’Ue e ciò farà sì che coloro che hanno bisogno dell’asilo non possano raggiungere l’Europa. 

(iii) Il Patto sulla migrazione consentirà agli Stati membri di esercitare la facoltà di non applicare numerose norme europee sull’asilo (opt-out). Ciò è particolarmente problematico in un periodo come l’attuale, nel quale gli arrivi sono in aumento. Queste esclusioni saranno contrarie agli obblighi internazionali sui rifugiati e al diritto internazionale dei diritti umani. 

(iv) Tutto ciò indebolirà le modalità di risposta comune, umana e praticabile nei confronti delle persone che necessitano di protezione, poiché si rischierà di normalizzare misure di emergenza sproporzionate all’interno dei confini dell’Unione europea. 

(v) In definitiva, il Patto sulla migrazione rafforzerà così il rapporto di dipendenza della Ue dagli Stati confinanti per quanto riguarda la gestione dell’immigrazione. Basta guardare ai recenti accordi con Albania, Libia, Tunisia e Turchia per vedere cosa ha in serbo il futuro, poiché tutti questi accordi saranno adesso ulteriormente estesi. L’Ue avrebbe dovuto, piuttosto, investire nella dignitosa accoglienza dei richiedenti asilo entro i propri confini. Avrebbe dovuto ampliare i corridoi sicuri regolari, per consentire il raggiungimento della protezione in Europa senza dover ricorrere a viaggi pericolosi. Invece, quel che ha fatto è stato compiere un ulteriore passo verso l’esternalizzazione del controllo delle proprie frontiere, con l’effetto ultimo di scansare le responsabilità dell’Europa nei confronti della protezione dei rifugiati. Con il Patto sulla migrazione, l’Unione ha perso l’opportunità di mettere i diritti umani al centro dei negoziati sulle riforme delle procedure di asilo. 

(vi) Infine, il Patto sulla migrazione fallisce poiché non affronta il problema dell’insufficienza degli investimenti nei sistemi di asilo e di prima accoglienza, né quello delle pratiche illegali dei respingimenti violenti. Fallisce poiché esprime politiche che negano alle persone il diritto di asilo. Eppure, in tutto ciò, manca l’accordo su alcuni elementi essenziali del Patto. Esso vede la luce al costo del fallimento di una gestione giusta e umana dell’asilo e dell’immigrazione, in un modo funzionale tanto per i nuovi arrivati quanto per le comunità locali. 

Perciò il Protocollo con l’Albania è divenuto necessario per l’Italia. L’accordo, e l’obiettivo da esso stabilito (la costruzione di centri per migranti in Albania), è il primo a coinvolgere uno Stato non membro dell’Ue, affidandogli la responsabilità di accettare migranti per conto di uno Stato membro. Come tale, esso rappresenta un cambiamento significativo nelle politiche sull’immigrazione nei Balcani. 

L’idea è quella di offrire ai migranti l’opzione di veder decisa la propria richiesta di asilo in un Paese terzo che si presume sicuro, al di fuori dell’Europa e, così facendo, evitare che essi arrivino in Europa illegalmente, e in particolare via mare. Una cifra record di 150.000 migranti – anche più alta dei 94.000 del 2022 – è sbarcata in Italia nel 2023. 

Secondo il Protocollo italiano, firmato nel novembre 2023, la Marina e la Guardia costiera italiane dovrebbero intercettare i migranti in acque internazionali e portarli direttamente in Albania, dove sarebbero collocati in una delle due strutture che il Governo italiano sta facendo costruire. Così, (i) i migranti sarebbero prima di tutto valutati presso il porto della famosa località balneare di Shëngjin e, successivamente, (ii) sarebbero condotti a Gjadër, circa 15 miglia nell’entroterra, dove attenderebbero una decisione nei loro confronti in una struttura molto più ampia, da costruirsi su un campo di aviazione militare in disuso, risalente alla Guerra fredda. Qualora la sua richiesta di asilo fosse accolta, il migrante sarebbe trasferito in Italia, mentre in caso contrario lo attenderebbe il rimpatrio nel proprio Paese di origine. 

In caso di successo, questo progetto potrebbe avere conseguenze di ampia portata. Il modello di Roma potrebbe essere adattato da altri Paesi dell’Ue altrettanto desiderosi di eliminare l’immigrazione clandestina. Il piano presenta, tuttavia, alcune difficoltà giuridiche, etiche e pratiche, che delineerò qui di seguito. 

 

2. Il Protocollo Italia-Albania

 

2.1. Problemi pratici

Esiste una lunga storia di accordi simili che si sono rivelati fallimentari. Un accordo analogo fra Ue e Tunisia è fallito nel 2023. Solo due mesi più tardi, nel giugno 2023, una corte britannica ha bloccato l’accordo sui rifugiati fra Regno Unito e Ruanda, poiché il piccolo Paese centrafricano non è considerato «Paese terzo sicuro». 

L’ipotesi, non verificata e non comprovata, è che vengano rispettate le regole internazionali stabilite. Ciò che pare suggerirsi è: (i) che le richieste di ammissione siano esaminate rapidamente in 28 giorni; (ii) che i richiedenti asilo, quando la loro richiesta viene respinta, siano rimpatriati nei propri Paesi d’origine; (iii) che i due centri di accoglienza siano pronti e funzionanti entro l’inizio del 2024 e operino sotto la giurisdizione italiana; (iv) che i rifugiati da ospitare siano circa 40.000 all’anno; (v) che l’Italia pagherà circa 16.5 milioni di euro all’Albania secondo un piano quinquennale e coprirà i costi di gestione dei centri per il periodo di riferimento – anche se la somma si aggira adesso intorno ai 300-900 milioni di euro (più o meno com’è stato per l’accordo del Regno Unito con il Ruanda, i cui costi sono lievitati molto al di là di quelli inizialmente stimati). 

Su questa base, la proposta del Ministro degli esteri, Antonio Tajani, è: (i) che una volta che la Guardia costiera o la Marina italiana avranno intercettato i migranti in acque internazionali, l’Albania vedrà inviati nei centri solo coloro che non hanno diritto di rimanere in Italia; (ii) che l’Albania non vedrà inviati nei centri bambini o donne incinte; (iii) che le pratiche di coloro che sono detenuti in attesa di rimpatrio saranno definite entro 18 mesi.

Dei potenziali problemi pratici, i seguenti meritano immediata considerazione.

(i) Cosa accadrebbe a un richiedente asilo la cui domanda sia rigettata, se il suo Paese di origine decidesse di non riammetterlo? Lo accoglierebbe l’Italia? L’Italia ha accordi di rimpatrio solo con alcuni Paesi, dunque in che modo potrebbe rimpatriare i richiedenti asilo con domanda non accolta? Vale la pena notare che sono stati rimpatriati solo 4000 dei 150.000 migranti entrati in Italia nel 2023. In caso di trasferimento in Italia, non ci sarebbe alcuna differenza fra un richiedente con domanda accolta (che ha il diritto di venire in Italia a procedura conclusa) e un richiedente con domanda rigettata (che non lo avrebbe, a seguito dell’esito negativo della procedura), poiché entrambi finirebbero comunque per ricadere sotto la responsabilità dell’Italia e non dell’Albania, il cui compito è solo quello di evitare che l’Italia abbia a sostenere l’onere degli arrivi irregolari). 

(ii) Che succederebbe se l’Italia rifiutasse di accogliere dall’Albania i migranti irregolari con domanda respinta? Sarebbero questi ultimi soggetti a trattenimento a tempo indeterminato nelle strutture albanesi? Se così fosse, l’Italia violerebbe gli obblighi relativi alla protezione dei diritti umani discendenti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e dalla Convenzione sulla tortura? 

(iii) E qualora essi non finissero trattenuti quali richiedenti asilo con domanda respinta e senza alcun diritto di rimanere, e si recassero dall’Albania in un altro Paese UE (ad esempio, verso nord, in Croazia)? Come sarebbe visto tutto ciò dagli altri Paesi dell’Unione europea? 

(iv) Se questo è lo scenario che si prospetta in questa situazione, sussiste un rischio che, quando la domanda di asilo di tali migranti sia stata respinta, essi finiscano per diventare vittime di tratta, che già è un flagello per il fenomeno migratorio in Europa? 

 

2.2. Problemi etici

Fra i potenziali problemi etici, occorrerebbe considerare subito i seguenti.

(i) L’accordo fra Italia e Albania è stato criticato dalle principali istituzioni per i diritti umani dell’Unione europea, in particolare dal Consiglio d’Europa, sulla base del fatto che esso costituisce un altro esempio di «una preoccupante tendenza europea alla esternalizzazione delle responsabilità relative all’asilo».

(ii) Con i suoi 3 milioni di abitanti, prevalentemente musulmani, l’Albania è essa stessa tra i principali Paesi di emigrazione. Durante la crisi europea dei migranti del 2015, i rifugiati dall’Albania erano in numero inferiore solo a quelli siriani, tanto che, nella sola Germania, ben 54.762 sono state le domande di asilo proposte. I rischi principali per le persone risiedono: (i) nella tratta di esseri umani; (ii) nelle faide di sangue; (iii) nell’espressione del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere; (iv) nella violenza domestica contro le donne; (v) nelle attività degli attori non statali. Persino oggi, dall’Albania provengono alcuni tra i più vulnerabili richiedenti asilo presenti su suolo europeo: nel 2022, fra i minori non accompagnati presenti nel Regno Unito, quelli albanesi rappresentavano il numero più alto (corrispondente al 34% del totale). 

(iii) Il Primo Ministro dell’Albania, Edi Rama, aveva già denunciato questo accordo, sostenendo che il suo Paese non è il luogo dove scaricare i disperati d’Europa, quasi fossero rifiuti tossici. Egli aveva inizialmente affermato che in Albania non sarebbero mai stati costruiti campi per i rifugiati ad uso dell’Unione europea. Una simile condanna da parte del Primo Ministro significa che non si può dare per scontato che tali centri siano oggi effettivamente costruiti, nonostante i 16.5 milioni di euro che saranno versati all’Albania e nonostante il fatto che all’Albania sia offerta in cambio la prospettiva dell’accesso all’Unione europea. Ma se l’Albania ha mostrato riluttanza, ciò non sorprende, visto che il Governo tedesco ritiene che sia «difficile trovare Paesi disponibili a istituire centri di accoglienza». 

(iv) Il Protocollo è apparentabile all’accordo che il Governo britannico ha sottoscritto con il Ruanda nell’ottobre 2022. La Commissaria UE all’immigrazione, Ylva Johansson, ha già sottolineato come questo modello, che non solo il Regno Unito, ma anche la Danimarca ha tentato di attuare, sia «totalmente irrealistico» e rappresenti una «violazione dei diritti umani». Secondo la sua opinione, nel prevedere l’invio dei richiedenti asilo che giungono in Europa a un Paese fuori dall’Ue per l’espletamento delle procedure che li riguardano, l’accordo violerebbe sia il diritto europeo che la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Peraltro, è stato notato che, secondo il Ministro degli esteri italiano, il piano è intercettare i rifugiati in acque internazionali. Tuttavia, l’Italia dovrà fare attenzione affinché ciò non porti a un contenzioso di fronte alla Corte europea – come accaduto in precedenza – che finirebbe per rovinare questo piano. 

(v) Il Protocollo ha probabilmente prestato poca attenzione alla “capacità” del Governo albanese di adempiere gli obblighi assunti. Anche se il Ministro Tajani ha sostenuto che non c’è alcuna somiglianza tra questo protocollo e l’accordo tra Regno Unito e Ruanda (ora dichiarato illegittimo dalla Corte Suprema del Regno Unito), l’Albania è un Paese impoverito e non è stata fornita alcuna prova che abbia le infrastrutture necessarie per accogliere il numero previsto di arrivi.

(vi) L’Albania utilizzerà delle caserme collocate sul confine meridionale, sperando che esse siano disponibili come alloggi, ma l’evidenza mostra che tali strutture non hanno né personale né risorse adeguati. 

(vii) Lo stesso Governo albanese non si è apertamente impegnato a spiegare all’opinione pubblica come prevede di predisporre i due centri, sostenendo che, qualora fosse necessario costruirne altri e tali intenzioni fossero rese pubbliche, ciò finirebbe con l’attrarre i rifugiati verso il Paese. In realtà, non è una motivazione plausibile, poiché i rifugiati arriverebbero comunque. 

(viii) Infine, vale la pena notare che esiste già un accordo di riammissione fra Albania e Grecia (più o meno simile a quello già esistente fra Ruanda e Israele quando il Governo britannico stava seriamente negoziando il proprio piano con il Ruanda), in base al quale si prevede il rimpatrio in Albania entro 14 giorni dalla cattura del migrante lungo un confine di 280 km fatto di montagne impervie, fitte foreste e baratri che si aprono all’improvviso. Tuttavia, questo accordo non sembra attualmente funzionare (proprio come l’accordo fra Ruanda e Israele aveva già perso operatività durante i negoziati britannici), poiché è comprovato che la struttura messa a disposizione dall’Albania per tali scopi è ad oggi vuota. 

 

2.3. Problemi giuridici

Dei potenziali problemi giuridici, i seguenti meriterebbero attenzione nell’immediato.

(i) La Corte costituzionale albanese aveva precedentemente bloccato l’accordo sull’invio dei richiedenti asilo in Albania per il trattamento delle relative domande di asilo, poiché potenzialmente in contrasto con la Costituzione. Ora ha dichiarato che tale contrasto non sussiste. Per adesso, quindi, la ratifica del Protocollo non è automaticamente sospesa. Anche così (e proprio come l’accordo britannico con il Ruanda), il Protocollo italiano rischia di finire impantanato nel contenzioso, quando a un richiedente asilo venga impedito di fare domanda di asilo in Italia. In ogni caso, la questione più immediata è se entro l’estate del 2024 i centri saranno operativi, come previsto dal Ministro Tajani.

(ii) L’accordo con l’Albania è costato all’Italia 16.5 milioni di euro. Il Governo britannico ha inizialmente pagato al Ruanda 240 milioni di sterline, sebbene i costi, da allora, siano lievitati senza che per il Ruanda sia partito neppure un singolo volo, e senza che ciò possa adesso accadere, complici anche le elezioni britanniche del 4 luglio. Neanche un migrante è stato inviato dal Regno Unito nel Paese africano: forse Tajani vorrà prendere in considerazione questa eventualità anche per il caso italiano. 

(iii) Tuttavia, la ragione principale per la quale queste future difficoltà devono essere tenute in considerazione sta nell’antico principio del non respingimento (non-refoulement), che, secondo la Corte Suprema, è stato violato anche dal Regno Unito nel suo accordo con il Ruanda. La violazione del non respingimento dei rifugiati (ovvero il principio secondo il quale essi non devono essere reinviati nel proprio Paese d’origine dal quale sono fuggiti per motivi di presunta persecuzione) è illegale sia sotto il profilo del diritto internazionale che sotto quello del diritto europeo. 

(iv) L’Italia non può certo permettersi di non considerare il principio di non respingimento, avendo già subìto procedimenti presso la Corte Edu, poiché realizzava una politica talmente illegale e inattuabile da dover essere abbandonata. Ciò si è verificato nel 2012, nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia[1]. La proposta del Ministro Tajani è quella di arrestare i richiedenti asilo quando sono ancora in alto mare. Ma in quel caso la Corte europea ha ritenuto che l’Italia avesse violato i diritti umani delle 24 persone provenienti dalla Somalia e dall’Eritrea che, nel 2009, furono intercettate in mare dalle autorità italiane, in accordo con il Colonnello libico Gheddafi, e poi costrette a tornare in Libia, dalla quale erano partiti. Il rimpatrio di persone in Paesi che violano gli obblighi internazionali e nei quali è presente il rischio di violazioni dei diritti umani non può essere una pratica statale legittima.

(v) Secondo Tajani, coloro che sono trattenuti in Albania non sarebbero soggetti al rischio di veder violati i propri diritti umani, perché la loro detenzione e il loro trattamento sarebbero interamente sotto la giurisdizione italiana. Tuttavia, dato che la normativa UE sull’asilo non può essere applicata al di fuori dell’Unione (come confermato dalla Commissione europea), in realtà il Protocollo con l’Albania non sarà altro che un espediente per aggirare il diritto nazionale, internazionale ed europeo. Lunghe detenzioni e altre violazioni dei diritti umani potrebbero attendere i richiedenti asilo in Albania, dove il loro trattamento non rientrerebbe affatto nelle competenze delle autorità giudiziarie italiane, ma esporrebbe un gruppo di migranti, già vulnerabile, a gravissime conseguenze per mano di un Paese terzo.

Il Governo italiano rimane soggetto agli obblighi internazionali derivanti dal principio di non respingimento ed è tenuto a garantire il diritto d’asilo. Esso funziona solamente se i richiedenti e i rifugiati sono protetti dal respingimento, che è dunque un loro diritto essenziale. E infatti, quello di non-refoulement è un principio fondamentale del diritto internazionale dei rifugiati, che qualcuno potrebbe persino definire parte del diritto internazionale consuetudinario, vincolante per tutti gli Stati. Infatti, l’art. 78(1) del TFUE e gli artt. 18 e 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue consacrano il principio di non-refoulement all’interno del diritto dell’Unione. 

Il Governo italiano oggi corre l’inutile rischio di ignorare tali impegni, in cambio di un trascurabile beneficio finale. 

 

 

*  Traduzione dall’inglese a cura di Sara Cocchi, avvocata in Firenze, consulente UE e OCSE.

1. Hirsi Jamaa c. Italia, ric. n. 27765/09, HEJUD [2012] ECHR 1845 (23 febbraio 2012 – www.bailii.org/eu/cases/ECHR/2012/1845.html) – cit. come [2012] ECHR 1845, 55 EHRR 21, 33 BHRC 244, (2012) 55 EHRR 21.