Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

La responsabilità civile dei magistrati alla Consulta

Il Tribunale di Verona, con ordinanza 12 maggio 2015, investe la Corte Costituzionale sulla legge n. 18 del 2015

Questione Giustizia pubblica la prima ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale avente ad oggetto la nuova disciplina della responsabilità civile dei magistrati. Essa proviene da un giudice civile chiamato a pronunciarsi in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ed in particolare a decidere sulla richiesta di concessione della provvisoria esecuzione.

Il rimettente ne trae spunto, per denunciare a tutto tondo profili di legittimità costituzionale della normativa sopravvenuta.

L’ordinanza è evidentemente la spia del disagio e dell’allarme che la legge n. 18 del 2015 ha progressivamente diffuso presso i Tribunali. Esso ha infatti indotto il giudice a quo a formulare le questioni, benché non pendesse alcun giudizio risarcitorio avente ad oggetto i fatti di causa, e benché esso non possa ritenersi, allo stato, neppure ipotizzabile.

È evidente che tale particolarità comporta un problema sul piano dell’ammissibilità, poiché a prima vista le norme non devono trovare applicazione innanzi al rimettente.

Naturalmente, quest’ultimo non manca di addurre un precedente che a prima lettura parrebbe militare nella direzione dell’ammissibilità, ovvero la sentenza n. 18 del 1989, con cui la Corte costituzionale giudicò il merito di taluni dubbi di costituzionalità proposti da rimettenti, innanzi ai quali non si celebrava il giudizio di responsabilità civile.

È tuttavia discutibile che tale pronuncia serva allo scopo. In quell’occasione, infatti, alla Corte veniva posti quesiti che avevano indiscussa rilevanza nei giudizi a quibus (i criteri di manifestazione e verbalizzazione del dissenso da parte dei componenti degli organi giurisdizionali collegiali), ovvero che investivano direttamente ed esclusivamente l’an stesso della soggezione del magistrato alla “potenziale” azione di responsabilità, in termini generali (un’ordinanza del TAR), ovvero con riferimento al grado di responsabilità dei componenti di un collegio, dei membri laici di sezioni specializzate e commissioni tributarie, del giudice onorario.

La Corte, pur già estendendo al massimo grado possibile la nozione di rilevanza (rispetto ad una giurisprudenza solitamente assai più severa), fu così in grado di porre le norme impugnate sul medesimo piano delle disposizioni normative attinenti allo status del giudice, le quali sono, per così dire, attivate unitamente a qualsivoglia controversia (non a caso vennero richiamati precedenti attinenti a dubbi di costituzionalità relativi ai requisiti di indipendenza degli organi giudiziari, che accompagnano di per sè l’esercizio della funzione giurisdizionale e sono per ciò stesso “rilevanti” nei processi).

E’ facilmente intuibile la differenza che corre tra queste ipotesi ed una puntuale e dettagliata impugnazione delle specifiche modalità con cui è stata costruita la responsabilità civile, dall’oggetto di essa (il travisamento dei fatti) all’obbligatorietà dell’azione di rivalsa fino alla soppressione del filtro.

Naturalmente, nessuno può prevedere quale risposta la Corte darà, anche sul piano dell’ammissibilità, a simili questioni, che parrebbero da formulare più propriamente nell’ambito del giudizio risarcitorio. Non si può escludere che se il giudice costituzionale fosse sommerso da analoghe rimessioni, possa “strappare” sulla rilevanza, pur di dare una risposta pronta. Vero è, però, che sul piano dei principi ciò apparirebbe discutibile.

Forse, non è il caso di avere troppa fretta: la legge è efficace da poco tempo, e non ne è ancora stata chiarita esattamente la portata interpretativa. Fervono gli incontri di studio, e da essi già emergono vie di contenimento e di risoluzione, in fase interpretativa, dei dubbi di costituzionalità.

Sono strumenti propri della funzione giurisdizionale, che i Tribunali deputati a valutare un’azione risarcitoria potranno applicare con la necessaria prudenza, anche alla luce dell’impatto che le nuove norme producono effettivamente.

Chiamare la Corte ad intervenire “a bocce ferme” raramente è cosa opportuna, perché si corre il rischio che proprio l’astrattezza delle disposizioni normative, sottratte al test di verifica della pratica applicativa, conduca a risposte che non soddisfano.

18/05/2015
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