Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

Il giudicato nazionale in violazione di norme comunitarie: resistenza o cedevolezza?

di Roberta Rugiu Santoni
Consigliere della corte d'Appello di Firenze, sezione lavoro
Commento alla sentenza del Tribunale di Pisa n. 361/2015

La pronuncia in commento

La sentenza n. 361/2015 del Tribunale di Pisa affronta il delicato tema dei rapporti fra il giudicato nazionale ed il diritto comunitario, e lo risolve richiamando i più recenti sviluppi della giurisprudenza della CGUE sul punto, sui quali merita senz’altro riflettere.

I lavoratori, personale scolastico cd ATA (assistenti tecnici ed amministrativi), erano stati alle dipendenze di enti locali fino al 31.12.1999, per poi passare alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione dal 1.1.2000 ai sensi dell’art. 8 L. 124/1999.

In un primo momento, essi avevano agito contro il Ministero protestando perché, in occasione di tale passaggio, non era stata loro riconosciuta in modo integrale l’anzianità di servizio del periodo lavorato alle dipendenze di enti locali fino al dicembre 1999, con conseguente pregiudizio del trattamento economico ricevuto dal Ministero dal gennaio 2000, ed avevano chiesto la condanna al pagamento delle relative differenze di retribuzione.

Il giudizio si era concluso in modo definitivo con il rigetto della domanda dei lavoratori, per essere sopravvenuto in corso di causa l’art. 1 comma 218 L. 266/2005, che aveva introdotto una particolare modalità di calcolo della anzianità lavorativa pregressa fino al dicembre 1999 ai fini del trattamento economico attribuito dal gennaio 2000.

Dopo il giudicato di rigetto, i lavoratori avevano agito nuovamente contro lo stesso Ministero, invocando giurisprudenza CGUE (sentenza Scattolon del 6.9.2011) e CEDU (sentenza Agrati dell’8.11.2012), favorevoli alle rivendicazioni retributive del personale ATA, entrambe successive alla conclusione definitiva del precedente giudizio.

Sulla base dei principi enunciati da tali ultime pronunce, nel secondo giudizio i lavoratori avevano contestato ancora che, in occasione del passaggio dall’ente locale al Ministero, non era stata conservata in loro favore una voce retributiva percepita in precedenza (denominata salario accessorio), ed avevano chiesto la condanna al pagamento delle relative differenze di retribuzione.

Contro il secondo ricorso, il Ministero aveva eccepito il giudicato.

L’eccezione era fondata ai sensi dell’art. 2909 cc, poiché le questioni relative alla violazione delle norme UE e Cedu da parte della normativa nazionale italiana in tema di passaggio dei dipendenti ATA dagli enti locali al Ministero, seppur non dedotte nel precedente giudizio, rientravano senz’altro nel deducibile, a sua volta ormai precluso dal rigetto definitivo del primo ricorso dei lavoratori.

Il Tribunale di Pisa si era quindi posto il problema di verificare la resistenza / cedevolezza del giudicato nazionale di rigetto della domanda, a fronte di successive pronunce CGUE (sentenza Scattolon del 6.9.2011) e CEDU (sentenza Agrati dell’8.11.2012), che ponevano questioni di compatibilità fra norme UE e Cedu e la disciplina nazionale italiana in tema di passaggio dei dipendenti ATA dagli enti locali al Ministero.

 

La CGUE sulla resistenza / cedevolezza del giudicato interno

Veniamo quindi al tema qui oggetto di riflessione.

La CGUE ha affrontato la questione della resistenza, o al contrario della cedevolezza, del giudicato nazionale a fronte di successive pronunce comunitarie in una serie di decisioni.

E’ necessario esaminare i tratti salienti delle singole vicende giudiziarie da cui scaturivano tali pronunce, poiché in ognuna di esse la questione relativa al giudicato nazionale si poneva in termini specifici e diversi dagli altri casi, e tale particolarità era a sua volta decisiva sulle conclusioni finali in termini di resistenza / cedevolezza del giudicato.

  • Sentenza 18.7.2008 Lucchini caso C-119/2005

La società Lucchini aveva avuto ragione in un giudizio nazionale avanti al giudice civile nei confronti del Ministero dell’Industria sul proprio diritto a ricevere aiuti di Stato. La pronuncia nazionale, divenuta poi definitiva, era stata resa dopo che la Commissione europea aveva dichiarato che gli stessi aiuti erano incompatibili con il mercato comune, e senza che la questione comunitaria fosse stata trattata davanti al giudice civile, il quale aveva deciso in applicazione della sola disciplina nazione fonte del diritto agli aiuti di Stato.

Il Ministero dell’Industria aveva quindi revocato gli aiuti già erogati, con provvedimento che la Lucchini aveva impugnato avanti al giudice amministrativo, facendo valere il precedente giudicato favorevole sulla spettanza delle somme come limite al potere di revoca unilaterale da parte dell’amministrazione. Preso atto del conflitto fra il giudicato civile (diritto agli aiuti di Stato) e la decisione della Commissione europea (aiuti concessi in violazione della disciplina comunitaria), il giudice amministrativo aveva sollevato questione pregiudiziale avanti alla CGUE.

La CGUE decideva il caso affermando che il diritto comunitario osta all’applicazione dell’art. 2909 cc (principio di autorità di cosa giudicata) se ciò impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario, e la cui incompatibilità con il mercato comune era stata dichiarata con decisione della Commissione europea, anch’essa definitiva.

  • Sentenza 3.9.2009 Olimpiclub caso C-2/2008

La società Olimpiclub, nell’ambito di un contezioso con l’amministrazione fiscale in tema di avvisi di rettifica in materia IVA, aveva ottenuto dal giudice tributario un giudicato favorevole per precedenti periodi di imposta, ed aveva opposto successivi avvisi di rettifica (basati sui medesimi presupposti di fatto e di diritto di quelli già annullati), invocando il precedente giudicato favorevole.

In particolare, Olimpiclub chiedeva di applicare la più recente giurisprudenza di legittimità che, superando la frammentazione del giudicato per ogni periodo di imposta, era giunta ad attribuire capacità espansiva del giudicato esterno. Secondo tale giurisprudenza nei rapporti di durata da cui derivano obbligazioni periodiche, il giudicato che verte sull’accertamento della situazione presupposto (ovvero su questioni di fatto e di diritto comuni ad entrambi i giudizi) non è soggetto a limiti cronologici ed estende i suoi effetti anche a periodi successivi, salvo il mutamento della situazione di fatto (Cass. Sez. Un. n. 13916/2006).

Preso atto del conflitto fra il giudicato tributario (infondatezza degli avvisi di rettifica) e la successiva giurisprudenza comunitaria (sentenza 21.2.2006 Halifax della CGUE, in tema di IVA e abuso del diritto), la sezione tributaria della Cassazione aveva sollevato questione pregiudiziale avanti alla CGUE.

La CGUE decideva il caso affermando che il diritto comunitario osta all’applicazione dell’art. 2909 cc (principio di autorità di cosa giudicata) se nel secondo giudizio ciò consente di realizzare l’effetto espansivo esterno di un precedente giudicato, a sua volta ottenuto in violazione di disciplina comunitaria, impedendo di prendere in considerazione norme comunitarie in tema di pratiche abusive legate all’IVA.

Ma è decisivo sottolineare che – a differenza di quanto affermato nel caso Lucchini, ove la preminenza del diritto comunitario in materia di aiuti di Stato, oggetto di competenza esclusiva da parte della Commissione Europea, era affermata in modo assoluto con conseguente cedevolezza integrale del giudicato per disapplicazione dell’art. 2909 cc – nel caso Olimpiclub il mancato effetto espansivo del giudicato esterno sul contenzioso successivo realizzava piuttosto una parziale cedevolezza del giudicato, in quanto subordinata alle possibilità offerte dalla procedura civile nazionale. In altri termini, fra le opzioni processuali consentite al giudice tributario avanti al quale erano impugnati i successivi avvisi di rettifica in materia di IVA, la CGUE imponeva di adottare la soluzione che frammentasse il giudicato per ogni periodo di imposta, consentendo così la valutazione di merito relativa all’applicazione della disciplina comunitaria (sentenza 21.2.2006 Halifax della CGUE, in tema di IVA e abuso del diritto).

  • Sentenza 6.10.2009 Asturcom caso C-40/2008

La società Asturcom otteneva un giudicato favorevole sul debito della cliente Rodriguez per alcune fatture non pagate, all’esito di un arbitrato, previsto da clausola compromissoria, al quale la cliente non aveva partecipato. La società agiva quindi avanti al giudice civile dell’esecuzione per ottenere la somma oggetto dell’arbitrato.

Preso atto del conflitto fra il giudicato sull’arbitrato (debito della cliente per il pagamento di fatture) e la disciplina comunitaria (direttiva del Consiglio 5.4.1993 n. 93/13 CEE sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori), il giudice dell’esecuzione aveva sollevato questione pregiudiziale avanti alla CGUE.

La CGUE decideva il caso affermando che, nella fase di esecuzione di un giudicato ottenuto in arbitrato al quale il consumatore non aveva partecipato, il giudice nazionale poteva valutare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria stipulata con lo stesso consumatore per violazione di disciplina comunitaria, solo qualora tale facoltà gli fosse riconosciuta dalle norme procedurali nazionali.

Va quindi ribadito che – di nuovo a differenza del caso Lucchini – nel caso Asturcom come in Olimpiclub, si realizzava una parziale cedevolezza del giudicato, in quanto subordinata alle possibilità offerte dalla procedura civile nazionale. In altri termini, fra le opzioni processuali consentite al giudice dell’esecuzione che doveva dare attuazione ad un giudicato ottenuto sulla base di clausola compromissoria in contrasto con disciplina comunitaria, la CGUE imponeva di adottare la soluzione che consentisse il rilievo d’ufficio del vizio contrattuale con applicazione della disciplina comunitaria (direttiva del Consiglio 5.4.1993 n. 93/13 CEE sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori).

  • Sentenza 10.7.2014 Pizzarotti caso C-213/2013

La società Pizzarotti otteneva dal giudice amministrativo un giudicato favorevole nei confronti del Comune di Bari, che imponeva la stipulazione di un contratto di locazione invece che di appalto. Ed, a fronte dell’inerzia del Comune, la società si rivolgeva di nuovo al giudice amministrativo lamentando la violazione del giudicato e chiedendo di darvi attuazione.

Preso atto del conflitto fra il giudicato amministrativo (obbligo del Comune di stipulare un contratto di locazione con la Pizzarotti) e la disciplina comunitaria (direttiva n. 93/37 secondo la quale lo stesso contratto doveva essere considerato piuttosto appalto pubblico di lavori), il giudice dell’esecuzione aveva sollevato questione pregiudiziale avanti alla CGUE.

La CGUE decideva il caso affermando che, nella fase di esecuzione di un giudicato amministrativo, qualora tale facoltà gli fosse riconosciuta dalle norme procedurali nazionali, il giudice poteva esercitare i poteri di completare la decisione definitiva o di ritornarvi sopra, al fine di ripristinare la conformità di tale decisione con la disciplina comunitaria.

Va quindi evidenziato che – di nuovo a differenza del caso Lucchini – nel caso Pizzarotti, come in Asturcom e Olimpiclub, si realizzava una parziale cedevolezza del giudicato, in quanto subordinata alle possibilità offerte dalla procedura civile nazionale. In altri termini, fra le opzioni processuali consentite al giudice amministrativo che doveva dare attuazione ad un giudicato in contrasto con disciplina comunitaria, la CGUE imponeva di adottare la soluzione che consentisse di completare o ritornare sopra alla precedente decisione in applicazione della disciplina comunitaria (direttiva n. 93/37 sull’appalto pubblico di lavori).

Analoga problematica era stata affrontata dalla CGUE in altre di decisioni, che riproponevano l’alternativa fra resistenza o cedevolezza nei confronti dell’atto amministrativo definitivo a fronte di successive pronunce comunitarie:

  • Sentenza 13.1.2004 Kuhne & Heitz caso C-453/2000

  • Sentenza 12.2.2008 Kempeter caso C-2/2006

In entrambi i casi si trattava di atti amministrativi che, seppur formati in contrasto con il diritto comunitario, erano divenuti definitivi secondo le rispettive discipline nazionali, a fronte dei quali la CGUE aveva ribadito il principio che il potere dell’amministrazione di riesaminare le proprie decisioni al fine di renderle conformi con la disciplina comunitaria poteva essere esercitato solo se consentito dal diritto nazionale.

In conclusione, se dalla casistica riassunta finora è possibile trarre principi generali validi oltre alla soluzione delle singole vicende sottoposte alla CGUE, rimane fissato che, in assenza di normativa comunitaria in materia, in base al “principio di autonomia procedurale”, le modalità di attuazione del principio di intangibilità del giudicato rientrano nell’ordinamento interno dei singoli Stati membri, e sono regolate dalle rispettive discipline processuali. La CGUE in tutte le pronunce esaminate ha sottolineato l’importanza del principio di intangibilità del giudicato anche nell’ordinamento comunitario, a garanzia della certezza del diritto e dei rapporti giuridici, nonché della buona amministrazione della giustizia.

Tuttavia, a fronte di violazioni della disciplina comunitaria da parte del giudicato, se il giudice nazionale ha la possibilità di intervenire in senso correttivo / integrativo sullo stesso giudicato, in base al “principio di equivalenza” sarà tenuto ad esercitare tali poteri.

E fra le varie soluzioni possibili, dovrà privilegiare quella che, in modo conforme al “principio di effettività”, sia coerente con la normativa comunitaria.

Insomma, sembra che allo stato debba parlarsi di resistenza e/o cedevolezza del giudicato solo in senso relativo, sintetizzabile nei seguenti termini:

  • Il giudicato nazionale (o l’atto amministrativo definitivo) in sé resiste anche se reso sulla base di interpretazione non corretta del diritto comunitario, accertata con pronunce comunitarie successive allo stesso giudicato

  • Il diritto comunitario non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme interne (art. 2909 cc) che fondano l’autorità di cosa giudicata di una decisione, anche se ciò consentirebbe di rimediare alla violazione del diritto comunitario da parte della stessa decisione

  • Il diritto comunitario non impone allo Stato nazionale di adottare una norma che consenta la revisione dei giudizi (o degli atti amministrativi definitivi) in caso di sopravvenuto contrasto con disciplina comunitaria

  • Il riesame di una decisione nazionale definitiva (o di un atto amministrativo definitivo) potrà avvenire solo qualora il diritto nazionale lo consenta, e con le modalità procedurali ivi previste

  • Fanno eccezione i soli casi in cui il giudicato nazionale sia in contrasto con la ripartizione delle competenze fra Stati membri e Unione Europea (sentenza Lucchini, in tema di aiuti di Stato oggetto di competenza esclusiva della Commissione Europea)

 

Ricadute dei principi della CGUE sul caso deciso dalla sentenza n. 361/2015 del Tribunale di Pisa

A conclusione della breve rassegna qui svolta, la soluzione raggiunta dalla sentenza in commento risulta in linea con l’attuale sviluppo della giurisprudenza della CGUE.

La controversia non verteva in materia di competenza esclusiva dell’Unione Europea.

La domanda dei lavoratori doveva essere respinta, poiché essi pretendevano una totale prevalenza delle pronunce comunitarie, sopravvenute al giudicato di rigetto delle loro pretese retributive, al punto tale da travolgerlo in toto e fondare l’accoglimento delle stesse pretese.

E ciò senza che giudice nazionale avesse alcun potere in proposito, e quindi ben al di là delle ipotesi di limitata cedevolezza del giudicato che abbiamo visto in altri casi essere consentivi dalla procedura civile nazionale (limitazione dell’effetto espansivo del giudicato esterno, come nel caso Olimpiclub; correzione/integrazione della pronuncia amministrativa nei successivi giudizi di ottemperanza come nel caso Pizzarotti).

In altri termini, mentre la CGUE ha affermato che (al di fuori dei casi di violazione della competenza esclusiva, sentenza Lucchini) a fronte di giudicato nazionale in contrasto con il diritto comunitario, il giudice nazionale può attuare la sola interpretazione comunitariamente corretta delle norme nazionali, i lavoratori della sentenza in commento pretendevano invece la disapplicazione dell’art. 2909 cc quale strumento di attuazione diretta del diritto comunitario.

E come detto la soluzione si presenta come una forzatura dei principi enunciati dalla CGUE in materia.

 

18/05/2016
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