Magistratura democratica

Spigolature su riparto di giurisdizione e diritti fondamentali

di Alberto Giusti

Le pronunce del giudice amministrativo concernono sempre più spesso i diritti fondamentali coinvolti nell’esercizio dell’azione amministrativa, ma il giudice ordinario conserva il ruolo di giudice naturale dei diritti soggettivi coperti da garanzia costituzionale. Al di là delle attribuzioni di ciascun plesso giurisdizionale, si profila il contributo del “servizio-giustizia” nel suo complesso, con il pluralismo delle giurisdizioni, nella direzione dell’effettività della tutela.

1. La tutela dei diritti fondamentali non rappresenta un’attribuzione esclusiva della giurisdizione del giudice civile ordinario: è il “servizio-giustizia” nel suo complesso, con il pluralismo delle giurisdizioni, che ne assume il compito e la responsabilità.

La giurisprudenza più recente consente di cogliere questa prospettiva, mostrando all’interprete che, quando si trovano di fronte all’esercizio di un potere pubblico, le situazioni soggettive riconosciute dalla Costituzione e dalle Carte dei diritti reclamano sempre più spesso la loro garanzia di effettività anche dinanzi al giudice amministrativo. 

L’indagine “sul campo” ci consegna almeno due dati significativi.

Per un verso, l’ampiezza dell’ambito degli interventi del giudice amministrativo: dalla salute, nei suoi diversi aspetti e declinazioni, ai diritti degli stranieri nelle nuove dimensioni della cittadinanza, al diritto alle prestazioni sociali che gli individui pretendono dai pubblici poteri, sempre più erogatori di servizi nello Stato sociale, al bilanciamento tra diritti inviolabili e doveri inderogabili attraverso il collante della solidarietà.

Per l’altro verso, il senso complessivo delle pronunce, che va nella direzione dell’estensione delle tutele e dell’ampliamento delle garanzie.

 

2. Così, intervenendo sul seguito pubblicistico del caso Englaro, il Consiglio di Stato (sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460) si è posto l’interrogativo se – a fronte del diritto inviolabile, riconosciuto da una sentenza del giudice ordinario, che il paziente ha di rifiutare le cure, interrompendo il trattamento sanitario non più voluto – l’amministrazione sanitaria regionale in concreto possa o meno qualificare, in termini organizzativi, la relativa richiesta come estranea al Servizio sanitario nazionale e al novero delle sue prestazioni. Il giudice amministrativo ha escluso questa possibilità, rilevando che il diritto alla salute, oltre ad essere assoluto e inviolabile, è anche un diritto soggettivo pubblico o diritto sociale che, nella dinamica del suo svolgersi e del suo concreto attuarsi, ha per oggetto una prestazione medica con necessari e primari interlocutori le strutture sanitarie del Servizio sanitario. E ne ha fatto discendere l’obbligo dell’amministrazione sanitaria di attivarsi e attrezzarsi perché tale diritto possa essere concretamente esercitato, escludendo che essa abbia la possibilità di sottrarvisi adducendo una propria e autoritativa visione della cura o della prestazione sanitaria che contempli e consenta solo la prosecuzione della vita e non, invece, l’accettazione della morte da parte del paziente consapevole. Ma il giudice amministrativo non ha mancato di dichiarare la propria giurisdizione nella controversia, affermando che, quando l’amministrazione pretenda di incidere sul rapporto mediante l’esercizio di un potere pubblicistico, la situazione del privato che “dialoga” col potere e vi si contrappone assume la configurazione dell’interesse legittimo. Il Consiglio di Stato (sez. III, 21 giugno 2017, n. 3058) ha completato il suo intervento nella vicenda pronunciandosi sulla risarcibilità del danno non patrimoniale subito a causa dell’omessa interruzione delle cure: il rifiuto della Regione di prestare la propria collaborazione all’esecuzione del provvedimento del giudice civile – si afferma – viola il diritto all’autodeterminazione terapeutica e all’effettività della tutela giurisdizionale.

2.1. Con un un’altra decisione (sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4487), il Consiglio di Stato ha dichiarato l’illegittimità del decreto ministeriale che ha fissato gli oneri contributivi per il rilascio e per il rinnovo dei permessi di soggiorno. Di questa pronuncia preme sottolineare la configurazione data all’interesse collettivo di cui il sindacato dei lavoratori è portatore: esso consiste, tra l’altro, nella rimozione di quegli ostacoli sociali ed economici che impediscono ai lavoratori stranieri – sulla base di pari diritti e opportunità con i lavoratori “nativi” – di poter orientare le proprie scelte di vita e di lavoro senza subire sperequazioni e discriminazioni, eventualmente derivanti anche dall’imposizione, da parte del Ministero, di un contributo eccessivamente oneroso e sproporzionato per ottenere e rinnovare il permesso di soggiorno.

2.2. La tutela più avanzata della disabilità è alla base di un’altra decisione del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 838), recante l’annullamento di un dPCm nella parte in cui, nel regolamentare l’indicatore della situazione economica equivalente (Isee), ricomprende, tra i trattamenti fiscalmente esenti ma rilevanti, l’indennità o il risarcimento a favore delle situazioni di disabilità, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni Inps alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio e gli assegni mensili da indennizzo.

2.3. I giudici di Palazzo Spada (Cons. Stato, sez. III, 10 giugno 2016, n. 2501) sono stati richiesti di stabilire se, in assenza di un criterio fissato a livello nazionale, una distinzione tra le patologie neurodegenerative possa essere ragionevolmente individuata mediante l’esercizio di una scelta discrezionale da parte delle Regioni, competenti a gestire una certa sovvenzione.

Affermata la propria giurisdizione (sul rilievo che la potestas decidendi del giudice amministrativo nella materia dei servizi pubblici comprende anche la tutela dei diritti soggettivi, in ragione della natura esclusiva della giurisdizione ai sensi dell’art. 133 cpa, e che la cognizione e la tutela dei diritti fondamentali non è estranea a tale ambito, nella misura in cui il loro concreto esercizio implica e incontra l’espletamento di poteri pubblicistici, preordinati non solo alla garanzia della loro integrità, ma anche alla conformazione della loro latitudine, in ragione delle contestuali ed equilibrate esigenze di tutela di equivalenti interessi costituzionali), il Consiglio di Stato riconosce che la Regione gode di un’ampia discrezionalità nel graduare gli assegni di cura sulla base di criteri oggettivi e scientificamente fondati e in relazione alla diversità delle situazioni dei percettori, ma pone ad essa un limite. L’amministrazione regionale non può discriminare i destinatari dei sussidi o delle prestazioni, a parità di condizioni di infermità o di non autosufficienza, solo per ragioni di carattere finanziario, legate agli stringenti vincoli della finanza pubblica, dovendo garantire ragionevolmente il medesimo trattamento a tutti i soggetti che versino nella stessa sostanziale situazione di bisogno, a tutela del nucleo irriducibile del diritto alla salute, quale diritto dell’individuo e interesse della collettività, o di altri valori costituzionalmente rilevanti e in applicazione, comunque, del superiore principio di eguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3, secondo comma, Cost.

2.4. Nelle conclusioni della «Relazione sull’attività della giustizia amministrativa» (Palazzo Spada, 2 febbraio 2021), il presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, ha affermato che «la solidarietà, intesa come bene collettivo, rende possibile la dignità, intesa come bene individuale, personale, ma richiede comportamenti responsabili come fondamento della comunità, come patto che lega i consociati» (ivi, p. 29). Questo pensiero guida la decisione assunta nel decreto della III sezione del Consiglio di Stato, 30 marzo 2020, n. 1553, in tema di disposizioni adottate per ragioni sanitarie legate all’emergenza epidemiologica da Covid-19: il giudice amministrativo dà atto che sono state definite e applicate disposizioni fortemente compressive di diritti anche fondamentali della persona – dal libero movimento, al lavoro, alla privacy – ma in nome di un valore ancor più primario e generale, di rango costituzionale, la salute pubblica, e cioè la salute della generalità dei cittadini, messa in pericolo dalla permanenza di comportamenti individuali (pur pienamente riconosciuti in via ordinaria dall’ordinamento, ma) potenzialmente tali da diffondere il contagio, secondo le evidenze scientifiche e le tragiche statistiche del periodo.

2.5. Con la sentenza 24 novembre 2020, n. 7343, la III sezione del Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima la delibera di giunta che introduce una disciplina differenziata per la procreazione medicalmente assistita eterologa, a carico del Servizio sanitario regionale, rispetto a quella omologa, essendo irragionevole e discriminante la previsione, per la prima, del limite del quarantatreesimo anno di età e del tetto massimo di tre cicli. Se ha una sua plausibilità logica l’affermazione di principio secondo cui i rischi connessi alla gravidanza aumentano con l’avanzare dell’età della donna e possono ragionevolmente incrementarsi nel caso di ovodonazione, allo stesso tempo non può dirsi sufficientemente dimostrato che il limite di età, fissato nel quarantatreesimo anno, costituisca la soglia limite oltre la quale le tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo perdano la loro efficacia ovvero si rivelino finanche pericolose sì da poter ancorare, in modo rigido, a tale soglia di età la previsione più elastica mutuabile dal dato normativo di riferimento, che recepisce come criterio discretivo quello dell’età potenzialmente fertile dei soggetti.

 

3. Le pronunce passate in rassegna offrono l’immagine di un giudice amministrativo oramai “ordinario” per la tutela delle situazioni giuridiche soggettive nei confronti dei poteri pubblici, secondo il principio fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004. Il giudice amministrativo si pone come garante del corretto bilanciamento tra diritti individuali, anche di rilevanza costituzionale, e doveri derivanti dall’appartenenza a una comunità.

 

4. Quali sono i fattori che hanno contribuito a questa evoluzione?

4.1. Innanzitutto, una nuova consapevolezza culturale.

Si è progressivamente affermata l’idea che la categoria dei diritti fondamentali non delimita un’area impenetrabile all’intervento di pubblici poteri autoritativi: questi sono sempre più spesso chiamati, non solo all’assolvimento dei compiti rivolti ad attuare i diritti costituzionalmente garantiti, ma anche a offrire ad essi una tutela sistemica, nel bilanciamento con le esigenze di funzionalità del servizio pubblico. 

I diritti sociali, in particolare, hanno un contenuto di natura pretensiva: necessitano, là dove invocano una prestazione pubblica, di una mediazione amministrativa. Una volta che il potere è stato attribuito, è al corretto esercizio di questo che deve aversi riguardo per fornire piena tutela al titolare dell’interesse sostanziale, senza che possa darsi rilievo alla natura “fondamentale” o “sociale” della situazione giuridica (Cons. Stato, sez. III, 21 ottobre 2020, n. 6371). 

Come ha scritto Massimo Luciani, «non ha senso proclamare diritti se non vi è potere che li protegga e consenta di farli valere».

«Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri» (Corte cost., sent. n. 85/2013).

Enrico Scoditti suggerisce un approccio laico al tema del riparto di giurisdizione sui diritti fondamentali. I beni della vita sono sempre proiezione, in modo più o meno prossimo, di un qualche diritto fondamentale. Diritti soggettivi e interessi legittimi sono le tecniche apprestate dall’ordinamento mediante cui si provvede alla tutela in forma specifica del bene della vita, riconducibile secondo diverse gradazioni al principio costituzionale, all’esito del bilanciamento con altri valori costituzionali.

Nicola Pignatelli condivide questo ragionamento. Ciò che esiste come un prius rispetto alla relazionalità in concreto dell’ordinamento è un interesse materiale, intimamente connesso a un singolo bene della vita, anche di rilevanza costituzionale; tale interesse è qualificabile come interesse legittimo o diritto soggettivo, alla luce dell’esistenza (o dell’inesistenza) di una norma attributiva e fondativa di un potere pubblico.

4.2. Il secondo fattore è rappresentato dal formante legislativo: la progressiva estensione, in questi ultimi anni, della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Se in origine era da considerare eccezionale il fatto che la tutela dei diritti soggettivi ricadesse nella giurisdizione del giudice amministrativo, gli interventi del legislatore dell’ultimo ventennio, culminati nel codice del processo amministrativo, hanno devoluto intere aree dell’ordinamento alla cognizione di quel giudice, profondamente trasformando il sistema della giurisdizione amministrativa delineato dal Costituente.

I diritti costituzionalmente tutelati non rappresentano più un confine insuperabile tra le due giurisdizioni. È espressamente prevista la loro compatibilità con la giurisdizione amministrativa. 

Così, il cpa esclude che la concessione o il diniego della misura cautelare possa essere subordinata a cauzione quando la domanda cautelare attenga a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale (art. 55). Inoltre, esso affida alla giurisdizione esclusiva del giudice speciale le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, quand’anche relative a diritti costituzionalmente tutelati (art. 133, comma 1, lett. p).

A loro volta, le situazioni giuridiche fondamentali godono, nell’ambito del processo amministrativo, di una tutela pienamente satisfattiva dell’interesse del privato. Come si legge in una recente sentenza del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321), «all’esito dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa culminata con il nuovo codice del processo amministrativo, il sistema delle tutele è stato segnato» da importanti sviluppi, «che si pongono tutti in direzione di una maggiore “effettività” del sindacato del giudice amministrativo in grado di approntare un rimedio adeguato al bisogno di tutela, rendendo concretamente tangibile l’evoluzione della giustizia amministrativa da strumento di garanzia della legalità della azione amministrativa a giurisdizione preordinata alla tutela di pretese sostanziali, come delineata dal suddetto nuovo codice del processo amministrativo».

4.3. Last but not least, la giurisprudenza costituzionale.

La sussistenza di poteri conferiti dalla legge alla pubblica amministrazione, anche quando il bene della vita coinvolto è proiezione di un diritto fondamentale, trova conferma nel riconoscimento, a opera della Corte costituzionale, della idoneità del giudice amministrativo «ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell’esercizio della funzione amministrativa». Non vi è «alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario − escludendone il giudice amministrativo − la tutela dei diritti costituzionalmente protetti» (sent. n. 140/2007).

 

5. Il giudice del riparto riconosce, e non da oggi, la compatibilità della figura dei diritti costituzionalmente tutelati con la giurisdizione amministrativa.

In una vicenda relativa a un diritto inviolabile quale la libertà religiosa, le sezioni unite (con l’ord. 10 luglio 2006, n. 15614) affermano che la controversia avente ad oggetto la contestazione della legittimità dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 33 d.lgs n. 80/1998, e successive modificazioni, venendo in discussione provvedimenti dell’autorità scolastica che, attuativi di disposizioni di carattere generale adottate nell’esercizio del potere amministrativo, sono riconducibili alla pubblica amministrazione-autorità. «Nel contesto esistente in questo momento storico – e nel rapporto che ne consegue tra il principio di laicità dello Stato, il potere organizzatorio dell’amministrazione scolastica e la posizione soggettiva dei singoli fruitori del servizio – certamente suscettibile di evoluzione sul piano legislativo in ragione delle sempre più pressanti esigenze di tutela delle minoranze religiose, etniche e culturali in un ordinamento ispirato ai valori della tolleranza, della solidarietà, della non discriminazione e del rispetto del pluralismo, appare condivisibile l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato nella recente sentenza n. 556 del 2006, che in analoga controversia ha ritenuto la propria giurisdizione, come in ogni ipotesi in cui la vertenza abbia ad oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento».

A sua volta, Cass., sez. unite, 29 aprile 2009, n. 9956, riconosce la giurisdizione del giudice speciale sulla domanda risarcitoria promossa da cittadini nei confronti del comune, in relazione alla reiterata omissione della raccolta dei rifiuti urbani. La controversia, che investe il potere dell’amministrazione relativamente all’organizzazione e alle modalità di attuazione dello smaltimento dei rifiuti urbani, ricade nella materia dei pubblici servizi, attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo ove si sia in presenza dell’esercizio di potestà pubblicistiche; tale giurisdizione si estende alle connesse domande risarcitorie, eventualmente proposte in via autonoma, pur se con esse si invochi la tutela di diritti fondamentali, come quello alla salute, stante l’inesistenza nell’ordinamento di un principio che riservi esclusivamente al giudice ordinario la tutela dei diritti costituzionalmente protetti.

 

6. Che cosa rimane, allora, della “difesa a tutta oltranza contro ogni iniziativa ostile, da chiunque provenga”, dei diritti fondamentali, tradizionalmente riservata alla giurisdizione del giudice ordinario?

 

7. È bene ricordare che con due storiche pronunce, nel 1979, la Corte di cassazione (Cass., sez. unite, 9 marzo 1979, n. 1463, e sez. unite, 6 ottobre 1979, n. 5172, concernenti la localizzazione di una centrale nucleare e l’impianto per il disinquinamento del Golfo di Napoli) ha introdotto la formula dei diritti soggettivi inaffievolibili, con essa riferendosi ai diritti fondamentali della persona non suscettibili di essere compressi o affievoliti dall’esercizio del potere amministrativo.

Il presupposto di partenza è che – accanto ai diritti personalissimi (diritto all’integrità personale, al nome, etc.), sui quali l’amministrazione per definizione non può incidere perché non è mai titolare di un potere – vi sono altri diritti particolarmente importanti sul piano costituzionale (come quello alla salute e all’ambiente salubre), dotati dall’ordinamento di una protezione giuridica rafforzata, che ne comporta l’immodificabilità a opera del potere amministrativo. Come evidenzia Antonio Carratta, la particolare configurazione di tali diritti soggettivi non consente che essi siano suscettibili di essere degradati a meri interessi legittimi nemmeno quando siano in qualche modo attaccati dalla emanazione di provvedimenti amministrativi. Di conseguenza, nelle controversie che hanno per oggetto la tutela del diritto alla salute, la pubblica amministrazione, quand’anche agisca per motivi di interesse pubblico, non può affievolire la relativa posizione giuridica e la giurisdizione spetta al giudice ordinario anche in presenza di atti amministrativi efficaci. Allorquando incida sui diritti fondamentali, l’amministrazione agisce non già in veste di autorità, ma nel fatto, in situazione di assoluta carenza di potere.

 

8. Le pronunce del 1979 non appartengono soltanto al bagaglio culturale di ogni giudice. Esse continuano a orientare l’interprete, tracciando il cammino della giurisprudenza delle sezioni unite. La circostanza che la controversia involga diritti costituzionalmente tutelati o protetti continua, infatti, ad avere un significato importante ai fini delle decisioni in tema di riparto. 

In materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti, nonostante sussista la giurisdizione esclusiva amministrativa, appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda del privato che si dolga delle concrete modalità di esercizio del relativo ciclo produttivo, assumendone la pericolosità per la salute o altri diritti fondamentali della persona e chiedendo l’adozione delle misure necessarie per eliminare i danni attuali e potenziali e le immissioni intollerabili. La condotta contestata integra difatti la materiale estrinsecazione di un’ordinaria attività di impresa, allorquando non siano dettate particolari regole esecutive o applicative di natura tecnica direttamente nei provvedimenti amministrativi, sicché non risulta in alcun modo coinvolto il pubblico potere (Cass., sez. unite, 8 maggio 2017, n. 11142). Ancora, appartiene al giudice ordinario la domanda con cui il privato chieda la cessazione degli effetti pregiudizievoli alla salute derivanti dalle immissioni prodotte dagli aerogeneratori di un parco eolico, quando a essere in gioco non sia l’annullamento del provvedimento amministrativo di autorizzazione all’istallazione e gestione dell’impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica, ma la violazione dei limiti di tollerabilità previsti dall’art. 844 cc (Cass., sez. unite, 12 novembre 2020, n. 25578). Spetta al giudice ordinario l’opposizione avverso il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno in favore del cittadino straniero vittima di sfruttamento lavorativo (Cass., sez. unite, 11 dicembre 2018, n. 32044), come pure la cognizione della controversia sul respingimento alla frontiera di uno straniero (Cass., sez. unite, 17 giugno 2013, n. 15115). Il giudice dei diritti soggettivi è competente a conoscere in ordine al diniego dell’autorizzazione a effettuare cure specialistiche presso centri di altissima specializzazione all’estero (Cass., sez. unite, 6 settembre 2013, n. 20577), e così pure sulla domanda promossa dai genitori di un bambino disabile per lamentare la discriminazione consistente nella mancata predisposizione, da parte dell’amministrazione scolastica, delle ore di sostegno nella misura che, in sede di formulazione del piano educativo individualizzato, era stata individuata come necessaria per l’integrazione e l’assistenza dell’alunno (Cass., sez. unite, 25 novembre 2014, n. 25011).

 

9. La giurisdizione amministrativa sui diritti fondamentali si esprime nelle particolari materie nelle quali il legislatore attribuisce al giudice amministrativo la cognizione anche dei diritti soggettivi.

Si profila, inoltre, una tendenza a riconoscere l’idoneità dell’interesse legittimo a partecipare della tutela di posizioni soggettive riconducibili ai diritti fondamentali.

Non c’è più incomunicabilità tra diritto fondamentale e potere.

 

10. Nondimeno, il giudice ordinario conserva il ruolo, ad esso assegnato dall’assetto costituzionale della giurisdizione, di giudice naturale dei diritti soggettivi coperti da garanzia costituzionale, anche quando la controversia si svolge nei confronti della pubblica amministrazione.

Il giudice ordinario è, innanzitutto, il giudice che assicura la tutela contro il divieto di discriminazioni anche quando la pubblica amministrazione ha attuato la discriminazione in relazione a prestazioni rispetto alle quali il privato non fruisce di una posizione di diritto soggettivo. In presenza di una procedura di stabilizzazione che potrebbe essere scrutinata dal giudice amministrativo, quando l’esclusione di un candidato avvenga sulla base di una norma del bando discriminatoria con riguardo alla nazionalità, la controversia deve essere esaminata dal giudice ordinario in quanto attinente alla violazione dei diritti fondamentali (Cass., sez. unite, 30 marzo 2011, n. 7086).

La tutela dei diritti fondamentali è inoltre affidata al giudice ordinario ogniqualvolta all’amministrazione è attribuito, non un potere discrezionale rivolto a bilanciare interessi confliggenti, ma un potere vincolato o meramente ricognitivo dell’esistenza dei presupposti di legge. La controversia avverso il provvedimento di respingimento alla frontiera dello straniero che chieda la protezione di cui all’art. 10 Cost. ricade nella giurisdizione del giudice ordinario perché il relativo provvedimento incide su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo, essendo rivolto, senza margini di ponderazione di interessi in gioco da parte dell’amministrazione, all’accertamento positivo di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge e a quello negativo della insussistenza dei presupposti per l’applicazione delle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale (Cass., sez. unite, 17 giugno 2013, n. 15115, cit.). Allo stesso modo, la controversia sul rimborso delle spese sanitarie sostenute dai cittadini residenti in Italia presso centri di altissima specializzazione all’estero, per prestazioni che non siano ottenibili in Italia tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, anche nel caso in cui l’autorizzazione sia stata chiesta e si assuma illegittimamente negata, giacché il diritto fondamentale alla salute ha di fronte a sé una discrezionalità meramente tecnica della p.a. in ordine all’apprezzamento dei presupposti per l’erogazione delle prestazioni (Cass., sez. unite, 6 febbraio 2009, n. 2867). La giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto il provvedimento di revoca della patente di guida nei confronti dei soggetti che sono stati sottoposti a misure di prevenzione ai sensi del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, continua a spettare al giudice ordinario, secondo la regola generale di riparto, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 99 del 2020, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2 del codice della strada, nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede» – anziché «può provvedere» – alla revoca. La ragione è, ancora una volta, da ricercare nella circostanza che la revoca della patente – la quale incide direttamente su una modalità di esercizio di una libertà fondamentale – dà luogo all’esercizio non già di discrezionalità amministrativa, ma di un potere che non affievolisce la posizione di diritto soggettivo del privato (Cass., sez. unite, 19 novembre 2020, n. 26391).

Ancora, la giurisdizione del giudice ordinario è configurabile tutte le volte in cui il diritto fondamentale si presenta nella sua veste di posizione soggettiva a nucleo rigido, il quale, in mancanza dell’intervento richiesto alla p.a., sarebbe esposto al rischio di un grave pregiudizio. In relazione al bene-salute è individuabile – ha affermato Cass., sez. unite, 1° agosto 2006, n. 17461, in una fattispecie di richiesta di ripristino di un parcheggio prossimo al luogo di cura a favore di un gruppo di invalidi emodializzati – un «nucleo essenziale», in ordine al quale si sostanzia un diritto soggettivo assoluto e primario, volto a garantire le condizioni di integrità psico-fisica delle persone bisognose di cura allorquando ricorrano condizioni di indispensabilità, di gravità e di urgenza non altrimenti sopperibili, a fronte delle quali è configurabile soltanto un potere accertativo della p.a. in punto di apprezzamento della sola ricorrenza di dette condizioni. 

Infine, se manca un collegamento, anche indiretto, con l’esercizio del potere amministrativo, la controversia è sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo, anche là dove il legislatore ordinario l’abbia configurata come esclusiva. Se la condotta dell’amministrazione è priva di connotati di autoritatività ed è riconducibile a una condizione di mera obbligatorietà, la giurisdizione appartiene all’autorità giudiziaria ordinaria: così in tema di sostegno scolastico, dove, definito il piano educativo individualizzato, l’amministrazione scolastica è priva di un potere discrezionale di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili, la misura del supporto integrativo individuato dal piano, ma ha il dovere di assicurare l’assegnazione, in favore dell’alunno, del personale docente specializzato (Cass., sez. unite, 25 novembre 2014, n. 25011, cit.). Allo stesso modo, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario allorché il comportamento della pubblica amministrazione che fronteggia il diritto fondamentale sia espressione di una mera attività materiale e dell’omissione di condotte doverose in violazione del generale principio del neminem laedere, senza che vengano in rilievo atti e provvedimenti amministrativi (Cass., sez. unite, 3 febbraio 2016, n. 2052 e 12 ottobre 2020, n. 21993). Così, in una fattispecie in cui il privato denunciava la lesione del diritto alla salute, conseguente alla cattiva gestione e all’omessa manutenzione di un bene da parte di un comune che aveva determinato il prolificare di ratti e volatili rendendo l’ambiente circostante insalubre, le sezioni unite (Cass., sez. unite, 22 ottobre 2010, n. 25982) hanno affermato che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda di risarcimento del danno causato dall’inosservanza da parte dell’amministrazione, nella sistemazione e manutenzione di aree o beni pubblici, delle regole tecniche ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, integranti il precetto di cui all’art. 2043 cc, per cui l’amministrazione è tenuta a far sì che i beni pubblici non costituiscano fonte di danno per il privato. In tal caso non può essere invocata la giurisdizione esclusiva in materia urbanistica, che rimanda ad attività che esprimono l’esercizio del potere amministrativo, mentre nell’ipotesi in questione non viene in rilievo alcuna attività autoritativa.

 

11. Come insegna Renato Rordorf, il riparto evoca, per sua natura, l’idea del confine, di un confine talora incerto «su cui si sono combattute molte battaglie, sono state talvolta anche stipulate importanti tregue, ma al quale resta pur sempre fatalmente connaturato un rilevante grado d’incertezza».

Eppure, il riparto si presenta anche come un aiuto a distinguere e a orientarsi, a offrire ciascuno nel suo ambito il proprio contributo; soprattutto, ci consegna – in un «assetto di separated institutions sharing power» (secondo l’espressione di Enrico Scoditti e Giancarlo Montedoro) – un’esperienza positiva di concorso nella direzione dell’effettività della tutela e della garanzia dei diritti fondamentali. 

Questo, del resto, è l’approccio metodologico che le giurisdizioni devono coltivare e mantenere vivo: la «cultura del confronto» e «l’impegno ad operare» – come ha ricordato il primo presidente della Corte di cassazione, Pietro Curzio, nella Relazione inaugurale di quest’anno – affinché il pluralismo contribuisca ad «arricchire una cultura giuridica condivisa». Particolarmente in un periodo nel quale la vita delle persone affronta le ferite di nuove diseguaglianze e povertà e i poteri pubblici sono chiamati a una ricostruzione che non lasci indietro nessuno, ma sappia coniugare sviluppo, solidarietà e inclusione sociale.

Senza rivendicare primazie, nella sentenza delle sezioni unite del 1979, estensore Aldo Corasaniti, c’è un messaggio culturale che continua a guidarci ancora oggi: il diritto fondamentale dell’individuo richiede il superamento di ogni «considerazione atomistica, asociale, separata dell’uomo» e presenta «un contenuto di socialità e di sicurezza» legato all’essere «partecipe delle varie comunità (…) nelle quali si svolge la sua personalità».