Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Salario minimo costituzionale e sindacato del giudice

di Anna Terzi
già magistrato

In margine alle sentenze Cass., n. 27771, 27713, 27769 del 2 ottobre 2023

Con tre sentenze di pari data, la Corte di cassazione affronta la questione, di scottante attualità, risolta con esiti diversi dai giudici di merito, della verifica della rispondenza della retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva applicata dal datore di lavoro al precetto di cui all’art. 36 cost. Si tratta di arresti che sviluppano e portano alle necessarie conseguenze principi già affermati ripetutamente (e da più di settant’anni) dal giudice di legittimità, in conformità alla consolidata interpretazione dell’art. 36 Cost. ad opera della Corte Costituzionale, chiudendo in coerenza il sistema.

Le pronunce, nell’iter della motivazione, considerano il contesto storico attuale, così come si è venuto a determinare per le dinamiche di mercato e contrattuali che hanno portato all’emersione della questione salariale in termini e con una forza sconosciute da oltre un cinquantennio, senza sottrarsi a un confronto con il problema economico sociale sottostante ed inquadrandolo anzi nel contesto della normativa europea di cui alla direttiva UE 2022/2041.

Questo scritto ha solo la finalità di riprodurre in sintesi i passaggi essenziali delle tre sentenze. Per l’approfondimento di ogni questione non si può che rimandare alla lettura del testo, ampiamente argomentato sotto ogni profilo, con una puntuale ricostruzione del sistema normativo nazionale e internazionale e con ampi ed esaustivi richiami alla giurisprudenza costituzionale, di legittimità e della Corte UE.

Il contenuto percepito come innovativo nel panorama della discussione pubblica sul salario minimo è indubbiamente l’affermazione della appartenenza alla giurisdizione del controllo, fino alla disapplicazione, del trattamento economico stabilito dai contratti collettivi (minimi salariali e istituti retributivi complessivamente considerati con esclusione degli emolumenti accidentali quali lo straordinario), compresi i contratti sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, se non rispondente ai principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza ex art. 36 cost. In realtà, come appena osservato, il principio in sé è un principio consolidato, ciò che è nuovo non è l’enunciazione ma il richiamo ai giudici di merito dell’obbligo di effettiva applicazione, secondo un procedimento di verifica e valutazione dei fatti, corretto e senza limiti esterni. La deduzione del fatto concreto della insufficienza della retribuzione nel singolo rapporto di lavoro impone al giudice di procedere a una definizione del contenuto dell’obbligo retributivo sindacando la congruità del parametro applicato e scegliendo quello ritenuto rispondente al precetto costituzionale, in assenza di automatismi, non essendovi alcun ostacolo né normativo, né di altra natura che imponga di ritenere che la giusta retribuzione sia quella definita dalle parti sociali con il contratto collettivo applicato al rapporto.

La base giuridica è costituita dall’art. 36 della costituzione secondo l’interpretazione che ne è stata da sempre data dalla Corte costituzionale di norma immediatamente precettiva, che definisce il contenuto della giusta retribuzione e del corrispondente diritto con due criteri quantitativi, quello di proporzione e quello di sufficienza, vincolanti e di necessaria applicazione in prima istanza per le parti sociali e in sede di contenzioso per il giudice (sentenze n. 30/1960, 106/1962, n. 74/1966, 559/1987, n. 51/2015), senza alcuna riserva a favore della contrattazione collettiva: «per la cogenza dell’art. 36 Cost., nessuna tipologia contrattuale può ritenersi sottratta alla verifica giudiziale di conformità ai requisiti sostanziali stabiliti dalla Costituzione che hanno ovviamente un valore gerarchicamente sovraordinato nell’ordinamento».

Non si sottraggono a questo principio nemmeno le società cooperative, per le quali il riferimento legale alla retribuzione stabilita dai contratti collettivi (art. 3 della legge 142/2001) non può essere inteso come un rinvio in bianco, ma deve essere interpretato come garanzia minima, in conformità al testo della disposizione e ai principi di cui all’art. 36 ed all’art 39 cost.

L’art. 36 rimanda a parametri esterni. Il riferimento alle retribuzioni stabilite dalla contrattazione collettiva, e a maggior ragione dai ccnl sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, di cui si può assumere una adeguata forza contrattuale e chiarezza di obiettivi, è un passaggio obbligato. La conformità al precetto costituzionale, è però assistita solo da una presunzione relativa, destinata, se contestata, a essere riscontrata con altri indici. Le pronunce sottolineano questa affermazione, pur richiamando il monito «secondo cui il giudice deve sempre approcciarsi alla contrattazione collettiva “con grande prudenza e rispetto, attesa la naturale attitudine degli agenti collettivi alla gestione della materia salariale, un principio garantito dalla Costituzione e anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo», e indicano vari possibili indici di riscontro della conformità della retribuzione a Costituzione, compresi quelli sulle retribuzioni resi disponibili dagli enti previdenziali o quelli desumibili dalla comparazione tra contratti collettivi per lo stesso settore o settori contigui con i medesimi profili professionali (fino a ipotizzare un accertamento tecnico).

Dei due parametri dell’art. 36 quello della proporzione fa riferimento alle caratteristiche della prestazione di contenuto professionale e di durata, mentre quello della sufficienza impone un livello minimo in assoluto, non valicabile, con riferimento a quanto necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, in relazione alle concrete condizioni in cui si svolge la vita quotidiana nel contesto sociale di riferimento. Si tratta di parametri la cui definizione concettuale, per desumerne i criteri di integrazione sotto il profilo quantitativo, può trovare appoggio nella direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022 sui salari minimi (di cui si deve tenere conto nell’interpretazione del diritto nazionale, secondo le ripetute indicazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, anche prima della scadenza del termine di recepimento). Il considerando n. 28 indica come idonei allo scopo «un paniere di beni e servizi a prezzi retali stabilito a livello nazionale… determinare il costo della vita al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso» che comprende «oltre alle necessità materiali quali cibo, vestiario e alloggio … necessità di partecipare ad attività culturali, educative e sociali».

La Corte di cassazione esponendo le ragioni per le quali le sentenze d’appello non sono conformi ai principi di diritto nella valutazione dei fatti e nell’esito della stessa, dà chiare indicazioni sul percorso che deve essere seguito dal giudice di merito.

Il lavoratore deve dedurre, senza necessità di formule sacrali, la non conformità della retribuzione ai canoni di sufficienza e proporzione, allegando e dando prova dell’attività lavorativa svolta e di quanto percepito, indicando parametri di confronto. Appartiene invece al giudice il compito di individuare, con adeguata motivazione, i criteri di valutazione della proporzionalità e sufficienza: assumendo la retribuzione percepita nel suo valore netto di disponibilità monetaria reale per sostenere le spese della vita quotidiana; utilizzando con estrema cautela gli indici Istat sulla soglia di povertà, in quanto diretti a identificare il limite per la sussistenza non per una vita dignitosa e dunque criterio di possibile immediato riscontro per una valutazione di insufficienza e non invece di sufficienza; affrontando, senza potersi sottrarre, anche la definizione e valutazione del parametro della proporzionalità, per il quale soccorrono i contratti collettivi dello stesso settore o settori contigui per le stesse mansioni. L’esito dell’accertamento, qualora venga stabilita la non conformità all’art. 36 cost., deve sempre portare a una disapplicazione della clausola contrattuale difforme ex art. 1419 cod. civ. e a una definizione del dovuto.

L’importanza delle pronunce è di immediata evidenza, così come di immediata evidenza sono gli effetti che produrranno nell’accesso alla tutela giurisdizionale del lavoro povero, questione già affrontata più volte da questa Rivista[1] e che viene oggi rimbalzata alle parti sociali e alle forze politiche, che non potranno lamentare nella loro inerzia una supplenza della giurisdizione.


 
[1] Giuseppe Battarino, Salario minimo, lavoro nero: l’esigenza di un orientamento politico legislativo, in questa Rivista on line https://www.questionegiustizia.it/articolo/salario-minimo-lavoro-nero; Carla Ponterio, Il lavoro per un’esistenza libera e dignitosa: art. 36 Cost. e salario minimo legale, in Questione giustizia trimestrale, n. 4/2019, https://www.questionegiustizia.it/rivista/2019-4.php 

09/10/2023
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