Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

PCT, prime pronunce sulla validità degli atti in formato pdf-immagine e dei depositi telematici in assenza di decreto ministeriale autorizzativo

di Gianmarco Marinai
Referente Informatico Distrettuale Corte d'Appello di Firenze
PCT, prime pronunce sulla validità degli atti in formato pdf-immagine e dei depositi telematici in assenza di decreto ministeriale autorizzativo

In questo primo periodo di applicazione diffusa del Processo Civile telematico (e, in particolare, dopo il 30 giugno scorso e il d.l. 90/2014, che, all'art. 44, ha esteso a tutti i Tribunali la possibilità di deposito telematico degli atti endoprocessuali), sono già stati più volte portati all'attenzione della giurisprudenza alcuni problemi interpretativi, che hanno dato luogo a soluzioni non omogenee.

Il legislatore, purtroppo, non ha inserito norme chiarificatrici nella legge di conversione del d.l. 90 (l. 114/2014), perdendo un'ottima occasione per dissipare tali dubbi ermeneutici.

I problemi, che appaiono, per affinità, suscettibili di trattazione congiunta, riguardano le conseguenze del deposito di atti telematici con caratteristiche e con modalità non esattamente conformi alle norme regolamentari che li disciplinano (in particolare: in violazione della norma del Provvedimento 16.4.2014, contenente le Specifiche tecniche previste dall'art. 34 d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, che prescrive che gli atti non possono risultare da scansione di immagini, ma debbono essere redatti in modalità telematica nativa), ovvero le conseguenze del deposito telematico di atti processuali diversi da quelli espressamente previsti dalla legge (art. 16-bis d.l. 179/2012 e successive modifiche), ovvero in assenza di specifico provvedimento ministeriale autorizzativo ex art. 35 d.m. 44/2011.

I provvedimenti in commento – tutti emessi successivamente al 30 giugno 2014 e dunque nel vigore del d.l. 90/2014 – concludono tutti, con diverse sfumature, per la soluzione negativa (inammissibilità, nullità, invalidità), ma non mancano in dottrina opinioni discordanti. 

Analizzando, in primis, i provvedimenti relativi al deposito di pdf-immagine, l'iter argomentativo è, sostanzialmente, il seguente.

L'atto è costituito da un file in formato pdf; lo stesso non è però un atto nativo digitale, ottenuto mediante la trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti, ma è un file ottenuto mediante la scansione di immagini.

Tale modalità di redazione dell'atto digitale non rispetta la normativa vigente: infatti, l'art. 12 del Provvedimento del Ministro della Giustizia del 16 aprile 2014 (contenente le Specifiche tecniche previste dall'articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44, a sua volta richiamato dall'art. 16-bis d.l. 179/2012, che prevede che il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici) prevede che "L'atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all'ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti:

a) è in formato PDF;

b) è privo di elementi attivi;

c) è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini [...]".

La forma prevista dalla legge non è stata, dunque, rispettata, con evidente violazione dell'art. 121 c.p.c. ("Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”), che sancisce il principio di obbligatorietà delle forme legali e la portata residuale del principio di libertà delle forme.

Si passa, così, al vaglio delle conseguenze giuridiche del mancato rispetto della forma legale, e, in particolare se risulti applicabile l'art. 156 c.p.c. (“Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge. Può tuttavia essere pronunciata quando l'atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”).

Le pronunce in esame (si veda, in particolare, l'approfondita disamina del Tribunale di Livorno) statuiscono che la violazione della forma legale non consente di ritenere raggiunto lo scopo: "Il rispetto delle regole tecniche (quali ad esempio quella sui formati ammessi dei files degli allegati) ha lo scopo di rendere tali atti immediatamente intelligibili a tutti gli operatori del processo (senza imporre la necessità di ricercare programmi di conversione di formati diversi), così come la norma che impone che l'atto del processo sia un pdf ottenuto mediante la trasformazione di un documento testuale, ha lo scopo di rendere l'atto navigabile ad ogni attore del processo e dunque quello di consentire l'utilizzo degli elementi dell'atto, senza la necessità di ricorrere a programmi di riconoscimento ottico dei caratteri, detti OCR (optical character recognition)", da cui segue la declaratoria di nullità dell'atto.

Infine, non è ritenuto neppure applicabile l'art. 162 c.p.c. secondo il quale: “il giudice che pronuncia la nullità deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti ai quali la nullità si estende" essendo il ricorso monitorio riproponibile e non avendo, quindi, il ricorrente alcun interesse alla rinnovazione dell'atto nullo (che consisterebbe nel rideposito integrale di ricorso e allegati documentali).

Con analoghe argomentazioni altri tribunali hanno ritenuto nullo o inammissibile l'atto telematico depositato in tribunali che - pur successivamente all'entrata in vigore del d.l. 90/2014 - erano privi di specifico decreto autorizzativo emanato dal Ministero ai sensi dell'art. 35 d.m. 44/2011 (v. da ultimo trib. Padova 29.8.2014).

Secondo il tribunale, il fatto che il d.l. 90 preveda la possibilità di depositare telematicamente gli atti endoprocessuali (cfr. art. 44), esclude che il legislatore abbia voluto estendere la possibilità di deposito degli atti non compresi in tale norma - sostanzialmente gli atti introduttivi del giudizio - a tutti gli uffici giudiziari e, in specie, a quelli che precedentemente al 30 giugno 2014 non avevano richiesto ed ottenuto il decreto ministeriale ex art. 35 d.m. 44/2011.

Se, dunque - prosegue il tribunale di Padova - l'Ufficio non era autorizzato a ricevere a valore legale gli atti introduttivi (in quanto privo di decreto ex art. 35, o comunque in possesso di decreto ex art. 35 che non comprendesse specificamente gli atti introduttivi), tali atti, essendo stati spediti a mezzo PEC, potranno, al più, essere considerati come atti giudiziari inviati a mezzo posta, in contrasto con gli art. 166 e 167 c.p.c., secondo cui gli atti di costituzione debbono essere depositati in cancelleria e non inviati a mezzo posta (Cass. Sez. 3 n. 12391 del 21/05/2013 ribadisce la correttezza di tale interpretazione e la conformità della disciplina degli art. 165 c.p.c. e ss. con i principi costituzionali). A ciò consegue la declaratoria di inammissibilità. 

In sede di primo commento al d.l. 90, auspicando un rapido intervento del legislatore sul punto, magari nella legge di conversione (intervento che, com'è noto, non è avvenuto), avevo escluso che la formulazione dell'art. 44 d.l. 90 consentisse di ritenere legittimi i depositi degli atti non contemplati da tale norma (e cioè, come detto, gli atti introduttivi del giudizio o comunque gli atti di costituzione e gli atti in Corte d'Appello), sulla base del ragionamento ripreso dal provvedimento del tribunale di Padova in commento: se la legge innova ritenendo legittimo il deposito di una determinata categoria di atti, a contrario, si deve escludere che sia consentito depositare telematicamente gli atti non compresi nella norma. 

L'art. 35 del d.m. 44/2011 prevede che "L'attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni è preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio".

La norma nulla dice in ordine alla possibilità del decreto di limitare il valore legale dei documenti informatici trasmessi dai soggetti abilitati esterni a singoli atti processuali.

I decreti dirigenziali finora emessi contenevano l'elenco (più o meno analitico e non sempre omogeneo) degli atti e dei settori (civile ordinario, esecuzioni, fallimenti, volontaria giurisdizione, ricorsi per ingiunzione), in quanto giungevano all'esito di limitate e settoriali sperimentazioni portate avanti autonomamente da uffici giudiziari virtuosi, ben prima che il PCT divenisse realtà in tutto il Paese, ma anche addirittura prima della diffusione in buona parte degli uffici giudiziari dei registri di cancelleria informatizzati (SICID-SIECIC) e sicuramente in una fase embrionale di sviluppo degli applicativi ministeriali.

Si comprende, allora, la preoccupazione degli uffici (e del Ministero) di limitare al massimo l'ambito del valore legale degli atti depositati dai soggetti abilitati esterni (avvocati, consulenti), risultando primaria – ai fini di una proficuo esito delle sperimentazioni – l'esigenza di assicurare, nei singoli uffici interessati, la piena funzionalità infrastrutturale, relativamente a singole categorie di atti.

Una volta, però, che una norma di legge (l'art. 44 d.l. 90/14 citato) estende a tutti gli uffici giudiziari l'obbligo di ricevere dai soggetti abilitati esterni gli atti endoprocessuali (e dunque conferisce valore legale a tali atti in ogni Ufficio), a prescindere dall'esistenza o meno di un decreto ministeriale ex art. 35 d.m. 44/11, appare chiaro che la verifica di funzionalità dei servizi e delle attrezzature informatiche dei singoli Uffici, cui era preposto il decreto ex art. 35, è stata compiuta una volta per tutte, ex ante, dal legislatore.

Ma, se così è, appare lecito considerare esaurita la funzione per cui era stata introdotta la norma dell'art. 35 dm 44/2011, che potrebbe, pertanto, ritenersi abrogata per incompatibilità.

Qualche dubbio, inoltre, sorge anche in merito alla valutazione compiuta dai vari provvedimenti del mancato raggiungimento dello scopo dell'atto (per gli effetti di cui all'art. 156 c.p.c.) e sulla possibilità di sanatoria/rinnovazione.

Quanto al provvedimento depositato in assenza di decreto autorizzativo ex art. 35 d.m. 44/2011, se anche – per la presenza della limitazione contenuta nell'art. 44 d.l. 90 – non si vuole giungere alla radicale conclusione di ritenere abrogato il citato art. 35 c. 1 (il che eliminerebbe ogni limite alla liceità di deposito telematico di qualunque atto giudiziario in qualunque ufficio), non appare, comunque, possibile, alla luce di quanto sopra detto, ritenere che un atto telematico formato nel rispetto delle specifiche normative, inserito correttamente nei sistemi informatici dell'ufficio giudiziario, accettato dal cancelliere e dunque giunto pienamente alla conoscenza del giudice, non abbia raggiunto il suo scopo.

Né appare del tutto condivisibile il ragionamento secondo cui l'atto telematico depositato in carenza di decreto autorizzativo ex art. 35 dm 44/2011 non sia idoneo al raggiungimento dello scopo in quanto equiparabile all'atto giudiziario inviato a mezzo posta.

Come, infatti, ricordato dallo stesso giudice padovano, Cass. civ. Sez. Unite, 4.3.2009, n. 5160, ha affrontato ex professo, componendo un contrasto intervenuto tra due pronunce delle sezioni semplici, la questione se il deposito dell'atto giudiziario a mezzo posta sia idoneo al raggiungimento dello scopo, ai sensi dell'art. 156 c.p.c..

Sostengono le Sezioni Unite (che non paiono potersi ritenere superate da una decisione successiva di una sezione semplice), che "la circostanza che l'attività materiale di deposito degli atti in cancelleria, che è priva di un requisito volitivo autonomo, non debba essere compiuta necessariamente dal difensore o dalla parte che sta in giudizio personalmente, ma possa essere realizzata anche da persona da loro incaricata (c.d. nuncius) (cfr. Cass. 7449/2001 e 26737/2006), e che l'ordinamento processuale preveda casi, sia pure speciali, di deposito degli atti in cancelleria mediante invio degli stessi a mezzo posta (art. 134 disp. att. c.p.c. concernente il giudizio di cassazione, e le ipotesi relative al processo tributario, di cui a Corte Cost. n. 520 del 2002, e al giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione irrogativi di sanzione amministrativa, di cui a Corte Cost. n. 98 del 2004; cfr. anche Cass. n. 11893/2006 per l'estensione dei principi di cui a quest'ultima sentenza all'azione popolare in materia elettorale), non appare compatibile con una valutazione di radicale difformità del deposito realizzato attraverso l'invio dell'atto per mezzo della posta rispetto a quello effettuato mediante consegna diretta al cancelliere, anche se certamente al di fuori delle previsioni normative il deposito potrà prendere efficacia solo dalla data del raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 3), e cioè dell'(eventuale) concreta e documentata ricezione dell'atto da parte del cancelliere ai fini processuali, e giammai dalla data della spedizione dell'atto, così come invece previsto dalle speciali discipline relative al deposito degli atti processuali a mezzo".

Con l'inevitabile conseguenza che la nullità dell'atto non può essere pronunciata (e magari, accedendo alle conclusioni delle S.U., gli effetti si produrranno non, come di consueto, al momento in cui il soggetto abilitato esterno riceverà la Ricevuta di Avvenuta Consegna, ma piuttosto al momento in cui il cancelliere accetterà il deposito, introducendo l'atto nei registri informatici dell'Ufficio giudiziario).

In ogni caso, poi, se anche l'atto dovesse essere dichiarato nullo, il giudice (a differenza di quanto è avvenuto nel provvedimento del Tribunale di Padova), non potrebbe esimersi dal vagliare la possibilità di rinnovazione dell'atto nullo ai sensi dell'art. 162 c.p.c, per la quale non sembrano esservi ostacoli, quantomeno in tutti i casi in cui non si siano verificate preclusioni o decadenze. 

Quanto, poi, all'atto depositato in formato pdf-immagine, si è sostenuto (R. Bellé, Prime note su pct e processo di cognizione, in Judicium.it) che depositare un atto in formato pdf-immagine equivale sostanzialmente al deposito di una fotocopia, peraltro sicuramente proveniente dall'avvocato depositante (essendo stata inviata via PEC). Dovrebbe, pertanto, valere il principio giurisprudenziale per cui anche in ambito processuale trova applicazione l'art. 2719 c.c., con conseguente idoneità anche della fotocopia dell'atto al raggiungimento dello scopo processuale (salvo disconoscimento nella prima difesa e salva la possibilità di dimostrare la conformità all'originale, provvedendo all'esibizione o al deposito (questa volta in forme telematiche regolari) dell'atto.

La soluzione non appare del tutto convincente.

Le specifiche di redazione dell'atto (pdf nativo, assenza di elementi attivi, quali riferimenti a pagine web, sottoscrizione con firma digitale o firma elettronica qualificata strutturata come da norma, presenza di un file XML con determinati contenuti), di cui al Provvedimento 16.4.2014, infatti, appaiono piuttosto volte a descrivere le modalità di redazione dell'atto telematico, come se vi fossero norme specifiche che disponessero che – come è ovvio – l'atto cartaceo deve essere redatto su fogli A4 o usobollo e non su rotoli di papiro, con inchiostro indelebile e non a matita o con inchiostro simpatico.

Si spiega, pertanto, che un atto telematico che non sia stato redatto rispettando le specifiche tecniche previste dal provvedimento 16.4.14 non possa in alcun modo raggiungere lo scopo cui è preposto (così come, per certo, non raggiungerebbe lo scopo l'atto di citazione scritto a matita), con conseguente inevitabile dichiarazione di nullità.

In ogni caso, però, - salva la rilevata carenza di interesse processuale per ciò che concerne il ricorso per ingiunzione, sempre riproponibile (ma con onere di pagare nuovamente il contributo unificato) - non paiono sussistere ostacoli alla rinnovazione dell'atto nullo; la rinnovazione, però, pur espletando effetti ex tunc, non varrebbe a superare le decadenze già maturate. 

In conclusione, in attesa di un auspicabile urgente chiarimento legislativo, non pare che la normativa attuale precluda interpretazioni delle norme del processo telematico meno restrittive di quelle spesso adottate in queste prime applicazioni e più in linea con la tendenza dell'ordinamento processuale a favorire decisioni nel merito a scapito della chiusura in rito del processo.

05/09/2014
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