Magistratura democratica
Prassi e orientamenti

La maledizione di Kirchmann, ovvero che ne sarà del danno differenziale

di Marco Rossetti
consigliere della Corte di cassazione
La riforma introdotta con l’art. 1, comma 1126 della legge n.145 del 2018 altera i principi definiti dalle supreme Corti in tema di diritto al risarcimento del danno differenziale in caso di infortunio sul lavoro, sollevando concreti dubbi di costituzionalità

1. Premessa

Julius Hermann Von Kirchmann (1802–1884) fu un insigne giurista e filosofo del XIX sec.. Tradusse Aristotele, Grozio, Bacone, Hume, Hobbes, Leibniz; curò una notevole edizione delle opere di Kant.

Impregnato di cultura positivista, non stupisce se nella sua opera più famosa (Die Wertlosigkeit der Jurisprudenz als Wissenschaft, 1847; trad. it. La mancanza di valore della giurisprudenza come scienza, Pisa 1942) lanciò ai giuristi una maledizione che diverrà proverbiale: «Tre paroline del legislatore, ed intere biblioteche giuridiche divengono cartaccia» (Drei berichtigende Worte des Gesetzgebers und ganze Bibliotheken warden zu Makulatur).

La maledizione di Kirchmann stavolta s’è incarnata nell’art. 1, comma 1126, della legge 30 dicembre 2018 n. 145 (recante Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019–2021).

Questa norma ha ridefinito i criteri con cui:

a) si deve calcolare il risarcimento del danno (cd. differenziale) spettante al lavoratore che, per colpa del datore di lavoro o d’un terzo, abbia patito un infortunio in occasione di lavoro;

b) si deve calcolare il credito spettante all’Inail quando, indennizzata la vittima, abbia diritto di regresso nei confronti del datore di lavoro o di surrogazione nei confronti del terzo responsabile.

Si dirà: tanto meglio, posto che sono 45 anni (dal 1974, per l’esattezza) che discutiamo su quali debbano essere i limiti della surrogazione e del regresso dell’assicuratore sociale; come si calcoli il danno differenziale; come interferisca la disciplina dell’assicurazione sociale con quella dell’assicurazione Rca e con quella della responsabilità civile. Su questi temi si sono scritti trattati, scomodati i massimi organismi giurisdizionali, tenuti convegni, profusi tesori sapienziali. Dunque – penserebbe un frettoloso osservatore – ben venga una definitiva parola di chiarezza dal legislatore.

Il punto è che quella parola di chiarezza, nella legge 145/18, non c’è. Anzi, la norma ci rituffa nel mare procelloso delle incertezze, a cominciare da quelle sulla legittimità costituzionale del nuovo testo.

Sul danno differenziale si discute da quarant’anni, si diceva: eppure noi giuristi, a forza di tesi ed antitesi, con tanta fatica alcune tranquillanti certezze alla fine le avevamo pur raggiunte: l’assicuratore sociale non può surrogarsi su somme dovute alla vittima a titolo di risarcimento di danni non coperti dall’assicurazione; la surrogazione incontra il limite oggettivo dei danni effettivamente causati dal responsabile civile; il danno differenziale si ricava sottraendo il danno civilistico dal danno “Inail” per singole voci, e non globalmente.

Non una di queste certezze, adesso, sembrerebbe destinata a sopravvivere all’art. 1, comma 1126, della legge 145/18.

Per spiegare il perché, però, è necessario innanzitutto riavvolgere il nastro, e ricordare brevemente quale fosse lo “stato dell’arte” in tema di danno differenziale patito dal lavoratore. Avendo ben presente il quadro previgente, infatti, si comprenderà meglio il contenuto oggettivo della legge 145/18 (niente affatto univoco, come si dirà).

2. Il danno differenziale: una breve storia

2.1 Il sistema dell’assicurazione sociale e quello della responsabilità civile sono destinati ad intersecarsi in vari modi.

Dal punto di vista della vittima, c’è il problema di stabilire se l’indennizzo percepito dall’assicuratore sociale riduca, ed in che misura, il diritto al risarcimento che essa vanti nei confronti del datore di lavoro o di un terzo.

Dal punto di vista dell’assicuratore sociale c’è il problema di stabilire se, ed in che misura, l’indennizzo pagato alla vittima possa essere recuperato dal responsabile.

Dal punto di vista del responsabile c’è il problema di stabilire se, ed in che misura, l’avvenuto rimborso all’assicuratore sociale riduca il suo obbligo risarcitorio nei confronti della vittima.

2.2 I tre problemi, come si intuisce, sono strettamente connessi: ed infatti hanno trovato soluzione, da parte della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, in base ad alcuni princìpi comuni, alcuni dei quali rifluiti nell’art. 142, ultimo comma, cod. ass. (d. lgs 7settembre 2005, n. 209).

Questi princìpi sono tre.

2.3 Il primo principio è quello della compensatio lucri cum damno.

In virtù di esso, l’indennizzo pagato dall’assicuratore sociale alla vittima d’un infortunio riduce il diritto al risarcimento da questa vantato nei confronti del terzo responsabile solo se, e solo nella misura in cui, il credito risarcitorio abbia ad oggetto il medesimo danno indennizzato dall’Inail (così, da ultimo, e definitivamente, Sez. unite, sentenza n. 12566 del 22 maggio 2018).

Espressione di tale principio, nella materia dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, è l’art. 10, commi 6 e 7, dPR 30 giugno 1965 n. 1124.

Così, per fare un esempio: se la vittima ha patito una invalidità permanente e percepito dall’Inail un indennizzo per invalidità permanente (l’Inail, infatti, indennizza il danno biologico permanente: art 13 d. lgs 23 febbraio 2000, n. 38), non potrà poi pretendere dal terzo responsabile il risarcimento del danno da invalidità permanente, salvo che l’indennizzo percepito dall’Inail non sia inferiore rispetto al risarcimento spettantele secondo le regole del diritto civile, e solo per tale eccedenza.

Se, invece, la vittima ha patito un danno da invalidità temporanea ed ha percepito dall’Inail un indennizzo per invalidità permanente (l’Inail, come noto, non indennizza il danno biologico temporaneo), potrà legittimamente pretendere dal terzo responsabile il risarcimento del danno da invalidità temporanea, perché le somme incassate dall’Inail non avevano lo scopo di ristorare quel pregiudizio.

2.4 Il secondo principio generale che regola i rapporti tra assicurazione sociale e responsabilità civile è quello della intangibilità relativa del diritto al risarcimento del danno alla salute da parte dell’assicuratore sociale per effetto della surrogazione.

“Intangibilità relativa” vuol dire che l’esercizio della surrogazione da parte dell’assicuratore sociale non può mai pregiudicare il ristoro del danno alla persona patito dal lavoratore, salvo un caso: quando oggetto della prestazione dovuta dall’assicuratore sociale sia proprio il ristoro del danno alla salute.

Il risarcimento del danno alla salute, infatti, poiché compensa il vulnus ad un diritto fondamentale della persona, non può ridursi ad una «partita di giro» (sono parole di Corte cost., 06 giugno 1989, n. 319, in Foro it., 1989, I, 2695).

Così, ad esempio: quando la vittima abbia patito un danno alla salute, e l’assicuratore sociale le abbia corrisposto un indennizzo destinato a ristorare un pregiudizio diverso (ad es., l’assegno di invalidità ex art. 1 legge 12 giugno 1984 n. 222, il quale è attribuito a chi ha perduto la capacità di svolgere un lavoro confacente alle proprie attitudini), l’assicuratore sociale non potrebbe, per effetto della surrogazione, pretendere dal responsabile la somma spettante alla vittima a titolo di risarcimento del danno biologico, perché tale danno non era l’oggetto della copertura prestata dall’assicuratore sociale (Corte cost., 18 luglio 1991, n. 356, in Assicurazioni, 1991, II, 2, 109).

2.5 Il terzo principio è quello della naturale limitatezza del diritto di surrogazione dell’assicuratore sociale.

Questo principio, per la sua importanza, merita qualche parola in più.

La surrogazione dell’assicuratore (art. 1916 cc) e quella dell’assicuratore sociale (disseminata tra una pletora di norme diverse: per l’Inail, si vedano gli artt. 10 e 11 dPR 30 giugno 1965 n. 114 e l’art. 142, ultimo comma, cod. ass.; per l’Inps, l’art. 41, legge 4 novembre 2010 n. 183), sono l’una e l’altra applicazioni del generale istituto di cui all’art. 1203 cc.

La surrogazione per pagamento prevista dall’art. 1203 cc è un istituto millenario (già noto al diritto romano repubblicano, nella forma del beneficium cedendarum actionum), la cui ratio è permettere la circolazione del credito senza ricorrere agli oneri della cessione: per effetto della surrogazione, infatti, quello stesso credito che sorgeva in capo al creditore originario, per effetto del pagamento da parte d’un terzo, si trasferisce al solvens, che potrà esigerne l’adempimento dal debitore.

La surrogazione è perciò tradizionalmente definita una «successione a titolo particolare» in un singolo diritto di credito, e tale è anche quella dell’assicuratore: tanto privato quanto sociale.

Se la surrogazione dell’assicuratore nel diritto di credito originariamente spettante all’assicurato costituisce una successione a titolo particolare, il diritto acquisito dall’assicuratore che ha pagato l’indennizzo è lo stesso diritto che sorgeva in capo all’assicurato: con la sua prescrizione, con i suoi frutti, con le sue eccezioni.

Da ciò derivano due conseguenze:

a) l'assicuratore non può pretendere dal responsabile una somma superiore al danno da lui effettivamente causato, anche se per qualsivoglia motivo l'indennizzo pagato sia stato superiore [1]: ed infatti, poiché il diritto acquisito da chi si surroga è lo stesso che sorgeva in capo all’originario creditore, tale diritto non potrebbe aumentare per il solo fatto che il solvens abbia pagato un importo superiore;

b) l’assicuratore non può pretendere dal responsabile una somma superiore all’indennizzo pagato all'assicurato: ed infatti, poiché il debito che il responsabile ha nei confronti dell’assicuratore surrogante è il medesimo che aveva nei confronti del danneggiato surrogato, tale debito non potrebbe crescere per il solo fatto che sia avvenuta la surrogazione.

Così, per fare un esempio: si immagini che Primo causi a Secondo un danno alla salute di euro 100, il quale per fortuna non ha ripercussioni sulla capacità di lavoro del danneggiato. Secondo avrà dunque un credito nei confronti di Primo di euro 100.

Si immagini ora che l’Inail, in applicazione dei criteri legali, liquidi a Secondo un indennizzo di euro 80 per danno biologico (i criteri di stima dell’invalidità e di monetizzazione del risarcimento utilizzati dall’Inail sono stabiliti dal dm 12 luglio 2000, e non coincidono coi criteri equitativi usualmente applicati dalla giurisprudenza in materia di responsabilità civile, ovvero le cd tabelle di Milano), e di euro 50 per danno alla capacità lavorativa (il danno alla capacità lavorativa, ai sensi del citato dm 12 luglio 2000, per l’Inail si presume juris et de jure, sol che l’invalidità permanente sia superiore al 16%).

L’Inail avrà dunque pagato 130 in totale, ma non potrà (rectius, non poteva) surrogarsi per l’intero importo.

Non poteva surrogarsi per i 50 pagati a titolo di incapacità lavorativa, perché il responsabile quel danno non l’aveva causato, e di conseguenza la vittima non aveva alcun credito risarcitorio per tale voce di danno; e non avendo il credito, non poteva nemmeno trasferirlo all’Inail.

Ma l’Inail non poteva nemmeno surrogarsi nella minor misura di 100. È vero, infatti, che nel nostro esempio il responsabile aveva causato un danno biologico pari a 100, ma quel danno era costituito solo da una menomazione della validità biologica, e l’Inail per tale voce aveva pagato solo “80”. Il residuo credito di “20” per risarcimento del danno biologico, non essendo stato pagato dall’Inail, non si poteva trasferire per effetto di surrogazione, e restava in capo alla vittima, sola legittimata a pretenderne il pagamento.

3. Il calcolo del danno differenziale

3.1 Applichiamo ora in corpore vili i tre princìpi appena ricordati. Ne discende che:

a) se la vittima d’un fatto illecito ha ottenuto dall’assicuratore sociale un indennizzo volto a ristorare il medesimo pregiudizio causato dal responsabile, la vittima perde il diritto di credito in misura pari all’indennizzo ricevuto, credito che si trasferisce all’assicuratore sociale;

b) se la vittima d’un fatto illecito ha ottenuto dall’assicuratore sociale un indennizzo volto a ristorare un pregiudizio diverso rispetto a quello causato dal responsabile, la vittima conserva il credito risarcitorio.

In ambedue le ipotesi, il credito risarcitorio residuo spettante alla vittima viene chiamato nella prassi “danno differenziale” [2].

3.2 Parrà strano, ma stabilire come dovesse calcolarsi questo “danno differenziale” (e dunque come dovesse sottrarsi l’indennizzo pagato dall’assicuratore sociale dal risarcimento del danno) è questione che aveva fatto registrare nella giurisprudenza di merito ampia disparità di vedute [3].

I vari orientamenti si dividevano in tre gruppi: li chiamerò dello “scorporo integrale”, dello “scorporo per poste”, e dello “scorporo per poste omogenee”.

Le decisioni aderenti al primo gruppo (“dello scomputo integrale”) calcolavano il danno differenziale liquidando il complessivo danno patito dalla vittima (e quindi danno biologico permanente, temporaneo, personalizzazione, danno al veicolo, danno da incapacità di lavoro, etc.), e quindi sottraendo da esso il complessivo danno Inail (e quindi sia l’indennizzo per danno biologico, sia l’incremento della rendita per il ristoro del danno patrimoniale, sia le spese sanitarie, etc.).

Il secondo gruppo di decisioni (quello dello “scomputo per poste”) calcolava il danno differenziale sottraendo solo le poste di danno dello stesso tipo: e quindi l’indennizzo Inail per danno biologico veniva sottratto dal solo credito risarcitorio per danno biologico permanente; la frazione di rendita Inail destinata al ristoro del danno alla capacità lavorativa veniva detratta solo dal credito risarcitorio per danno alla capacità lavorativa (se esistente), e via dicendo.

Corollario della tecnica in esame era che, quando l’indennizzo Inail per una determinata posta di danno eccedeva il danno civilistico (ad es., nel caso di pagamento della maggiorazione della rendita, finalizzata a ristorare il danno patrimoniale che, come detto, in ambito infortunistico è presto dalla legge juris et de jure in presenza di invalidità superiori al 16%, a persona che non aveva perduto la capacità di lavoro) tale eccedenza non sia riportata a defalco delle altre voci di danno. Così, se la vittima ha avuto un danno civilistico per incapacità di lavoro pari a “0”, e l’Inail le abbia pagato un indennizzo per tale voce di danno pari a “100”, il danno differenziale per quella voce di danno sarà pari a “0”, e non a “–100”.

Il terzo gruppo di decisioni può essere definito dello “scomputo per poste omogenee”: in questo caso il danno differenziale veniva calcolato sommando il coacervo dei danni non patrimoniali indennizzati dall’Inail, dal coacervo dei danni non patrimoniali civilistici, e lo stesso veniva fatto per i danni patrimoniali. La sottrazione avveniva dunque né in modo integrale, né voce per voce, ma per insiemi omogenei di danni.

Lo schema che segue mostra i differenti risultati cui la giurisprudenza di merito perveniva, a seconda che il danno differenziale fosse calcolato con l’uno piuttosto che con l’altro dei sistemi appena ricordati:

 

Come si vede, se – come di norma accade – l’indennizzo Inail per danno biologico è inferiore al credito risarcitorio aquiliano per la stessa voce, e se l’indennizzo Inail per danno alla capacità lavorative eccede il credito risarcitorio per la stessa voce, il calcolo del danno differenziale sarà:

– più favorevole alla vittima, se avviene “per poste”;

– più favorevole all’Inail, se avviene in modalità “integrale”;

– neutro, se avviene “per poste omogenee”.

3.3 La Corte di cassazione, negli ultimi cinque anni, aveva ripetutamente affrontato questo problema, e stabilito che l’unico criterio di calcolo del danno differenziale compatibile con il codice civile e la Costituzione era il criterio dello scomputo “per poste”.

Fu dapprima Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13222, in Foro it., 2015, I, 3169, ad affermare che al fine di calcolare il cd. danno biologico differenziale, spettante alla vittima nei confronti del terzo civilmente responsabile, dall'ammontare complessivo del danno biologico deve essere detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'Inail, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare il danno biologico, dal momento che la rendita pagata dall'Inail per invalidità superiori al 16% indennizza in parte il danno biologico, ed in parte il danno patrimoniale da incapacità di lavoro e di guadagno, che viene liquidato forfetariamente in base ai criteri di cui all’Allegato n. 5 al dm 12 luglio 2000.

Questo principio venne in seguito ribadito da numerose altre decisioni: da Cass. civ. [ord.], sez. VI, 30 agosto 2016, n. 17407, in Foro it., 2016, I, 3468; da Cass. civ., sez. lav., 14 ottobre 2016, n. 20807, in Riv. dir. sicurezza sociale, 2017, 141; da Cass. civ. [ord.], sez. VI, 09 novembre 2016, n. 22862 (ove si afferma che il danno differenziale va compiuto sottraendo dal credito risarcitorio l'importo dell'indennizzo versato alla vittima dall'Inail «per il medesimo pregiudizio»); da Cass. civ., sez. lav., 10 aprile 2017, n. 9166, in Labor, 2017, 715; da Cass. civ., sez. lav., 21 novembre 2017, n. 27669.

3.4 Nell’ordinanza 17407/16 appena citata, in particolare, sono contenute alcune affermazioni di particolare rilievo per la nostra materia.

La prima è l’affermazione del principio secondo cui, ai fini dell’accertamento del danno differenziale, va tenuto distinto il rapporto tra vittima ed offensore da un lato, e quello tra assicuratore sociale e responsabile dall’altro.

Quando si tratta di liquidare il danno (differenziale) dovuto alla vittima, il giudice di merito non può liquidare il risarcimento del danno biologico tenendo conto di quanto già pagato alla vittima dall'Inail, ma per titoli diversi: ad esempio, a titolo di retribuzioni non percepite od anticipazione di spese mediche, e ciò per due ragioni: la prima è il divieto posto dall'ultimo comma dell'art. 142 cod. ass., che sancisce il principio di intangibilità del diritto al risarcimento del danno biologico da parte dell'assicuratore sociale, salvo che quest'ultimo abbia indennizzato lo stesso tipo di pregiudizio; la seconda è l'interpretazione dell'art. 1916 cc recepita dalla Corte costituzionale, con una sentenza additiva e dunque vincolante, la quale affermò l’illegittimità dell'art. 1916 cc, nella parte in cui consente all'assicuratore di avvalersi, nell'esercizio del diritto di surrogazione nei confronti del terzo responsabile, anche delle somme da questo dovute all'assicurato a titolo di risarcimento del danno biologico.

Tuttavia ciò non toglie che le somme pagate dall’Inail a titolo di danno patrimoniale o spese mediche non possano essere recuperate dal responsabile, se quei danni siano stati effettivamente da questi provocati.

Insomma, per Cass. 17407/16 la misura del danno differenziale e la misura della surrogazione dell’Inail non sono questioni tra loro interdipendenti. La circostanza che una quota di indennizzo pagata dall’Inail non possa defalcarsi dal ristoro del danno biologico non esclude certo il diritto dell’Inail di surrogarsi per il corrispondente importo, se il pregiudizio indennizzato dall’Istituto esiste effettivamente e sia stato causato dal responsabile civile.

3.5 La suddetta ordinanza, inoltre, ricostruì un vero e proprio vademecum per il calcolo del danno differenziale, esaminando le varie voci di danno astrattamente indennizzabili dall’Inail. A tal riguardo osservò che:

a) se la vittima ha patito un danno biologico permanente, dal relativo credito risarcitorio è necessario detrarre l’indennizzo per tal voce pagato dall’Inail, col metodo seguente: (a-1) si determina il grado di invalidità permanente patito dalla vittima e monetizzarlo, secondo i criteri della responsabilità civile, ivi inclusa la personalizzazione e il “danno morale”; (a-2) si sottrae dall'importo sub (a-1) non il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'Inail, ma solo il valore capitale della quota di rendita che ristora il danno biologico;

b) se la vittima ha patito un danno biologico temporaneo, esso in nessun caso potrà essere ridotto per effetto dell'intervento dell'assicuratore sociale, dal momento che l'Inail non indennizza questo tipo di pregiudizio, e se non v'è pagamento non può esservi surrogazione;

c) se l’Inail ha indennizzato il danno patrimoniale da riduzione permanente della capacità di guadagno (si è già detto che tale pregiudizio per la legislazione infortunistica è presunto quando l’invalidità biologica ecceda il 16%), il relativo indennizzo assicurativo potrà essere detratto dal risarcimento aquilano solo se la vittima abbia effettivamente patito un pregiudico di questo tipo. Negli altri casi, l'indennizzo resta acquisito alla vittima, ma non potrà essere defalcato dal credito risarcitorio di quest'ultima per altre voci di danno, né potrà dar luogo a surrogazione: se infatti la vittima non ha patito alcuna riduzione della capacità di guadagno, non vanta il relativo credito verso il responsabile, e se quel diritto non esiste, non può nemmeno trasferirsi all’assicuratore sociale;

d) l'indennizzo pagato dall'Inail a titolo di inabilità temporanea o spese mediche non può essere defalcato dal credito risarcitorio aquiliano spettante alla vittima per voci di danno diverse, per quanto già esposto.

4. Le novità introdotte dalla legge 145/18: (a) il danno differenziale

4.1 Ora che abbiamo riassunto il quadro del “diritto vivente”, accostiamoci alle novità introdotte dalla legge 145/18, per poi cercarne di prevedere gli effetti concreti.

La legge 30 dicembre 2018 n. 145 (recante Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019–2021) è una legge per lancem saturam, contenente norme d’ogni tipo: sull’impresa familiare, fiscali, sulla tessera sanitaria, sulle cabinovie, sull’accesso alla laguna di Venezia e persino sulle Olimpiadi di Torino del 2006 (forse qualche sciatore è arrivato al traguardo solo ora) [4].

L’art. 1 di tale legge consta di 1143 commi, equivalenti da soli a metà del codice civile.

Di questi, i commi da 1121 a 1126 riguardano la nostra materia.

Il meccanismo complessivamente previsto da tali disposizioni può riassumersi come segue.

Con la legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013 n. 146, art. 1, comma 128), venne introdotto un meccanismo di progressiva riduzione dei contributi assicurativi dovuti dal datore di lavoro all’Inail, al dichiarato fine di alleggerire il costo del lavoro. Questo meccanismo è stato confermato dalla legge di stabilità del 2019, la quale ha previsto (art. 1, comma 1121), una riduzione delle tariffe Inail per 1.535 milioni di euro in tre anni, «considerate le risultanze economico–finanziarie e attuariali e tenuto conto degli andamenti prospettici del predetto Istituto».

Per bilanciare la riduzione dei premi assicurativi, la legge di stabilità ha previsto due misure principali: da un lato dei tagli alle risorse destinate dall'Inail a finanziare, tra l’altro, i progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 1, comma 1122); e dall’altro la riforma dei criteri di calcolo del danno differenziale, del regresso dell’Inail nei confronti del datore di lavoro, e della surrogazione dell’Inail nei confronti del terzo responsabile (art. 1, comma 1126).

L’art. 1, comma 1126, legge 145/18 ha infatti modificato gli artt. 10 e 11 del dPR 30 giugno 1965 n. 1124, che come ricordato è il testo unico sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro; nonché l’art. 142, comma 2, d.lgs 7 settembre 2005 n. 209 (codice delle assicurazioni), che disciplina la surrogazione dell’assicuratore sociale nei confronti dell’assicuratore della Rca del responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore.

Esaminiamo dunque partitamente queste tre modifiche.

4.2 L’art. 10 dPR 1124/65 è la norma che istituisce l’esonero del datore di lavoro da responsabilità per l’infortunio occorso al lavoratore, salvo il caso di reato. Ipotesi, questa, che di fatto sussiste quasi sempre, dal momento che la lesione o la morte di per sé costituiscono l’elemento oggettivo di altrettanti reati, e in caso di infortunio la colpa del datore si presume ex artt. 1218 cc o 2087 cc.

La medesima norma stabiliva che, quando non vi sia l’esonero, il datore rispondesse solo per l’eccedenza («quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti»). E si è visto sopra come si dovesse intendere questa norma: dal credito risarcitorio aquiliano vantato dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro si doveva detrarre l’indennizzo pagato dall’Inail “per poste”: il biologico dal biologico, il patrimoniale dal patrimoniale.

Il nuovo testo dell’art. 10, commi 6 e 7, dPR 1124/65 stabilisce ora:

a) «non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell'indennità che a qualsiasi titolo ed indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto» (comma 6);

b) «quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti e per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38» (comma 7);

c) «agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita complessivamente liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 nonché da ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo» (comma 8).

Vediamo ora cosa significano in concreto queste tre regole.

4.3 La prima regola, c’è da scommetterci, darà filo da torcere agli interpreti.

Essa infatti contiene un perfetto paradosso di Epimenide («C’è un cretese che dice: tutti i cretesi mentono»).

La novella infatti stabilisce che per il calcolo del danno differenziale bisogna comparare due valori:

a) il risarcimento «complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo», e

b) l'indennità «che a qualsiasi titolo ed indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato».

L’espressione «pregiudizi oggetto di indennizzo» non può che riferirsi ai danni oggetto di copertura assicurativa da parte dell’Inail: il biologico permanente, il danno alla capacità di guadagno, le spese di cura e riabilitazione, il danno patrimoniale da forzosa assenza dal lavoro. Altra possibilità interpretativa non v’è, perché “indennizzo” è quel che paga l’Inail, non quel che è dovuto dal responsabile.

La norma quindi stabilisce che il minuendo della nostra sottrazione non è l’intero risarcimento dovuto dal responsabile, ma solo il risarcimento dei danni oggetto di copertura assicurativa. Il sottraendo, però, deve essere per previsione della stessa norma calcolato sommando gli indennizzi pagati dall’Inail «a qualunque titolo».

Proviamo allora a fare una simulazione. Tizio rimane vittima di un infortunio sul lavoro e patisce i seguenti danni:

a) 100 per danno biologico permanente;

b) 20 per danno biologico temporaneo;

c) 20 per personalizzazione;

d) 30 per l’assistenza domiciliare durante la malattia;

e) 80 per incapacità lavorativa;

f) 40 per cure mediche private.

Di tutti questi danni, l’Inail indennizza solo quelli sub a) ed e). Dunque il minuendo del calcolo del differenziale dovrebbe essere 180.

Immaginiamo ora che l’Inail abbia pagato alla vittima, come è frequente:

a) 80 per danno biologico permanente;

b) 60 per danno alla capacità lavorativa;

c) 40 per remunerazioni non godute durante la malattia;

d) 10 per riabilitazione.

La vittima ha dunque percepito dall’Inail complessivamente indennizzi per 190, eccedenti il credito risarcitorio a questa spettate per «i pregiudizi oggetto di indennizzo».

Il risultato finale e paradossale è che la vittima è di fatto espropriata di una parte del suo credito risarcitorio (nell’esempio fatto, quello per danno biologico temporaneo, personalizzazione, assistenza domiciliare, spese mediche) che non sarà pagato da alcuno: non dal datore, perché la bizzarra modalità di calcolo sopra descritta non lascia alcuna eccedenza del credito risarcitorio rispetto all’indennizzo Inail; e non dall’Inail, perché i danni sopra descritti non sono oggetto di copertura assicurativa.

E l’errore concettuale che sta alla base di questo aberrante risultato è di sconcertante evidenza: quando si tratta di determinare la voce positiva del nostro calcolo (il minuendo della nostra sottrazione) la legge impone di prendere in considerazione solo il risarcimento dovuto per i danni «oggetto di indennizzo» da parte dell’Inail; quando, invece, si tratta di determinare la voce negativa (il sottraendo della nostra operazione), la legge impone di prendere in considerazione gli indennizzi ricevuti dalla vittima «a qualunque titolo».

È davvero arduo immaginare da quale acutezza di riflessioni o profondità di studi possa essere nata una simile idea; fatto sta che essa – oltre ad essere manifestamente irrazionale – è controproducente per lo stesso Inail.

4.4 La seconda regola introdotta dalla novella del 2018 (comma settimo dell’art. 10 dPR 1124/65) non è meno problematica della prima, se messa in connessione con quella.

In senso stretto, la regola vuol dir questo: che nel calcolo del danno differenziale dovuto al lavoratore non si dovrà più distinguere tra l’indennizzo pagato dall’Inail a titolo di ristoro del danno biologico, e la maggiorazione pagata a titolo di ristoro del danno patrimoniale da incapacità lavorativa.

L’uno e l’altro dovranno essere defalcati dal credito risarcitorio vantato dalla vittima verso il datore di lavoro.

Ora, nessun problema si pone se l’infortunio ha causato alla vittima un danno alla salute ed un danno alla capacità di guadagno. Tutto resta invariato: la vittima è indennizzata dall’Inail per l’uno e per l’altro, e l’uno e l’altro indennizzo dovrà essere decurtato, rispettivamente, dal credito per danno biologico per lucro cessante.

Molti problemi invece si pongono se la vittima, sul piano civilistico, non ha subito danni alla capacità di lavoro, ma ha comunque patito un danno biologico superiore al 16%.

In questi casi, come già detto, un danno aquiliano da lucro cessante non sussiste, ma l’Inail liquida comunque un indennizzo per tale pregiudizio, che è presunto iuris et de iure.

Ciò vuol dire che la somma percepita dalla vittima a titolo di ristoro del danno alla capacità di lavoro (presunto ope legis, ma di fatto insussistente) andrà a defalco del credito risarcitorio per danno biologico.

L’effetto pratico è che la posizione del lavoratore infortunato diventa anche sotto questo aspetto deteriore rispetto al passato. Se, infatti, prima della riforma la vittima d’un infortunio aveva patito un danno biologico di 50.000 euro e nessun danno patrimoniale, ed aveva incassato dall’Inail una rendita del valore capitale di euro 50.000, 30.000 dei quali a titolo di danno biologico e i restanti 20.000 a titolo di danno alla capacità lavorativa, essa poteva pretendere dal datore di lavoro a titolo di danno differenziale la somma di euro 20.000.

Oggi, invece, la vittima nel caso sopra descritto non avrà nulla da pretendere dal datore di lavoro, poiché la somma algebrica di danno ed indennizzo è pari a “0”.

L’effetto penalizzante per la vittima di questo settimo comma, già di per sé non lieve, è amplificato dal “gioco” combinato di esso con la regola contenuta nel sesto comma.

Come s’è visto al paragrafo precedente, per stabilire se residua un danno differenziale a favore del lavoratore infortunato occorre detrarre non tutto l’indennizzo da tutto il risarcimento, ma tutto l’indennizzo da una parte del risarcimento (questo, formalmente, c’è scritto nel sesto comma).

Ma a causa della eterogeneità delle voci che possono formare oggetto di risarcimento rispetto a quelle che formano oggetto di indennizzo, come s’è detto può accadere le somme pagate dall’Inail a titolo di inabilità temporanea o impianti protesici vadano a defalco delle somme dovute alla vittima a titolo di danno biologico.

Se poi, per mostro e miracolo, pur all’esito di questo eteroclito meccanismo, il credito della vittima dovesse eccedere il coacervo delle indennità percepite dall’Inail, quando si deve passare a calcolare il danno differenziale, come già detto non sarà più possibile alcuna distinzione tra quota di rendita a ristoro del danno patrimoniale, e quota di rendita a ristoro del danno non patrimoniale. L’una e l’altra dovranno essere detratte dal credito risarcitorio per danno biologico. Il combinato disposto dei due commi, pertanto, finisce per avere in concreto un effetto doppiamente penalizzante per la vittima: sia quando si tratta di stabilire se il datore di lavoro debba o non debba pagare un danno differenziale (poiché per stabilire ciò si sottrae tutto quanto versato dall’Inail, da una parte soltanto di quanto dovuto dal datore); sia quando si tratta di stimare il danno differenziale (perché sia l’indennizzo Inail per danno patrimoniale, sia quello per danno biologico, vengono detratti dal credito risarcitorio per danno biologico).

4.5 La terza regola (comma 8 del novellato art. 10 dPR 1124/65), dopo la modifica del comma sesto è divenuta una norma inutile (e questo la dice lunga sulla consapevolezza nomopoietica del legislatore).

Infatti, poiché il novellato art. 10, comma 6, stabilisce che il danno differenziale si accerta sottraendo dal credito civilistico per risarcimento gli indennizzi pagati dall’Inail «a qualunque titolo», diveniva superfluo ribadire, nell’ottavo comma, che il «sottraendo» del danno differenziale consiste nel «valore capitale della rendita complessivamente liquidata (…) nonché da ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo».

5. Le novità introdotte dalla legge 145/18: b) il regresso dell’assicuratore sociale

5.1 Come accennato, l’art. 1, comma 1126, legge 145/18 ha novellato l’art. 11 dPR 1124/65.

L’art. 11 dPR 1124/65 è la norma che disciplina il regresso dell’assicuratore sociale nei confronti del datore di lavoro responsabile dell’infortunio patito dal lavoratore assicurato, ovvero delle persone da quello incaricate che abbiano causato o concausato il danno.

Nel testo originario, la norma prevedeva che l’Inail avesse regresso «per le somme pagate a titolo d'indennità e per le spese accessorie contro le persone civilmente responsabili».

Il nuovo testo stabilisce ora che l’Inail ha regresso «per le somme a qualsiasi titolo pagate», ma «nei limiti del complessivo danno risarcibile».

Svanisce, dunque, qualsiasi necessità di distinguere «per poste» il credito risarcitorio dal credito indennitario: l’Inail ha regresso nei confronti del datore di lavoro per qualsiasi somma pagata a qualsiasi titolo, alla sola condizione che sia rispettato il limite del danno complessivamente causato dal datore di lavoro.

Così, per fare un esempio: immaginiamo che la vittima abbia patito un danno biologico di 100 ed un danno patrimoniale per assistenza domiciliare di 50. Il datore di lavoro responsabile avrà dunque un debito di 150.

Immaginiamo che l’Inail abbia pagato alla vittima 80 a titolo di biologico, 60 a titolo di incapacità lavorativa (presunta), e 30 per l’inabilità temporanea. Quando l’Inail andrà a bussare alla porta del responsabile civile questi verserà tutto il proprio debito nelle mani dell’Inail, poiché gli indennizzi pagati dall’istituto eccedono il credito civilistico. Ma poiché il responsabile non può certo essere costretto a pagare due volte, quando sarà il turno del lavoratore, questi si vedrà negare qualsiasi risarcimento di danni differenziali dal datore di lavoro, sul presupposto che la sua obbligazione civilistica si è già estinta per avvenuto adempimento.

Così la vittima, che in caso simile prima della riforma avrebbe avuto di diritto di pretendere dal responsabile l’importo di 70 (20 a titolo di danno biologico differenziale, 50 a titolo di danno patrimoniale l’assistenza domiciliare, non indennizzato dall’Inail), dopo la riforma avrà diritto ad un bel zero tondo.

6. Le novità introdotte dalla legge 145/18: c) la surrogazione dell’assicuratore sociale

6.1 L'art. 1, comma 1126, lettera f), della legge 145/18 ha infine modificato l’art. 142, comma 2, cod. ass..

Il nuovo testo stabilisce che l’assicuratore della Rca, quando la vittima del sinistro dichiari di avere diritto a prestazioni da parte di assicuratori sociali (e quindi tutti, non solo l’Inail), deve accantonare una somma «idonea a coprire il credito dell'ente per le prestazioni erogate o da erogare a qualsiasi titolo».

In precedenza la legge si limitava a stabilire che la somma accantonata dall’assicuratore doveva essere sufficiente a coprire il credito dell’assicuratore sociale «per le prestazioni erogate o da erogare».

Io non saprei dire, in tutta onestà, quale scopo con questa modifica, il legislatore intendesse raggiungere. Dal punto di vista logico, infatti, non v’è differenza tra lo stabilire che l’assicuratore della Rca deve accantonare somme sufficienti a rivalere l’ente previdenziale «per le prestazioni erogate o da erogare a qualsiasi titolo», e lo stabilire che l’accantonamento deve avvenire per rivalere l’ente previdenziale delle «prestazioni erogate o da erogare».

Secondo la Grammatica Italiana Treccani, l’infinito del verbo retto dalla preposizione “da” è una struttura perifrastica che esprime una proposizione finale implicita, con valore di “dovere”. Le “prestazioni da erogare” sono dunque, per la lingua italiana, le somme che si ha l’obbligo giuridico di pagare.

Il testo originario della legge non conteneva alcun complemento di limitazione.

Dire, pertanto, che l’assicuratore della Rca deve accantonare le somme che l’assicuratore sociale “deve pagare”, in assenza di un complemento di limitazione, voleva dire obbligare l’assicuratore Rca ad accantonare le somme che l’assicuratore sociale doveva pagare a qualsiasi titolo.

Pertanto la novella dell’art. 142 cod. ass. nulla aggiunge a quanto non fosse già desumibile dal teso previgente.

Ove, poi, l’imperscrutabile logica giuridica del legislatore abbia inteso, con tale norma, accordare all’assicuratore sociale una surrogazione di più ampia portata rispetto al passato, ben difficilmente questo risultato potrebbe dirsi raggiunto.

I princìpi della surrogazione, infatti, sono rimasti intatti: intatto è rimasto l’art. 1916 cc, e la secolare giurisprudenza su esso formatasi, secondo cui il responsabile, per effetto della surrogazione, non può essere tenuto a rimborsare danni che non ha causato. Se, dunque, l’assicuratore sociale indennizza danni presunti (ad esempio, nel caso dell’Inail, l’incapacità lavorativa per le invalidità superiori al 16%), il responsabile ed il suo assicuratore della Rca non sono affatto obbligati a rimborsarli, in virtù di tutto quanto esposto in precedenza.

7. Cenni di diritto intertemporale

7.1 Imprecisa nel lessico, costituzionalmente inquietante nei contenuti, problematica negli effetti, la legge 145/18 nella parte che qui si commenta ha un ulteriore punctum pruriens: la totale carenza di norme di diritto transitorio.

L’art. 19 stabilisce infatti che la legge entri in vigore il 1° gennaio 2019 «salvo quanto diversamente previsto», e nulla è previsto in tema di danno differenziale, regresso e surrogazione dell’assicuratore sociale.

Occorrerà dunque ricorrere ai princìpi generali, e chiedersi quando possano dirti venuti ad esistenza i diritti (al risarcimento, di regresso, di surrogazione) ricadenti nel campo applicativo delle nuove norme.

Per rispondere a questa domanda occorre a mio avviso muovere dal rilievo che la legge, nella parte che qui interessa, ha inciso su tre questioni:

- la liquidazione del danno differenziale che il lavoratore infortunato vanta nei confronti del datore di lavoro (art. 10 dPR 1124/65, cit.);

- il diritto di regresso dell’assicuratore sociale nei confronti del datore di lavoro del lavoratore infortunato (art. 11 dPR 1124/65);

- il diritto di surrogazione dell’assicuratore sociale nei confronti dell’assicuratore della Rca del responsabile dell’infortunio.

Ebbene, quanto alla prima di tali questioni, se è vero che il diritto al risarcimento del danno viene ovviamente ad esistenza nel momento in cui è commesso il fatto illecito, è altresì vero che l’art. 1, comma 1126, legge 145/18 non riguarda l’esistenza del diritto al risarcimento del danno: disciplina piuttosto i criteri di determinazione del quantum. E poiché è pacifico che la liquidazione del danno debba avvenire in base alle norme vigenti al momento in cui si effettua la liquidazione, il novellato art. 10 dPR 1124/65 nei rapporti tra vittima e datore di lavoro si applicherà alle liquidazioni giudiziali o stragiudiziali successive al 1° gennaio 2019, anche se il danno è anteriore.

Per quanto attiene, invece, ai rapporti tra l’Inail e il datore di lavoro, il novellato art. 11 dPR 1124/65 si applicherà alle domande di regresso scaturenti da pagamenti effettuati dall’assicuratore sociale dopo il 1° gennaio 2019. Il diritto di regresso infatti sorge al momento del pagamento, e mutua la disciplina vigente al momento in cui sorge, non al momento in cui il debitore adempie.

Nei rapporti, infine, tra l’Inail e l’assicuratore della Rca del responsabile del danno, il novellato art. 142 cod. ass., riguardando un obbligo dell’assicuratore della Rca (quello di accantonamento) che sorge quando abbia ricevuto la richiesta di risarcimento, la nuova norma si applicherà alle sole richieste risarcitorie avanzate dalla vittima d’un sinistro stradale, nei confronti dell’assicuratore del responsabile, dopo il 1° gennaio 2019.

8. Considerazioni conclusive

8.1 Vorrei ora svolgere qualche riflessione finale sugli effetti teorici e pratici di questa riforma.

Ratio della legge è reperire le risorse per ridurre i premi assicurativi, e i premi assicurativi vengono ridotti per favorire – si afferma – la competitività delle imprese (resta tuttavia pur sempre il dubbio che l’arriere pensée del legislatore non sia stato quello di raschiare il fondo del barile per reperire d’ogni dove risorse da destinare a nuovi e problematici istituti di previdenza sociale).

Questo obiettivo viene scaricato, di fatto, sulle spalle della vittima dell’infortunio. Alla fine dei giochi, infatti, è solo questa che vede ridursi il risarcimento dovutole in caso di infortunio. Si rifletta:

- il debito complessivo del responsabile civile non cambia: il tetto massimo di esso resta pur sempre l’entità del danno complessivamente causato; che poi la relativa obbligazione debba essere adempiuta nelle mani dell’infortunato o nelle mani dell’Inail, cambia poco per il debitore;

- il credito dell’Inail resta ovviamente invariato, dal momento che nessuna prestazione è stata incrementata;

- il credito risarcitorio della vittima, invece, viene drasticamente intaccato rispetto al sistema previgente.

Mentre, infatti, in passato il lavoratore infortunato poteva pretendere dal responsabile il ristoro di tutti i danni effettivamente patiti, ma non indennizzati dall’Inail (danno biologico temporaneo, danno morale, personalizzazione, danno patrimoniale diverso dall’incapacità lavorativa), oggi i crediti per tutti questi danni verranno a ridursi per effetto del meccanismo dello “scorporo integrale”, sopra descritto.

È dunque doveroso chiedersi se tali innovazioni siano compatibili col dettato costituzionale. Ed io riterrei di no.

8.2 In primo luogo, balza evidente all’attenzione la disparità di trattamento.

La regola dello scorporo integrale viene introdotta solo per l’Inail, e solo per l’azione di regresso spettante nei confronti del datore di lavoro.

Quella regola, pertanto, non si dovrebbe applicare alle infinite ulteriori ipotesi di interferenza tra assicurazione sociale e responsabilità civile: ad esempio, nell’ipotesi di erogazione da parte dell’Inps dell’assegno di invalidità ex lege 222/84, oppure di erogazione da parte della Regione dell’indennità ai contagiati da emotrasfusione, ex lege 210/92.

Nemmeno si potrebbero applicare le norme dettate dall’art. 11 dPR 1124/65 (che disciplina il regresso) alle ipotesi di surrogazione dell’assicuratore sociale ex art. 1916 cc, che è istituto diverso dal regresso. Con la conseguente assurdità che se l’Inail paga la vittima e si rivale verso il datore di lavoro, s’applicheranno le nuove regole di cui all’art. 11 dPR 1124/65; ma se l’infortunio è stato causato da un terzo (esempio, un sinistro stradale in itinere), nei confronti di quest’ultimo, l’Inail non potrebbe invocare la “surrogazione integrale” prevista dalla riforma. Per quanto già detto, infatti, il novellato comma secondo dell’art. 142 cod. ass. non consente affatto di giungere a questa conclusione.

8.3 In secondo luogo, l’effetto dell’art. 11 dPR 1124/65, come novellato, sarà questo: che l’Inail avrà regresso nei confronti del datore di lavoro anche con pregiudizio del credito del lavoratore per il risarcimento di danni che non hanno formato oggetto di copertura assicurativa.

Ma questa possibilità venne ritenuta già due volte costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale (Corte cost., 06 giugno 1989, n. 319, in Foro it., 1989, I, 2695, e Corte cost., 18 luglio 1991, n. 356, in Assicurazioni, 1991, II, 2, 109).

È vero che tali decisioni avevano scrutinato norme che disciplinavano la surrogazione e non il regresso, ma è altresì vero che i princìpi ivi affermati sono suscettibili di essere applicati anche a quest’ultimo istituto.

La ragione, infatti, per la quale la Consulta dichiarò costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 2, 32 e 38 cost., prima l’art. 28 legge 24 dicembre 1969 n. 990 e poi l’art. 1916 cc, fu l’impossibilità di comprimere il diritto al risarcimento d’un danno da lesione d’un diritto fondamentale, «non altrimenti risarcito».

E poiché l’Inail continua a non assicurare il danno morale, la personalizzazione del danno biologico, il danno biologico temporaneo, non mi pare conforme a Costituzione ammettere che il diritto della vittima al risarcimento di tali pregiudizi possa essere sacrificato per effetto dell’esercizio del diritto di regresso da parte dell’Inail nei confronti del datore di lavoro.

Con la già ricordata sentenza n. 356/91 la Corte costituzionale, dopo avere ricordato che «le finalità perseguite con l’attribuzione dell’azione di surroga non possono mai risolversi nel pregiudizio di valori costituzionalmente garantiti, quale è il diritto alla salute», proseguì affermando una serie di princìpi che è molto utile richiamare oggi. Proverò a riassumerli telegraficamente:

a) quando la copertura assicurativa si limiti ad indennizzare la perdita o riduzione di alcune soltanto delle capacità del soggetto, consentire che l’assicuratore, nell’esercizio del proprio diritto di surroga nei confronti del terzo responsabile, si avvalga anche del diritto dell’assicurato al risarcimento dei danni alla persona non coperti dalla prestazione assicurativa, significa sacrificare il diritto dell’assicurato stesso all’integrale risarcimento di tale danno, con conseguente violazione dell’art. 32 Cost.;

b) escludere il diritto al risarcimento del danno in ragione delle indennità assicurative che la vittima abbia percepito dall’assicuratore sociale, non può essere raffigurato come una operazione di mera compensazione, per cui egli viene a ricevere in meno da una parte solo quanto abbia ricevuto in più dall’altra. Consentire l’imputazione delle somme erogate, agli effetti della surroga, a ragioni risarcitorie diverse implica necessariamente un sacrificio di queste ultime, non consentito allorquando le stesse siano assistite da un riconoscimento costituzionale.

E concluse la Corte: «Non si vede come l’esistenza di una pretesa risarcitoria dell’assicurato estranea alla copertura assicurativa possa alterare, riducendoli, i termini, le condizioni e l’oggetto di quest’ultima».

E se la Corte costituzionale non vide allora la ragione della riduzione risarcitoria, a me pare che nemmeno la si possa vedere oggi.



[1] Cass., 27 aprile 1995, n. 4642, in Foro it. Rep., 1995, Assicurazione (contratto), n. 126; Cass., 7 agosto 1991, n. 8597, in Foro it. Rep., 1991, Assicurazione (contratto), n. 126; Cass., 15 febbraio 1971, n. 380, in assicurazioni, 1972, II, 2, 65; Cass., 6 marzo 1969, n. 742, in Assicurazioni, 1970, II, 2, 43; Pret. Novara, 19 maggio 1987, in Arch. circolaz., 1987, 968.

[2] Vi è chi pretende di distinguere tra “danno differenziale” [l’ipotesi a) nel testo] e “danno complementare” [l’ipotesi b) nel testo]. Ma poiché la disciplina giuridica sarebbe comunque la medesima, e frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora, la distinzione mi parrebbe più terminologica che sostanziale.

[3] Dalle citazioni che seguono, può cogliersi la misura di tali divergenze:

- Trib. Vicenza 4 gennaio 2007 n. 321, in www.dejure.it, ha calcolato il danno differenziale: a) sommando l’intero danno civilistico meno quello morale; b) sommando l’intero danno Inail; d) detraendo l’importo b) da quello a); d) sommando al risultato il danno morale;

- Trib. Roma 12 novembre 2009 n. 26692, inedita, ha calcolato il danno differenziale: a) sottraendo da danno biologico civilistico il danno biologico Inail; b) sottraendo dal danno patrimoniale civilistico il danno patrimoniale Inail; c) sommando le differenze a) e b) al danno morale ed alle spese mediche;

- Trib. Pesaro 30 giugno 2009, in www.pluris.it, ha calcolato il danno differenziale: a) sottraendo il danno biologico Inail dal danno biologico permanente civilistico; b) addizionando la differenza i al danno biologico civilistico temporaneo;

- Trib. Monza 31 luglio 2009, in www.pluris.it, ha calcolato il danno differenziale: a) sottraendo l’intero danno Inail (biologico e patrimoniale) dal cumulo del danno civilistico permanente biologico e patrimoniale; b) aggiungendo alla differenza sub a) il danno morale e quello biologico temporaneo;

- Trib. Terni 10 marzo 2009, in www.pluris.it, ha calcolato il danno differenziale sottraendo il danno Inail dal coacervo del danno civilistico maggiorato degli interessi di mora;

- Trib. Camerino 19 luglio 2006, in www.dejure.it, ha calcolato il danno differenziale sottraendo il solo danno biologico Inail dal solo danno biologico civilistico;

- Trib. Piacenza 4 giugno 2009 n. 401, in www.dejure.it, ha calcolato il danno differenziale: a) sommando il danno biologico civilistico ed il danno morale civilistico; b) detraendo dal risultato il danno biologico INAIL; c) aggiungendo al risultato sub b) il danno al veicolo.

[4] I Romani, il cui genio giuridico ha consegnato al mondo moderno buona parte del diritto quo utimur, capirono subito come devono essere scritte le leggi. Nel 98 a.C. si vietò infatti con la lex Caecilia Didia de modo legum promulgandarum di approvare leggi comprendenti disposizioni eterogenee (rogatio per saturam): ma già in precedenza esisteva una consuetudine costituzionale secondo cui qualsiasi rogatio doveva avere ad oggetto uno ed un solo argomento [Cassola e Labruna, Le assemblee popolari, in Talamanca (a cura di), Lineamenti di storia del diritto romano, Milano, 1979, p. 233].

Vanamente, oggi, si cercherebbe un nuovo Camillo che ripristini forme analoghe di civiltà giuridica nel procedimento di formazione delle fonti di produzione del diritto.

06/02/2019
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