Magistratura democratica
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Contro la semplificazione

di Maria Vittoria La Rosa
avvocata in Roma

L'"esigenza di semplificazione" sembra diventata una necessità imprescindibile, continuamente proclamata. Ma se, come accade, si traduce nella moltiplicazione di fonti normative, nell'introduzione di regimi temporanei o derogatori e di clausole di riserva, sembra piuttosto appesantire il lavoro dell'interprete fallendo al contempo gli scopi sostanziali. Un esempio in materia di diritto dell'ambiente mostra come la semplificazione, piuttosto che in un provvedimento dovrebbe risiedere in un atteggiamento.

1. Edifici normativi

Un mostro si aggira tra di noi, da molto tempo. Già da lontano sembra minaccioso e quando si avvicina si palesa ancora peggiore di quanto apparisse: eppure, continuiamo ad invocarlo. Soprattutto nel contesto delle discussioni alle quali assistiamo in questo periodo a proposito dell’uso delle risorse del Recovery Fund, nessuno mette seriamente in dubbio la necessità di lanciarsi all’inseguimento di questa creatura spaventosa: si tratta della semplificazione, la corsa alla quale, anche questa volta, è puntualmente iniziata.

La caccia a questo animale mitologico ha radici antiche. Come ci insegna il professor Afonso Celotto[1], già nel manifesto del Partito popolare – anno domini 1919 – venivano dedicati alcuni passaggi alla necessità di una «semplificazione della legislazione». Punti analoghi erano affrontati all’epoca nei programmi di altri partiti. In altre parole, in Italia la moda di invocare la semplificazione è vecchia di più di un secolo e assolutamente trasversale. Come molte abitudini inveterate, tuttavia, ci si può domandare se non sia diventata una coazione a ripetere.

Succede infatti che qualcuno traduca questo auspicio in realtà, o almeno ci provi, ottenendo come risultato testi normativi di circa ottanta pagine (è il caso dell’ultimo decreto-legge n. 77 del 2021, c.d. Decreto Semplificazioni 2021) che, più che a una funzione di semplificazione, sembrano voler assolvere a una funzione edificatoria, viste le loro conseguenze in termini di superfetazione degli istituti giuridici. 

Considerando specificamente la disciplina del procedimento amministrativo, ad esempio, di semplificazione in semplificazione si è passati da una legge quadro (la legge n. 241 del 1990) di trentuno articoli e otto pagine ad un condominio di norme e principi che conta attualmente cinquantuno articoli e ventitré pagine. Qualunque operatore potrà confermare che districarsi tra un piano e l’altro di questo edificio normativo non è diventato più semplice al crescere dell’altezza del fabbricato.

Proprio il Decreto Semplificazioni 2021, fermi restando i lodevoli intenti (e il contesto di oggettiva, straordinaria complessità nel quale le sue previsioni devono calarsi), è perfettamente coerente con le abitudini semplificatorie del legislatore italiano che, ad avviso di chi scrive, dovrebbero costituire la stella polare di chi vuole veramente semplificare (nel senso di costituire “worst practices” da non seguire). 

 

2. La moltiplicazione delle fonti

Una caratteristica che ha accompagnato spesso l’esercizio semplificatorio degli ultimi decenni è quella di aver moltiplicato le fonti normative. In altre parole, di aver disseminato le regole in una moltitudine di decreti legge, decreti legislativi, provvedimenti amministrativi etc., spesso non comunicanti tra di loro e non facilmente individuabili. Ne è un esempio eclatante la materia della costruzione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Grazie alle semplificazioni susseguitesi nel corso degli anni, chi oggi intenda sviluppare un impianto per la produzione di energia da fonti alternative deve cercare di individuare la procedura corretta tra le seguenti opzioni (elencate senza pretesa di esaustività):

- Procedura Autorizzativa Semplificata (PAS) disciplinata dall’art. 6 del D. Lgs. n. 28/2011, applicabile a taluni impianti di potenza ridotta,

- Dichiarazione di Inizio Lavori Asseverata disciplinata dall’art. 6 bis del D. Lgs. n. 28/2011, applicabile ad altri impianti di potenza ridotta diversi da quelli disciplinati dall’art. 6 sopra menzionato,

- Autorizzazione Unica disciplinata dall’art. 12 del D. Lgs. n. 387/2003, richiedibile per autorizzare impianti di dimensioni tendenzialmente maggiori rispetto a quelli autorizzabili in PAS o con la Dichiarazione di Inizio Lavori Asseverata e non soggetti all’obbligo di Valutazione di Impatto Ambientale di competenza regionale,

- Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR), novità “semplificatoria” introdotta dall’art. 27-bis del D. Lgs. 152/2006, abbattutasi sugli impianti non autorizzabili in forza delle altre procedure.

In particolare il temibile PAUR, inserito nel Codice dell’Ambiente in forza dell’articolo 16, comma 1 del D. Lgs. 104/2017 e dichiaratamente concepito in un momento di furore semplificatorio, ha seminato il panico, anche – ma non solo – per aver introdotto una nuova procedura autorizzativa in un corpo normativo diverso rispetto a quello che fino a quel momento era stato il punto di riferimento degli operatori del settore[2]. Tanto che, due anni dopo la sua introduzione nell’ordinamento, il Ministero dell’Ambiente e il Dipartimento della Funzione Pubblica – tra gli altri – hanno sentito la necessità di fornite indicazioni operative per l’utilizzo di questo strumento. Indicazioni operative sostanziatesi in un documento di quarantatré pagine, il quale tuttavia, come esso stesso chiarisce, non ha l’ambizione di risolvere problemi pratici o interpretativi, intendendo piuttosto «individuarli, "metterli in fila" così da stimolare una futura e condivisa riflessione»[3]. Nel frattempo, il risultato di questa semplificazione è stato che le aste bandite dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE) nel settembre del 2020 per assegnare gli incentivi connessi alla produzione di energia da fonti rinnovabili sono andate sostanzialmente deserte, non essendo molti i potenziali candidati riusciti a districarsi nel labirinto autorizzativo[4].

Inaspettatamente, negli ultimi mesi le Regioni e Province sembravano aver trovato un modo per convivere con il temibile PAUR di cui sopra, iniziando a portare avanti con una certa regolarità (da non confondere, ovviamente, con speditezza) le procedure autorizzative. A ciò ha inteso porre rimedio il Decreto Semplificazioni 2021, che ha avuto cura di arricchire il mosaico di un nuovo tassello – fortunatamente non automatico, ma rimesso alla volontà del soggetto richiedente le autorizzazioni – rappresentato dalla «fase preliminare al PAUR». Si è infatti pensato di concedere ai proponenti dei progetti la possibilità di richiedere l’avvio di una fase preliminare «finalizzata alla definizione delle informazioni da inserire nello studio di impatto ambientale, del relativo livello di dettaglio e delle metodologie da adottare per la predisposizione dello stesso nonché alla definizione delle condizioni per ottenere le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del progetto»[5]. In altre parole, si è preso atto che la norma che disciplina lo studio di impatto ambientale – i.e. l’art. 13 del D. Lgs. 152/2006 – non aiuta a capire come questo documento debba essere effettivamente redatto e, coerentemente con lo spirito semplificatorio italiano, anziché rendere più chiara la norma in oggetto si è pensato di aggiungerne un’altra, offrendo a chi richieda l’autorizzazione la possibilità di allungare ulteriormente un procedimento già particolarmente lungo e complesso in sé, con lo scopo di chiedere all’interlocutore istituzionale lumi sulle implicazioni pratiche di una norma sulla cui attuazione, evidentemente, lo stesso legislatore si è arreso. Si sorvola volutamente sul contenuto del comma 4 del nuovo art. 26-bis del D. Lgs. 152/2006, che nel disegno semplificatorio dovrebbe concedere alle autorità procedenti la possibilità di accorciare la durata del PAUR, nel caso di attivazione della procedura preliminare appena descritta: sembra una chiosa beffarda.

 

3. Regimi temporanei e “fatto salvo”

La moltitudine di procedure esistenti nel sistema italiano è nota. Aggiungere al mosaico già esistente regimi temporanei non fa che aggravare la situazione, non solo perché rende il quadro ancora più confuso, ma anche perché, tra l’altro, complica la verifica di legittimità delle procedure seguite, dal momento che chi la accerta non solo deve studiare e conoscere un numero imprecisato di leggi, decreti e quant’altro, ma deve anche avere ben chiaro quale di essi sia applicabile in ragione del momento in cui quel procedimento è stato avviato. Ne sanno qualcosa coloro i quali intendano chiedere dei finanziamenti, dal momento che la valutazione, da parte dell’istituto di credito, della domanda di fondi sarà inevitabilmente appesantita da verifiche circa la regolarità delle procedure amministrative avviate per autorizzare i progetti in esame, che quanto più sarà complicata la normativa di riferimento, tanto più saranno complesse e costose.

Il “fatto salvo” è il passaggio che spesso fa da detonatore al potenziale esplosivo già di per sé insito in molte delle semplificazioni piovute sul sistema italiano nelle ultime decadi. Di norma, si tratta di una tecnica normativa che consente di escludere l’applicabilità di una norma nei confronti di un certo numero di situazioni che potenzialmente ci ricadrebbero. La conseguenza è, spesso, quella di rendere ancora più difficile capire quale regola si applichi a quale situazione o a quali soggetti. 

Unitamente alla “excusatio normativa” oramai sempre più in voga (esemplificata da incipit come «Al fine di potenziare e semplificare il sistema delle verifiche antimafia per corrispondere con efficacia e celerità alle esigenze degli interventi di sostegno e rilancio del sistema economico-produttivo conseguenti all'emergenza sanitaria globale del COVID-19»: perché specificarlo? Per farsi perdonare del fatto di aver legiferato?), il “fatto salvo” contribuisce a “mantenere vive” una serie di eccezioni e casi particolari che fanno sì che la cosiddetta semplificazione, anche quando sia effettivamente tale, non risulti tuttavia applicabile sempre o a tutti, con l’inevitabile conseguenza di essere una semplificazione a metà e di essere nei fatti annullata dalla proliferazione delle casistiche.

Ne è un esempio lampante la disciplina del potere di annullamento in autotutela, che le pubbliche amministrazioni possono utilizzare per annullare in autonomia atti illegittimi, prima che a ciò provveda la magistratura amministrativa. Il termine per il legittimo esercizio del potere di autotutela è stato diminuito da diciotto a dodici mesi in forza dell’art. 63 del Decreto Semplificazioni 2021, con il dichiarato intento di fornire ulteriori certezze agli operatori economici che su quegli atti amministrativi - per quanto illegittimi - fondino la loro attività: tuttavia, le eccezioni previste dall’ultimo comma dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, unitamente ad interpretazioni giurisprudenziali non sempre prevedibili, contribuiscono a disinnescare la portata veramente semplificatoria della norma.

 

4. L’incontinenza normativa

Si tratta di una delle caratteristiche più dannose delle tecniche di semplificazione messe in atto negli ultimi anni. Anche in questo caso, un buon esempio è costituito dal regime autorizzativo applicabile alla costruzione di impianti per la produzione di energia da fonti alternative. In questo settore, chi volesse individuare le procedure autorizzative da attivare dovrebbe cercare di districarsi – tra le altre – tra le seguenti fonti:

- D. Lgs. n. 387/2003,

- Linee Guida del Ministero dello Sviluppo Economico, approvate con D.M. 10 settembre 2010,

- D. Lgs. 152/2006. come modificato, peraltro, a cadenza oramai stagionale,

- D. Lgs. n. 28/2011,

- D.M. del Ministero dello Sviluppo Economico del 4 luglio 2019, recante norme in materia di Incentivazione dell’energia elettrica prodotta dagli impianti eolici on shore, solari fotovoltaici, idroelettrici e a gas residuati dei processi di depurazione,

- D.M. del Ministero dello Sviluppo Economico del 23 giugno 2016, anch’esso recante norme in materia di Incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico.

Non sono state citate, volutamente, le leggi regionali, che fanno sì che il quadro normativo potenzialmente applicabile ad uno specifico progetto possa variare di Regione in Regione.

Si potrebbe andare avanti nell’esposizione, ma probabilmente non è necessario. La tesi che si vuole sostenere è che né l’ordinamento, né tantomeno l’economia reale hanno bisogno di questo genere di semplificazioni. Cercare di semplificare un quadro normativo complicato con provvedimenti ancora più articolati, numerosi, magari di efficacia limitata nel tempo e pieni di eccezioni sembra, a chi scrive, un esercizio vano, quando non dannoso.

 

5. La creatività

Ci si dovrebbe forse interrogare sulla opportunità di usare la creatività al di fuori dell’ambito artistico. Una occasione per porsi questo interrogativo sembra offerta dall’art. 62 del Decreto Semplificazioni 2021, il quale dispone che, nel caso in cui il silenzio dell’amministrazione equivalga a provvedimento di accoglimento, su richiesta dell’interessato l’amministrazione stessa debba rilasciare un’attestazione «circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo». In altre parole, si prende atto della sfiducia ispirata dal silenzio in quanto dimensione giuridica produttiva di effetti in sé e, anziché ripensarne le dinamiche, si tenta di imporre al pubblico di produrre una dichiarazione che renda quel silenzio un po’ meno aleatorio, sostanziando la volontà di semplificazione nell’aggiunta di un ulteriore tassello procedurale rappresentato da un “succedaneo” del provvedimento che non si è voluto/potuto pronunciare. Senza contare l’ulteriore perdita di credibilità che il silenzio-accoglimento subirà, ove non seguito dall’attestazione di cui sopra.

La semplificazione, dunque, dovrebbe forse assumere le forme non di un’ennesima legge, ma piuttosto di un atteggiamento nuovo, da parte di tutti gli attori del sistema. In altre parole, la semplificazione non dovrebbe essere un provvedimento, dovrebbe semmai essere un approccio metodologico, un’abitudine di pensiero, da parte di tutti costoro.

Da parte delle Amministrazioni, per esempio, l’atteggiamento più fruttuoso, di fronte ad una norma che dice che un certo procedimento è finalizzato al rilascio di «tutte le autorizzazioni necessarie» per fare una determinata cosa, non dovrebbe essere quello di cercare l’eccezione alla regola, ovvero cosa sia escluso dal concetto di “tutte” e sia perciò da demandare ad una fase ulteriore. 

Da parte di chi legifera, invece, l’approccio più costruttivo potrebbe essere quello di produrre meno norme, meno spesso, ma più concise, più chiare, meglio coordinate tra di loro, con meno eccezioni e senza addurre alcuna “excusatio non petita”: se non altro, per non prestare il fianco ad accusationes sempre più difficili da confutare.


 
[1] Will Media, Moriremo di burocrazia? (Podcast), 20 febbraio 2021, dal min. 3.20, https://open.spotify.com/episode/4s19aLcCVllXoy2RKiIpUF?si=GXHORs3fRDufxKD8uI5nVg&nd=1.

[2] Come specificato, la disciplina del PAUR è stata infatti inserita nel Codice dell’Ambiente, ovvero il D. Lgs. n. 152/2006, mentre l’autorizzazione unica che fino a quel momento aveva disciplinato la costruzione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti alternative è quella di cui all’art. 12 del D. Lgs. n. 387/2003.

[3] Il documento è scaricabile al seguente link: https://va.minambiente.it/it-IT/Comunicazione/DettaglioDirezione/1849.

[4] Cfr. https://www.e-gazette.it/sezione/rinnovabili/aste-deserte-quarto-bando-fer1-assegna-solo-quarto-potenza, dove si legge, tra l’altro, che «Su 1.882 MW disponibili nel quarto bando indetto dal GSE nel settembre scorso solo il 25% è stato aggiudicato».

[5] Art. 26 bis, del D. Lgs. 152/2006, aggiunto dall’art. 23, comma 1 del D. L. 77/2021. 

28/06/2021
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