Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Riflessioni in materia di intercettazioni

di Maria Elena Gamberini
giudice Tribunale di Palermo
Un contributo sul tema in attesa del ddl delega annunciato dal governo nel pacchetto sulla giustizia
Riflessioni in materia di intercettazioni

Nella conferenza stampa sulla riforma della giustizia, il Presidente del Consiglio ha chiarito, sul tema delle intercettazioni, che il magistrato deve essere libero di intercettare e che su questo punto specifico non ci sarà nessuna stretta.

Il tema semmai riguarda la pubblicazione delle intercettazioni coinvolgenti persone slegate alle indagini: “Dove sta il limite di pubblicabilità?”. Si è affermato che sarà vietato che la trascrizione delle telefonate sia riversata nelle ordinanze di custodia cautelare, dove le intercettazioni dovrebbero, invece, essere solo riassunte e che sarà fatto divieto di dare copia delle intercettazioni alle parti prima dell’udienza stralcio, di modo che gli avvocati prima di tale momento potrebbero solo ascoltarle.

Sarebbe questo, ad avviso dell’esecutivo, un modo per limitare i tanti casi in cui le intercettazioni arrivano ai giornali prima del tempo.

Posto che certamente va affrontato e risolto il problema dei limiti alla pubblicabilità delle intercettazioni, non pare che la soluzione sinteticamente proposta ed incidente sui diritti della difesa in sede cautelare possa rappresentare idoneo rimedio.

a) Talvolta è infatti proprio la lettura testuale delle frasi pronunciate dall’indagato o dai coindagati a fare ben comprendere quale ed in che termini sia il (suo-loro) coinvolgimento nell’attività delittuosa: se il senso del colloquio è riassumibile, spesso è necessario riportare anche testualmente alcune delle affermazioni auto ed etero indizianti e la difesa ha il diritto di sapere quali sono le frasi che attingono il proprio assistito e come quelle frasi vengono poi interpretate a suo carico, nella forma riassuntiva fatta propria dal P.M. e dal Giudice. Se da un lato il Pubblico Ministero può avere interesse a riportare integralmente un’espressione che ritiene particolarmente significativa  a evidenziare i gravi indizi a carico dell’indagato, dall’altro la difesa ha il diritto di conoscerla e di confutarne il significato attribuitole secondo la tesi accusatoria.

b) La mancanza della possibilità di estrarre copia della intercettazioni ed il loro mero ascolto prima dell’udienza stralcio, rappresenta una grave violazione del principio del giusto processo (art. 111 Cost. applicabile anche in sede cautelare) ed una seria limitazione del diritto di difesa in sede cautelare, con conseguenti non solo ipotizzabili ma altamente verosimili declaratorie di nullità del procedimento cautelare e di inefficacia della misura cautelare (come, ad esempio le sanzioni già irrogabili, secondo costante giurisprudenza dalla Corte di cassazione, in caso di ingiustificato rifiuto da parte del p.m. di consentire l’estrazione di copia, su supporto informatico, delle intercettazioni su cui si fonda il titolo cautelare, ex art. 268, co. 8 c.p.p., e questo prima ed a prescindere dall’udienza di stralcio).

c) Quindi, anche ipotizzando  una modifica dell’art. 268, co. 8 c.p.p. nei termini di cui sopra, la nuova disciplina non sfuggirebbe ad un macroscopico difetto di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 24 e 111  Cost.

Per contemperare il diritto di difesa e quello dei terzi estranei al reato, si potrebbe, invece, disporre l’obbligo di omissare le trascrizioni delle intercettazioni concernenti in via esclusiva terzi estranei al reato, le conversazioni con i quali non abbiano ovviamente ad oggetto l’attività delittuosa e, comunque, imporre al P.M. ed al Giudice il divieto di riportarne la trascrizione in seno alla richiesta cautelare ed all’ordinanza cautelare, con sanzione di inutilizzabilità processuale che varrebbe unicamente come stimolo indiretto (poiché si riverbera a favore dell’indagato e non dei terzi estranei) al rispetto della norma da parte di P.M. e Gip.

Il suddetto divieto, nei medesimi termini, dovrebbe però estendersi anche ai giornali ed ai giornalisti, con sanzioni amministrative pecuniarie o interdittive (forse ancora più efficaci delle prime).

17/09/2014
Altri articoli di Maria Elena Gamberini
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?

Una accorta politica economica dei “conti in ordine” e l’equilibrismo della presidente del Consiglio tra le simpatie ideologiche per l’amministrazione Trump e la volontà di non perdere contatto con l’Unione europea sulla crisi ucraina, hanno guadagnato al governo Meloni un’immagine di moderazione, smentendo molte delle preoccupazioni e delle apocalittiche previsioni emerse alla vigilia del suo insediamento. Una immagine che è stata solo marginalmente scalfita dagli interventi di Giorgia Meloni successivi all’omicidio Kirk, nei quali, dimenticando di essere la presidente del Consiglio di tutti gli italiani, non ha esitato ad addebitare alla sinistra italiana immaginarie minacce presenti ed esclusive responsabilità per gli odi, gli scontri e le vittime degli anni di piombo. Quando però si mette sotto la lente di ingrandimento la politica istituzionale del governo, l’immagine di misura, di equilibrio, di cautela svanisce e cede il posto ad un dichiarato oltranzismo ed a scelte improntate all’estremismo ed al revanscismo istituzionale e costituzionale. Tratti, questi, che non provengono dal fascismo (per molti aspetti il governo Meloni è infatti compiutamente afascista) ma dall’humus culturale profondamente autoritario del Movimento Sociale Italiano degli anni 70 e 80 guidato da Giorgio Almirante. Ad ispirare le riforme costituzionali propugnate dal governo è infatti la cultura – ereditata dal partito di Fratelli d’Italia - degli “esclusi” dall’elaborazione del patto costituzionale, i quali, pur collocando la loro azione politica nell’alveo della competizione democratica, si sono sempre sentiti “estranei” ai valori ed agli equilibri culturali ed istituzionali cristallizzati nel testo della carta fondamentale e si sono posti come avversari della Resistenza e delle forze politiche che hanno cooperato alla costruzione nel Paese della Repubblica democratica. La genealogia delle riforme costituzionali e della politica del diritto perseguita dal governo consente di cogliere nitidamente le eredità del passato, gli elementi di voluta continuità con le idee e le proposte istituzionali dell’estrema destra della prima Repubblica e l’ostilità verso alcuni degli istituti più caratterizzanti della nostra Costituzione. Questo oltranzismo istituzionale e costituzionale - che smentisce i giudizi sulla moderazione dell’attuale governo e suscita vive preoccupazioni sulla tenuta futura del quadro democratico – è tanto più inquietante in quanto esso è frutto di una volontà di rivincita sulla Costituzione e sulla storia istituzionale repubblicana del “polo escluso”, esprimendo la volontà di capovolgere regole e principi fondanti della democrazia repubblicana. L’analisi dei progetti di riforma costituzionale – assetto della magistratura e premierato – e della politica del governo sul versante del diritto penale e dell’immigrazione consente di illustrare gli aspetti di revanscismo della linea politica perseguita dalla maggioranza di destra.

26/09/2025
La riforma costituzionale della magistratura. Il testo approvato, le perduranti incognite, i naturali corollari

Con l’approvazione in Senato del testo del ddl costituzionale “Meloni-Nordio” sull’ordinamento giurisdizionale, l’itinerario della riforma costituzionale della magistratura sembra segnato. 
A meno di incidenti di percorso e di improbabili ripensamenti della maggioranza di governo, la doppia spoletta Camera/Senato prevista dall’art. 138 della Costituzione si concluderà nel corso del 2025 o all’inizio del 2026 e si giungerà, nella primavera del 2026, al referendum confermativo. 
Un referendum voluto da quanti si sono dichiarati contrari alla revisione costituzionale, ma invocato anche da coloro che hanno intenzione di suggellare la “riforma” con il successo ottenuto in una campagna referendaria da vivere come un’ordalia. 
Sono molte le lacune del testo approvato dal Senato e le “incognite” sull’impianto finale del governo della magistratura: il “numero” dei componenti togati dei due Consigli; le “procedure” da adottare per il loro sorteggio; le modalità di votazione in Parlamento dell’elenco dei membri laici dei due Consigli e le maggioranze richieste; l’assetto della giustizia disciplinare dei magistrati e l’esclusività o meno, in capo al Ministro della giustizia, del potere di iniziativa disciplinare. 
Imponente è poi la cascata di corollari scaturenti dalla “validazione” del teorema riformatore. 
L’incertezza sul destino ultimo del pubblico ministero, sul quale già si dividono, nelle fila della destra, farisei e parresiasti; la diminuita legittimazione e forza istituzionale dei Consigli separati e sorteggiati; gli effetti riflessi della scelta del sorteggio per la provvista dei Csm sui Consigli giudiziari e su tutto il circuito di governo autonomo della magistratura: ecco solo alcuni degli aspetti dell’ordinamento della magistratura che verranno rimessi in discussione dalla revisione costituzionale. 
Sul vasto campo di problemi posti dalla riforma era necessaria una riflessione ampia e approfondita.
Ed è quanto Questione giustizia ha cercato di fare in questo numero doppio, 1-2 del 2025, straordinariamente denso, ricco di contributi di accademici, magistrati, avvocati, che si propone anche come il background da cui far emergere messaggi semplici, chiari e persuasivi da trasmettere ai cittadini nel corso dell’eventuale campagna referendaria. 

23/07/2025
Il no alla separazione delle carriere con parole semplici: un tentativo

La foglia di fico della separazione delle carriere, perseguita per via costituzionale, cela l’autentico obiettivo della riforma: l’indebolimento dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici nel loro ruolo di interpreti della legge, in termini conformi a Costituzione e trattati internazionali. Tuttavia, un’analisi delle ragioni a favore della separazione delle carriere ne svela incongruenze e ipocrisie e, persino, un certo anacronismo argomentativo, alla luce delle progressive riforme che hanno cambiato il volto e il ruolo delle indagini preliminari. Mentre l’analisi prospettica dei pericoli sottesi alla separazione delle carriere, dovrebbe mettere sull’allerta i cultori del diritto penale liberale, molti dei quali appaiono accecati dall’ideologia separatista e sordi ai rumori del tempo presente che impongono di inquadrare anche questa riforma nel contesto più generale della progressiva verticalizzazione dei rapporti tra istituzioni democratiche, insofferente ai bilanciamenti dei poteri che fondano la Carta costituzionale.

30/06/2025