Magistratura democratica
Magistratura e società

“Hamas. Dalla resistenza al regime” *

di Nello Rossi
direttore di Questione Giustizia

Note a margine del libro di Paola Caridi (Feltrinelli, 2023)

1. Obiettivo su Hamas 

Paola Caridi, storica e giornalista, profonda conoscitrice delle vicende del Medio Oriente, ha pubblicato per la casa editrice Feltrinelli il volume intitolato Hamas. Dalla resistenza al regime, che riprende, amplia ed aggiorna la prima edizione del libro, risalente al 2009, alla luce dei tragici sviluppi della situazione in Israele e a Gaza dopo i fatti del 7 ottobre 2023. 

Anche se Questione Giustizia non ha riservato una attenzione costante, e per così dire specialistica, ai temi del conflitto che da decenni travaglia e insanguina Israele e Palestina, sulle sue pagine non sono mancate analisi della politica dello Stato di Israele e ricognizioni delle modalità della repressione penale, della detenzione amministrativa e del regime di apartheid adottati nei confronti dei palestinesi[1]. Così come sono state oggetto di esame e di riflessione tanto la progettata riforma della giustizia in Israele e le forti reazioni che ha provocato nel paese quanto le tormentate vicende di stati come l’Iran dominato da un regime teocratico e come la Turchia, ormai divenuta una democratura oppressiva che ha riempito le carceri di avvocati, giudici, intellettuali[2]

E’ in questo contesto che si iscrive l’interesse per il libro di Paola Caridi che, analizzando la struttura, le finalità, i metodi di azione e la storia politica di Hamas, protagonista assoluto in questo secolo sulla scena di Gaza, colma una lacuna negli studi sulla questione palestinese. 

Troppe volte, infatti, la drammaticità e l’inesauribilità del conflitto arabo israeliano hanno indotto a concentrare l’attenzione sugli sviluppi tortuosi delle vicende politiche e militari, distogliendo da studi approfonditi dei soggetti politici in campo, dei meccanismi di formazione delle loro élite, delle discussioni svoltesi al loro interno, della loro ideologia e della loro prassi politica. 

E’ questo, invece, il compito che si è assunta Paola Caridi che ha scelto di studiare Hamas come movimento e come “partito”, sotto l’aspetto culturale, religioso, politico, ideologico, disegnandone un vivido profilo, di eccezionale utilità tanto per il pubblico ristretto degli specialisti quanto per la più ampia schiera dei lettori desiderosi di capire e di orientarsi nella trama intricata delle vicende mediorientali. 

Sul solido impianto analitico della prima edizione del libro, datata 2009, si è poi innestato, nella nuova edizione del 2023, un ampio ed accurato aggiornamento dell’opera al drammatico presente che viviamo, ancora tutto in divenire, e perciò particolarmente arduo da scrutare e comprendere. 

 

2. Gli interrogativi cui il libro risponde e quelli che suscita

Il libro di cui parliamo risponde a molti interrogativi sulla storia recente della Palestina e sul soggetto politico Hamas e altrettanti ne suscita. 

Accenniamo qui ad alcuni dei passaggi più significativi della ricostruzione compiuta dall’autrice che verranno poi sviluppati più compiutamente nel seguito dell’articolo. 

Parliamo del tentativo di offrire una spiegazione politica della clamorosa frattura di Hamas - attuata con l’incursione in territorio israeliano e il massacro del 7 ottobre – e della “sorpresa” di Israele di fronte all’iniziativa.

Ci riferiamo inoltre alla “dismisura” - da entrambe le parti – degli avvenimenti in corso e alla loro incomparabilità con il pur tragico passato del conflitto tra israeliani e palestinesi. 

Ancora – e su questo tema si appuntano dubbi e interrogativi aperti – ci si soffermerà sull’irreperibile responsabilità politica di Hamas nei confronti del suo popolo e sul ruolo giocato dalla natura del fondamentalismo islamico e dall’estremismo religioso nella nuova fase iniziata il 7 ottobre 2023. Con il corollario della necessità di riflettere sul processo, almeno in parte analogo, di radicalizzazione promossa all’interno di Israele da formazioni della destra politico- religiosa. 

Infine lo sguardo andrà rivolto alla possibile evoluzione di una situazione divenuta drammatica come mai prima. 

 

3. La svolta di Hamas e l’incomprensione di Israele

Della sorpresa di Israele e della sua assoluta impreparazione di fronte all’attacco di Hamas sono state offerte molteplici spiegazioni: tecniche, psicologiche ed esistenziali, politiche. 

Vi è stato chi ha puntato l’indice sulla défaillance dell’intelligence israeliana, ricercandone le ragioni.

Così lo psicologo clinico Ofer Grosbard, in un articolo sul quotidiano Haaretz, ha raccontato della esperienza da lui compiuta dall’agosto 2021 al gennaio 2022 in una unità di ricerca dei servizi di sicurezza israeliani e cessata a seguito dell’invio di una lettera di critiche e suggerimenti, esponendo quelle che, a suo avviso, sono state le cause dell’inadeguatezza e della incapacità dei militari di prevedere la condotta di Hamas. 

L’intelligence militare – ha scritto Grosbard – è composta da un gruppo di ufficiali accuratamente selezionati e di notevoli capacità ma è caratterizzata da rapporti interni troppo rigidi, da una scarsa apertura alle critiche ed ai dissensi e da una limitata propensione a favorire opinioni individuali pienamente libere ed eterodosse. 

Inoltre il gruppo è troppo omogeneo anagraficamente e culturalmente (consta di poche persone di età compresa tra i quaranta ed i quarantacinque anni) e, per ragioni di sicurezza, opera in un contesto chiuso, il che comporta la tendenza a sviluppare idee fisse e apre la strada a meccanismi di rafforzamento reciproco delle convinzioni già presenti nei membri del gruppo. 

Di qui l’eccessiva tendenza dell’unità di analisi a razionalizzare, «meccanismo di difesa che giustifica posizioni emotive invece di fare un vero ragionamento razionale» e l’emergere al suo interno di forme di arroganza intellettuale accompagnata da una sostanziale incomprensione del mondo emozionale e del senso arabo dell’onore. 

Fattori, questi, addotti per spiegare l’incomprensione che ha sfiorato la cecità a fronte dei segnali che attestavano una mobilitazione straordinaria dei miliziani di Hamas e la preparazione di una massiccia offensiva. 

Non sono mancate poi le spiegazioni in chiave psicologica ed esistenziale. 

L’enorme asimmetria tra le condizioni di vita in Israele e Gaza – si è detto - avrebbe impedito agli Israeliani di penetrare la psicologia degli appartenenti ad Hamas e al mondo dell’Islam politico. 

Del resto basta guardare le foto di Tel Aviv proposta al mondo come gioiosa ed attraente meta turistica e raffrontarle all’inferno di Gaza, immensa prigione a cielo aperto nella quale vivono intrappolate milioni di persone, per cogliere l’enorme distanza tra le due realtà e la difficoltà dei “privilegiati” di percepire fino in fondo e con la tempestività necessaria gli stati d’animo e le pulsioni dei “diseredati”. 

Senza negare valore a queste chiavi di lettura va messo in evidenza che il libro di Paola Caridi ha il pregio di offrire una spiegazione politica dell’iniziativa assunta da Hamas.

Iniziativa - incompresa dai politici e dagli analisti di Israele – che affonda le sue radici nelle scelte compiute da Hamas a partire dalla quarta guerra di Gaza, nel 2021, quando il movimento rivolge lo sguardo al di là di Gaza e concentra la sua attenzione su Gerusalemme e sulla Moschea di Al Aqsa indicate come « la base della lotta contro il sionismo».

Nella storia dei conflitti militari tra Hamas e Israele, scrive Paola Caridi, «quella del 2021 è la prima guerra che non è legata alla Striscia ma ad un luogo paradossalmente lontano per l’esperienza quotidiana dei palestinesi di Gaza»: Gerusalemme (pag. 44). 

Per Hamas è questo il modo per tornare sulla scena politica palestinese globale, rispondendo «alle critiche diffuse secondo cui, da quando ha preso il potere a Gaza nel 2007, è stata assorbita, e dunque resa impotente, dalle questioni locali a scapito di questioni nazionali su larga scala, tra cui Gerusalemme, gli insediamenti israeliani e i rifugiati palestinesi» (pagg. 44-45).

Esigenza, questa, divenuta prioritaria anche a seguito della sospensione delle elezioni decisa dal presidente dell’ANP (Autorità nazionale palestinese) che aveva «tolto dalle mani di Hamas uno strumento potente, forse il più incisivo, per rompere l’accerchiamento» (pag, 45). 

Il timore di Hamas di essere vista, all’interno ed all’esterno del mondo arabo, come una forza di mera gestione amministrativa della Striscia e la preoccupazione per l’isolamento politico dei palestinesi scaturente dagli accordi di Abramo hanno dunque avuto un peso grande, e forse determinante, nella decisione dell’attacco feroce e disperato del 7 ottobre, fortemente voluto dall’ala militare di Hamas, le Brigate Izzal Din al Qassam, 

Una decisione che Israele non è riuscita a prevedere sia perché non aveva colto l’evoluzione della politica di Hamas e continuava ad illudersi che il movimento fosse pago del potere e del ruolo esercitati a Gaza sia perché la sua intelligenza della situazione è stata offuscata dai processi di radicalizzazione religiosa in atto nel paese, che hanno ispirato la sensazione di onnipotenza testimoniata da ottusi gesti di sfida come la passeggiata sulla spianata delle moschee del 3 gennaio 2023 compiuta del Ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. 

In definitiva la radicalizzazione parallela verificatasi a Gaza e in Israele, fomentata dall’estremismo politico- religioso, ha innescato la spirale distruttiva i cui effetti si stanno ancora dispiegando sotto i nostri occhi. 

 

4. La “dismisura” degli attuali avvenimenti

Il conflitto, che ormai si avvia a divenire secolare, tra arabi e israeliani ha conosciuto molte pagine di eccezionale drammaticità. 

Ma in quello che è accaduto a partire dal 7 ottobre, c’è stata e c’è, da entrambe le parti, una raccapricciante “dismisura”. 

Nell’azione di Hamas si scorge l’impronta del pogrom, l’espressione di una furia indiscriminata e feroce che ha oltrepassato ogni pur crudele manifestazione di terrorismo ed ha espresso un “intento” genocidario, impossibile da realizzare per la relativa modestia dei mezzi di cui disponevano gli assalitori. 

Un rigurgito di barbarie, capace di squalificare per sempre i suoi autori e che sarà impossibile dimenticare o minimizzare anche da parte dei più fermi e coerenti sostenitori della causa del popolo palestinese. 

Egualmente impossibile da dimenticare o giustificare in nome di esigenze di sicurezza o di difesa è la reazione di Israele che si sta traducendo nel massacro sistematico di un enorme numero di civili e nella distruzione delle condizioni di vita di un intero popolo, ormai ridotto alla fame e privo di cure e dei più elementari soccorsi. 

La catastrofe umanitaria in corso a Gaza reca in sé il segno della sproporzione, della vendetta spietata e indiscriminata, di una volontà di distruggere tutto ciò che si incontra sul proprio cammino e non solo l’organizzazione politica e militare di Hamas. 

E’ come se i contendenti avessero eliminato dal proprio orizzonte ogni valutazione umanitaria ed ogni preoccupazione connessa al contesto internazionale, ingaggiando una lotta senza quartiere che occupa tutte le loro energie e li rende insensibili al resto del mondo, permettendo solo un limitato ascolto dei più stretti alleati – gli Stati Uniti per Israele e Teheran per Hamas. 

Comprendere che uno scontro di questa natura è vuoto di prospettive e distruttivo per entrambi i popoli coinvolti è possibile solo a patto che in Palestina ed in Israele la politica, con il suo realismo e la sua “laicità”, ritorni in campo anche grazie all’apporto dell’affermarsi di nuovi leader in entrambi i paesi. 

Al riguardo vale la pena di soffermarsi su di una parola “laicità” non certo in auge nella parte del mondo di cui parliamo. 

 

5. L’irreperibile responsabilità politica dei contendenti

Nel libro l’autrice insiste nel definire Hamas come un movimento politico profondamente radicato nella Striscia di Gaza e nell’intera Palestina che, a causa della sproporzione dei rapporti di forza con Israele, non esita a far ricorso nella sua lotta anche a mezzi terroristici. 

Tale rappresentazione viene motivata e giustificata ripercorrendo la storia ed esponendo le prassi politiche di Hamas e ponendo l’accento, in pagine di grande interesse, sul ruolo svolto dal movimento nel creare e gestire a Gaza non solo le istituzioni religiose ma anche tutte le strutture essenziali della società: la scuola, la sanità, l’assistenza. 

Nel libro le origini e i processi evolutivi del movimento sono oggetto di una accurata ricostruzione. 

Viene narrata la nascita di Hamas nel 1987 come organizzazione figlia dei Fratelli mussulmani e braccio operativo dell’Ikwan (pagg. 67 e ss.). 

Vengono analizzate le profonde differenze – del paesaggio urbano e sociale e dei referenti esterni - tra Gaza e la Cisgiordania (pagg.63 e ss.). 

E’ descritta la chiusura di Gaza, che data dall’estate del 2005 (pagg. 49 e ss.). 

Viene seguito il mutamento del ruolo di Hamas che «da movimento di resistenza islamico (questo il significato dell’acronimo di Hamas» si trasforma - dopo le elezioni vittoriose del 2006 e il colpo di mano del giugno 2007 che lo porta al controllo totale del territorio di Gaza – in « organizzazione politica che gestisce direttamente il potere volente o nolente» (pagg. 55 e ss.). 

Viene ripercorso il complesso itinerario di un movimento che parte dalla religione, dai luoghi sacri «per poi entrare nel mondo e aiutare i settori della società più a rischio per debolezza economica e spesso, di conseguenza identitaria» (pag. 70) e che a seguito delle vicende del conflitto arabo israeliano è progressivamente sospinto «ad andare oltre la dimensione religiosa e culturale … verso lo scontro diretto con gli israeliani» (pag. 72).

La natura politica – e non meramente terroristica - del movimento di Hamas dice che esso non può essere affrontato con mezzi puramente militari o repressivi come un qualsiasi gruppo terroristico; un punto questo sul quale non si può non essere d’accordo con l’autrice. 

Più complicato è il passaggio successivo nel quale Paola Caridi ragiona di una possibile evoluzione di Hamas chiamando in causa esperienze analoghe in altre parti del mondo. 

«I movimenti radicali delle aree di crisi » scrive l’autrice «quelle che hanno insito nella ragione della propria nascita il dualismo resistenza -politica, rivoluzione-politica, possono ipoteticamente entrare – prima o poi – nella cornice negoziale, nell’alveo di una dialettica sostenibile con le istituzioni» (pag, 367), come è successo in Irlanda, con la completa politicizzazione del binomio Sinn Fein – Ira, in Sudafrica con il percorso dell’African National Congress o in Mozambico con la cooptazione della Renanmo, la resistenza conservatrice mozambicana. 

Ed aggiunge: «La totale politicizzazione di un movimento che usa le armi e ricorre al terrorismo non segue mai una linea retta, né è privo di fasi nelle quali si torna indietro alla scelta armata. Il definitivo salto al di qua della barricata è responsabilità prima dei diretti protagonisti, ma non è mai ininfluente il contesto, in questo caso il conflitto. Né è ininfluente il peso di chi è già presente sulla scena, attorno ai principali contendenti» (pag. 367). 

Questa prospettiva si scontra però, per stessa ammissione dell’autrice, con la proverbiale mancanza di flessibilità degli islamisti palestinesi (pag. 368) e con l’incapacità di Hamas di compiere il processo di deradicalizzazione necessario per compiere il salto definitivo dalla resistenza alla politica (pag. 364). 

Gli ostacoli che si sono frapposti ad un tale processo vengono individuati nel ruolo assunto e nelle forzature operate dall’ala militare di Hamas, indicata come la principale responsabile dell’attacco del 7 ottobre; nel contesto ostile e nelle chiusure spesso pregiudiziali degli antagonisti; nell’incessante perdurare di un conflitto che quotidianamente crea occasioni di sofferenze e rinfocola gli attriti. 

E però, almeno ad avviso di chi scrive, l’autrice appare troppo riluttante ad affrontare compiutamente un tema che si ripresenta in molti passaggi della vicenda di Hamas: il peso giocato nelle scelte di fondo e nella condotta politica del movimento dall’estremismo religioso e da una interpretazione radicale della dimensione religiosa che si concreta nell’Islam politico. 

A ben guardare è il millenarismo indotto da una (distorta) visione religiosa ad ostacolare la razionalità e la ragionevolezza che dovrebbero essere proprie di scelte interamente determinate dalla politica. 

Ed è la gerarchia di valori suggerita dal radicalismo religioso a rendere sbiadite e irrilevanti la logica e le ragioni della politica e a sminuire, fin quasi a cancellarla, la responsabilità di Hamas di fronte al popolo di Gaza. 

La sottovalutazione del prezzo (oggi, come si è detto, smisurato ma che, secondo ogni ragionevole previsione, sarebbe stato comunque altissimo) che la popolazione civile avrebbe pagato per l’inevitabile rappresaglia israeliana; l’invito ai residenti della zona Nord della Striscia a restare nelle loro case nonostante i bombardamenti e l’avanzata dei militari israeliani; la messa in conto della distruzione di quanto costruito dalla stessa Hamas a Gaza sul piano dell’assistenza, della sanità, dell’istruzione: questi ed altri elementi del quadro di devastazione e di morte che si è prodotto Gaza dopo l’assalto del 7 ottobre non sono solo la conseguenza di valutazioni politiche miopi od errate di Hamas ma il frutto di una visione nella quale la responsabilità politica per le enormi sofferenze delle persone “governate” è diminuita o annullata dalla meta ultima – ammantata di trascendenza politico – religiosa – perseguita dal movimento. 

E’ questo, del resto, un meccanismo che è possibile vedere in atto in quei paesi – come l’Iran – nei quali l’Islam politico si è tradotto, in nome della religione, in un regime che non esita a privare i propri cittadini dell’esercizio delle più elementari libertà e ad esercitare forme di crudele repressione. 

Nella regione la situazione è poi enormemente aggravata dalla circostanza che anche in Israele lo Stato democratico di diritto rischia di essere messo in discussione e di assumere caratteri spiccatamente autoritari per l’azione di una maggioranza di governo fortemente condizionata da partiti che si ispirano all’estremismo religioso. 

Dalla contrapposizione di due fondamentalismi non ci si può attendere altro che la perpetuazione e la crescita di intensità di un conflitto in grado di propagarsi nell’intera area mediorientale. 

 

6. Dal millenarismo al ritorno della politica? 

Sottrarsi a visioni millenariste, indifferenti ed insensibili ai patimenti degli esseri umani coinvolti nel conflitto; recuperare il realismo necessario per comprendere che tanto Hamas quanto lo Stato di Israele sono realtà incancellabili; riattivare il circuito della responsabilità politica a Gaza e in Palestina come in Israele: queste sembrano le precondizioni indispensabili di ogni via di uscita dall’inferno nel quale palestiniani e israeliani sono precipitati. 

Al momento solo un immediato e impegnativo cessate il fuoco “in cambio” della liberazione di tutti gli ostaggi israeliani potrebbe favorire un percorso utile a far riemergere a Gaza come in Israele un embrione di responsabilità politica ed a concepire e realizzare una soluzione politica della questione israelo–palestinese. 

Come ha scritto, sulle colonne del New York Times, Thomas Friedmann, all’indomani di un “cessate il fuoco” con ogni probabilità il popolo di Gaza porterebbe in trionfo il leader di Hamas, Yahya Sinwar: ma il giorno dopo, alla ripresa della vita quotidiana nella Striscia, comincerebbe a interrogarsi sulle enormi difficoltà da affrontare per ristabilire un minimo di normalità e sulle responsabilità per le distruzioni ed i lutti subiti a seguito della “frattura” voluta da Hamas con il feroce attacco del 7 ottobre. 

Al tempo stesso l’interruzione delle ostilità nelle Striscia di Gaza consentirebbe l’apertura, in Israele, di una discussione pubblica e di una verifica approfondita sulle ragioni della svolta sanguinosa del conflitto e sulle cause della cecità e della assoluta impreparazione politica e militare dimostrata dallo Stato di Israele. 

Come sempre ogni speranza è riposta nella politica, nel suo dinamismo, nella sua immaginazione, nella sua responsabilità. 


 
[1] C. Meloni, Israele e Gaza: dopo l’orrore occorre ripartire dal diritto, in Questione Giustizia on line, 26.10.2023; A. Rubin, La democrazia israeliana a rischio: la minaccia della riforma della giustizia, in Questione Giustizia on line, 3.5.2023; N. Rossi, Israele: quando un popolo scende in piazza per la giustizia, in Questione Giustizia on line, 31.3.2023; N. Rossi, Detenzione amministrativa, demolizione delle case, espulsione: le pene “amministrative” applicate nei territori arabi occupati, in AA.VV., Israele e Palestina. Diritto e giustizia, Roma, 1989, pp. 95-133, pubblicato anche in Questione Giustizia, 1989, pp. 735-762 e, dello stesso autore, Israeliani e palestinesi: dalla repressione all’apartheid?, in Questione Giustizia on line, 23.5.2018.

[2] Sulla situazione in Iran, v. N. Rossi, Iran: una rivoluzione contro il governo di Dio?, in Questione Giustizia on line 31.10.2022. Sulla Turchia v. L. Perilli, Un tribunale per la Turchia. Turkey Tribunal, in Questione Giustizia on line 15.9.2021; F. Romoli, La tutela dei diritti umani in Turchia ai tempi del Sultano, in Questione Giustizia on line 4.5.2021; D. Cardamone, La decisione della Turchia e della Polonia di non far parte della Convenzione di Istanbul e le conseguenze per la tutela del diritto umano fondamentale delle donne a una vita libera dalla violenza, in Questione Giustizia on line, 24.4. 2021; M.G. Civinini, Turchia: l’indipendenza di avvocati e magistrati tra diritto e potere. Ricordando Ebru Timtik, in Questione Giustizia on line, 26.3.2021; M. Guglielmi, Lettera della platform for an Indipedent Judiciary sul caso Murat Arslan, in Questione Giustizia on line, 11.1.2022; M. Arslan, Dal carcere di Sincan in Turchia, la lettera di Murat Arslan alla Presidente di Medel, in Questione Giustizia on line 15.5.2023. 

[*]

La recensione riprende temi svolti dall’autore nella presentazione del libro che si è svolta l’11.12.203 alla Fondazione Basso con la presenza di Paola Caridi. La registrazione dell’evento è reperibile nell’archivio di Radio radicale. 

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