Magistratura democratica
MEDEL

L’Unione europea, protettrice dell’indipendenza degli attori della giustizia *

di Filipe César Marques
Giudice portoghese e presidente di MEDEL – Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés

Quali garanzie offre il diritto dell’Ue di fronte agli attacchi subiti dai singoli e dagli attori della giustizia?

1. E’ di pochi giorni fa la notizia di un’altra sospensione illegale di un magistrato decisa dal Governo polacco: la giudice Joanna Hetnarowicz-Sikora è stata sospesa dalle sue funzioni semplicemente per aver applicato le decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea che pongono in discussione la legittimità di un giudice nominato dal Consiglio superiore polacco, la cui composizione è contraria al diritto europeo. 

Hetnarowicz-Sikora è stata informata della sospensione direttamente in aula, nel corso dell’udienza che si trovava a presiedere. Si tratta di una giudice totalmente dedita al suo lavoro, attiva nella difesa dello Stato di diritto e membro del consiglio di amministrazione dell’associazione di magistrati “Iustitia”, che aderisce a MEDEL. 

Un esempio, questo, che molto più di ogni altro argomento, si presta ad introdurre una riflessione sul ruolo dell’Unione Europea nella protezione degli attori della giustizia: la lotta, di Joanna Hetnarowicz-Sikora come quella di altri coraggiosi magistrati polacchi, non interessa soltanto i cittadini di quel Paese, ma tutti gli europei. 

 

2. Ho scelto di articolare il mio intervento su tre domande fondamentali: 

i) perché l’Ue dovrebbe svolgere un ruolo di protettrice dell’indipendenza degli attori della giustizia (come indicato nel titolo), in che modo e quali sono i rischi impliciti;

ii) perché le “vecchie democrazie” hanno un ruolo fondamentale in questo dibattito;

iii) perché la difesa dell’indipendenza delle procure è essenziale a proteggere l’indipendenza della giustizia. 

La prima domanda da porsi è dunque chiedersi se l’Ue debba assumere il ruolo di protettrice dell’indipendenza degli attori della giustizia.

A seconda dell’interlocutore, le risposte si contraddicono a vicenda: un membro del governo polacco o ungherese e talune formazioni politiche di altri Stati membri risponderebbero subito categoricamente in senso negativo, basandosi sulla mancanza di competenza dell’Ue nell’ambito del potere giudiziario; un magistrato, un’associazione di magistrati o una Ong attiva nel campo dei diritti fondamentali, così come (in tempi più recenti) un membro della Commissione europea, saranno invece di avviso diametralmente opposto.

Possiamo ricercare una spiegazione dell’attuale situazione in quello che Luigi Ferrajoli chiama il «paradosso istituzionale» in cui versa l’Unione europea: essa avrebbe natura di «federazione sul piano giuridico ma non anche sul piano politico»[1].

Per l’Autore, nella logica del federalismo e della democrazia multilivello le funzioni di governo sono legittimate dalla rappresentanza politica, perciò saranno tanto più legittime in quanto sono locali e, quindi, federate; le funzioni di garanzia, invece, sono legittimate dall’uguaglianza nella garanzia dei diritti fondamentali, e risulteranno tanto più legittime in quanto sovra-statali e, quindi, federali. 

La costruzione dell’Unione europea, tuttavia, è avvenuta esattamente all’inverso: alle istituzioni comunitarie sono state principalmente affidate funzioni di governo e solo marginalmente funzioni di garanzia dei diritti fondamentali. Secondo Ferrajoli, queste ultime sarebbero le sole in grado di garantire ai cittadini europei l’uguaglianza nei diritti e di promuovere il consenso nei confronti dell’Unione.

L’Ue non ha adattato la sua struttura istituzionale al nuovo ruolo che la configura come spazio di integrazione politica, e che le impone di essere garante dell’uguaglianza dei diritti dei cittadini.

Come ho scritto altrove[2], quel paradosso istituzionale ha dato vita a una sorta di rappresentazione teatrale, che vede tre attori impegnati in monologhi separati: la Commissione europea e gli Stati membri, che esprimono punti di vista distinti; il Consiglio, con un discorso schizofrenico, sensibile a voci che gli indicano allo stesso tempo direzioni antitetiche. Come talvolta, nel teatro classico, compariva in scena il coro – unicamente per commentare l’azione –, così il Parlamento europeo si presenta di tanto in tanto con una relazione, trascurata in tempi brevi dagli altri attori sul palco.

Il paradosso che ha portato a questa particolare messa in scena ha lasciato spazio a due movimenti a diversa angolazione: uno centrifugo, guidato dai governi populisti[3] che hanno preso il potere in Stati membri quali l’Ungheria o la Polonia; l’altro centripeto, guidato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. 

La tensione tra i due movimenti e la forza relativa di ciascuno di essi determineranno, in gran parte, l’avvenire dell’Unione. 

Il ruolo primordiale della CGUE nell’approfondimento dell’integrazione europea è ben conosciuto, innanzitutto a partire dall’affermazione dell’autonomia dell’ordinamento giuridico europeo rispetto agli ordinamenti nazionali, essenzialmente con lo sviluppo dei concetti di «effetti diretti» (Van Gend en Loos)[4] e di «primato» (Costa c. Enel)[5] del diritto dell’Unione. L’esistenza di un simile organo giudiziario indipendente, dotato di competenza esclusiva a interpretare il diritto dell’Ue, ha permesso non soltanto lo sviluppo e l’applicazione di principi giuridici in ambiti nei quali la volontà politica era incapace di uscire da impasse tali da mettere a repentaglio il progetto europeo, ma anche di indicare al potere politico le strade da seguire nel processo di costruzione europeo.

Questa linea non è stata seguita dalla CGUE isolatamente, e di certo non “contro” le giurisdizioni nazionali, in particolare i tribunali degli Stati membri. Un processo di costruzione unico come quello europeo deve, naturalmente, passare attraverso la comunicazione fra istituzioni, che si tratti di un “dialogo istituzionale” (in senso formale) o che esso si instauri per il tramite di decisioni assunte nel corso del tempo, che finiscono con l’influenzarsi reciprocamente. 

Nondimeno, è nell’importanza del dialogo fra giurisdizioni che risiede il problema.

La manipolazione del potere giudiziario è uno dei principali strumenti strategici della presa di potere da parte dei populisti, che si servono degli stessi strumenti della democrazia per condurla sulla via dell’autoritarismo[6]. Il populismo mal convive con un potere come il giudiziario, il quale si basa sull’esame minuzioso delle prove e su un’argomentazione centrata sulla giuridicità dei criteri e sulla ponderazione degli argomenti addotti dalle parti.

Nel suo insieme, il sistema giudiziario europeo riposa su una nozione semplice: la fiducia reciproca.

Il giudice portoghese, francese, lettone o tedesco non ha l’obbligo di conoscere il diritto polacco, ma dovrà avere la certezza che il giudice polacco che gli domanda di cooperare, o che abbia reso la decisione della cui esecuzione egli è richiesto, goda delle stesse garanzie di indipendenza e imparzialità, e assuma le proprie decisioni secondo procedure giuste ed eque, nel rispetto dei principi riconosciuti a livello internazionale.

Nel momento in cui un sistema giudiziario si colloca espressamente al di fuori delle regole fondamentali del diritto dell’Unione, la fiducia reciproca s’incrina immediatamente. 

Com’è possibile continuare a dare fiducia a un sistema giudiziario che rifiuta i presupposti fondamentali su cui l’intero sistema comune è stato edificato?

Del resto, come potrebbe la Corte di Lussemburgo continuare a svolgere il suo ruolo principe se i giudici nazionali non sono più indipendenti e se il dialogo con essa è ostacolato?

È precisamente quanto la CGUE ha dichiarato nella decisione Associação Sindical dos Juízes Portugueses, del 27 febbraio 2018[7]: gli Stati membri sono liberi – quando lo fanno – di adeguare i loro sistemi giudiziari nazionali, ma non possono violare i principi fondatori dell’Ue, fra i quali troviamo il rispetto della separazione dei poteri e dell’indipendenza del potere giudiziario. 

Non si tratta di una questione di competenze in capo all’Ue, ma semplicemente del rispetto per i principi fondamentali che sorreggono il diritto dell’Unione. 

Arriviamo allora a rispondere affermativamente, senza equivoci, alla prima domanda sopra formulata: sì, l’Unione europea deve assumere il ruolo di protettrice degli attori della giustizia. Ma andrei più lontano: deve farlo obbligatoriamente, a pena di veder vacillare le fondamenta su cui è stata edificata. 

Una volta data la risposta, occorre spingersi oltre e riflettere sugli attori che dovranno ricoprire il ruolo principale.  

Come abbiamo visto, finora il ruolo principale è stato assunto dalla Corte di giustizia, che con le sue decisioni ha ampliato a livello europeo la dimensione dei principi fondamentali relativi all’indipendenza giudiziaria. 

Tale “attivismo” della Corte è fisiologico e ha dei precedenti nella storia dell’Unione; tuttavia, se non viene accompagnato da un’azione più intensa a livello politico-istituzionale, può portare a un esito terribile.

I populisti prosperano sulla delegittimazione del sistema giudiziario. In ciò risiede quella che ho chiamato la «trappola populista tesa al potere giudiziario»[8]: i populisti fomentano la collera e inducono la società a polarizzarsi; questo comporta sfiducia verso le istituzioni e assenza di un dialogo politico, che a sua volta dà luogo alla “giurisdizionalizzazione” della politica; così, la percezione pubblica dell’indipendenza del giudiziario è condizionata, il che consente ai populisti di accusarlo di appartenere a quel sistema corrotto che essi sono i soli a poter cambiare. 

I decisori politici devono prendere in mano in modo decisivo il problema del deterioramento dello Stato di diritto all’interno degli Stati membri. 

Non è più possibile delegare alla Corte di Lussemburgo il compito di difendere, lei sola, l’indipendenza del potere giudiziario, altrimenti rischiamo di renderla soggetta alla trappola populista. Azioni quali il tentativo del Consiglio di forzare la Commissione a rimandare l’applicazione del regolamento sulla condizionalità dello Stato di diritto[9] fino a che la CGUE non si sia pronunciata in proposito, altro non fanno che agevolare i populisti a individuare nella Corte un’ulteriore “componente del sistema” da combattere, facendole in tal modo abbandonare la sfera giuridica che le è propria per entrare in quella politica, dove non può né deve assolutamente avere accesso. 

Insomma, se gli attori politici non intervengono, e se non lo fanno rapidamente, rischiamo di perdere molto più dell’indipendenza del potere giudiziario nell’uno o nell’altro Stato membro: perderemo l’autorità della CGUE, e questo produrrà effetti devastanti per l’intero edificio dell’Unione.

 

3. Due riflessioni conclusive.

La crisi dello Stato di diritto che l’Unione europea sta vivendo non è – e non può essere vista come – un conflitto Est/Ovest o fra nuove e vecchie democrazie. Si tratta di una giustificazione destinata ad alimentare il discorso dei governi populisti e a creare la sensazione di “assalto dall’esterno” che essi sfruttano demagogicamente. 

Non c’è altra maniera di contrastare quel discorso se non con il rafforzamento dell’indipendenza del potere giudiziario e dello Stato di diritto all’interno degli Stati che, giustamente, criticano coloro che ne vogliono la distruzione. 

Il rafforzamento dell’indipendenza riguarda chiaramente aspetti istituzionali come l’indipendenza della Procura (se necessario, in Francia o in Germania), la struttura e la composizione dei Consigli superiori (come dimostra l’incomprensibile situazione spagnola) o la protezione dai rischi del corporativismo (così attuale in Italia). Ma riguarda anche una vera politica della giustizia, che conferisca al potere giudiziario i mezzi necessari a svolgere il suo servizio pubblico essenziale: proteggere i diritti fondamentali dei cittadini. 

Il manifesto firmato in Francia lo scorso novembre, con il supporto del Foro di Parigi, da un collettivo di oltre 3000 fra magistrati e cancellieri[10] è un grido di allarme che le autorità politiche non possono ignorare. Come ammoniva Alexander Hamilton oltre duecento anni or sono, il giudiziario, per esercitare la propria funzione, dipende dagli altri poteri, e questi ultimi – segnatamente, l’esecutivo – hanno il dovere costituzionale di assicurare che giudici, procuratori, avvocati e cancellieri siano provvisti dei mezzi idonei a svolgere il loro mandato. 

L’indipendenza del potere giudiziario è altresì messa in causa dalla carenza di mezzi. Non dimentichiamolo mai. 

 

4. Un’ultima considerazione è rivolta alle riforme che tutti gli Stati devono attuare al fine di garantire una reale indipendenza del potere giudiziario. 

Se l’indipendenza dei giudici è affermata da tutti (compresi coloro che l’attaccano) all’unanimità, non può dirsi lo stesso per il pubblico ministero. 

Ciononostante, l’indipendenza della Procura costituisce oggi uno dei principali terreni di scontro nella lotta per l’integrità dello Stato di diritto, come MEDEL afferma da tanti anni. 

A titolo illustrativo, basterà una rapida analisi della situazione in Polonia[11].

Una delle prime “riforme” introdotte dal Governo guidato dal partito “Diritto e Giustizia” è stata l’unificazione delle cariche di Ministro della giustizia e Procuratore generale, per giungere a una situazione simile a quella francese. 

In seguito, i continui cambiamenti apportati al sistema della giustizia penale (i codici penale e di procedura penale, la normativa sulla Procura) hanno ampliato i poteri del pubblico ministero, estendendo la “disparità delle armi” fra le parti alla procedura penale e aumentando nel complesso la capacità repressiva del sistema.

Uno dei principali organi incaricati di avviare le procedure contro i giudici polacchi è il «Dipartimento per gli Affari interni» del pubblico ministero (creato per «condurre e sovraintendere ai procedimenti preliminari nei casi di reati intenzionali perseguibili d’ufficio mediante atto della pubblica accusa compiuto da giudici, procuratori, giudici tirocinanti o procuratori tirocinanti»). Detto Dipartimento si colloca al vertice della struttura organizzativa del pubblico ministero: il Ministro della giustizia/Procuratore generale non è soltanto il suo diretto superiore nonché supervisore, ma ne influenza direttamente le attività. 

Il Ministro/Procuratore generale:

- ha il potere di richiedere procedure operative e istruttorie direttamente collegate alle indagini in corso;

- ha accesso alle prove ottenute nel corso di quelle procedure;

- ha diritto di emettere ordinanze, comprese quelle che si riferiscono, per ciascun caso, a fasi procedimentali specifiche;

- ha diritto di revocare o modificare la decisione di un procuratore subordinato, così come di riesaminare questioni affidate a procuratori subordinati di qualsiasi livello. 

Il Dipartimento per gli Affari interni è direttamente posto sotto il suo comando: il Ministro/Pg ha diritto di impartire ordini vincolanti ai procuratori impiegati nel Dipartimento i quali, inoltre, si ritrovano in una posizione di estrema vulnerabilità: secondo quanto riferito dai media, essi non sono assunti a tempo indeterminato, bensì temporaneamente delegati da unità di livello inferiore, e possono essere licenziati dal Ministro/Pg in ogni momento.

Le conseguenze di una simile assenza d’indipendenza non si fanno sentire solo all’interno del potere giudiziario: è evidente l’aumento delle inchieste a sfondo politico condotte a danno di persone ritenute “oppositori del Governo”. Assistiamo, pertanto, a un processo di politicizzazione senza precedenti del pubblico ministero, trasformato in strumento al servizio degli interessi politici e personali delle forze al potere e di chi le rappresenta. 

La natura gerarchica della Procura non può essere una giustificazione idonea a metterne in pericolo l’indipendenza. 

Come MEDEL ha affermato nella Dichiarazione di Napoli[12] e nella conferenza internazionale Pubblico ministero e Stato di diritto in Europa, organizzata a Firenze nel settembre 2020[13], è essenziale garantire l’indipendenza della Procura, mettendola al riparo da qualunque ingerenza del potere politico e impedendo, così, che essa diventi il “braccio armato” dell’esecutivo contro l’indipendenza del potere giudiziario.

 

 
[1] L. Ferrajoli, La costruzione della democrazia. Teoria del garantismo costituzionale, Laterza, Bari-Roma, 2021, p. 440.

[2] F. Marques, Rule of law, national judges and the Court of Justice of the European Union: Let's keep it juridical, in European Law Journal, 28 maggio 2021 (https://doi.org/10.1111/eulj.12386).

[3] Seguendo da vicino Y. Algan, E. Beasley, D. Cohen, M. Foucault, Les Origines du Populisme. Enquête sur un schisme politique et social, Seuil, Parigi, 2019, p. 17, impiego qui il termine “populista” con riferimento a tutti coloro che si presentano come i soli interpreti di un’uniforme e presunta “volontà popolare”, necessariamente anti-sistema e contraria alle élite. Questo populismo può collocarsi a destra come a sinistra, anche se i valori e i presupposti su cui si fonda in ciascuno schieramento sono apparentemente confliggenti.  

[4] Cgue, NV Algemene Transport-en Expeditie Onderneming van Gend & Loos c. Amministrazione olandese delle imposte, causa 26-62, 5 febbraio 1963, ECLI:EU:C:1963:1.

[5] Cgue, Flaminio Costa c. E.N.E.L., causa 6-64, 15 luglio 1964, ECLI:EU:C:1964:66.

[6] S. Levitsky, D. Ziblatt, How Democracies Die, Crown Publishing Group, New York, 2018, pp. 7-8 (ed. it.: Come muoiono le democrazie, Laterza, Bari-Roma, 2019).

[7] Cgue [GS], Associação Sindical dos Juízes Portugueses c. Tribunal de Contas, causa C-64/16, 27 febbraio 2018, ECLI:EU:C:2018:117.

[8] F. Marques, Rule of law, op. cit.

[9] Reg (UE, Euratom) 2020/2092 del 16 dicembre 2020 (in vigore dal 1° gennaio 2021), https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32020R2092.

[10] Cfr. www.lemonde.fr/idees/article/2021/11/23/l-appel-de-3-000-magistrats-et-d-une-centaine-de-greffiers-nous-ne-voulons-plus-d-une-justice-qui-n-ecoute-pas-et-qui-chronometre-tout_6103309_3232.html.

[11] L’analisi si basa su quattro report, che offrono informazioni ulteriori e più dettagliate:
– “Lex Super Omnia” (associazione indipendente di procuratori polacchi), The Stick Method – The “Good change” system of persecuting independent prosecutors, 21 luglio 2021, https://lexso.org.pl/2021/07/21/the-stick-method-the-good-change-system-of-persecuting-independent-prosecutors/
– D. Mazur, W. Żurek, So called “Good change” in the Polish system of the administration of justice, 6 ottobre 2017, www.jura.uni-bonn.de/fileadmin/Fachbereich_Rechtswissenschaft/Einrichtungen/Lehrstuehle/Sanders/Dokumente/Good_change_-_7_October_2017_-_word.pdf
– “Themis” (associazione di magistrati), Internal Affairs Department of the State Prosecution Service as a politicized tool of oppression of judges in Poland, 15 ottobre 2021, http://themis-sedziowie.eu/materials-in-english/in-depth-report-internal-affairs-department-of-the-state-prosecution-service-as-a-politicized-tool-of-oppression-of-polish-judges-and-prosecutors-prepared-by-dariusz-mazur-press-o/
– M. Mycielski, B. Kramek, M. Gordini, K. Szczypska (Open Dialogue Foundation), Polish Public Prosecutor’s Office: Selected Cases of Malicious Prosecution and Dereliction of Duties, 13 gennaio 2022, https://en.odfoundation.eu/a/190999,polish-public-prosecutors-office-selected-cases-of-malicious-prosecution-and-dereliction-of-duties/.

[12] Vds. http://medelnet.eu/images/stories/docs/naples%20eng%20rev.pdf.

[13] Le riprese video e gli interventi sono disponibili al link: https://medelnet.eu/index.php/activities/medel-conferences/746-conference-public-prosecution-and-rule-of-law-in-europe. Una speciale pubblicazione, che riprende il titolo della conferenza, è disponibile in questa Rivista trimestrale, n. 2/2021, www.questionegiustizia.it/rivista/pubblico-ministero-e-stato-di-diritto-in-europa

[*]

L’articolo è tratto dall’intervento al convegno L’avvocato, attore di un’Europa che tutela attraverso il diritto, organizzato a Parigi, il 10 febbraio 2022, dal Barreau de Paris in occasione della presidenza francese al Consiglio dell’Unione europea (I semestre). L’intervento è stato scritto sulla scorta dell’articolo intitolato La Chute, di prossima pubblicazione sulla rivista Délibérée, promossa dal Syndicat de la magistrature (www.editionsladecouverte.fr/auteur/_revue_deliberee-134463.html).

Traduzione di Mosè Carrara Sutour.

01/03/2022
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Magistrato e cittadino: l’imparzialità dell’interprete in discussione

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22/11/2023
Appunti comparatistici sulla (apparenza della) imparzialità giudiziaria

E' diffusa presso ogni sistema giuridico la preoccupazione che sia sempre rispettato il canone dell'imparzialità dell'opera giudiziale affinché ai cittadini che vi si rivolgono la Giustizia -oltre ad essere rettamente amministrata -appaia circondata da garanzie sostanziali e processuali tali da sottarla al rischio di impropri condizionamenti legati alla persona ed ai comportamenti dei Giudici. L'esperienza giuridica inglese è particolarmente ricca di un pensiero, sviluppatosi sia in dottrina sia in giurisprudenza, modellato nel senso di creare come presupposto della violazione del canone stesso circostanze che ispirino nel cittadino anche il semplice, seppur ragionevole, timore che l'attività giudiziale non sia l'espressione della scienza e coscienza di chi la pone in essere. In particolare, tale presupposto si ritiene realizzato allorché risalti un nesso diretto tra le condizioni soggettive del Giudice e la decisione adottata nel singolo caso, escludendo l'automatica presunzione che il modo di esprimere la propria personalità mediante le libertà riconosciute dall'ordinamento sia di per sé indice sintomatico dell'allontanamento dalla via dell'imparzialità effettiva o anche semplicemente percepita. In altri termini, il diritto di common law europeo pretende sempre la severa dimostrazione, ai fini di una pronuncia caducatoria di provvedimenti giurisdizionali impugnati per la ricorrenza di un “bias” inteso come assenza nell'animo del giudicante di pregiudizi in contrasto con i suoi doveri funzionali, dell'immediata e provata incidenza sull'atto del suo stato soggettivo quale si ricava da comportamenti concreti e da specifici interessi in relazione alla questione oggetto del processo. Importanti e decisive indicazioni provengono dal grado più elevato della giurisprudenza del Regno Unito. La lezione che se ne ricava ben può orientare anche il dibattito nell'ordinamento italiano e consentire di ritenere, in perfetta sintonia con le regole codicistiche in materia di astensione e ricusazione, che solo la concreta riferibilità alla singola fattispecie da esaminare di circostanze riguardanti la persona del Giudice che inequivocabilmente disvelino un atteggiamento contrario ai doveri di imparzialità univocamente desumibile dal contenuto intrinseco del provvedimento possa giustificare la seguente conclusione. Da un canto, che sia rimasto inosservato l'obbligo di astensione e, d'altro canto, che la decisione possa dirsi affetta da un pregiudizio in misura tale da esporla al rischio della successiva caducazione in quanto immediato prodotto di tale improprio atteggiamento mentale.
Soltanto il rigorosamente verificato difetto di questi requisiti, e non altri sintomi esteriori quali le convinzioni personali rimaste ai margini del provvedimento, si rivela indice affidabile e consentito dell'avvenuta delusione dell'aspettativa collettiva di un'amministrazione imparziale della Giustizia, anche sotto l'aspetto dell'apparenza.

12/10/2023
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10/10/2023
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15/05/2023
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05/12/2022