Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

L’ambito soggettivo di applicazione del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali

di Domenico Mesiti
docente di Diritto del Welfare all’Università Mediterranea di Reggio Calabria
Riflessioni sulla contrastante giurisprudenza di merito in tema di applicabilità dell’art. 2116 cc sull’automaticità delle prestazioni previdenziali connesse a evasioni contributive in favore dei collaboratori a progetto

1. Premessa

L’individuazione dei soggetti a favore dei quali può trovare applicazione il principio di automaticità della prestazione risultava, generalmente, ben definita sia in dottrina che in giurisprudenza. È acquisita l’opinione, infatti, che il detto principio debba trovare applicazione al rapporto previdenziale conseguente al rapporto contributivo scaturente dal lavoro subordinato e non a quello derivante dal lavoro autonomo. Il descritto principio trova fondamento nella circostanza che nell’ambito del primo degli indicati rapporti di lavoro, l’obbligazione di pagamento della contribuzione è posta a carico del datore di lavoro e, di conseguenza, il suo mancato adempimento non può essere fatto ricadere sul prestatore. Si è sempre ineccepibilmente ritenuto, invero, che, quando l’obbligazione contributiva è posta a carico di un soggetto diverso dal lavoratore titolare del diritto alla prestazione previdenziale, quest’ultimo non può subire le conseguenze dell’inadempimento di un terzo. Nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo, invece, l’obbligazione contributiva è posta a carico del medesimo soggetto che svolge l’attività. È lo stesso lavoratore (autonomo) che è tenuto al pagamento della contribuzione. Di conseguenza, ove risulti inadempiuta la descritta obbligazione, gli effetti del menzionato inadempimento ricadono sul medesimo soggetto inadempiente.

La descritta netta distinzione non riesce, tuttavia, ad individuare compiutamente ed esaustivamente quali sono le regole applicabili nelle fattispecie nelle quali, pur trattandosi di un rapporto di lavoro differente da quello subordinato, l’obbligazione contributiva non è posta dalla legge a carico del prestatore di lavoro.

Il problema appena esposto si pone in tutte le ipotesi in cui il lavoratore si vede costretto a subire, nell’ambito del rapporto previdenziale, le conseguenze di un inadempimento dell’obbligazione contributiva al quale egli, non solo non ha dato causa, ma addirittura non gli è consentito di porvi alcun rimedio.

2. Il principio di automaticità della prestazione

Prima di affrontare specificamente l’argomento che ci accingiamo a trattare, è opportuno ricordare che, nell’ambito della tradizionale distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, lo svolgimento di un’attività lavorativa (sia essa autonoma o subordinata) determina il sorgere di tre diversi rapporti giuridici tra soggetti differenti. Il rapporto prettamente lavorativo che è quello che viene ad esistenza tra datore di lavoro o committente e lavoratore; il rapporto contributivo che si realizza, nel lavoro subordinato tra datore e ente previdenziale e nel lavoro autonomo tra lavoratore ed ente previdenziale; il rapporto previdenziale che è il rapporto che sorge tra ente previdenziale e lavoratore, sia esso autonomo che subordinato. Da ognuno degli indicati rapporti scaturiscono precipue obbligazioni. In particolare, e per quel che qui interessa, si ricorda che l’obbligazione riguardante il rapporto contributivo ha ad oggetto il pagamento della contribuzione dovuta all’Ente previdenziale da parte del soggetto che vi è tenuto: il datore per il lavoro subordinato e lo stesso lavoratore per quello autonomo. L’obbligazione scaturente dal rapporto previdenziale ha ad oggetto una serie di comportamenti che risultano finalizzati, conclusivamente, al pagamento delle prestazioni previdenziali.

Si è condivisibilmente ritenuto che l’indicata generica obbligazione di pagamento della prestazione, nel rapporto di lavoro subordinato, è avulsa da qualsiasi nesso di corrispettività con la contribuzione corrisposta o dovuta, nel senso che il pagamento delle provvidenze spettanti all’avente diritto non è subordinato o condizionato all’avvenuto effettivo ed esaustivo versamento dei contributi dovuti

Peraltro, il bisogno di non far dipendere la tutela previdenziale del lavoratore subordinato dall’adempimento dell’obbligazione contributiva del datore di lavoro è stato sempre avvertito dal legislatore. L’art. 27 R.dl 14 aprile 1939 n. 636, aveva originariamente istituito il principio di automaticità prevedendo che il requisito di contribuzione stabilito per il diritto alle prestazioni previdenziali contro la tubercolosi, la disoccupazione, la nuzialità e la natalità si dovesse intendere verificato anche quando i contributi non erano stati effettivamente versati ma risultavano dovuti.

Il principio appena esposto è stato reso di generale applicazione dall’art. 2116 cc Questa norma, infatti, disponendo che, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali, le prestazioni previdenziali e assistenziali sono dovute al prestatore di lavoro anche quando l’imprenditore non ha regolarmente versato i contributi dovuti, ha esteso l’indicato principio di automaticità indistintamente a tutte le provvidenze.

Ritornando al citato art. 27 R.dl n. 636/1939 occorre precisare che la medesima norma è stata modificata, dapprima dall’art. 40 legge 30 aprile 1969, n. 153, e successivamente dall’articolo 23-ter, comma 1, dl 30 giugno 1972, n. 267, conv. in legge 11 agosto 1972, n. 485. Con la prima delle indicate disposizioni il principio di automatismo è stato esteso anche alle prestazioni pensionistiche e si è disposto, inoltre, che, sempre in ipotesi di mancato versamento della contribuzione dovuta, il rapporto di lavoro deve risultare da documenti o prove certe. Con la seconda si è inserito un ultimo inciso al comma 3 prevedendo che “i periodi non coperti da contribuzione di cui al comma precedente sono considerati utili anche ai fini della determinazione della misura delle pensioni”.

La riferita evoluzione della citata norma speciale aveva, in una prima fase, indotto alcuni interpreti a ritenere che il principio di automatismo potesse trovare applicazione solo in quanto “il sistema delle leggi speciali vi si adegui, disponendo espressamente in proposito e provvedendo in ordine alla relativa provvista finanziaria”. Si riteneva, così, che il solo adeguamento attuato con l’art. 27 R.dl n. 636/1939 consentiva l’applicabilità del principio in argomento unicamente alle prestazioni poste a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti ordinario e che, di conseguenza, ove non ci fosse stata una previsione adeguatrice specifica, non potesse trovare applicazione alle prestazioni liquidate dai fondi pensioni speciali.

Tale interpretazione è stata disattesa e radicalmente modificata a seguito di un intervento della Corte Costituzionale. La Corte delle Leggi, ha ritenuto che “il principio generale – espresso dall’art. 2116 del codice civile (non a caso inserito fra le pochissime disposizioni codicistiche in materia di previdenza e assistenza obbligatorie), ed espressamente ribadito, con riguardo alla assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti, dall’art. 27, comma 2, R.dl 14 aprile 1939, n. 636, come da ultimo sostituito dall’art. 23-ter del decreto legge 30 giugno 1972, n. 267, convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 1972, n. 485 – è quello secondo cui le prestazioni spettano al lavoratore anche quando i contributi dovuti non siano stati effettivamente versati. Tale principio di “automaticità delle prestazioni”, con riguardo ai sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, trova applicazione non già “solo in quanto il sistema delle leggi speciali vi si adegui”, ma – come si esprime l’art. 2116 cc – “salvo diverse disposizioni delle leggi speciali”: il che significa che potrebbe ritenersi sussistente una deroga rispetto ad esso solo in presenza di una esplicita disposizione in tal senso. Detto principio costituisce una fondamentale garanzia per il lavoratore assicurato, intesa a non far ricadere su di lui il rischio di eventuali inadempimenti del datore di lavoro in ordine agli obblighi contributivi, e rappresenta perciò un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.” 

Nel contesto individuato dalla Corte delle Leggi, il principio di automaticità delle prestazioni, proprio in quanto diretto ad evitare che le inadempienze del datore di lavoro possano avere riflessi negativi in capo al lavoratore incolpevole ed, in particolare, impedire che lo stesso possa vedere realizzato il suo diritto alle prestazioni previdenziali costituzionalmente fondate nell’art. 38 comma 2 della Carta Fondamentale, trova fondamento nell’ordinamento costituzionale.

In quest’ottica, la generale prospettiva di applicazione del principio di automatismo della prestazione comporta, ancora, che esso deve ritenersi operante, non solo in riferimento al raggiungimento del requisito minimo di contribuzione che la legge ritiene necessario per il conseguimento del diritto alle prestazioni, ma anche ai fini dell’incremento delle prestazioni attribuibili o già attribuite. Il diritto alla giusta posizione contributiva deve essere riconosciuto indipendentemente dalla maturazione di specifici diritti a particolari prestazioni previdenziali, in quanto, in base a tale ricognizione del rapporto, il soggetto è in grado di valutare la possibilità, in via di esempio, di richiedere la ricongiunzione dei periodi assicurativi o il proseguimento volontario della contribuzione o il collocamento in pensione.

Al riguardo si è ancora ritenuto che “la costituzione di una regolare posizione assicurativa costituisce di per sé un diritto, autonomamente azionabile a prescindere dalla richiesta attuale di una prestazione previdenziale” sul presupposto che “già prima del pensionamento il lavoratore possa far valere la computabilità, nella sua posizione assicurativa, dei contributi dovuti ma omessi”.

Come ben si vede, unica indispensabile condizione perché possa trovare applicazione il principio di automatismo della prestazione è che i contributi siano ancora dovuti all’Ente previdenziale. Non si siano, cioè, ancora prescritti.

Nel delineato contesto, inoltre, il principio di automaticità delle prestazioni costituisce una fondamentale garanzia per il lavoratore assicurato, intesa a non far ricadere su di lui il rischio di eventuali inadempimenti del soggetto obbligato al pagamento in ordine agli obblighi contributivi e si configura, di conseguenza, come un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria. La garanzia di vedersi riconosciuta la prestazione previdenziale anche in ipotesi di mancato pagamento della contribuzione dovuta sarebbe frustrata se al prestatore di lavoro non fosse attribuito il diritto ad avere computati nella propria posizione assicurativa i contributi dovuti ma non corrisposti anche quando gli stessi non siano ancora prescritti.

3. La concezione tradizionale

Descritto il principio di automatismo e definita la sua portata sul piano oggettivo, si rende adesso necessario definire, sul piano soggettivo, l’ambito di applicazione del medesimo principio. Si è già riferito che, generalmente, si ritiene che il principio di automaticità della prestazione può trovare applicazione solo a favore dei lavoratori subordinati. E ciò in quanto l’obbligazione di pagamento dei contributi è posta ad esclusivo carico dei datori e, di conseguenza, gli effetti del suo mancato adempimento non possono essere ricondotti nella loro sfera giuridica. Per quanto riguarda i lavoratori autonomi, invece, si ritiene comunemente che, gravando l’obbligazione di pagamento sul medesimo lavoratore, in caso di mancato adempimento gli vadano attribuiti effetti pregiudizievoli derivanti dal suo comportamento.

Ulteriore conseguenza connessa alla titolarità dell’obbligazione di pagamento dei contributi per le due differenti categorie di lavoratori riguarda il criterio di imputazione dei versamenti delle singole poste debitorie.

Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato va applicato il cd. criterio di competenza mentre per il lavoro autonomo trova applicazione il cd. criterio di cassa. In altri termini, in ipotesi di tardivo pagamento della contribuzione dovuta, nel rapporto di lavoro subordinato, l’imputazione del versamento avrà effetti retroattivi ricondotti all’arco temporale (precedente) al quale la contribuzione si riferisce, al periodo, cioè, di “competenza” contributiva. Sul piano previdenziale, l’imputazione contributiva per competenza determina che, in ipotesi di avvenuta presentazione di una domanda di liquidazione di una provvidenza, il correlato presupposto deve intendersi verificato in rapporto al tempo al quale la contribuzione medesima si riferisce e non al momento nel quale viene effettuato il pagamento.

Nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo, invece, l’imputazione del pagamento per cassa, comporta che gli effetti del medesimo pagamento debbono essere ricondotti non al periodo di riferimento della contribuzione pagata in ritardo, ma al momento, successivo, nel quale il pagamento viene eseguito.

Nella identica descritta fattispecie di avvenuta presentazione di una domanda di riconoscimento di una qualsivoglia prestazione previdenziale da parte di un lavoratore autonomo, il pagamento tardivo della contribuzione comporterà che la prestazione richiesta potrà essere riconosciuta solo con decorrenza successiva alla data in cui è avvenuto il pagamento delle somme dovute, e non dalla data di presentazione della domanda amministrativa. E ciò anche se il periodo di riferimento della contribuzione è precedente al momento nel quale è stata presentata la domanda medesima.

4. Una lettura estensiva costituzionalmente “necessitata”

La netta differenziazione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo appena descritta non consente, tuttavia, di definire esaustivamente il campo di applicazione soggettivo del principio di automatismo. Per come abbiamo illustrato, il suo fondamento è da rinvenire nella circostanza che non possono essere ricondotti nella sfera giuridica del prestatore di lavoro titolare del rapporto previdenziale le conseguenze derivanti dal mancato adempimento dell’obbligazione contributiva nella quale il soggetto passivo è il datore e non il lavoratore. Ebbene, la non coincidenza del soggetto passivo nelle due obbligazioni (contributiva e previdenziale) non è limitata al solo rapporto di lavoro subordinato. Anche in altre diverse fattispecie il legislatore ha imposto l’obbligo di pagamento dei contributi ad un soggetto diverso dal prestatore di lavoro. Ci si riferisce in particolare ai coadiuvanti delle imprese artigiane (arg. ex art. 2 u.c. legge 4 luglio 1959), ai familiari coadiutori dell’impresa commerciale (arg. ex art. 10 u.c. legge 22 luglio 1966 n. 613) e ai mezzadri e coloni (arg. ex art. 13 legge 26 ottobre 1957 n. 1047). In tutte le indicate fattispecie l’obbligo di pagamento della contribuzione dovuta per i collaboratori è posto a carico del titolare dell’impresa. Il quadro derogatorio risulta completato dall’art. 2 comma 26 della legge 335/95 con il quale è stata istituita la cd. Gestione Separata. In quest’ultimo fondo pensioni va versata la contribuzione da parte dei soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell’art. 49 del testo unico delle imposte sui redditi, nonché dai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell’art. 49 del medesimo testo unico. In riferimento a questi ultimi è necessario precisare che la disposizione da ultimo indicata, nella originaria formulazione, per quel che qui interessa, prevedeva che sono da ritenersi redditi di lavoro autonomo gli “altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa”. L’indicata disposizione è stata abrogata dall’art. 34 comma 1 lett. d) della legge 21 novembre 2000 n. 342. La stessa norma, alla precedente lett. b), ha modificato l’art. 47 del Tuir (d.PR 22 dicembre 1986 n. 917) prevedendo che a quest’ultima disposizione, “concernente redditi assimilati a quello di lavoro dipendente, al comma 1, dopo la lettera c), è inserita la seguente: “ c-bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, omissis..., in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente di cui all’art. 46, comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell’oggetto dell’arte o professione di cui all’art. 49, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente;”.

Come ben si vede, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, sul piano contributivo, sono stati dal legislatore assimilati al lavoro subordinato.

Appare evidente che nella gestione separata debbono essere iscritti sia i lavoratori autonomi che non hanno obbligo di iscrizione in altra Cassa o Fondo Pensioni, sia i lavoratori parasubordinati che svolgono attività di collaborazione coordinata e continuativa.

È da evidenziare ancora che anche per gli iscritti alla Gestione Separata, mentre per lo svolgimento di attività lavorativa autonoma, in applicazione della regola generale, l’obbligo contributivo è posto per intero a carico esclusivamente del prestatore, per i rapporti di collaborazione (secondo quanto dispongono gli artt. 1 e 5 Decreto Ministeriale 2 maggio 1996 n. 281 e malgrado un terzo della contribuzione è posta ai sensi dell’art. 2 comma 30 della legge 335/95 a carico del pestatore d’opera) l’obbligo di versamento della contribuzione è posto a carico esclusivo del committente.

Orbene, malgrado nelle ipotesi tutte sopra indicate l’obbligazione di pagamento della contribuzione sia posta a carico del titolare dell’impresa o del committente, non è dato rinvenire alcuna norma che, in generale, attribuisce o nega l’applicabilità del principio di automatismo alle fattispecie esaminate.

L’unica disposizione che riconosce esplicitamente il diritto in argomento è quella riguardante l’indennità di maternità a favore dei lavoratori parasubordinati iscritti alla gestione separata contenuta nell’art. 64-ter del d.lgs 151/2001. È da aggiungere, peraltro, che, precedentemente, l’art. 80, comma 12 della legge 388/2000, interpretando autenticamente l’art. 59 comma 16 della legge 449/97 aveva disposto che l’estensione a favore dei collaboratori coordinati e continuati della tutela prevista per la maternità e l’assegno al nucleo familiare “avviene nelle forme e con le modalità previste per il lavoro dipendente.”.

Nel contesto delineato c’è da chiedersi se la regola della differenzazione netta tra lavoro autonomo e lavoro subordinato sopra riferita debba trovare ancora ferrea applicazione o se, piuttosto, una interpretazione costituzionalmente necessitata non impone una visione prospettica differente basata non tanto sul tipo di lavoro svolto ma, piuttosto, sull’obbligazione contributiva corrispondente alla quale vanno correlate le conseguenze ricadenti sul rapporto previdenziale.

Qualche apertura verso l’estensione del principio di automatismo a favore dei co.co.co si è registrata sia in giurisprudenza che in dottrina. Gli interpreti favorevoli all’estensibilità del principio di automatismo fondano il loro convincimento sulla considerazione che esiste una strutturale comunanza tra l’obbligazione contributiva riguardante il lavoro subordinato e quella inerente le collaborazioni coordinate e continuate nonché sulla identica esigenza di tutela e garanzia riguardo entrambe le categorie di lavoratori tanto da ritenere che “la mancata applicazione del principio di automaticità della prestazione potrebbe costituire violazione dell’art. 3 della Costituzione, trattando situazioni che allo stesso modo meritano tutela in modo irragionevolmente diverse.”.

Sull’argomento è da registrare anche l’intervento della Corte Costituzionale la quale, pur non occupandosi direttamente del principio di automatismo, ha affrontato, in generale, la questione dell’incidenza, sul piano costituzionale, dell’inadempimento dell’obbligazione contributiva da parte di un soggetto diverso dal prestatore nella sfera giuridica di quest’ultimo.

Ci si riferisce in particolare alla sentenza n. 18 del 19 gennaio 1995. In detto arresto la Corte delle Leggi (relatore C. Ruperto), occupandosi dell’applicabilità dell’art. 13 della legge 1338/1962 (norma pacificamente riferita ai soli lavoratori subordinati) ai familiari coadiuvanti di imprese artigiane (equiparati, ai fini previdenziali, ai lavoratori subordinati dalla legge 463/59 e per i quali la contribuzione deve essere versata dal titolare dell’impresa) ha precisato che con l’art. 13 della legge n. 1338 del 1962, si è inteso attuare – come si precisa nella relazione dell’on. Pezzini al Senato – “un congegno di regolarizzazione contributiva, che consenta di valorizzare, ai fini del trattamento pensionistico, quei periodi lavorativi per i quali si siano verificate omissioni contributive non sanabili per effetto di prescrizione”. Inoltre, attraverso l’attribuzione della facoltà di costituzione della rendita vitalizia di cui al citato art. 13 l. 1338/62, “si è mirato, non ad offrire un particolare modo di risarcimento del danno bensì a realizzare il medesimo effetto dell’ormai non più possibile adempimento dell’obbligo contributivo da parte di chi era tenuto al versamento; così elidendo le gravissime conseguenze negative dell’inadempimento contributivo sulla sfera giuridica del lavoratore, che arrivano fino a rendere inoperante il sistema dell’automatismo delle prestazioni (il quale presuppone pur sempre la correlazione tra contributi e prestazioni: v. art. 27 r.dl 14 aprile 1939, n. 636, come integrato dall’art. 40 della legge 30 aprile 1969, n. 153), sì da lasciare affidata soltanto alla responsabilità penale e civile dell’obbligato la protezione del lavoratore. È stato dunque creato uno strumento per rendere più piena ed incisiva, nel quadro di una regolamentazione generale costituzionalmente garantita, la tutela del lavoratore, nei cui confronti il “datore di lavoro” è un debitore di sicurezza, il quale potrebbe nella realtà – intenzionalmente o suo malgrado – non soddisfare il proprio debito, così frustrando la finalità specifica dell’assicurazione obbligatoria.

Certo, un legislatore attento non avrebbe mancato di disporre espressamente l’utilizzabilità di tale congegno in favore di tutti i soggetti che, nel detto quadro generale di protezione, godano della stessa tutela previdenziale propria del lavoratore subordinato in senso tecnico. Nella specie ciò non è avvenuto. Tuttavia non è dato neppure riscontrare alcun indizio normativo nel senso contrario; per cui rimane affidato all’interprete il compito di stabilire se non sia il dinamismo stesso della legislazione previdenziale, improntata al principio della sicurezza sociale, a far ritenere applicabile in via estensiva la norma de qua anche ai familiari dell’artigiano che non siano titolari dell’impresa ma lavorino abitualmente e prevalentemente nell’azienda e non siano già compresi nell’obbligo assicurativo previsto dalle norme vigenti per l’assicurazione obbligatoria IVS, in quanto lavoratori subordinati; ai quali lavoratori subordinati – giova sottolineare – i coadiuvanti familiari vengono equiparati, ai fini previdenziali, dalla citata legge n. 463 del 1959. Compito, codesto, di cui l’interprete non può non darsi carico quando una interpretazione diversa porterebbe – come nella specie – a ritenere la norma contrastante con la Costituzione, segnatamente con gli artt. 3 e 38 indicati quali parametri dal giudice a quo.

Del resto, una propensione nel senso della necessaria interpretazione estensiva è già rinvenibile nella giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale, nell’unica occasione presentatasi e citata dallo stesso pretore remittente, ha appunto osservato come la norma dell’art. 13 della legge n. 1338 del 1962 potrebbe estendersi “al rapporto fra titolare dell’impresa e collaboratore familiare, che vede pur sempre due soggetti, il primo dei quali tenuto a comportamenti per la tutela assicurativa del secondo”.

Tale conclusione, che è l’unica conforme al dettato costituzionale, trova fondamento nella duplice considerazione: a) che la legge n. 463 del 1959 ha disposto il summenzionato richiamo estensivo alla normativa contenuta nel r.dl n. 1827 del 1935, proprio per desumerne la disciplina dell’assicurazione obbligatoria della particolare categoria di lavoratori in esame; b) che la norma impugnata dell’art. 13 ha connotati di generalità ed astrattezza tali da renderla applicabile a tutte le forme assicurative delle varie categorie di lavoratori che non hanno una posizione attiva nel determinismo contributivo.”

È da ricordare, ancora, che, per come abbiamo sopra riferito, la stessa Corte Costituzionale ha ritenuto che il principio di automatismo “costituisce una fondamentale garanzia per il lavoratore assicurato, intesa a non far ricadere su di lui il rischio di eventuali inadempimenti del datore di lavoro in ordine agli obblighi contributivi, e rappresenta perciò un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.”.

Dalla lettura delle riportate motivazioni, particolare attenzione è da porre sull’affermazione per la quale esiste una necessità di tutela del lavoratore, costituzionalmente garantita, nelle ipotesi in cui il datore di lavoro, che “è un debitore di sicurezza” nei confronti del prestatore, potrebbe, intenzionalmente o suo malgrado, non soddisfare il proprio debito, così frustrando la finalità specifica dell’assicurazione obbligatoria. La stessa Corte costituzionale ha ancora, da un lato stimolato il legislatore ad intervenire per disporre l’utilizzabilità del congegno di tutela previsto nell’interesse dei dipendenti a “favore di tutti i soggetti che, nel quadro generale di protezione, godono della stessa tutela previdenziale propria del lavoratore subordinato in senso tecnico”. In assenza di un tale intervento rimane affidato all’interprete il compito di stabilire se, attraverso un’interpretazione estensiva, sia possibile attribuire ai descritti prestatori le prerogative proprie dei lavoratori subordinati tenendo presente che una interpretazione diversa porterebbe a ritenere la norma contrastante con la Costituzione e segnatamente con gli artt. 3 e 38. Di fondamentale importanza è l’indicazione del possibile contrasto, non solo con l’art. 3, ma anche con l’art. 38 della Carta Fondamentale. E ciò soprattutto perché tale contrasto si verificherebbe nelle ipotesi di mancanza di tutela dei lavoratori che non hanno una posizione attiva nel determinismo contributivo.

Nel contesto finora delineato non può non tenersi nel debito conto anche che il principio di automatismo rappresenta un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria e, in quanto tale, oltre ad avere connotati di generalità ed astrattezza, costituisce un mezzo di realizzazione del dettato dell’art. 38, 2° comma, Cost. Inoltre, il fondamento del medesimo principio risiede nella necessità di evitare che le inadempienze del terzo tenuto all’adempimento dell’obbligazione contributiva possano influire sul diritto dell’incolpevole titolare del rapporto previdenziale facendo venir meno una tutela, quella previdenziale, appunto, costituzionalmente garantita (art. 38 Cost.).

Appare di tutta evidenza che se l’estensione dell’applicabilità ai lavoratori non subordinati per i quali l’obbligo contributivo è posto a carico di un terzo è stata ritenuta possibile per l’art. 13 della legge 1338/62 nel quale è espressamente indicato come beneficiario del diritto il solo lavoratore subordinato, a maggior ragione deve considerarsi estensibile il principio di automatismo, per il quale l’art. 2116 cc non prevede una espressa limitazione al lavoratore dipendente.

Né vale sostenere che l’art. 2116 cc riguarda solo i lavoratori dipendenti e che l’indicata disposizione non può essere applicata in via analogica in primo luogo perché trattasi di una norma eccezionale ed in secondo luogo perché siffatta estensione necessiterebbe anche di una copertura finanziaria con oneri a carico della stessa o altre gestioni INPS o dello Stato.

Se appena si riflette sui principi esposti dalla Corte costituzionale ben si comprende che gli assunti appena riportati sono totalmente privi di pregio.

In primo luogo l’art. 2116 cc non è una norma eccezionale ma una norma speciale e, come tale, ben può essere interpretata estensivamente. Al riguardo la Corte delle Leggi ha precisato che “si verte ancora nel campo dell’interpretazione quando l’estensione della norma ad un caso non compreso nella lettera legislativa sia giustificata da un giudizio di meritevolezza del medesimo trattamento, fondato sulla ratio legis indipendentemente dalla somiglianza al caso previsto”.

Peraltro, ai fini contributivi, deve tenersi ancora conto che “nel significato di datore di lavoro è incluso anche quello attinente ai rapporti (non di lavoro subordinato in senso tecnico) degli artigiani e dei piccoli commercianti con i loro familiari coadiuvanti o coadiutori”.

Anche l’argomento fondato sulla paventata mancanza di copertura finanziaria è privo di pregio. Sul punto, occorre ricordare che il principio di automatismo può essere applicato solo e fino a quando l’obbligazione contributiva non si è ancora prescritta. Appare evidente, quindi, che l’onere finanziario non ricade sull’Ente previdenziale ma continua ad essere posto a carico del soggetto tenuto al pagamento della contribuzione, per come avviene, peraltro, in ipotesi di lavoro subordinato.

Ancora totalmente privo di pregio è l’assunto secondo il quale tutti i lavoratori iscritti alla gestione separata sono assimilati ai lavoratori autonomi. Per come abbiamo già sopra riferito, sul piano contributivo, il legislatore ha equiparato i collaboratori coordinati e continuati ai lavoratori subordinati e non ai lavoratori autonomi.

Alla luce di quanto finora esposto non è chi non veda che, nell’applicare il principio di automatismo, l’attività dell’interprete è vincolata dai principi espressi dalla Corte delle Leggi nei riportati arresti.

La visione prospettica deve essere diretta a valutare la regolamentazione dell’obbligazione contributiva e non la qualificazione del lavoratore e ciò al fine di evitare che l’inadempimento del terzo debitore di sicurezza incida sulla tutela costituzionale garantita al lavoratore titolare dell’obbligazione previdenziale dall’art. 38, 2° comma, Cost.

L’interpretazione stessa, nondimeno, non può ritenersi trasmodi nel procedimento analogico. Si verte, infatti, ancora nel campo dell’interpretazione “quando l’estensione della norma a un caso non compreso nella lettera legislativa sia giustificata da un giudizio di meritevolezza del medesimo trattamento, fondato sulla ratio legis indipendentemente dalla somiglianza al caso previsto.”. 

5. Conclusioni

Ed allora nel quadro delineato non può che concludersi che il principio di automatismo delle prestazioni, nella sua accezione più ampia, secondo una interpretazione costituzionalmente necessitata deve trovare applicazione a favore di tutti i prestatori titolari di un rapporto lavorativo in relazione al quale l’obbligazione contributiva è posta a carico di un terzo debitore di sicurezza.

17/01/2020
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