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Il caso Brown e la giurisprudenza della US Supreme Court

di Filippo Aragona
Giudice penale presso il Tribunale di Reggio Calabria
L'uccisione di Michael Brown ad opera della polizia locale ha avviato un movimento di opinioni che sta mettendo in seria discussione la giurisprudenza della Corte
Il caso Brown e la giurisprudenza della US Supreme Court

L’uccisione del diciottenne di colore Michael Brown, avvenuta nella città di Ferguson (nella contea di St. Louis, Missouri) lo scorso 9 agosto 2014 ad opera della polizia locale, ha dato la stura ad un movimento di opinioni negli Stati Uniti che sta mettendo in seria discussione la monolitica giurisprudenza della US Supreme Court, finora quasi sempre favorevole ai police officers nei casi di responsabilità civile per la riparazione dei danni diretti e indiretti derivanti dalle loro misconducts.

Il triste episodio di Ferguson, che ha visto come vittima un giovane disarmato sospettato di furto in un supermercato e a cui è stata tolta la vita da un poliziotto che ha sparato ben sei colpi di pistola contro di lui, di cui due alla testa, costituisce un’occasione per qualche spunto di riflessione sul diritto vivente statunitense in materia di uso della forza da parte della polizia e della possibilità per le vittime o per i loro familiari di ottenere un giusto risarcimento.

Il problema posto in siffatti termini sussiste, come vedremo più avanti, solo per le questioni risarcitorie, in quanto sotto il profilo penalistico le difficoltà di giungere ad una condanna di un police officer per crimini commessi nell’esercizio delle sue funzioni dipendono non tanto dall’interpretazione delle norme penali da parte della Supreme Court, ma piuttosto dall’esasperato corporativismo che contraddistingue i corpi di polizia negli Stati Uniti, i quali, grazie al c.d. code of silence, riescono quasi sempre ad impedire la raccolta di prove a carico degli agenti incriminati (indicted). Per quel che concerne i profili penalistici, sono due le norme che si applicano ai casi di condotte delle forze di polizia lesive di diritti fondamentali dell’uomo (compresa l’uccisione di una persona nel compimento di un atto rientrante nelle proprie funzioni): 18 U.S. Code § 241 – Conspiracy against rights[1]; 18 U.S. Code § 242 - Deprivation of rights under color of law[2].

In tale materia, la giurisprudenza della Supreme Court ha elaborato tre regole specifiche che delimitano il perimetro applicativo delle menzionate norme: “defence of life standard”, “fleeing felon standard”, objectively reasonable standard”.

La prima consente l’uso delle armi contro una persona che minaccia la vita degli agenti di polizia oppure di un membro della comunità. La seconda è stata descritta dalla Supreme Court nel 1985 nel Garner v. Tennessee case: “deadly force may not be used unless necessary to prevent the escape and the officer has probable cause to believe that the suspect poses a significant threat of death or serious bodily harm to the officer or others”. Grazie a quest’ultima decisione, è stato posto un limite alla possibilità, fino ad allora esistente, di sparare contro una persona che fuggiva anche quando questa non costituiva una seria minaccia per l’incolumità dell’agente operante oppure di altre persone.

Nel 1989, nel Graham v. Connor case, la Supreme Court ha introdotto l’“objectively reasonable standard”, consistente nella regola secondo cui per valutare la liceità del comportamento di un police officer che ha usato le armi contro una persona sospetta occorre verificare come avrebbe agito al suo posto un reasonable officer (figura che richiama il nostro “agente modello”) ed accertare che l’uso della forza sia stato proporzionato rispetto alla minaccia da contrastare. Per quel che concerne quest’ultimo punto, la Corte ha precisato che il giudice deve valutare non la minaccia realmente esistita ma quella percepita dall’agente operante.

Sul versante civilistico, invece, come già anticipato, l’oggetto del dibattito in corso negli Stati Uniti è proprio la giurisprudenza della Supreme Court, che, nell’annullare sentenze di condanna al risarcimento dei danni pronunciate nei confronti di police officers e di municipalies (da cui i primi dipendono), sta introducendo nell’ordinamento statunitense una immunità dalla responsabilità civile per gli appartenenti alle forze di polizia e per i loro datori di lavoro.  

La norma su cui si fonda la possibilità di ottenere un risarcimento dei danni provocati dalle misconducts delle forze di polizia (false arrest, false imprisonment, malicious prosecution, assault, wrongful death) è quella contenuta nel Title 42 US Code Section 1983 (ossia il federal civil rights Statute)[3], anche se alcuni plaintiffs (attori) preferiscono esercitare lawsuits (azioni legali) sulla base di state-level statutes.

In un sistema di common law, tuttavia, tra le fonti primarie del diritto vi è la giurisprudenza della Supreme Court (case law), la quale, come già detto, si è sempre orientata in senso molto favorevole ai police officers e alle amministrazioni da cui essi dipendono, con la conseguenza di lasciare le vittime delle loro misconducts quasi sempre senza un risarcimento dei danni patiti (salvo che esse riescano a raggiungere accordi risarcitori – settlements - con le municipalities che impiegano le forze di polizia).

Per quel che concerne le azioni legali esercitate contro le amministrazioni di appartenenza dei police officers (rese possibili grazie alla storica decisione del 1978 nel processo Monell v. Department of Social Services of the City of New York, con la quale per la prima volta è stata ammessa una lawsuit contro una persona giuridica per i danni causati dai dipendenti, sulla scorta della c.d. vicarious liability), la giurisprudenza ha elaborato criteri sempre più restrittivi per il riconoscimento del diritto dell’attore. Già con la menzionata decisione Monell v. Department of Social Services of the City of New York, la Corte aveva stabilito che la responsabilità risarcitoria dell’ente datore di lavoro (employer) per i danni cagionati dal dipendente (employee) nello svolgimento delle sue mansioni presuppone l’accertamento di lacune nell’addestramento di quest’ultimo oppure nei sistemi di controllo del suo operato, con la conseguenza che il datore di lavoro non può essere condannato al risarcimento dei danni solo per la posizione ricoperta ma gli deve essere imputata una condotta quantomeno colposa legata da un nesso di causalità all’evento lesivo e al danno conseguenza (in altri termini, la responsabilità deve derivare da una errata policy e non può basarsi sulla respondeat superior theory).

Con le decisioni adottate nei City of Oklahoma v. Tuttle (1985) e City of Canton, Ohio v. Harris (1989) cases, la Supreme Court ha ulteriormente ristretto i margini di applicazione della citata norma del federal civil rights Statute, riaffermando il c.d. deliberate indifference standard (for liability to attach to a municipality, a victim/plaintiff must show that the particular policy or custom of the municipality that caused the injury is so inadequate that it amounts to deliberate indifference to the rights of persons with whom the police come in contact).

In base a tale criterio valutativo della responsabilità del datore di lavoro, la vittima che ha agito in giudizio deve sopportare un burden of proof (onus probandi) molto gravoso, in quanto deve dimostrare che l’ente datore di lavoro ha deliberatamente scelto di non implementare alcun sistema di controllo dei propri dipendenti oppure un adeguato programma di addestramento, così manifestando una intenzionale indifferenza verso i diritti fondamentali delle persone danneggiate.

Nel Board of the county commissioners of Bryan County, Oklahoma v. Brown case (1997), in cui una donna era stata vittima di un uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia e di un arresto illegale, la Supreme Court ha elevato maggiormente lo standard of proof per ottenere il risarcimento dei danni da parte del datore di lavoro, specificando che il plaintiff/victim deve dimostrare che al momento dell’assunzione del police officer da parte del datore di lavoro era per questo prevedibile che il dipendente avrebbe potuto porre in essere condotte lesive dei civil rights dei cittadini, mostrando così una deliberate indifference o disregard verso questi ultimi.    

Tre casi recenti dimostrano, infine, come tale rigoroso orientamento si è ancor di più consolidato.

La Supreme Court infatti ha ribadito la c.d. doctrine of immunity e la doctrine of qualified immunity, rispettivamente, nei casi in cui le claims for compensation (citazioni in giudizio per ottenere il risarcimento del danno) sono proposte contro le municipalities (da cui dipendono le forze di polizia) oppure direttamente contro i public officers, determinando sostanzialmente una disapplicazione delle norme prima menzionate sulla responsabilità civile di tali soggetti.

Nel Plumhoff v. Rickard case, deciso il 27 maggio 2014 dalla Supreme Court, l’oggetto del processo era la richiesta di risarcimento dei danni conseguenziali all’uccisione con 15 colpi di pistola di un guidatore di una autovettura e del passeggero ad opera della polizia dell’Arkansas che li aveva fermati per un controllo (perché l’automobile presentava un fanale non funzionante). Ciò che ha scatenato la reazione enormemente sproporzionata degli agenti di polizia è stato il fatto che il guidatore non si era fermato all’alt impostogli. La Supreme Court ha annullato la sentenza della Appellate Court (che aveva condannato al risarcimento dei danni l’amministrazione di appartenenza dei police officers responsabili dell’uso eccessivo della forza), sostenendo che il comportamento della persona alla guida del mezzo, provocando un inseguimento durato circa 5 minuti, aveva creato un serio rischio per l’incolumità delle persone (“posed a grave public safety risk”), pertanto ciò è stato ritenuto sufficiente per considerare giustificata la condotta della polizia il cui uso della forza è stato definito non eccessivo, in quanto, secondo la decisione unanime dei giudici supremi, in casi come questo la polizia può usare le armi in dotazione finché la minaccia per la pubblica incolumità non sia cessata.

Nel Connick v.Thompson case (del 2011), la Supreme Court ha ritenuto che la City of New Orleans non fosse responsabile dei danni causati dal prosecutor (dipendente da quella municipality), nonostante quest’ultimo avesse occultato una prova decisiva (derivante dal test del DNA) che avrebbe condotto all’assoluzione di una persona che invece successivamente è stata condannata alla pena di morte. In particolare, era accaduto che due mesi prima che avesse inizio il processo di primo grado nei confronti di Mr. John Thompson (poi conclusosi con la condanna di quest’ultimo alla pena capitale per rapina a mano armata ed omicidio), l’assistant district attorney ha ricevuto un report dal laboratorio di polizia scientifica che attestava che il tipo di sangue ritenuto appartenente all’autore dei delitti oggetto del processo non era compatibile con quello di Mr Thompson. Tale informazione non è stata rivelata ai difensori del defendant (imputato) e quest’ultimo è stato condannato alla pena capitale. Solo dopo 18 anni di detenzione in attesa dell’esecuzione della condanna, i difensori di Mr. Thompson sono riusciti, mediante una autonoma investigazione, a giungere al medesimo risultato a cui era pervenuto il laboratorio di analisi della polizia scientifica, consentendo così l’assoluzione del proprio assistito.

Ebbene, Mr Thompson ha agito in giudizio contro la City of New Orleans, ottenendo nei primi gradi di giudizio la somma di 14 milioni di dollari a titolo di punitive damages, tuttavia la Supreme Court (con un 5 – to - 4 vote) ha annullato la sentenza favorevole alla vittima (nonostante il district attorney’s office avesse  ammesso di aver violato i doveri costituzionali), affermando che il local government non poteva essere considerato responsabile per i danni provocati dalla prosecutorial misconduct perché non era stato dimostrato che le policies della City of New Orleans avevano violato la Costituzione.

Per quanto riguarda, infine, la responsabilità diretta dei public officers,la Supreme Court si è quasi sempre espressa nel senso di assicurare a questi ultimi una totale immunità dalla responsabilità civile per i danni causati dalle condotte poste in essere nell’esercizio delle loro funzioni ("a public servant who is conscientiously doing his job to the best of his ability should rarely, if ever, be exposed to the risk of damage liability", Procunier v. Navarette case del 1978). In alcuni casi, in particolare, ha elaborato la citata dottrina della qualified immunity, consistente nel fatto che un government officer può essere citato in giudizio e condannato al risarcimento del danno (per le condotte poste in essere nell’esercizio della sue funzioni) solo se “every reasonable official would have known that his conduct was unlawful”,cioè solo quando può essere provato che un “agente modello” (in base ad un giudizio ex ante) sarebbe stato consapevole che l’uso della forza adottato in concreto avrebbe potuto costituire una grave violazione dei diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti e che, quindi, tale uso della forza non avrebbe potuto essere qualificato quale atto di self-defence.

Tale dottrina è stata utilizzata di recente nel Wood v. Moss case (2004), nel quale la Supreme Court ha deciso di non condannare alcuni appartenenti ai Secret Services statunitensi per aver fatto un uso eccessivo della forza contro alcuni manifestanti che protestavano contro l’allora Presidente Bush, i quali avevano lamentato in giudizio la violazione del First Amendment’s protection of free speech.

Il breve excursus delle decisioni della Supreme Court, che, spero, abbia offerto elementi per eventuali analisi più approfondite, può essere lasciato con l’interrogativo posto dal Dean of the School of Law at the University of California, Professor Erwin Chemerinsky (autore del libro di prossima pubblicazione dal titolo “The case against the Supreme Court”), il quale ha concluso un suo intervento sul New York Times del 26 agosto scorso sul tema finora trattato (“How the Supreme Court protects bad cops”) con la seguente domanda: “How many more deaths and how many more riots will it take before the Supreme Court changes course”?



[1] If two or more persons conspire to injure, oppress, threaten, or intimidate any person in any State, Territory, Commonwealth, Possession, or District in the free exercise or enjoyment of any right or privilege secured to him by the Constitution or laws of the United States, or because of his having so exercised the same; or if two or more persons go in disguise on the highway, or on the premises of another, with intent to prevent or hinder his free exercise or enjoyment of any right or privilege so secured they shall be fined under this title or imprisoned not more than ten years, or both; and if death results from the acts committed in violation of this section or if such acts include kidnapping or an attempt to kidnap, aggravated sexual abuse or an attempt to commit aggravated sexual abuse, or an attempt to kill, they shall be fined under this title or imprisoned for any term of years or for life, or both, or may be sentenced to death.

[2] Whoever, under color of any law, statute, ordinance, regulation, or custom, willfully subjects any person in any State, Territory, Commonwealth, Possession, or District to the deprivation of any rights, privileges, or immunities secured or protected by the Constitution or laws of the United States, or to different punishments, pains, or penalties, on account of such person being an alien, or by reason of his color, or race, than are prescribed for the punishment of citizens, shall be fined under this title or imprisoned not more than one year, or both; and if bodily injury results from the acts committed in violation of this section or if such acts include the use, attempted use, or threatened use of a dangerous weapon, explosives, or fire, shall be fined under this title or imprisoned not more than ten years, or both; and if death results from the acts committed in violation of this section or if such acts include kidnapping or an attempt to kidnap, aggravated sexual abuse, or an attempt to commit aggravated sexual abuse, or an attempt to kill, shall be fined under this title, or imprisoned for any term of years or for life, or both, or may be sentenced to death.

[3]Any person who, under color of any statute, ordinance, regulation, custom, or usage, of any State or Territory or the District of Columbia, subjects or causes to be subjected, any citizen of the United States or other person within the jurisdiction thereof to the deprivation of any rights, privileges, or immunities secured by the Constitution and laws, shall be liable to the party injured in an action at law, suit in equity, or other proper proceeding for redress.

08/09/2014
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