Magistratura democratica
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Era più giusto un pareggio

di Marco Del Gaudio
Sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia
Recensione al libro "Lo Stato non ha vinto" di Antonello Ardituro e Dario Del Porto, Laterza 2015
Era più giusto un pareggio

Conosco bene fatti e protagonisti. Sono informato ed ho letto, diligentemente, il leggibile. Per giunta è il mio campo. Diciamo pure che sarei del mestiere. E’ dunque più grave se mi assale un momento di smarrimento e compare una linea di mal di testa. Ma, allora, mettetevi nei panni del lettore, appassionato del genere, un po’ saccente, che scorre la sezione saggistica di una libreria affollata, con quell’aria di finto interesse supponente che ognuno si da’ davanti agli scaffali: “Lo Stato non ha vinto” (di Antonello Ardituro e Dario Del Porto). “La mafia non ha vinto”(di Giovanni Fiandaca ed Ernesto Lupo). La mafia ha vinto” (di Saverio Lodato): - “Che fantasia”, pensa. Vabbè, tesi e antitesi. Vabbè, il materialismo dialettico. Ma, insomma, chi ha vinto, infine? E, soprattutto, che cosa? Ricordate Robertino? “Ho vinto qualche cosa? Ho vinto qualche cosa. Niente? Niente

In realtà l’ansia di trovare un vincitore ha radici lontane.

Ma radici ancor più profonde hanno il contrasto tra presunti vincitori e vinti e la scenografica descrizione di lotte epiche, combattute da organismi contrapposti e strutturati, che tentano di prevalere l’un l’altro, avvitati in un corpo a corpo infinito. L’enfatizzazione, tutta propria del genere, tra le forze dello Stato e dell’antistato, condisce spesso una salsa che assume il sapore indigesto della contrapposizione da fiction, tra buoni e cattivi, tra sirene spiegate (o, come leggevo anni fa in una informativa di polizia giudiziaria, “spietate”) e bui rifugi sotterranei, tra divise ammiccanti e brutti, sporchi e cattivi. Si giunge così allo scontro finale, nella lotta impari che consacra il vincitore. Dissolvenza.

Tranquillizzatevi, non è così. Per nulla.

Il libro di Antonello Ardituro e di Dario Del Porto racconta solo i frammentidi dieci anni di lavoro, che hanno condotto, complessivamente, all’arresto di Michele Zagaria e Antonio Iovine dopo anni di latitanza. All’arresto di Nicola Schiavone, figlio di Francesco detto Sandokan ed alle sentenze di condanna nei confronti del gruppo criminale dei Bidognetti, alias Cicciotto e’ Mezanotte. Alla collaborazione con la giustizia di Iovine Antonio, detto o’ Ninno, alle sentenze sui gruppi Zagaria e Schiavone. Racconta cioè una stagione in cui il cd. Clan dei Casalesi è stato messo alle corde e quasi frantumato dalle attività giudiziarie e di polizia.Ma non c’è traccia di vittorie o di sconfitte. Né di romanzesche diffide all’ultimo sangue. Non troverete eroi o abominevoli criminali e non parteciperete ad azioni da playstation.

E però gli autori non ce ne fanno grazia per motivi di stile o per pudore; né per sapienza narrativa, ma semplicemente perché descrivono i fatti.

Ed i fatti, anche quelli saporosi ed improbabili, invitanti ed eclatanti restano fatti. E ci vuole molta applicazione perché sia così. Le pulsioni criminali e le speranze ed anche gli stati d’animo di chi ha vissuto le cronache di quegli anni sono solo fatti, senz’alcuna indulgenza. Certo, lo sguardo, un po’ lucido, al passato affiora necessariamente. Ma succederebbe comunque anche in un libro di ricette, come ogni volta che si racconta una storia a chi non c’era.

Dentro c’è la macchina infermale delle indagini e l’assurdo del processo penale.Trapela il fascino malato del mestiere del pubblico ministero, che inspiegabilmente continua a catturare chi fa questo lavoro, che, senza ritegno per nessuno, scaccia dalla testa e, spesso, dal cuore, ogni altro ospite. Leggendo degli interrogatori ad Anna Carrino sarà forse più chiaro chi sono le donne che vivono la camorra e che cosa vuol dire la collaborazione con la giustizia. O forse le vicende dei processi eccellenti vi suggeriranno qualche riflessione sull’indipendenza necessaria di quest’animale fortunatamente ingovernabile che sono state le Procure italiane. Troverete le ragioni delle intercettazioni e quelledella falsa propaganda sul contrasto alla criminalità organizzata.

Ma soprattutto converrete con Ardituro e Del Porto che lo Stato non ha vinto.

E non perché, come sostengono, forse con ragione Giovanni Fiandaca ed Ernesto Lupo, sia un errore immaginare a tutti i costi il complotto o fabbricare un totem invincibile contro cui lottare, in una dimensione tragica di ineluttabile sconfitta della legalità.

Ma per amore dell’equilibrio.

Perché non è vittoria quella che deve contabilizzare le stragi infinite (nel periodo 1983-2012 la camorra ha ucciso 3295 personepari al 49% del totale; la mafia 1917, ossia il 28%, la ndrangheta 1575, ossia il 23%); né è segno di vittoria fare i conti con decine di scioglimenti dei consigli comunali (65 i comuni campani toccati dal provvedimento una o più volte; 58 in Calabria, 50 in Sicilia, 8 in Puglia, 3 in Piemonte); e non ci si può rallegrare della spoliazione infinita delle imprese edella contemporanea contiguità delle aziende italiane alla criminalità organizzata. Non è vittoria quella che passa attraverso le vittime delle stragi del finto cieco Giuseppe Setola, animato da improvviso furore omicida e che,non di meno, lucidamente, uccide, seguendo un programma stragista: familiari di collaboratori, imprenditori che avevano denunciato, immigrati incolpevoli, avversari di camorra. Lo stesso uomo che si arma di bazooka per sparare alla polizia giudiziaria. Non è vittoria quella che è costretta a registrare l’elezione di un consigliere comunale, votato nonostante (o proprio per questo?) due giorni prima delle elezioni fosse stato arrestato per associazione camorristica.

E non possiamo dirci vincitori, se è la camorra a stabilire chi si aggiudicherà gli appalti in tutti i comuni del proprio territorio di influenza, governando con maestria il sistema delle gare pubbliche dei comuni del casertano.

Lo sanno bene, Ardituo e Del Porto, che lo Stato non ha vinto; ma forse sanno anche che, qualche volta, non è neppure sceso in campo, ed è questa la sconfitta che brucia di più.

E ci spiegano che la sconfitta maggiore è stata l’occasionalità del successo, la consapevolezza che tutto è accaduto soltanto per un clinamen involontario, che ha riunito le volontà e le strutture ed che ha prodotto un risultato iniziale, per il quale – onestamente – non c’è molto da gioire. Forse vogliono dirci che la partita, contrariamente a quanto sembra, non è affatto sospesa. E che di vittorie del genere, a questo prezzo, se ne farebbe volentieri a meno.

 

 

28/11/2015
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