Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Con viva e vibrante soddisfazione

di Luca Semeraro
Giudice del Tribunale di Perugia
Una nuova interpretazione dell’art. 425 c.p.p. si affaccia in Cassazione

Cito in maniera aperta e sfacciata la celebre battuta di Maurizio Crozza.

Sono infatti diversi anni che i giudici dell’udienza preliminare sparsi sul territorio forniscono interpretazioni[1] dell’art. 425 c.p.p. diverse dall’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, cercando di rendere concreto e più penetrante il filtro dell’udienza preliminare. Nello stesso tempo però alcune sentenze emesse da quegli stessi gup hanno subito talvolta annullamenti indigesti.

Conoscendo molto da vicino lo stato d’animo dei gup, ritengo che sia proprio una viva e vibrante soddisfazione quella che molti giudici avranno provato e proveranno nel leggere la sentenza della Sez. 6ª della Corte di Cassazione (udienza camerale del 30.4.2105 n. 744, n. 33763/2015) oggi pubblicata su Questione Giustizia. Perchè qualcosa di nuovo appare all’orizzonte della giurisprudenza di legittimità.

Va detto che il ricorso per cassazione del p.m. è stato un formidabile trampolino di lancio, perché collegato a principi di diritto risalenti all’epoca del regime dell’evidenza, come se dal 1993 ad oggi nulla fosse mutato. Nel ricorso ci si lancia ad affermazioni sulle possibili soluzioni aperte del dibattimento disancorate dalla realtà processuale, dall’obbligo di giungere all’udienza preliminare con indagini complete, ma frutto del mero futuribile e del vagamente ipotetico. Si legge nella sentenza:

Il gip dovrebbe limitarsi a valutare, appunto, la prospettiva che in dibattimento si dimostri la colpevolezza ed il concetto di possibile sviluppo dibattimentale viene, nel corpo del ricorso, spinto al caso estremo della ipotetica possibilità che emergano prove determinanti non prospettate o neanche prospettabili al momento della decisione sul rinvio a giudizio ("lo stesso tizio in dibattimento può confessare di aver corrotto caio con la consapevolezza di sempronio; lo stesso mevio può avere una resipiscenza e confessare anch'egli in merito").

Questa è invece la conclusione a cui giunge la Corte di Cassazione, dettando una precisa regola di giudizio:

… la lettura che si ritiene preferibile, è quella secondo la quale, perché una persona possa essere sottoposta ad un processo, è innanzitutto necessario un corpo di elementi probatori che diano consistenza alla ipotesi di accusa, condizione necessaria per giustificare le conseguenze negative che sono rappresentate di per sé dal processo - di cui è superfluo discutere – in un sistema che prevede l'obbligatorietà dell'azione penale ma non il suo esercizio libero sino alla arbitrarietà. La decisione sul rinvio a giudizio od il proscioglimento è certamente "processuale", ma non significa che non sia necessario un contenuto di valutazione del merito. All'esito della individuazione di tale minimum probatorio, poi, il giudice dell'udienza preliminare si porrà il problema della possibilità che vi sia una prospettiva di utile sviluppo del dibattimento.

 

Per anni la Corte di cassazione ha ripetuto, nell'interpretazione dell'art.425 c.p.p., il mantra delle "soluzioni aperte".

La sezione sesta della Corte di Cassazione, invece, fa un’analisi molto articolata,  partendo dalla storia dell’udienza preliminare e dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 38 del 1995 e dall’allargamento dello spazio di valutazione del gup della consistenza dell’ipotesi di accusa; la Corte analizza la giurisprudenza costituzionale formatasi a partire dal 1991, in particolare sul rapporto tra valutazione della gravità indiziaria e decreto che dispone il giudizio, sottolineandone le letture garantiste. La Corte, nella sentenza in commento, valorizza le modifiche normative del 1999 e l'ampliamento dei poteri istruttori e decisori del gup, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n.39915 del 2002.

La sesta sezione segnala la lettura riduttiva del ruolo dell'udienza preliminare formatasi nella giurisprudenza di legittimità.

Opera un’interpretazione sistematica dell'art.425 c.p.p. che fa leva sul rapporto con l'art. 125 disp.att. C.p.p., con il principio di completezza delle indagini preliminari  (e con l'introduzione degli articoli 421 bis e 422 c.p.p.), con il potere di riconoscere le circostanze attenuanti, con il giudizio immediato, con l'art. 421 c.p.p. Finalmente la Corte rapporta gli elementi di prova oggetto della valutazione del gup all'art.434 c.p.p. sulla revoca della sentenza di non luogo a procedure.

La sez. Sesta della Corte di Cassazione chiarisce il senso dell'introduzione dell'art.425 comma 3 c.p.p. Con una interpretazione del tutto innovativa rispetto all'orientamento di legittimità, nella sentenza si distinguono i concetti di insufficienza, contraddittorietà ed inidoneità, superando la tradizionale lettura unitaria:

La interpretazione letterale del comma aggiunto dell'art. 425 cod. proc. pen. è che la preclusione al rinvio a giudizio è conseguenza innanzitutto della "insufficienza" del materiale probatorio. Mentre l'espressione "elementi ... contraddittori" potrebbe anche leggersi quale impossibilità di sviluppo dibattimentale, "elementi ... insufficienti", che certamente non esclude che possa esservi uno sviluppo dibattimentale (anzi, l'insufficienza degli elementi prodotti all'esito delle indagini, riduce il materiale che potrebbe essere valutato a favore dell'imputato rendendo più difficile negare la possibilità teorica di acquisire utili prove nel dibattimento), non significa altro che quello che è il suo immediato significato: "scarsità del materiale probatorio".

9.3 Se, quindi, bastasse il carattere "aperto" degli elementi acquisiti, ovvero la possibilità che in dibattimento si raccolgano prove utili - che al momento dell'udienza preliminare non vi sono -, tale disposizione non avrebbe alcuna ragione d'essere, potendo disporsi il proscioglimento solo per i casi limite della accertata innocenza, delle imputazioni macroscopicamente impossibili e dei casi in cui il materiale a carico non giustifichi neanche la prospettazione di commissione del reato.

Quanto alla espressione "o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio", appare evidente che la stessa, per come collocata nel contesto complessivo, non si raccorda a "insufficienza" o a "contraddittorietà" per completarne il senso nel caso concreto, bensì impone che nel caso inverso (ovvero quando gli elementi siano "sufficienti" e "univoci"), non si possa rinviare a giudizio nei casi in cui, pur a fronte di tali elementi, non vi sia alcuna prospettiva di ulteriore sviluppo per giungere alla prova piena del fatto.

Dunque, la sentenza apre nuove frontiere nell’interpretazione dell’art. 425 c.p.p.

Con viva e vibrante soddisfazione.

 

14/12/2015
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