Magistratura democratica
Prassi e orientamenti

Alcune considerazioni sulla mobilità dei magistrati

di Bruno Giangiacomo
presidente del Tribunale di Vasto
Secondo l'autore, l'attuale termine triennale per la legittimazione ai tramutamenti risponde più alle aspettative individuali che alle esigenze degli uffici giudiziari
Alcune considerazioni sulla mobilità dei magistrati

L’importanza del tema dei tramutamenti nella funzionalità degli uffici giudiziari è richiamato non a caso all’inizio del documento congressuale di MD in materia di ordinamento giudiziario: “Prima di passare ad analizzare quelle che sono le condizioni e le problematiche del nostro sistema ordinamentale non si può dimenticare un settore che, spesso sottovalutato, condiziona pesantemente tutto il sistema stesso, dalle tabelle alle valutazioni di professionalità, dalla produttività sul lavoro al disciplinare; si tratta della pesante scopertura dell’organico che si è determinata, nonostante ormai da alcuni anni i concorsi si fanno regolarmente anche con tempi accettabili e quindi vi è un afflusso di nuove assunzioni che non compensa, però, l’emorragia di magistrati, che spesso sfugge a logiche prevedibili, come si verifica attraverso interventi sul pubblico impiego in funzione economica che non rendono più conveniente anche la permanenza in magistratura con inevitabili e consistenti esodi. Il sistema dei tramutamenti è entrato in crisi, non si riesce più a dare ad essi un andamento prevedibile e quindi organizzato, gli uffici hanno scoperture pressocchè perenni, ormai il pieno organico negli uffici e nelle sezioni è una chimera; la precondizione per qualsiasi discorso su efficienza, produttività, programmazione, e cioè la completezza dell’organico, indispensabile perchè quei principi si pongano in termini di fattibilità, è in una crisi che appare francamente irreversibile o quanto meno di difficile soluzione”.

Un punto nodale è il discorso sul triennio di legittimazione per il successivo trasferimento, che costituiva un punto di equilibrio della riforma del 1998 la quale veniva da due diverse prospettive: quella originaria biennale e quella successiva quadriennale, introdotta nel ‘91; quest’ultima era stata ritenuta aver ingessato troppo la mobilità, non favorendo un adeguato ricambio degli uffici in presenza di una scopertura di organico nettamente inferiore all’attuale ed in presenza di aumenti dell’organico conseguenti alla riforma del c.p.p..

Tutto questo senza considerare i c.d. microsistemi dei tramutamenti, quali ad es. le c.d. sedi disagiate che determinano forme separate di tramutamenti sganciate dagli ordinari concorsi a ciò rivolti.

La prospettiva è oggi molto cambiata per il determinarsi di vari fattori: la mutata età media di accesso alla magistratura con persone che già recano pressanti esigenze personali e familiari, la modifica dei benefici per le sedi disagiate, la scopertura dell’organico, che ha allargato le sedi possibili, la temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi, l’ultradecennalità stabilita per legge; tutti fattori questi che a vario titolo ed in varia misura incentivano i tramutamenti esterni (e anche interni), cui fa da contraltare la maggior difficoltà di spostamento tra il settore giudicante e requirente e viceversa che già era al di sotto del 10% prima dell’entrata in vigore della riforma e adesso si è ridotta ai minimi termini.

E’ giusto rilevare che il termine di legittimazione triennale oggi serve più alle aspettative individuali che alle esigenze di servizio in presenza della forte scopertura d’organico e quindi andrebbe aumentato o comunque differenziato il termine tra trasferimenti officiosi e a domanda, prevedendo almeno per questi ultimi un aumento almeno quadriennale del periodo di legittimazione (differenziazione che era già nota nella precedente legislazione: due anni per gli uditori giudiziari e tre per i trasferimenti ordinari).

C’è però un altro settore dove è molto importante, se non indispensabile aumentare detto termine: quello degli incarichi direttivi e semidirettivi.

E’ incongruo che si indichi il periodo di permanenza quadriennale ai fini della conferma e poi si dia la possibilità di tramutamento precedente a detto periodo.

Non è un problema di deficit di valutazione perché la domanda per un altro incarico direttivo o semidirettivo comporta anche una nuova valutazione per detto incarico, che evidentemente terrà conto di come l’incarico in precedenza ricoperto sia stato espletato.

Il problema è che il conferimento di un incarico direttivo o semidirettivo è una forma di vero e proprio investimento verso colui al quale il CSM conferisce quell’incarico per realizzare programmi ed obiettivi che, a parte i riscontri di essi, devono essere affermati e per questo richiedono necessariamente uno sviluppo in prospettiva temporale; ciò comporta inevitabilmente il mantenimento in quel posto per un periodo adeguato, che deve essere almeno pari a quello quadriennale stabilito dalla legge per operare la valutazione confermativa nell’incarico.

Credo che il termine potrebbe anche essere aumentato a cinque anni, salvo il diniego della conferma (che facendo venir meno l’incarico fa venir meno anche l’esigenza del suo mantenimento), per un’altra ragione di non poco momento: ingessare i tramutamenti dagli incarichi direttivi e semidirettivi riduce significativamente il c.d. carrierismo dei dirigenti, che non potranno più avere quell’ampia possibilità di scelta di nuovi e più appetibili incarichi del genere, evitando quei “giochi di sponda” che sovente si riscontrano per raggiungere l’obiettivo da tempo prefissato e per il quale si finisce per precostituire un vero e proprio obiettivo di carriera.

Ciò naturalmente dovrebbe prevedere innanzitutto l’abrogazione di una norma, come quella dell’art.195 R.D. 12/41, che esclude qualsiasi termine di legittimazione per chi proviene da certi incarichi e ne vuole andare a ricoprire di simili (presidenti di Corte d’Appello, di sezione della Corte di Cassazione, procuratori generali presso la Corte d’Appello e avvocati generali della Corte di Cassazione); una norma assolutamente configgente con il nuovo ordinamento giudiziario sotto tutti i punti di vista, espressione esclusiva di un privilegio piuttosto che di un’esigenza di avere sempre per certi posti la miglior platea possibile di aspiranti (la ratio che renderebbe ancora attuale detta disposizione).

Nel caso degli incarichi direttivi e semidirettivi l’aumento, anche solo per essi, del termine di legittimazione per un successivo trasferimento avrebbe il pregio di ridimensionare, con gli effetti più sopra evidenziati, un tema di disputa antico ed attuale al tempo stesso e cioè se la temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi debba essere assoluta o relativa, riguardando soggettivamente l’intera carriera del magistrato o oggettiva, attenendo solo all’incarico da questi svolto e non impedendo lo svolgimento di altro incarico direttivo o semidirettivo; questo perché inevitabilmente, allungando i termini di permanenza nelle sede di provenienza si determina da un lato una remora a trasferimenti in sedi non comode dove si deve permanere per più tempo (così anche da scongiurare fenomeni di pendolarismo non adeguati al servizio), dall’altro un’oggettiva riduzione delle vacanze in questi incarichi, che scoraggiano percorsi precostituiti ed un’eccessiva mobilità in questo settore esclusivamente tra chi già questi incarichi ricopre.

Una simile riforma non farebbe mancare la possibilità alla magistratura di continuare ad avvalersi di dirigenti bravi nei posti direttivi, a mio avviso valore da preservare che sconsiglia una temporaneità assoluta per essi, ed al contempo tempererebbe la possibilità di percorsi esclusivi e carrieristici all’interno della magistratura.

29/07/2013
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