Magistratura democratica

Autonomia/subordinazione: realtà parallele con punti di incontro

di Margherita Leone

Una riflessione comune su collaborazioni eterorganizzate, lavoro su piattaforme digitali e «lavoro agile» evidenzia come il legislatore degli ultimi anni abbia cercato di regolamentare nuove realtà del mondo del lavoro non facilmente riferibili alle categorie classiche di autonomia e subordinazione. Le differenze segnalate e le commistioni tra elementi delle due categorie trovano un punto comune, una convergenza, che segna comunque ogni prestazione di lavoro e richiede regole adeguate.

1. Autonomia e subordinazione

Il paradigma “autonomia/subordinazione” ha da sempre imposto all’interprete la difficile ricerca di elementi di fatto che potessero ben rappresentare l’appartenenza della singola fattispecie al mondo del lavoro eterodiretto, assoggettato al potere disciplinare e organizzativo altrui, ovvero alla sfera della autonomia delle scelte circa i modi, i tempi, i luoghi della prestazione. Nel tempo, le difficoltà sono cresciute: modelli contrattuali molteplici e prestazioni complicate dalle tecnologie hanno richiesto un costante aggiornamento del significato profondo delle due categorie. In molti casi, il principio secondo cui “ciascuna prestazione può essere svolta in modo autonomo o subordinato” ha determinato una necessaria e approfondita analisi degli “indici rivelatori” (da ultimo, Cass., n. 3314/2019) per riportare una prestazione di lavoro nella sua esatta collocazione giuridica, al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti.

Il processo identificativo della modalità concreta del rapporto di lavoro ha dovuto fare i conti con realtà sociali in rapido mutamento e modelli organizzativi aziendali diversificati, sempre più condizionati da strumenti tecnologici e nuove forme di comunicazione e interazione.

La legislazione di questi ultimi anni ha tentato di seguire l’onda del mutamento, talvolta traendo spunti da quanto sperimentato dalla contrattazione collettiva e/o aziendale in singole realtà (ad esempio, nel caso del «lavoro agile», divenuto istituto legale dopo un periodo vissuto come istituto contrattuale), o cercando di porre regole in realtà già consolidate socialmente, ma sfuggenti rispetto ai tradizionali schemi legali (come nel caso delle collaborazioni eterorganizzate).

Val la pena proporre qualche riflessione proprio sulle collaborazioni eterorganizzate e sul lavoro agile, in quanto rappresentativi di quel labile confine tra autonomia e subordinazione rispetto al quale le scelte legislative hanno assunto contenuto differente, proponendo un modello di lavoro subordinato anche in condizioni lavorative prive di vincoli di tempi e di luoghi, come nel lavoro agile, ovvero l’applicazione delle tutele tipiche del lavoro subordinato a collaborazioni continuative ed eterorganizzate.

Sembrerebbe, a prima vista, un quadro di inestricabili intrecci; in realtà, è solo un tentativo di dare ordine a un mondo del lavoro profondamente mutato, in cui le differenze sono spesso difficili da cogliere, ma si è reso comunque necessario prevedere e garantire tutele sostanziali certe.

Risulta essere, infatti, questa la finalità perseguita dal legislatore allorché, con la legge delega n. 183/2014, ha individuato – tra gli altri – i seguenti criteri: «Visto l’articolo 1, comma 7, lettera a), recante il criterio di delega volto a individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali».

2. Le collaborazioni eterorganizzate

Il d.lgs n. 81/2015, emanato in attuazione della predetta delega, all’art. 2 ha previsto e regolato le collaborazioni organizzate dal committente proprio in considerazione della finalità di superamento delle tipologie contrattuali, stabilendo che «A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente  personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».

La scelta risulta chiara: applicare la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche a prestazioni che, inquadrate come collaborazioni personali, siano caratterizzate da talune condizioni, quali la continuità e la eterorganizzazione.

Un lungo dibattito dottrinario ha fatto seguito alla disciplina del 2015 e alla qualificazione di questa nuova tipologia di collaborazioni. Le oscillazioni tra autonomia e subordinazione, con passaggi significativi verso un aggiornamento di entrambe le categorie e un approfondimento dei possibili significati di “dipendenza economica”, “autonomia attenuata” o “subordinazione rinnovata”, non hanno trovato una risposta univoca e ferma, anche per la carenza di un’importante ed eloquente quantità di contenzioso in materia, e la conseguente difficoltà di valutare a pieno l’impatto della nuova disciplina nel concreto mondo delle collaborazioni.

Sembrerebbe comunque prevalente, in dottrina, la tesi secondo cui l’art. 2 non modifica l’art. 2094 cc, né identifica un nuovo tipo legale, ma si limita a descrivere una categoria di “rapporti di collaborazione” accomunati dalle caratteristiche ivi descritte (rapporti personali e continuativi, con modalità di esecuzione della prestazione individuate dal committente) e a stabilire che ad essi si applica la disciplina del lavoro subordinato. Una legislazione di disciplina, una equiparazione quoad effectum dei collaboratori eterorganizzati ai lavoratori subordinati.

L’effettiva difficoltà di un lineare inquadramento rende, forse, più opportuno mantenere un profilo di analisi maggiormente sostanziale, mirata all’esame del dettato della disposizione per valutare quali siano le condizioni che consentono alla collaborazione di essere assoggettata alla disciplina dell’art. 2 e, soprattutto, alle tutele da esso previste. Deve peraltro soggiungersi che la legge n. 128/2019 ha integrato il disposto dell’art. 2 con la previsione di applicazione della disciplina delle collaborazioni eterorganizzate anche «qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali», come di seguito si vedrà. Di tale significativa modifica occorre tener conto per tentare di delineare un quadro complessivo che, nell’esame delle singole condizioni, evidenzi le differenze, ma renda leggibile l’articolato intervento legislativo.

2.1. Personalità prevalente della prestazione

La previsione del carattere esclusivamente personale della prestazione contenuta nell’originario testo dell’art. 2 d.lgs n. 81/2015, è stata sostituita dalla recentissima legge n. 128/2019, con la quale la disciplina del rapporto di lavoro subordinato si applica anche a rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali.

La modifica non è di poco conto, poiché ammette che la collaborazione possa avvenire anche attraverso l’utilizzo di una sia pur minima organizzazione da parte del collaboratore.

La nozione di “prestazione prevalentemente personale” è stata oggetto di ripetute riflessioni e pronunce dei giudici di merito e di legittimità, in relazione all’art. 409, n. 3, cpc, sempre ancorata a parametri di quantità del livello di organizzazione, ma anche alla qualità dello stesso[1]. Ci si deve, allora, domandare se la modifica legislativa intervenuta si ponga nel solco già segnato in tema di collaborazioni autonome (rientranti nell’applicazione dell’art. 409, n. 3, cpc), ove il carattere personale si configurain caso di prevalenza del lavoro del preposto sull’opera svolta dai collaboratori e sull’utilizzazione di una struttura di natura materiale[2]. Se l’utilizzo di strutture materiali di compatibile adeguatezza al lavoro del singolo non lascia dubbi in termini di riferibilità alla nozione di “prevalenza”, qualche problema potrebbe suscitare l’utilizzo di lavoro di terzi da parte del collaboratore. Probabilmente, se può ritenersi compatibile l’utilizzo di servizi forniti da terzi estranei alla minima struttura organizzativa del collaboratore, deve escludersi che il lavoro fornito da terzi possa, a sua volta, essere organizzato dallo stesso collaboratore: in tal caso, la struttura organizzativa assumerebbe caratteristiche più rilevanti socialmente e giuridicamente, non più assimilabili alla sfera del lavoro prevalentemente personale.

2.2. Continuità della prestazione

La caratteristica della continuità evidenzia il legame della prestazione fornita con una stabile esigenza del committente e la contrapposizione alla mera occasionalità dell’opera svolta. L’alternativa tra continuità e occasionalità, pur non intaccando il contenuto della prestazione, che può essere di eguale natura, si riflette invece sulla tutela esigibile.

Al riguardo, con riferimento al lavoro tramite piattaforme digitali – di cui di seguito si dirà –, l’art. 47-bis introdotto dalla l. n. 128/2019 prevede, infatti, l’ipotesi di lavoratore autonomo che svolga «attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore () attraverso piattaforme anche digitali».

La disposizione, pur lasciando ferma la possibilità che nell’ambito di tali prestazioni siano configurabili ipotesi di collaborazione ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lgs n. 81/2015, affianca a queste la figura del lavoratore autonomo, con ciò evidenziando la possibilità che nel lavoro su piattaforme digitali siano configurabili prestazioni prive dei caratteri di continuità, personalità prevalente ed eterorganizzazione. L’effetto di tale distinzione è una differente tutela che accompagna i prestatori di lavoro.

Probabilmente, l’effettiva condizione che renderà operativa la distinzione in esame sarà proprio la continuità contrapposta all’occasionalità della prestazione fornita, a patto naturalmente che la scelta della disponibilità occasionale resti nella sfera decisionale del lavoratore e non assoggettata a valutazioni di altra natura del committente.

2.3. Eterorganizzazione

L’elemento organizzativo ha costituito un fondamentale metro con il quale misurare l’esistenza e l’intensità dell’inserimento del lavoratore nell’azienda e nel ciclo produttivo della stessa, al fine di avvalorare o meno la presenza di un vincolo di subordinazione[3]. Il richiamo, fatto dall’art. 2 d.lgs n. 81/2015, all’organizzazione del committente quale elemento qualificante la tipologia della collaborazione assoggettata alla disciplina ivi contenuta, ha significato per taluni autor[4] segnare la differenza tra il concetto di “eterodirezione” e quello di “eterorganizzazione”: il primo, tipico della subordinazione e inteso quale assoggettamento alle direttive, all’organizzazione e al potere disciplinare del datore di lavoro; il secondo, invece, riferibile al solo potere di organizzare le modalità esecutive del lavoro del collaboratore in funzione delle esigenze del committente.

Al di là di una differenza lessicale, i due termini sembrano riferirsi a condizioni effettivamente non sovrapponibili e, soprattutto, a livelli di coinvolgimento del prestatore di lavoro più o meno intensi nella sfera aziendale, nella sfera relazionale dei dipendenti, nel tessuto dei reciproci obblighi e diritti scaturenti dal rapporto di lavoro.

La modifica, introdotta dalla l. n. 128/2019, che esclude il riferimento all’organizzazione dei tempi e dei luoghi di lavoro – prima contenuto nel testo dell’art. 2 d.lgs n. 81/2015 – rende forse più evidente la scelta del legislatore di tenere distinte le ipotesi di eterorganizzazione da quelle più pregnanti di eterodirezione, lasciando quest’ultima al mondo della piena subordinazione e richiedendo invece, per le collaborazioni di cui al richiamato articolo 2, solo la presenza di una organizzazione della prestazione da parte del committente.

Il venir meno del riferimento «ai tempi e al luogo di lavoro» rende più ampio l’ambito soggettivo della disciplina del lavoro subordinato[5] in tutti i casi in cui vi sia una qualunque forma di organizzazione esterna al collaboratore, pur se quest’ultimo scelga autonomamente luogo e tempi di lavoro.

2.4. Le tutele

Il contenuto letterale dell’art. 2 d.lgs n. 81/2015 (non modificato in questa parte), non dovrebbe lasciare dubbi circa l’applicabilità alle collaborazioni in esame della intera disciplina del lavoro subordinato, ivi compresa quella in materia di recesso ingiustificato.

Il richiamo della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, senza alcuna specificazione, renderebbe estranea alla ratio della norma ogni limitazione, in quanto l’assetto giuridico che regola il rapporto di lavoro subordinato è costituito non solo da diritti e obblighi connessi allo svolgimento del rapporto, ma anche dell’intero apparato di tutele che garantiscono l’effettività proprio di quell’assetto, ivi comprese quelle previste in caso di licenziamento. D’altra parte, se il legislatore avesse voluto delimitare il rinvio, escludendo dallo stesso alcune norme o istituti, lo avrebbe potuto e dovuto fare espressamente, com’è ad esempio avvenuto nella legge n. 142/2001, il cui art. 2 stabilisce che: «Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell’articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo. Si applicano altresí tutte le vigenti disposizioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro. Agli altri soci lavoratori si applicano gli articoli 1, 8, 14 e 15 della medesima legge n. 300/1970, nonché le disposizioni previste dal decreto» (corsivo aggiunto). In mancanza di un’indicazione legale della parte di disciplina del lavoro subordinato non applicabile alle collaborazioni eterorganizzate, o dei criteri per stabilire cosa non applicare, qualsiasi individuazione ad opera dell’interprete risulterebbe arbitraria.

Anche su questo punto il dibattito dottrinario, pure sollecitato dalle prime pronunce dei giudici di merito (Trib. Torino, 7 maggio 2018, n. 778; Corte appello Torino, 4 febbraio 2019, n. 26), ha segnalato divergenti opinioni, soprattutto collegate all’esigenza di qualificare le collaborazioni. E, ove non soddisfacente il binomio autonomia/subordinazione, è emersa la possibilità di un tertium genus anche giustificativo della esclusione di talune tutele, quale quella in materia di licenziamento[6].

Certamente la difficoltà di adattamento di concetti e categorie preesistenti a una realtà in continuo mutamento, come già evidenziato, richiede spesso interpretazioni che riescano a leggere meglio la realtà, ma non è questo il caso delle collaborazioni di cui all’art. 2. Il legislatore è stato chiaro: a tali collaborazioni si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. La secca ed essenziale disposizione non lascia spazi ad altri significati. In presenza di collaborazioni connotate da personale apporto lavorativo (in prevalenza), da continuità ed eterorganizzazione, si deve ritenere estesa e applicabile la disciplina del lavoro subordinato, anche in caso di illegittimo recesso.

La scelta legislativa così chiaramente espressa è, peraltro, confermata dalla recentissima disposizione di cui all’art. 47-bis, resa definitiva dalla l. n. 128/2019, secondo la quale, per i lavoratori autonomi che svolgano attività di consegna di beni per conto altrui anche attraverso piattaforme digitali (cd. “riders”), sono riconosciute tutele minime (quelle indicate ai successivi articoli, da 47-ter a 47-octies), tra le quali non è inclusa quella per i licenziamenti. L’esclusione, per questi ultimi, della specifica disciplina in materia di recesso ingiustificato deve dunque far ritenere dimostrata la diversa scelta operata dal legislatore del 2015, chiaramente diretta ad estendere alle collaborazioni di cui all’art. 2 richiamato tutte le tutele del lavoro subordinato.

Se lo sguardo dell’interprete resta in tal modo diretto all’analisi delle concrete condizioni del lavoro dei collaboratori e delle conseguenti tutele applicabili secondo il disposto normativo, potrebbe risultare superata ogni necessità di stabilire se si tratti di prestazione collocabile nell’ambito del lavoro subordinato o autonomo, in quanto irrilevante rispetto alle domande di tutela prospettate, restando peraltro inalterata la possibilità per i lavoratori di richiedere, ove corredato da adeguati elementi probatori, il riconoscimento di una piena subordinazione nella prestazione resa.

3. Il lavoro attraverso le piattaforme digitali

La legge n. 128/2019 ha reso definitiva l’integrazione dell’art. 2, comma 1, d.lgs n. 81/2015 – già operata dal dl n. 101/2019 – con la specifica previsione sopra richiamata, a più riprese, di applicazione della medesima disciplina delle collaborazioni eterorganizzate anche «qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali».

Inoltre, con l’art. 47-bis, ha poi stabilito che «si considerano piattaforme digitali i programmi e le procedure informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna di beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione».

 La definizione fornita risulta essere di notevole importanza, in quanto consente di comprendere il reale valore sostanziale delle piattaforme, che, in origine qualificate solo quali asettici luoghi di incontro tra fornitori e fruitori di servizi, sono invece identificate quali strumenti attraverso i quali il committente fissa i compensi e le modalità di esecuzione della prestazione diretta alle attività di consegna dei beni. Si tratta di un notevole passo avanti rispetto alla necessità di comprendere e disciplinare il variegato mondo del lavoro digitale, così regolato da piattaforme (anche digitali) che assumono, si potrebbe dire, quasi la veste di “parte” nel rapporto di lavoro. A conferma di ciò, ad esempio, testimonia il disposto dell’art. 47-septies allorché identifica, nel committente che utilizzi la piattaforma anche digitale, il soggetto obbligato a tutti gli adempimenti del datore di lavoro in materia di assicurazione Inail. L’utilizzo in tal modo della piattaforma impone obblighi e tutele datoriali, così trasformando l’asetticità dell’incontro in rapporto di lavoro articolato e garantito.

3.1. La legge n. 128/2019. Lavoratori autonomi e tutele

La previsione più innovativa contenuta nella legge n. 128/2019 è rappresentata dalla specifica considerazione dei «lavoratori autonomi che svolgano attività di consegna di beni per conto altrui in ambito urbano e con ausilio di velocipedi o veicoli a motore (…) attraverso piattaforme anche digitali». Si tratta dei “riders” e di quelle forme di prestazione di lavoro che, sorte in sordina non molto tempo fa quale espressione dei lavoretti compiuti dai più giovani per realizzare un guadagno minimo, hanno nel tempo rappresentato una consistente area occupazionale coinvolgente lavoratori di tutte le età e con esigenze di impegno diversificate.

Per la prima volta, il legislatore si è posto nell’ottica di fornire adeguate tutele anche a tali prestazioni, che, normativamente qualificate come “autonome”, comunque necessitano di garanzie per la salute e la dignità economica e sociale del lavoratore.

Gli articoli da 47-ter a 47-septies individuano un nucleo essenziale di diritti, che spaziano dal contratto individuale scritto alle informazioni utili anche per la tutela della salute legata alla specifica prestazione, nonché al compenso minimo, all’applicazione della disciplina antidiscriminatoria e alla copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Le importanti previsioni sono anche completate dallo specifico divieto di esclusione del lavoratore dalla piattaforma e dal conseguente divieto di riduzione delle occasioni di lavoro.

È, quest’ultima, una scelta nodale della nuova disciplina, poiché individua un punto che aveva costituito un anello debole nella costruzione della fattispecie: la disconnessione del lavoratore dalla piattaforma a scelta univoca del committente, in caso di precedente mancata accettazione (da parte del lavoratore) della singola prestazione, costituiva una forma, oltre che dissuasiva – e quindi limitativa della facoltà di gestione autonoma della stessa prestazione –, anche sanzionatoria del comportamento (e potenzialmente discriminatoria). Tutto ciò in una cornice di apparente valorizzazione della libertà di tempi e modi dell’attività di lavoro attribuita al lavoratore. L’ultimo intervento legislativo ha sterilizzato tale possibilità, sancendo il divieto di ogni esclusione dalla piattaforma o anche solo dalle occasioni di lavoro, nei casi in cui la ragione di ciò sia riferibile alla mancata accettazione della singola prestazione.

Resta da ribadire che la specifica considerazione normativa dei riders quali lavoratori autonomi non deve portare a escludere che le medesime mansioni possano essere svolte con connotazioni differenti assimilabili alle collaborazioni eterorganizzate o, se ve ne siano le reali condizioni, a prestazioni di natura subordinata. Probabilmente, la linea di demarcazione tra le fattispecie potrà individuarsi, nel concreto, nell’elemento della continuità contrapposto alla sporadicità e occasionalità della prestazione, con evidente ripercussione sulla tipologia dell’inserimento nell’organizzazione datoriale e sulle conseguenti tutele adeguatamente riconoscibili.

4. Il «lavoro agile» [7]

La legge n. 81/2017 prevede, all’art. 18, una particolare forma di lavoro subordinato rispondente a finalità di maggiore conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro: il «lavoro agile». L’istituto appare per la prima volta nel panorama legislativo, anche se certamente anticipato dalla disciplina del telelavoro[8] e, come spesso accade, quale risultato di singole esperienze aziendali[9] dirette a cercare formule organizzative della prestazione di lavoro più rispondenti a realtà sociali mutate e anche più attente a esigenze personali, a un maggior benessere aziendale oltre che a misure di contenimento dei costi aziendali.

Anche in questo caso non si tratta, infatti, di un tertium genus da distinguere e considerare separatamente rispetto alla classica dicotomia subordinazione/autonomia, ma di una particolare modalità di esecuzione della prestazione subordinata.

Il legislatore, anche qui, ha inteso avvicinarsi al mondo dei nuovi lavori, ovvero a quelle attività fortemente caratterizzate dallo strumento tecnologico e dalla possibilità di svolgere la prestazione senza confini di tempo e di luogo, ma ha scelto di intervenire prevedendo una figura di particolare modalità della prestazione subordinata, interna al ciclo produttivo dell’azienda, ma con caratteri tali da consentirne lo svolgimento in assenza (o quasi) di vincoli spazio-temporali.

4.1. L’accordo tra le parti

La previsione della modalità “agile” della prestazione deve essere contenuta in un accordo scritto tra le parti, comunque modificabile nel corso del rapporto.

L’accordo assume particolare rilievo poiché non solo esprime la condivisa scelta della modalità a distanza della prestazione, ma ne individua le peculiari caratteristiche sull’orario, sulle forme di collegamento e connessione con il datore di lavoro, sui controlli della prestazione, sulle modalità di utilizzo degli strumenti tecnologici (ove siano funzionali alla prestazione).

Si tratta, quindi, di accordo contrattuale che si inserisce nel contratto originariamente stipulato tra le parti, attribuendogli una peculiare configurazione.

La finalità di coniugare insieme e conciliare i tempi di lavoro con i tempi di vita impone l’individuazione delle modalità operative della prestazione, dei tempi, degli orari, delle modalità di controllo; ed impone, rispetto a tali elementi, un approccio e una visione in gran parte slegati dai tradizionali canoni di lettura della subordinazione.

4.2. L’orario di lavoro

L’individuazione dell’orario di lavoro o, ancora meglio, della durata della prestazione risponde quindi alla duplice finalità di rendere chiara la prestazione richiesta e di vincolare il lavoratore solo e soltanto a quei limiti temporali oltre i quali egli potrà riappropriarsi dell’intero tempo residuo.

La possibilità di individuare e stabilire in accordo tra le parti le modalità orarie, stabilendone le diverse allocazioni all’interno della giornata, trova limite nella durata massima giornaliera della prestazione (se stabilita dalla contrattazione collettiva di settore) e ancor più, a contrario, nella previsione del riposo minimo di 11 ore consecutive ogni 24 ore (d.lgs n. 66/2003)[10].

I limiti evidenziati concorrono a far ritenere presumibilmente ancorata la prestazione agli orari aziendali, come anche attestato dai contratti aziendali che, in materia, hanno fornito le prime regole[11]. La possibile varietà dell’orario stabilito, se da un lato deve comunque considerare la necessaria connessione e interazione con il datore di lavoro, deve al tempo stesso garantire l’affermazione di un vero e proprio diritto del lavoratore a essere “sconnesso”.

4.3. Diritto alla disconnessione

La disposizione di cui all’art. 19 l. n. 81/2017 non qualifica espressamente il diritto alla disconnessione, ma individua comunque la necessità che l’accordo tra le parti contenga anche la previsione di misure tecniche e organizzative necessarie per assicurarne l’effettiva realizzazione. La contrattazione collettiva, oltre che l’accordo individuale, dovrà essere strumento per individuare le diversificate necessità di disconnessione legate alle peculiari attività e necessità organizzative.

L’ampia previsione dell’art. 18, comma 1, l. n. 81/2017 rende possibile un accordo sulla prestazione organizzata anche per fasi o cicli produttivi e anche per obiettivi. In tali ipotesi, il confine dell’istituto con altre forme contrattuali (si pensi al telelavoro[12] o alle collaborazioni), o che abbiano ad oggetto la sola realizzazione dell’opera, si manifesta piuttosto labile, con ciò offrendo spazi a sovrapposizioni di modelli legali e a difficili letture della reale volontà pattizia.

4.4. Lo strumento tecnologico e la tutela infortunistica

Se è anche ipotizzabile una modalità agile di lavoro in prestazioni ordinarie, è la presenza dello strumento tecnologico quale modalità stessa del contenuto della prestazione ad attribuire specificità e ampia possibilità di utilizzo della attività di lavoro fuori dai locali aziendali, anche perché è tale modalità che garantisce il legame con il datore di lavoro attraverso la connessione, e che testimonia il vincolo di subordinazione esistente tra le parti.

L’utilizzo dello strumento informatico in collocazione esterna all’azienda, anche se non fissa – come taluni autori hanno sottolineato –[13], postula una evidente estraneità dell’ambiente di lavoro alla sfera di controllo e di sorveglianza del datore di lavoro.  Quest’ultimo sarà tenuto a garantire la sicurezza e la tutela della salute del lavoratore “agile” (art. 22) attraverso la consegna (anche al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) di un’informativa scritta, con cadenza almeno annuale, nella quale sono individuati i rischi generali e quelli specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Il datore di lavoro è anche responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento della prestazione. L’art. 22 prevede inoltre un obbligo di cooperazione del lavoratore nell’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi alla prestazione di lavoro eseguita all’esterno dei locali aziendali.

Il sistema delle garanzie si completa con la specifica previsione del diritto del prestatore di lavoro alla tutela contro gli infortuni sul lavoro (art.23) legati alla prestazione (con il limite di quelli occorsi nel percorso che separa il luogo di abitazione da quello di lavoro), nonché per le malattie professionali dipendenti dai rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dai locali aziendali.

L’insieme delle previsioni legali, alle quali deve aggiungersi la più generale disciplina dettata dal d.lgs n. 81/2008 in materia di tutele per i videoterminalisti (certamente applicabile a questa tipologia di prestazione), approda all’esplicito riferimento (art. 22) alla responsabilità datoriale in materia di sicurezza per il lavoratore agile, anche se l’altrettanto esplicito richiamo, nella seconda parte del medesimo articolo, all’obbligo di cooperazione del lavoratore nell’attuazione delle misure di prevenzione potrebbe essere inteso quale “alleggerimento” della responsabilità datoriale.

Deve ricordarsi che, nell’ambito della più tradizionale subordinazione (le cui regole, come sopra detto, costituiscono parte integrante del rapporto di lavoro agile), la linea continua della responsabilità datoriale individuata in via generale dall’art. 2087 cc si interrompe solo rispetto a comportamenti anomali e imprevedibili tenuti dal lavoratore, impeditivi del funzionamento delle misure di sicurezza[14]. In tale cornice deve, quindi, essere letta la specificazione contenuta nella disposizione di cui all’art. 22, non abolitiva del tradizionale rapporto “datore di lavoro - lavoratore” sulla materia degli obblighi di sicurezza, ma solo diretta a contestualizzare la differente situazione costituita dalla prestazione resa in luogo estraneo all’azienda e sottratto alla diretta gestione del datore di lavoro.

Tale connotazione, necessariamente, responsabilizza anche il lavoratore nella sorveglianza e attenzione rispetto alle condizioni dell’ambiente in cui presta l’attività, (peraltro non imponendogli oneri di diretta ed esclusiva assunzione di misure specifiche), non escludendo affatto la complessiva e finale responsabilità datoriale rispetto al preventivo accertamento dell’idoneità delle stesse e al costante controllo del mantenimento di standard di sicurezza[15].  Resterà conseguentemente ferma, in ipotesi di infortunio sul lavoro e malattia professionale, la responsabilità del datore di lavoro per l’eventuale danno differenziale escluso dall’assicurazione Inail.

4.5. Il potere di controllo

La qualificazione subordinata del lavoro agile richiama il potere di controllo quale elemento identitario del rapporto “datore di lavoro - lavoratore” e al quale l’art. 21 della l. n. 81/2017 ha dato specifico riscontro, stabilendone le modalità. Peraltro la disposizione, in osservanza della centralità che l’accordo individuale tra le parti assume in questa tipologia di prestazione, ha rimesso la disciplina del potere disciplinare alla comune volontà dei contraenti, con il solo limite del rispetto di quanto disposto dall’art. 4 l. n. 300/70 e successive modificazioni. Quest’ultima disposizione, regolativa delle modalità dei controlli esercitabili sul lavoratore attraverso impianti audiovisivi e strumenti che consentono il controllo a distanza, al secondo comma considera gli strumenti assegnati al lavoratore per rendere la prestazione (esclusi dagli obblighi di preventivo accordo collettivo) e, al successivo comma, afferma chiaramente che le informazioni raccolte (anche attraverso gli strumenti di lavoro) «sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196».

La lettura congiunta delle previsioni dell’art. 4 e della specifica disposizione relativa al lavoro agile ci consegna un quadro assai delicato, poiché le condizioni peculiari di tale forma di prestazione considerate dal legislatore, e dallo stesso riservate alla comune volontà delle parti del rapporto di lavoro, trovano l’invalicabile limite dell’art. 4 e, in particolare, del possibile utilizzo delle informazioni raccolte attraverso lo strumento informatico di lavoro. Se, nell’ordinario rapporto di lavoro subordinato prestato in azienda, i controlli del lavoratore sono sottoposti a modalità concordate e controllate dalle parti sociali, nel lavoro agile sono possibili soltanto (o quasi) attraverso lo strumento di lavoro, e sono inoltre soggetti alla sola garanzia della adeguata informazione prevista dalla normativa sulla privacy fornita dal datore di lavoro.

Saranno, dunque, i principi in questa materia a fornire le linee per una corretta espressione del potere di controllo, intendendo quest’ultimo sempre limitato alla sola finalità di verifica dell’adempimento contrattuale[16] e comunque prestabilito, nelle modalità di tempo e di oggetto, da specifiche indicazioni fornite al lavoratore. L’attività informativa, oltre che le eventuali condizioni espresse nell’accordo individuale, costituiscono la forte linea di demarcazione che porterà a distinguere il corretto potere di controllo dalle ipotesi di sconfinamento dello stesso e di lesione dei diritti del lavoratore.

Il costante progresso delle funzioni tecnologiche non consente di fissare barriere stabili a garanzia della privacy e della dignità del lavoratore, e sarà dunque affidata alla gestione del rapporto l’individuazione dei punti di equilibrio necessari a scongiurare il possibile verificarsi di forme occulte di controllo illegittimo. Il potere disciplinare relativo alle condotte connesse alla prestazione di lavoro “in esterno” è esercitabile solo nei limiti dei comportamenti selezionati e specificamente indicati dalle parti nell’accordo sul lavoro agile. La previsione contenuta nella seconda parte dell’art. 21 condiziona la possibile sanzione disciplinare alla scelta delle parti, così imponendo alle stesse di valutare concordemente quali siano i comportamenti confliggenti con i doveri legati alla prestazione di lavoro. In tali ipotesi, circoscritte alle sole condotte tenute fuori dai locali aziendali, non avrà senso richiamare i codici disciplinari e indagarne la rituale diffusione e affissione nei locali dell’azienda.

5. Conclusioni. Il comune denominatore… Punto d’incontro di rette parallele

La scelta di accostare e, sinteticamente, analizzare fattispecie differenti quali le collaborazioni eterorganizzate, il lavoro  attraverso le piattaforme digitali e il lavoro agile è finalizzata a rappresentare come il legislatore degli ultimi anni sia intervenuto con discipline differenti dotate, però, di un comune denominatore costituito dalla necessità e dal conseguente tentativo di dare ordine a una complessità crescente del mondo del lavoro, e riconoscere realtà fattuali sfuggenti rispetto alle categorie giuridiche in uso. Non sempre, infatti, la pur necessaria modernizzazione dei concetti classici di subordinazione e autonomia della prestazione di lavoro è riuscita a fornire soddisfacenti risposte alla crescente domanda di regolamentazione di nuove fattispecie. Le strade percorse negli ultimi anni hanno avuto diverse connotazioni, talune contrassegnate da un affievolimento dei vincoli di tempo e luogo di lavoro, ma mantenute nell’alveo della subordinazione; altre dichiaratamente escluse da questa qualificazione, ma assoggettate alle tutele sue proprie.

Un dato sembra certo: esiste un nucleo essenziale di diritti e garanzie propri del lavoro subordinato, un comune denominatore, un punto di incontro, che è espressione non già del vincolo e della relazione di assoggettamento in sé considerata, ma del necessario riconoscimento che nella prestazione di lavoro – in tutte le sue forme – debba essere concretamente assicurata quella condizione di dignità richiamata dalla nostra Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La dignità del lavoro e del lavoratore è concetto che contiene in sé molteplici aspetti: è valore fondante delle nostre Carte, principio giuridico, limite posto dall’ordinamento per qualificare “soglie minime”, invalicabili, di condizioni dell’esistenza e della vita (art. 36 Cost.). Si tratta di valore che evoca direttamente l’umano, il rispetto della persona nella sua integrità, ponendola al centro del sistema dei diritti e del modello di sviluppo economico.

Al legislatore e agli interpreti il compito di darne concreta attuazione.

[1] Cass., n.16993/2002; Cass., n. 5698/2002.

[2] Cass., n. 5698/2002.

[3] Cass., n. 29640/2018; Cass., n. 3314/2019; Cass., n. 25409/2013

[4] M. Marazza, Collaborazioni organizzate e subordinazione. Il problema del limite (qualitativo) di intensificazione del potere di istruzione, «Centre for the Study of European Labour Law» (CSDLE) “Massimo D’Antona”, working paper n. 315/2016.

[5] R. Riverso, Cambiare si può. Nuovi diritti per i collaboratori, in questa Rivista online, 15 novembre 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/cambiare-si-puo-nuovi-diritti-per-i-collaboratori_15-11-2019.php.

[6] In seguito alla trasmissione del presente contributo, è intervenuta la pronuncia della Cassazione n. 1663/2020 [ndC].

[7] Per una completa lettura della disciplina, M. Leone, Lavoro agile: prime riflessioni, in Il giuslavorista, 3 dicembre 2018, http://ilgiuslavorista.it/articoli/focus/lavoro-agile-prime-riflessioni.

[8] Taluni autori hanno evidenziato i molti aspetti di sovrapposizione. Vds. M. Tiraboschi, Il Lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, «Centre for the Study of European Labour Law» (CSDLE) “Massimo D’Antona”, working paper n. 335/2017.

[9] Sono intervenuti, tra gli altri, accordi collettivi e aziendali per lavoratori di Telecom, Enel, Ferrovie dello Stato, Vodafone, BMW, Italtel, Unicredit, Ferrero. Cfr. i dati forniti dall’Osservatorio ADAPT sullo smart working (https://moodle.adaptland.it/course/view.php?id=625) e sul sito web www.farecontrattazione.it.

[10] Sono, inoltre, da considerare i vincoli delle direttive europee in materia di orario di lavoro.

[11] Accordo Nestlé, 12 ottobre 2012; accordo Cedacri, 14 aprile 2016; accordo Cariparma, 8 marzo 2016; accordo Enel, 4 aprile 2017; accordo Ferrovie dello Stato, 2 maggio 2017.

[12] In dottrina cfr., tra gli altri, G. Natullo, Il telelavoro, in F. Carinci e L. Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Utet, Torino, 2004.

[13] M. Tiraboschi, Il Lavoro agile, op. cit. Secondo l’Autore, la collocazione non fissa per il lavoro agile segna la distinzione con il telelavoro.

[14] Sui comportamenti abnormi e imprevedibili del lavoratore e sul cd. “rischio elettivo”, da ultimo, Cass., n. 16026/2018; Cass., n. 17917/2017; Cass., n. 8861/2013.

[15] A. Allamprese e F. Pascucci, La tutela della salute e della sicurezza del lavoratore «agile», in Riv. giur. lav., n. 2/2017, pp. 307-330.

[16] Sui limiti del controllo, da ultimo, Cass., n. 13266/2018; Cass., n. 10636/2017; Cass., n. 22662/2016.