Magistratura democratica

Il presidente di sezione: ruolo e nomina

di Maria Giuliana Civinini

Nell’articolo si esaminano le cause della svalutazione della figura del presidente di sezione da cui nascono proposte di tabellarizzazione o rotazione nel sistema di nomina; se ne riafferma il ruolo fondamentale anche alla luce delle previsioni della Circolare sulle Tabelle su benessere organizzativo e partecipazione; vengono formulate due proposte migliorative del sistema di selezione: individuazione preventiva del peso del “fuori ruolo” e parere dell’assemblea dell’ufficio per le conferme.

«il mutevole cuore del giudice che ... comanda nel margine di scelta
che l’esegesi delle leggi lascia all’interprete»
(P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, 1935)

«La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione»
(G. Gaber, La libertà, 1973)

1. Premessa

La figura del presidente di Sezione è divenuta, nel breve volgere di alcuni anni, sempre più controversa. Il fenomeno era già stato segnalato sulle pagine di questa Rivista, nell’ambito di un numero monografico dal titolo Quali dirigenti servono alla giustizia? (n. 2-3 del 2013, edizione cartacea, Franco Angeli ed.); parlando di selezione e valutazione dei cd. semi-direttivi, si sottolineava come, da un lato, la critica al sistema di selezione del Consiglio superiore della magistratura e, dall’altro, la critica al “carrierismo” avessero portato alla formulazione di proposte tese a ridurre la discrezionalità consiliare nelle procedure di nomina attraverso sistemi di selezione interni all’ufficio: procedura tabellare, elezione, rotazione. A quattro anni di distanza la situazione appare addirittura peggiorata se, nei congressi della magistratura associata e nei dibattiti che corrono sulle mailing-list, a questi sistemi, e in alternativa o in aggiunta ad essi, si propone un ritorno all’anzianità senza demerito o addirittura la riduzione drastica (e finanche l’abolizione nel caso di uffici di dimensioni piccole e medio-piccole) del numero delle sezioni e quindi dei presidenti (in modo da limitare le occasioni di cattivo esercizio del potere).

Hanno condotto a questo risultato almeno tre fattori convergenti: varie nomine, in nessun modo giustificabili alla luce dei criteri della relativa circolare consiliare, che hanno fomentato i sospetti di clientelismo; la critica, risalente ma sempre più accesa, al sistema del “fuori ruolo” e alle sue ricadute in termini supposti premiali al momento del rientro in giurisdizione; la percezione del formarsi di carriere separate tra quei magistrati che la Costituzione vuole distinguersi solo per funzione. Il tutto condito a tratti dall’epopea del magistrato spalatore di fascicoli contrapposta alla narrazione del magistrato bieco carrierista e dall’idea che i presidenti di sezione siano pericolosi nemici, intenti a spingere i propri colleghi in un vortice produttivistico, e di cui in fondo potrebbe farsi a meno. Si tratta di un cocktail esplosivo di ragioni e motivazioni, che può avere effetti nefasti sulla qualità e sulla tenuta democratica dell’autogoverno, in sé, nella relazione con gli altri poteri dello Stato e nell’esercizio quotidiano della giurisdizione.

È legittimo ritenere che i drammatici toni della fotografia, proiettata in particolare dalle mailing-list, siano nella realtà più sfumati e molto più positivi di quel che appare, in specie se si guarda ai risultati di una «indagine su identità, ruolo e immagine sociale dei magistrati italiani», promossa dalla Scuola superiore della magistratura, condotta nel 2015 e pubblicata, in open access, col titolo «“Magistrati e cittadini”: i magistrati italiani sono spinti da una forte motivazione – intreccio tra valore ideale della giustizia da perseguire, valenza istituzionale del ruolo e spinta vocazionale –, sono soddisfatti di aver scelto di essere magistrati, rifarebbero la medesima scelta, la consiglierebbero ai propri figli e ai giovani in generale».

Ciò nonostante l’estensione e la gravità delle critiche impongono che le stesse siano “prese sul serio”.

In quest’ottica, si offre al dibattito l’opinione di chi scrive, frutto di esperienza (come membro del Csm e come presidente di Sezione civile e poi penale) e riflessione. Essa si sintetizza nell’affermazione del ruolo fondamentale del semi-direttivo giudicante, che si riassume all’interno delle due citazioni che aprono lo scritto. L’importanza di questo ruolo richiede meccanismi di selezione oggettivi e sostenuti dalla fiducia degli amministrati. Dopo aver (cercato di) spiegare il perché di tale importanza, verrà posto l’accento su alcuni accorgimenti metodologici e possibili innovazioni che possono contribuire, fin da subito, a una progressione nel senso indicato.

2. Il ruolo gestionale del presidente di sezione in base all’ordinamento giudiziario e alla circolare sulle tabelle

L’idea dell’indistinzione dei ruoli e della tabellarizzazione o rotazione degli uffici semi-direttivi poggia sulla convinzione che funzione giudiziaria e funzione organizzativa siano equivalenti (e chiunque quindi possa svolgerle), che il ruolo principale del presidente di sezione sia (o debba essere) quello giudiziario, che la funzione organizzativa e/o gestionale sia limitata, che il soggetto che se ne fa carico sia in sostanza fungibile, che essa sia equiparabile a uno dei tanti incarichi che possono essere attribuiti dal capo dell’ufficio (come il coordinatore dei tirocinanti, il delegato alle relazioni col Consiglio dell’Ordine, il delegato alle convenzioni con le Pa o con le Università, il coordinatore dei Got, l’ausiliario per l’ufficio del giudice di pace …).

La lettura delle norme dell’ordinamento giudiziario e della circolare sulle tabelle (titolo II, capo III, sezione IV) induce a una riflessione più approfondita.

Sono funzioni giudiziarie del presidente di sezione: lo svolgimento del lavoro giudiziario (in genere in quantità ridotta – spesso attestata sulla metà – rispetto ai magistrati della sezione), la distribuzione del lavoro fra i giudici (assegnazione dei procedimenti, riassegnazione a seguito di astensione o ricusazione, riunione …), l’assicurazione dello scambio di informazioni (attraverso riunioni periodiche ma anche altri metodi, dalle cartelle condivise alla creazione di archivi giurisprudenziali all’utilizzo delle varie potenzialità del processo telematico). Accanto a queste attività, numerose sono le funzioni organizzative; il presidente di sezione: sorveglia l’andamento dei servizi di cancelleria; vigila sull’attività dei giudici, togati e onorari; coordina le ferie; collabora col presidente del tribunale nella direzione dell’ufficio; collabora al raggiungimento degli obiettivi del Dog (documento organizzativo generale adottato unitamente alle tabelle); coadiuva il presidente del tribunale nella predisposizione del progetto organizzativo ex art 37 dl 98/2011 (del 2 maggio 2012 e successive integrazioni e modifiche). Soltanto per ricordare alcuni degli impegni gestionali ricorrenti di maggior importanza, si pensi: alla redazione delle relazioni sulla cui base il presidente del tribunale predispone (spesso con un semplice “copia e incolla” o i soli aggiustamenti necessari per assicurare coerenza e parità di trattamento) le valutazioni periodiche di professionalità dei giudici togati e ora anche dei giudici onorari; alla verifica delle statistiche trimestrali e al monitoraggio dei flussi di lavoro in entrata e in uscita con individuazione delle criticità e elaborazione di proposte per risolverle; al monitoraggio dei tempi di deposito dei provvedimenti e della complessiva durata dei giudizi con individuazione dei nodi di difficoltà, delle relative ragioni e dei modi per superarle; all’individuazione di obbiettivi quantitativi[1] e qualitativi[2] sostenibili e alla loro verifica periodica; alla predisposizione delle proposte tabellari in occasione dell’adozione biennale delle tabelle e dei vari mutamenti nella vita degli uffici giudiziari (trasferimenti, malattie, gravidanze, formazione di arretrato in settori limitati, flussi eccezionali di affari …); all’informatizzazione del processo che, quanto al civile, ha visto le realizzazioni più rapide e efficaci del Pct negli uffici dove i presidenti delle sezioni civili (ovviamente con il Rid e il Magrif) se ne sono fatti promotori e precursori e, quanto al penale, richiede un enorme sforzo organizzativo in questa fase ancora pioneristica della digitalizzazione degli affari e della gestione dell’udienza tramite l’applicativo Giada.

Non è un caso che le maggiori critiche al sistema della semi-dirigenza provengano da magistrati che operano in grandi e medio-grandi uffici giudiziari, organizzati in più sezioni civili e penali specializzate o semi-specializzate. L’organizzazione di tali uffici fa perno di regola su un ufficio di presidenza del tribunale molto strutturato (con segretari generali e coordinatori vari, scelti dal presidente – non sempre – all’esito di un interpello, tutti supportati da un apparato dirigenziale-amministrativo consistente) che – a fronte di un aumento vertiginoso delle competenze amministrativo-burocratico-contabili del presidente - riduce l’esigenza di questi di distribuire buona parte del peso gestionale sui presidenti di sezione. La strutturazione in sezioni specializzate fa poi sì che i relativi presidenti diano un contributo spesso settoriale alla costruzione e gestione del progetto organizzativo che riguarda tutto l’ufficio. Molto diversa è la situazione dei tribunali medi e medio-piccoli (tra 40 e 30 magistrati – con 3 presidenti di sezione –; tra 30 e 20 – con 2 presidenti di sezione –; e tra 19 e 15 – con un presidente di sezione), categorie nelle quali rientrano pressoché tutti i 163 tribunali italiani con l’eccezione dei tribunali che coincidono con le sedi delle corti d’appello e di pochi altri tribunali del Nord. In questi uffici, vari fattori trasformano il presidente del tribunale in una sorta di “general manager”, che adotta le scelte organizzative fondamentali e armonizza il lavoro dei presidenti di sezione, cui è in sostanza affidata l’ideazione del disegno organizzativo e la gestione di una quota consistente del lavoro giudiziario. A ciò concorrono: il dato dimensionale, l’aumento degli adempimenti amministrativi del presidente del tribunale sia nella relazione con il Csm (nonostante l’opera meritevole di eliminazione di attività e di rapporti ripetitivi o troppo frequenti effettuata con l’ultima circolare sulle tabelle) che in quella con il Ministero della giustizia, l’aumento delle attività di monitoraggio in chiave conoscitiva e/o di verifica del raggiungimento degli obiettivi, l’assenza in un numero di casi rilevante del dirigente amministrativo (con concentrazione delle relative competenze sul presidente del tribunale). Nei tribunali che hanno due sezioni (e un numero di magistrati variabile tra 25 e 30, dimensione ottimale per bilanciare efficienza e prossimità), un presidente di sezione gestisce l’intero settore civile (civile ordinario, famiglia e tutele, esecuzioni, fallimenti, lavoro) e l’altro il settore penale (Gip/Gup e dibattimento, monocratico collegiale e corte d’assise[3]). Per quanto concerne poi gli uffici grandi e medio-grandi, deve sottolinearsi che, accanto a sezioni la cui alta specializzazione fa sì che l’attività più rilevante del presidente di sezione sia quella relativa allo scambio giurisprudenziale e alla diffusione di buone prassi, alcune sezioni (in particolare la sezione Gip/Gup e le sezioni penali che trattano per la più parte affari monocratici o che trattano affari complessi per numero di imputati, imputazioni e prove da assumere in dibattimento) richiedono un rilevante sforzo di organizzazione del lavoro giudiziario per assicurarne qualità e tempi ragionevoli.

Basterebbe quanto appena sottolineato per poter affermare che il ruolo organizzativo del presidente di sezione è un ruolo insopprimibile, che richiede competenze specifiche e una certa vocazione.

Né il binomio competenze-vocazione associato al “posto” semi-direttivo faccia storcere nasi o gridare al carrierismo! Tutti i 100 e più lavori in cui si sfaccetta la nostra prismatica e affascinante professione richiedono competenze e vocazione; alcuni più di altri, nel senso che richiedono uno specifico percorso di studio e esperienza e soprattutto la voglia (curiosità, disponibilità, predisposizione) per investircisi. Questo vale per il giudice della famiglia (a quanti colleghi – che non hanno né la competenza né la vocazione – ho sentito dire: «io non posso ascoltare il minore!», «i coniugi mi esasperano!», «non perdiamo tempo con gli ascolti!»), per chi si impegna in prima fila per dare protezione internazionale ai migranti e proteggere i minori stranieri non accompagnati, per chi indaga gli abusi e le violenze in danno di donne e minori o la pedopornografia … e la lista può continuare. Perché non dovrebbe valere per un mestiere con una larga componente di management come quello semi-direttivo?

3. La qualità gestionale dell’organizzazione “Giustizia”

Un presidente di sezione competente e motivato è (se non ostacolato da una gestione non trasparente e non collaborativa del presidente del tribunale) uno snodo strategico nella realizzazione della qualità gestionale dell’ufficio giudiziario.

L’amministrazione della giustizia presenta la caratteristica (che condivide con altre professioni, come la sanità, la diplomazia, l’alta amministrazione) per cui gran parte delle decisioni da adottare si basano sull’esercizio di un potere discrezionale coniugato (e questo distingue la giustizia da altri settori) a garanzie di imparzialità e (quindi) di indipendenza.

Dato questo connotato, vari sono i fattori che favoriscono la qualità gestionale: il fatto che vi siano pochi livelli gerarchici (legati ad aspetti specifici dell’organizzazione e non all’esercizio della giurisdizione, così come vuole l’art. 107 della Costituzione); l’orario di lavoro non pre-definito e la permanenza in ufficio sostanzialmente auto-organizzata; il fatto che – nel perimetro degli obbiettivi adottati col Documento organizzativo generale e con gli specifici progetti organizzativi per il settore civile e per quello penale – il giudice sia autore/creatore di un modulo gestionale del ruolo e responsabile del suo funzionamento; che il lavoro del singolo e dell’ufficio rispecchi e si sostanzi in un alto livello professionale e si realizzi in un ambiente dove le idee e le informazioni sono circolari e patrimonio comune e dove gli obbiettivi sono per lo più condivisi, tutti elementi fonte di soddisfazione lavorativa.

D’altro canto, soprattutto in relazione alle tensioni provocate negli ultimi anni da una forte richiesta sociale e politica di efficienza del sistema,  non mancano gli elementi negativi o quanto meno problematici: la doppia dirigenza, la relazione con l’avvocatura, la gestione delle risorse da parte del Ministero della giustizia, la mancanza cronica di risorse adeguate, le riforme percepite come penalizzanti (dalle ferie alla responsabilità civile), l’insufficienza o l’inadeguatezza di (alcuni, troppi) capi, i carichi di lavoro diseguali, la pressione verso il produttivismo, l’inquietudine di fronte al disciplinare. Tutto questo provoca malessere lavorativo ma anche un rapporto ambiguo col (poco ma amplificato) potere del “capo”, altalenante tra diffidenza e rifiuto della funzione organizzativa/valutativa/di vigilanza in senso lato e mellifluo consenso o prona accettazione di una novella gerarchia (in chiave di “carriera”: mi comporto “bene” col capo nella speranza di avere buoni pareri o incarichi che favoriranno una buona carriera). Ciò porta altresì, e sul lato opposto, a quella idea egualitaria delle funzioni e dell’indistinzione dei ruoli, che mette sullo stesso piano giurisdizione e organizzazione, e apre la porta alla proposta della tabellarizzazione o rotazione dei semi-direttivi, di cui si diceva all’inizio.

I fattori positivi hanno peraltro la forza di essere prevalenti e di agire come anti-corpi, grazie a un elemento fondante dei processi decisionali di tipo organizzativo e gestionale nell’amministrazione della giustizia: il loro carattere partecipativo. Orbene, la partecipazione dei magistrati alla gestione si realizza soprattutto attraverso il canale del presidente di sezione.

4. Favorire la partecipazione, creare benessere

In proposito, alcune nuove norme della Circolare sulle Tabelle per il biennio 2017-2019 possono giocare un ruolo chiave, finora non sufficientemente messo in luce[4]. Ci si riferisce ai capi I, II e III del Titolo IV, Del benessere organizzativo, della tutela della genitorialità e della salute.

L’art. 271 afferma il principio generale per cui «L’organizzazione dell’ufficio deve garantire il benessere fisico, psicologico e sociale dei magistrati» e apre finalmente la porta alla realizzazione del benessere organizzativo e della prevenzione dello stress-lavoro correlato anche per il personale della magistratura[5]. L’art. 274 specifica che: «È compito del dirigente dell’ufficio attivarsi, oltre che per raggiungere obiettivi di efficacia e di produttività, anche per mantenere il benessere fisico e psicologico dei magistrati, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della loro vita professionale». L’art. 275 si occupa poi della partecipazione: i magistrati hanno diritto di partecipare alle scelte organizzative, all’informazione, a formulare proposte; a fronte di tali diritti vi sono altrettanti doveri dei dirigenti che devono valorizzare le competenze dei singoli coinvolgendoli in modo trasparente (vale a dire tramite interpelli e con decisioni motivate da inserirsi nel sistema tabellare) nei progetti e nelle attività. L’art. 276 (intitolato in modo invitante “clima relazionale”) richiede al dirigente di «mantenere un clima relazionale sereno, attraverso la valorizzazione delle competenze, la partecipazione ai progetti di innovazione e l’equa distribuzione dei carichi di lavoro». Se è evidente che questi compiti non possono essere adempiuti senza una sostanziosa collaborazione del presidente di sezione, questa si riempie di contenuto specifico ai commi 2 e 3: «2. Il dirigente dell’ufficio, avvalendosi della collaborazione dei presidenti di sezione, risolve la presenza di situazioni conflittuali. 3. il presidente di sezione ha il dovere di segnalare al dirigente dell’ufficio le situazioni di conflitto che non possono essere risolte all’interno della sezione». Infine il capo III disciplina la tutela della genitorialità e della malattia introducendo principi di ampia flessibilità organizzativa.

Tutti i momenti gestionali dell’ufficio devono passare per un processo partecipativo: adozione del Dog e del progetto tabellare, modifiche tabellari (in specie quelle dirette a tutelare maternità e paternità o situazioni di malattia), programmi organizzativi annuali, modalità di utilizzo dei tirocinanti e dei giudici onorari, organizzazione dell’ufficio del processo, interventi in supporto a colleghi in difficoltà (accumulo arretrato, rischio ritardi, ritardi in atto), adozione di protocolli con le Università, i Consigli degli ordini e le Asl per limitarsi alle questioni più rilevanti. La partecipazione può realizzarsi nei modi più vari ma, dovendo accompagnarsi a trasparenza, non può prescindere da riunioni a più livelli (ufficio ma soprattutto sezione o gruppo materie, ad es. gruppo famiglia e soggetti deboli …) e dalla costituzione di “tavoli o gruppi di lavoro” per elaborare proposte che siano condivise al massimo grado. Più l’ufficio è grande e più la messa in atto degli strumenti partecipativi rientrerà nei compiti di collaborazione del presidente di sezione. Questi dovrà essere anche, e forse soprattutto persona in attitudine di ascolto, capace di empatia, pronta a individuare soluzioni che rimuovano i conflitti, i problemi, i rischi (in primis disciplinari). La relazione dialogante, la costruzione partecipata del processo decisionale, lo spazio per risolvere le difficoltà momentanee che tutti possiamo incontrare nella nostra lunga carriera, sono il potente antidoto alla distruttiva visione negativa da cui siamo partiti.

È evidente a questo punto che un presidente di sezione, per interpretare la sua impegnativa funzione, deve avere competenza e motivazione e che il Csm deve selezionare magistrati che ne siano dotati al di là di ogni ragionevole dubbio.

5. Qualche proposta di semplice realizzazione

Per iniziare un percorso di ri-valorizzazione dei processi di nomina e conferma dei semi-direttivi, alcuni correttivi potrebbero essere introdotti facilmente, già in apertura della nuova consiliatura. Questi vanno individuati in rapporto a quelli che sembrano nodi critici forti:

5a) il peso dell’esperienza “fuori ruolo”

Molte contestazioni all’operato consiliare vengono dalla “valorizzazione” dell’esperienze dei candidati fuori dalla giurisdizione, soprattutto quando questi si confrontano con magistrati che hanno svolto l’intera loro carriera all’interno di uffici giudiziari. Le critiche nascono certamente dal sospetto che l’aver lavorato “vicino” al potere (ad es. nei Ministeri) faciliti fulminanti carriere, ma anche dall’incoerenza dimostrata dal Csm nel valutare il peso specifico delle esperienze. È opinione di chi scrive che un approccio luddista al fuori ruolo sia suicida; essere presenti nelle posizioni dirigenziali del Ministero della giustizia, supportare il Csm come magistrati segretari o i giudici costituzionali come assistenti di studio, avere magistrati nelle giurisdizioni e in generale nelle organizzazioni internazionali è vitale per l’affermazione di una cultura delle garanzie e la sua realizzazione concreta in gangli essenziali dei sistemi nazionale ed europeo. È vero peraltro che non tutte le molte posizioni fuori ruolo hanno la stessa importanza in termini di ricadute collettive, alcune non sembrano averne proprio.

Per evitare arbitri, scoraggiare carriere parallele inconsistenti e valorizzare il “ritorno” per la magistratura di determinati incarichi, il Csm potrebbe individuare in modo generale e astratto: quali posizioni fuori ruolo sono equiparabili a quelle di esercizio delle funzioni giurisdizionali (ad es. giudice in Corti internazionali o Corti ibride, magistrati distaccati presso la Corte costituzionale o Corti internazionali o ibride in funzione di referendari), quali posizioni possono essere valutate con riferimento a posti di giudice o pubblico ministero nei diversi gradi e quali con riferimento a posti direttivi e semi-direttivi (e non esiterei a dire che l’esperienza di direttore generale del Ministero della giustizia è significativa rispetto a una posizione decisionale in magistratura e che posizioni ministeriali di tipo impiegatizio o in ministeri stravaganti non sono valutabili), in quale modo deve avvenire la valutazione. A tale ultimo fine potrebbe essere richiesta una autorelazione che indichi in modo analitico i compiti espletati fuori ruolo e supporti con specifica documentazione le varie affermazioni. Per magistrati che, lavorando fuori ruolo, abbiano avuto come supervisore o superiore gerarchico un magistrato (è il caso del Ministero della giustizia ma può verificarsi in altre amministrazioni pubbliche o in posizioni all’estero), questi potrà redigere un parere secondo le regole generali consiliari (con eventuale specifica integrazione dei moduli di parere); per i magistrati che operano in organizzazioni internazionali (Eu, Un, missioni Csdp, corti internazionali o ibride) potrebbe acquisirsi l’“evaluation sheet”, avendo tutte quelle organizzazioni meccanismi interni collaudati di valutazione. Un elemento di valutazione importante sarà anche la modalità con cui il magistrato è stato selezionato per il fuori ruolo, in particolare se vi è stata pubblicazione del posto e una procedura di selezione con elementi di obbiettività.

Infine il Consiglio, se vuole eliminare (o almeno grandemente ridurre) i sospetti che una determinata posizione fuori ruolo costituisca una rampa di lancio per una successiva posizione decisionale in magistratura, dovrà affrontare il tema del periodo di “raffreddamento” successivo al termine dell’incarico e pervenire ad una proposta normativa, ex art. 10 ord. giud., di introduzione di una norma generale che preveda per tutti i magistrati fuori ruolo il rientro obbligatorio nel posto di provenienza (anche in sovrannumero) e un periodo di permanenza prima di poter partecipare a concorsi per posti direttivi o semi-direttivi. Può sembrare un’idea contraddittoria, visto che con un tratto di penna è appena stata eleminata la previsione della permanenza di un anno nel posto di provenienza per i consiglieri uscenti del Csm (un nuovo colpo alla sua credibilità), ma si tratta di una riflessione a cui il nuovo Consiglio non potrà sottrarsi.

5b) valutazione e partecipazione

L’ampia partecipazione dei magistrati alle scelte organizzative dell’ufficio dovrebbe essere allargata alla possibilità di valutare il presidente di sezione (così come il presidente del tribunale); senza necessità di modifiche al quadro normativo, il Csm può prevedere che, in vista del procedimento di conferma, l’assemblea della sezione (o dell’ufficio) esprima un parere motivato sull’operato della persona da confermare, parere da adottarsi a maggioranza (dei magistrati della sezione o dell’ufficio). Una pratica di questo tipo responsabilizzerebbe sia il destinatario della valutazione che i magistrati che con lo stesso lavorano, i quali, in modo aperto e trasparente potrebbero esprimere motivati critica o apprezzamento. Un’alternativa può essere una valutazione individuale “da pari a pari”, riservata a ogni membro della sezione, da realizzarsi mediante un modulo di valutazione predisposto dal Consiglio e ovviamente firmato. Per i presidenti delle sezioni penali, anche una valutazione (guidata tramite modulo) dell’assemblea della Procura apparirebbe di grande utilità.

Non si tratta certo di innovazioni rivoluzionarie ma potrebbero incidere in modo sensibile sul sistema di nomine e conferme rafforzando i legami di trasparenza, partecipazione e fiducia tra magistrati e Csm indispensabili per avere un autogoverno forte.

[1] Si pensi nel settore civile all'eliminazione dell'arretrato ultra-triennale; nel settore penale all'efficace smaltimento dell'arretrato del giudice unico o alla gestione tempestiva delle richieste di archiviazione.

[2] Si pensi a una organizzazione della Volontaria giurisdizione che tenga conto delle particolarità di un'utenza debole, alla gestione degli affari di famiglia che metta al centro i valori del superamento del conflitto e della tutela nell'interesse superiore del minore (e dei suoi diritti procedurali a cominciare dal diritto ad essere ascoltato dal giudice), alla predisposizione di modelli organizzativi nel campo della protezione internazionale.

[3] Per quanto la natura delle funzioni rispettivamente esercitate dall'ufficio Gip/Gup (non organizzato in sezione autonoma) e dall'ufficio dibattimento impongano un certo livello di autonomia del primo e del suo coordinatore, è indubbio che la responsabilità finale nella distribuzione e nell'utilizzo delle risorse umane e materiali, inclusi gli strumenti informatici, della sezione faccia capo al presidente che, deve quindi poter coordinare le aree organizzative di comune interesse, tenere riunioni di sezione su questioni organizzative buone prassi e filoni giurisprudenziali, promuovere protocolli e progetti che interessano tutti i magistrati del settore penali (ad es. sul patrocinio a spese dello Stato, sulle misure alternative alla detenzione, sul trattamento degli imputati malati psichiatrici e sull'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, …).

[4] L'importanza delle nuove norme non è sfuggita a Giudicedonna, che ha pubblicato nel numero 1 del 2017 un intervento: R D'Onofrio, Il benessere organizzativo e la tutela della genitorialità e della salute.

[5] V. d.lgs n. 81/2008 e legge n. 183/2010 che ha modificato il d.lgs n. 165/2001; Codice di condotta per la tutela del diritto delle Pari opportunità, per la valorizzazione del benessere di chi lavora e per il contrasto alle discriminazioni nei luoghi di lavoro adottato dal Ministero della salute www.salute.gov.it/imgs/C_17_minpag_815_documenti_documento_4_fileAllegatoDoc.pdf in generale sul tema v. S Laforgia, Tutela della salute e sicurezza, benessere dei lavoratori e legalità, interconnessioni organizzative e giuridiche, in DSL, 2016, n. 1, http://ojs.uniurb.it/index.php/dsl/article/view/579; M Velletti, Pari opportunità, antidiscriminazione e tutela del benessere organizzativo nelle Pubbliche Amministrazioni. Principi e strumenti di lavoro per i CUG, http://pti.regione.sicilia.it/ portal/ page/ portal/ PIR_PORTALE/PIR_LaStrutturaRegionale/PIR_AssessoratoRegionaleAutonomieLocaliFunzionePubblica/PIR_PersonaleAffariGenerali/PIR_ComitatoUnicodiGaranzia/PIR_CUGAllegati/Principi%20e%20strumenti%20lavoro%20per%20il%20CUG.pdf.