Magistratura democratica

Il giusto processo tributario alla luce della giurisprudenza costituzionale

di Massimo Scuffi

Ripetuti interventi della Corte Costituzionale hanno interessato i principali istituti del processo tributario ma non sempre sono stati ispirati ai principi del giusto processo stante la specificità del rito che ha spesso indotto a tollerare disomogeneità di tutela e disparità di trattamento.

Peraltro negli ultimi tempi la Corte ha operato revisioni maggiormente allineate sull’art.111 della Costituzione che hanno orientato anche la recente riforma legislativa e rappresentano un importante segnale in vista della creazione di un modello processuale unitario per tutto ed in tutto parificato alle giurisdizioni contermini.

1. Premessa

Gli interventi della Corte costituzionale sul processo tributario non sempre sono stati caratterizzati da un confronto diretto delle sue regole con quelle del giusto processo come delineato dalla legge costituzionale 2/99 nei primi due commi dell’art.111 Cost. «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge;ogni processo si svolge nel contradditorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale; la legge ne assicura la ragionevole durata».

Molto più spesso sono stati richiamati dal giudice delle leggi singoli parametri costituzionali, essendo l’insieme degli elementi fondanti quel primario dettato piuttosto rivolto alle garanzie “ordinamentali” (autonomia, indipendenza, organizzazione, autogoverno) e dunque impiegato per un più pertinente confronto con il d.lgs n. 545/92.

I principi del giusto processo hanno comunque orientato il sindacato costituzionale anche sui profili più strettamente processuali racchiusi nel d.lgs n. 546/92, vero e proprio codice procedurale del contenzioso tributario.

Le risposte della Corte sono state al riguardo molteplici, fondamentali per l’autorevolezza interpretativa (anche nei casi di dichiarata infondatezza od inammissibilità delle questioni che le sono state sottoposte), fonte in più occasioni di corrispondenti revisioni legislative di adeguamento.

Basti rammentare, da ultimo, le modifiche processuali attuate dal d.lgs  n. 156/2015 che costituiscono il primo intervento diretto del legislatore delegato sulla disciplina del contenzioso e che risentono – almeno in parte – del portato di precedenti costituzionali.

Pur mancando ancora un riordino generale e sistematico dell’intero impianto processuale l’esperienza costituzionale, che vede come protagonista la Corte ma coinvolge anche il giudice tenuto ad adottare letture costituzionalmente orientate della normativa da applicare (Corte Cost. 452/98), ha sicuramente contribuito a meglio definire la portata del sistema eliminando soprattutto incertezze ed ambiguità interpretative in funzione di una “armonizzazione” con gli altri riti, anche se talora sono state avallate – come vedremo – discipline diversificate in nome di una “peculiarità” imposta dalla preminenza dell’interesse fiscale.

2. La giurisdizione

Va innanzitutto segnalata la revisione in senso delimitativo dei confini della giurisdizione tributaria con la semplificazione operata dal d.lgs  n. 156/2015 sull’art.2 del d.lgs n. 546/92 che nella nuova formulazione rimanda – dopo i «tributi di qualsiasi genere e specie» – alle «relative sanzioni» in luogo delle «sanzioni amministrative comunque irrogate dagli uffici finanziari».

Il legislatore ha così aderito a quanto stabilito dalla Corte Cost.(130/2008) che aveva ritenuto la precedente versione suscettibile di ambiguità perché individuava la giurisdizione tributaria non con riferimento alla materia controversa ma in relazione all’organo competente ad irrogare la sanzione.

Si correva infatti il rischio che venissero radicate avanti alle Commissioni tributarie anche controversie su infrazioni diverse da quelle tributarie, afferenti ad esempio i rapporti di lavoro (come ritenuto da Cass. Sez. un. 13902/2007), in contrasto con l’art. 102, II co., e VI disp. transitoria della Costituzione che vieta la istituzione di organismi di giurisdizione speciale (consentendone solo la permanenza revisionata)[1].

Di conseguenza se la sanzione amministrativa non scaturisce dalla violazione di norme tributarie, la giurisdizione rimane quella del giudice ordinario e non delle Commissioni tributarie la cui giurisdizione resta imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto (Corte Cost. 238/2009,141/2009; Cass. Sez. un. 1864/2011) salvo il limite del “giudicato implicito” che impedisce qualsiasi rilievo d’ufficio del difetto di giurisdizione (Cass. Se. Un. 1706/2013).

Tale opera di circoscrizione della materia tributaria è poi proseguita con la espunzione, sempre dall’art.2 ad opera del d.lgs n. 156/2015, delle controversie riguardanti il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) e del canone per lo scarico e depurazione di acque reflue e smaltimento dei rifiuti urbani.

Anche in questo caso il legislatore si è uniformato alla giurisprudenza della Corte costituzionale (64/2008 e 39/2010) che aveva dichiarato l’illegittimità’ della inclusione di tali controversie nella giurisdizione tributaria trattandosi di prelievi ontologicamente diversi dai tributi (siccome corrispettivi di una concessione o di una prestazione complessa) che, se devoluti alle Commissioni tributarie, avrebbero ”snaturato” la materia originariamente ad esse attribuita prefigurando un «nuovo» giudice speciale, espressamente vietato dall’art. 102 Cost. (benché tuttora permanga la giurisdizione catastale inserita dal dPR n. 636/72 che è materia pur essa distinta da quella strettamente tributaria e precedentemente affidata alle Commissioni censuarie)

Sono stati così ricondotti nell’alveo strettamente fiscale quegli indirizzi (come quello seguito dalla stessa Cassazione in tema di sanzioni) che in qualche modo avevano inteso giustificare l’iniziale allargamento da parte del legislatore dei confini del magistero tributario sul rilievo che le Commissioni tributarie rappresenterebbero una risorsa per l’ordinamento destinata ad offrire potenziali opportunità di efficace e generalizzata gestione giudiziaria.

Ipotesi che sembra oggi smentita, prima ancora che per gli interventi della Consulta, alla luce dei progetti per sopprimere le Commissioni tributarie e trasferirne le competenze a sezioni specializzate della giustizia ordinaria [2].

3. La competenza territoriale

Vizi di incostituzionalità – che si ripercuotono anche sul testo riformulato dell’art.4 del d.lgs n. 546/92 – erano dalla Corte rinvenuti già nel precedente dettato con il mantenimento del collegamento territoriale – ai fini della competenza – tra la circoscrizione della Commissione tributaria e la sede del concessionario/agente del servizio di riscossione .

Secondo la giurisprudenza di legittimità – a sensi dell’art.19 lett. del d.lgs cit. – ruolo e cartella sono considerati in modo unitario ed impugnabili congiuntamente ne è possibile frazionamento di cause tra giudici diversi per cui, quando si impugni la cartella di pagamento facendo valere anche vizi del ruolo non notificato, la Commissione competente andrebbe individuata in quella dove ha sede l’Agente di riscossione anche se non coincidente con quella in cui ha sede l’ente locale impositore che ha emesso il ruolo (Cass. 20671/2014).

La Corte ha perciò evidenziato il rischio di pregiudicare in tal modo il corretto rapporto istituzionale che deve intercorrere tra cittadino e Pa fondandosi su una competenza radicata nel luogo dove sono coinvolti gli interessi di entrambi: rapporto che risulterebbe stravolto ove l’ente locale affidasse il servizio di riscossione a concessionario con sede significativamente lontana dal primo.

È stata così ravvisata nella norma citata (Corte Cost. 44/2016) violazione dell’art. 24 della Costituzione per il sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di difesa del contribuente a causa di uno spostamento che non incontrava alcuna limitazione geografico-spaziale e poteva creare gravosi oneri per quest’ultimo. Di conseguenza è stato puntualizzato che – nelle controversie promosse contro i concessionari – la competenza della Commissione tributaria va riferita alla circoscrizione in cui ha sede l’ente impositore piuttosto che in quella ove è ubicato l’ente concessionario.

4. Istruttoria ed oralità

Sui poteri istruttori delle Commissioni tributarie va premesso che la legge n. 148/2005 ne aveva ridotto la portata eliminando dall’art.7 del d.lgs n. 546/92 il comma III che assegnava al giudice la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia, riconoscendogli così un vero e proprio potere d’ufficio in “supplenza” della parte probatoriamente inerte.

Questo rafforzamento del carattere “dispositivo” del processo tributario veniva confermato dalla Consulta (109/2007) in sede di rigetto per infondatezza della questione di incostituzionalità riversata sul I comma dell’art.7 .

La Corte nell’occasione giustificava la scelta abrogativa del III comma con la necessità di eliminare qualsiasi ostacolo alla piena applicabilità nel processo tributario dell’art. 2697 cc, precisando che tali poteri non potevano peraltro rivivere sotto le spoglie di una applicazione estensiva del I comma dell’art. 7 dovendo le ivi previste facoltà di accesso, richiesta dati e chiarimenti intendersi non “sostitutive” ma “integrative” degli oneri probatori di parte quando l’elemento conoscitivo mancante risultasse al giudice indispensabile per la decisione.

Pur ripetutamente sollecitata dalle Commissioni tributarie la Corte non ha invece mai ritenuto sindacare negativamente il divieto di prova testimoniale sancito dal medesimo art. 7 al IV comma.

Richiamando precedenti ordinanze la Corte (18/2000) ribadiva la legittimità del divieto perché giustificato dalla spiccata specificità del processo tributario rispetto a quello civile ed amministrativo, per la sua prevalente caratteristica scritta e documentale, perché tale esclusione non costituiva violazione del diritto di difesa che poteva essere diversamente regolato dal legislatore, perché comunque non impediva l’utilizzabilità in sede processuale delle «“dichiarazioni di terzi» riversate in giudizio sia pur con valenza indiziaria ma comunque concorrente a formare il convincimento del giudice, perché non risultava in definitiva violato il principio di “parità delle armi” che rappresentava l’espressione tipica – in campo processuale – del principio di eguaglianza.

Sarà poi la Corte di legittimità (Cass. 11785/2000) a specificare – sulla scia di tale pronunzia costituzionale – che il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale va riconosciuto non solo all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente e con il medesimo valore probatorio –, dando in tal modo concreta attuazione ai principi del giusto processo (art. 111 Cost.), per garantire la parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa.

Va per inciso segnalato che il contesto essenzialmente documentale di un processo che si svolge per atti scritti mal conformantesi ad un sistema istruttorio orale portava coerentemente la Corte a escludere rilievi di incostituzionalità anche nella disposizione di cui all’art.33 I comma del d.lgs n. 546/92, che subordina la trattazione in pubblica udienza della controversia all’istanza di almeno una delle parti privilegiando il rito camerale anche a tutela dell’interesse generale alla rapidità  del giudizio (Corte Cost. 141/98).

Tornando alla prova testimoniale merita ricordare che la sua esclusione non appartiene alla tradizione del nostro processo tributario perché il divieto venne introdotto solo con il dPR n. 739/81 che modificò  sul punto l’art.35 del dPR n. 636/72.

Il divieto incondizionato di prova orale presenta del resto fondati sospetti di incompatibilità con l’ordinamento europeo, la Cedu nel caso Jussila[3] avendo già segnalato che l’assenza di pubblica udienza od il divieto di prova testimoniale sono si compatibili con il principio del giusto processo ma a condizione che da siffatti divieti non ne derivi un grave pregiudizio alla posizione processuale dell’interessato sul piano probatorio, ponendosi altrimenti in contrasto con i principi del Trattato Ue che ostano a meccanismi che rendano impossibile od eccessivamente gravoso l’esercizio del diritto di difesa.

Va puntualizzato che eventuali abusi dell’istituto potrebbero essere agevolmente impediti con il controllo di ammissibilità e rilevanza della prova orale che il giudice andrebbe ad ammettere solo quando fosse «impossibile od estremamente oneroso produrre la prova documentale».

La Suprema Corte (Cass. 5182/2011) ha più volte richiamato questo principio per cui, laddove il contribuente dimostri l’incolpevole impossibilità di produrre un documento (od acquisirne fotocopia) rilevante ai fini del processo (come in caso di furto/smarrimento), può sempre trovare applicazione la regola generale dell’art. 2724 n.3 cc (che autorizza il ricorso alla prova testimoniale).

Eliminando tale preclusione istruttoria sarebbe tra l’altro consentito – nel rispetto del cd. doppio binario – assegnare piena autorità alle decisioni irrevocabili penali che oggi sono lasciate alla libera valutazione del giudice stante le limitazioni probatorie che contrassegnano il rito (art. 654 cpp), essendo noto che il “giudicato” penale non è vincolante nel processo tributario (Cass. 9109/02), pur costituendo un indubbio elemento probatorio di fonte privilegiata.

Questo arretramento probatorio andrebbe in definitiva rivisto, non potendosi sottacere l’esigenza di parificare il ruolo del rito tributario – specie se la materia transiterà dal giudice ordinario – a quello degli altri giudizi, considerato che i tributi già in carico all’Ago sino al 2000 (come i diritti doganali e le accise) hanno subito, con l’”accorpamento” della giurisdizione tributaria, una diminuzione delle previgenti garanzie istruttorie riconosciute dal rito ordinario.

5. Formalità preliminari e filtri di accesso

L’adeguamento del processo tributario all’intero sistema dei processi civile, amministrativo e contabile (a superamento di ogni distinguo fondato sulla disomogeneità dei modelli processuali) si rinviene in altra interessante pronunzia della Corte costituzionale (520/2002) che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 22 del d.lgs n. 546/92 nella parte in cui non consente l’uso del servizio postale per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio.

Mal si sarebbe spiegata del resto una unicità di forma consistente nella presentazione brevi manu al cospetto di giudizio estremamente semplificato nelle sue attività processuali quale quello tributario.

L’avvio del processo telematico ha comunque reso ormai superfluo ogni particolarismo al riguardo.

Nell’ambito delle attività preliminari al processo va ancora segnalato il filtro obbligatorio per l’accesso alla giurisdizione disposto dalla L. 111/2011 con l’inserimento dell’art. 17 bis nel d.lgs n. 546/92 per le controversie di valore non superiori ad € 20.000, venendo in pratica il ricorso ad assumere preventivamente la veste di reclamo amministrativo con la funzione di provocare un tentativo di mediazione nella fase pre-trial.

L’omessa presentazione del reclamo è stata oggetto di due diversi regime normativi: il primo, vigente ab origine, introdotto dalla stessa Legge n. 111/2011; il secondo, introdotto, in sostituzione del primo, dalla L. 147/2013 (legge stabilità 2014) e sostanzialmente ripreso dal d.lgs n. 156/2015.

La prima formulazione normativa prevedeva che «la presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso»; la successiva stesura stabilisce che «la presentazione del reclamo è condizione di procedibilità».

La Corte costituzionale è intervenuta medio tempore (98/2014) rispondendo ai rilievi di incostituzionalità oggetto di precedenti remissioni sul testo originario della norma affermando che solo il previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo la cui omissione comporti la perdita del diritto di agire in giudizio e quindi l’esclusione tout court della tutela giurisdizionale viola l’art. 24 della Costituzione.

Tanto in conformità ai propri precedenti in tema di declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme che non consentono l’esperibilità dell’azione giudiziaria in mancanza di preventivo ricorso amministrativo (Corte cost. 406/93 sull’imposta di bollo, 360/94 sull’imposta sugli spettacoli, 56/95 sulle tasse di concessione governativa, 266/96 sulle tasse automobilistiche, 132/98 sulle tasse per la raccolta dei rifiuti) specie in assenza di effetti sospensivi di riscossione dell’imposta rimessa solo alla discrezione dell’autorità amministrativa destinataria del ricorso.

La Corte ha peraltro precisato che ove tale decadenza non sia comminata dal legislatore,il “differimento” dell’accesso al giudizio condizionato dall’adempimento di oneri che risultino giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia (come nel caso del reclamo /mediazione che soddisfa l’“interesse generale” di assicurare una più pronta e meno dispendiosa risoluzione delle controversie, al contempo riducendo il numero dei processi) non determina alcuna violazione di parametri costituzionali.

La Corte ha avuto modo anche di chiarire che, trattandosi di procedimento conciliativo preprocessuale dove le parti operano sostanzialmente su un piano di parità, la mancanza di una figura terza (dalla norma singolarmente individuata in apposite “strutture”delle Agenzie diverse da quelle che hanno curato l’istruttoria) non incide sui diritti di difesa e sui principi di ragionevolezza; così come non incide il fatto che i motivi del ricorso/reclamo già preventivamente resi noti in sede di mediazione non siano oltre modificabili perché anche all’Amministrazione rimane impedito avanzare pretese – ancorché ridotte – fondate su diversi motivi e nuovi presupposti.

Il favor espresso dalla Corte per gli istituti deflattivi del contenzioso si pone del resto in linea con la novella del d.lgs n. 156/2015 che ha espunto la previgente “alternatività” dell’istituto con la conciliazione giudiziale; conciliazione “compositiva” che potrà dunque riguardare (anche in II grado) controversie nelle quali l’accordo di mediazione non è stato raggiunto .

Non sembra che il giudice tributario possa pronunziarsi sul merito di tale accordo (cioè sulla congruità delle imposte da versare su cui l’AF ed il contribuente si siano accordati in sede conciliativa); la Corte,nonostante il peso dell’intervento giudiziario risulti ridotto ad un mero controllo formale di legittimità, ha ritenuto infatti non compromessa l’integrità della funzione del giudice ed il suo ruolo, non essendo intaccato il principio di indipendenza dell’organo giurisdizionale (Corte cost. 433/2000).

6. La sospensione del processo

In controtendenza con l’orientamento costituzionale espresso in plurime sentenze (ex multis 31/1998, 8/1999, 330/2000 e da ultimo 247/2011) che hanno dichiarato costituzionalmente legittima la inapplicabilità al processo tributario della disciplina della sospensione necessaria ex art. 295 cpc sul duplice rilievo che, negando qualsiasi tipo di arresto del processo al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 39 d.lgs n. 546/92, il legislatore avrebbe inteso rendere più rapida ed agevole la definizione di un ingente mole di contenzioso ed essendo del resto sempre consentito al giudice risolvere incidenter tantum le questioni pregiudiziali alle controversie a lui devolute, il d.lgs n. 156/2015 ha riformulato la norma attribuendo ora espressamente alla Commissione tributaria il potere di disporre la sospensione del processo in ogni caso in cui essa stessa od altra Commissione debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipenda la decisione della lite.

Il legislatore segue dunque il diritto vivente della Corte di cassazione da tempo affermante che l’interpretazione restrittiva della norma datane dalla Corte costituzionale non esclude l’applicazione della norma generale del codice di rito per prevenire possibili conflitti di giudicati purché nell’ambito dei rapporti tributari (Cass. 8129/2007), cioè al cospetto della cd. pregiudizialità interna, anche in assenza di coincidenza soggettiva (Cass. 26380/06) e sempre che sussista pregiudizialità tecnico-giuridica tra i procedimenti e non mera pregiudizialità logica (Cass. 1072/07).

L’inderogabilità della competenza tributaria renderebbe del resto problematica una reductio ad unum per “trasmigrazione” dei processi tramite gli istituti civilistici della continenza o della connessione (art. 39 e 40 cpc) in presenza di atti tributari plurimi e consequenziali, in rapporto di accessorietà o presupposizione l’uno dall’altro: ancorché istituti ritenuti in astratto compatibili con il rito tributario (Cass. 4509/2000).

Nei rapporti con le altre giurisdizioni la cd. pregiudiziale esterna non consente invece l’esercizio del potere sospensivo ne l’art. 295 cpc potrebbe applicarsi quando uno dei procedimenti pregiudiziali sia già pervenuto in decisione .

In questo caso la norma di coordinamento va individuata nell’art. 337 II comma cpc che faculta il giudice – quando venga invocata l’autorità di sentenza emessa in altro processo e sotto impugnazione – ad arrestare il corso del proprio (Cass. 21924/08); regola questa non più espressamente esclusa nel riformulato art. 49 del d.lgs n. 156/2015 sulle disposizioni generali applicabili al processo tributario e dunque operativa come ulteriore mezzo sospensivo .

7. Le spese di lite, la costituzione in giudizio e la difesa

Anche la problematica sulla regolamentazione delle spese di lite al cospetto di controversie estinte per cessata materia del contendere che nel processo civile soggiacciono al principio della cd. soccombenza virtuale (implicante una valutazione figurativa dell’esito della lite ove questa sia proseguita) è stata oggetto di approfondimento da parte della Corte costituzionale che in più occasioni aveva ritenuto infondata la questione di costituzionalità dell’art. 46 III comma del d.lgs n. 546/932 laddove stabiliva che le spese rimanessero comunque a carico della parte che le aveva anticipate: tanto sul rilievo della disomogeneità dei modelli processuali e della asimmetrica costruzione delle relative norme inidonee a produrre lesioni al principio di uguaglianza (Corte cost. 53/98, 77/99,  465/2000).

Solo da ultimo la Consulta con proprio revirement (274/05) ha reputato del tutto irragionevole un sistema del genere che determinava un ingiustificato trattamento privilegiato alla parte pubblica (ad esempio nei casi di ritiro postumo dell’atto fiscale in autotutela) ristabilendo la cd parità delle armi con obbligo del giudice di pronunziarsi sulle spese secondo soccombenza e riservando la regola “compensativa” alle sole ipotesi di definizione per legge delle pendenze tributarie (come sarà poi precisato nella riformulazione della norma ad opera del d.lgs n. 156/2015).

La spiccata specificità del processo tributario (per configurazione dell’organo decidente e per il rapporto sostanziale dedotto in giudizio) rispetto ai giudizi civili ed amministrativi è stata sovente invocata dalla Consulta per avallare la discrezionalità legislativa e si rinviene – unitamente al richiamo della preminenza dell’interesse pubblico – a giustificazione, ad esempio, della disparità di trattamento circa i termini decadenziali di costituzione operanti solo per il contribuente – ricorrente e non per l’Amministrazione resistente.

La Consulta ha infatti salvato la disposizione dell’art.22 d.lgs n. 546/92 (144/2006) sul rilievo della diversa posizione processuale che la legge attribuisce alle parti litiganti in un giudizio tipicamente impugnatorio quale quello tributario (in tal modo implicitamente negando la garanzia della parità).

Sempre sul rilievo che il diritto di difesa è diversamente modulato dal legislatore pur nel rispetto delle garanzie fondamentali (Corte cost. 188/80e 48/88intervenute sull’art.30 del dPR 636/72) è stata esclusa qualsiasi irragionevolezza nella omessa riserva ai soli avvocati dell’assistenza tecnica nel giudizio tributario (251/94):regola questa tenuta ferma anche nella nuova proposta di soppressione delle Commissioni tributarie prevedente che talune delle precedenti e più qualificate categorie difensive (elencate nell’art.12 del d.lgs n. 546/92) rimangano abilitate alla difesa anche avanti alle istituende sezioni specializzate presso il Tribunale .

8. Tutela cautelare

La tutela cautelare nel processo tributario è una conquista recente essendo stata prevista dal legislatore con il d.lgs n. 546/92 (in ossequio alla legge delega 413/91) ma limitatamente alla sospensione degli effetti esecutivi dell’atto impugnato e sino alla pubblicazione della decisione di I grado essendo tale potere riservato solo alla Commissione tributaria provinciale ed esaurendosi con la emanazione della sentenza.

In vigenza del dPR 636/72 nessun potere cautelare specifico era riconosciuto in capo alle Commissioni tributarie e nonostante taluna giurisprudenza pretorile facesse ricorso alla tutela inibitoria atipica dell’art.700 cpc (quale norma di chiusura dell’intero sistema processuale) operava al tempo lo sbarramento della Corte costituzionale (63/82) la quale –stabilito che la potestà cautelare non costituiva componente essenziale della tutela giurisdizionale – precisava che il divieto di sospensione ope iudicis trovava già riferimento nella riscossione graduale ex lege in pendenza del processo.

Introdotta la tutela cautelare anche nel contenzioso tributario l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale veniva a svilupparsi sull’oggetto del potere sospensivo e la sua latitudine.

Va premesso che i tentativi di estendere la sospensione dall’atto alla sentenza avevano sempre avuto scarso successo a fronte degli arrets della Corte costituzionale (ex multis 119/07 quale continuum rispetto alla fondamentale 165/2000) puntualizzanti che oggetto dell’inibitoria era l’efficacia del provvedimento impositivo impugnato e non l’efficacia della sentenza che aveva rigettato il ricorso del contribuente.

La Corte in plurime occasioni – chiamata ad occuparsi dell’applicazione degli artt.283 cpc e 373 cpc al giudizio tributario (217/2000, 325/2001, 310/2002) – giustificava il diniego sul rilievo che non esisteva un principio costituzionale di necessaria uniformità tra i vari modelli processuali ne tale disparità di trattamento contrastava con il criterio di ragionevolezza che doveva ispirare le scelte legislative.

Inoltre l’art. 49 del d.lgs n. 546/92 – prima della riformulazione di cui al d.lgs n. 156/2015 – escludeva espressamente l’applicazione dell’art. 337 cpc e dunque anche la parte della norma che faceva salve le disposizioni sulla sospensione della sentenza di I grado (art. 283 cpc), di II grado (art. 373 cpc), nella revocazione e nell’opposizione di terzo (artt. 401 e 407 cpc).

Anche la Corte di cassazione (Cass. 21121/2010) si poneva sulla stessa lunghezza d’onda ribadendo che nel processo tributario la garanzia costituzionale della tutela cautelare deve ritenersi doverosa sino a che non intervenga una pronunzia nel merito: di accoglimento (rendendo così superflue ulteriori cautele) ovvero di rigetto (venendo in tal modo negata la sussistenza del diritto stesso e dunque il presupposto dell’inibitoria).

La tutela cautelare restava pertanto esclusa dalle fasi di gravame a meno che non entrassero in gioco sanzioni amministrative a fronte delle quali l’art. 19 del d.lgs n. 472/97 – quale ius singulare – autorizzava la Commissione tributaria regionale a sospenderne l’esecuzione a sensi dell’art.19 del d.lgs n. 472/97.

Questi orientamenti sono stati rivisitati da recenti interventi della Corte costituzionale (217/2010 e – in termini confermativi – 109/2012) che hanno preso in esame l’applicabilità al rito tributario dell’art.373 cpc (sospensione da parte del giudice di appello della sentenza impugnata in Cassazione quando dalla esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno) fornendo una diversa lettura del contesto normativo criticato dalle Commissioni remittenti.

L’art.337 cpc – secondo il giudice delle leggi - sarebbe infatti costituito da una regola (l’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione) e da una eccezione alla stessa regola (salve le disposizioni degli att. 283, 373, 401 e 407 cc) per cui la inapplicabilità di tale norma dichiarata – come si è visto-in allora dall’art. 49 del d.lgs n. 546/92 sarebbe valsa – secondo una interpretazione costituzionalmente orientata - per la “regola” ma non per la “eccezione”, consentendo la sospendibilità ope iudicis della sentenza di II grado al ricorrere delle condizioni previste.

Anche la Corte di cassazione (2845/2012), prendendo atto di codesti principi, veniva ad operare un revirement sul proprio precedente indirizzo di chiusura alla sospensione della sentenza tributaria e questa rimeditazione interpretativa non poteva che legittimare anche la sospensione della sentenza di I grado (al ricorrere del presupposto dei gravi e fondati motivi previsti dall’art. 283 cpc).

In attuazione del principio di delega (L. 23/2014) sulla uniformazione e generalizzazione della tutela cautelare il legislatore delegato (d.lgs n. 156/2015) in totale aderenza ai principi progressivamente elaborati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha così esteso l’istituto della sospensione tanto agli atti quanto alle sentenze emesse in tutte le fasi del processo, attribuendo alla Commissione regionale competenza a sospendere non solo l’atto fiscale ma anche la sentenza impugnata in appello (per gravi e fondati motivi) ovvero in cassazione (per evitare un danno grave ed irreparabile) ed aggiungendo disposizioni di dettaglio (artt 52 e 62 bis) alla regola principe sulla sospensione enunciata dall’art. 47 del d.lgs n. 546/92.

Sui tempi del cautelare, va poi precisato che a sensi dell’art. 47 cit. la Commissione deve pronunziarsi nel termine (ordinatorio) di gg. 180 fissando, in ipotesi di accoglimento, udienza di discussione del merito nei successivi 90 gg (termine parimenti ordinatorio).

La sospensiva cd. breve che condiziona l’efficacia della pronunzia cautelare alla delibazione del merito entro un termine prefissato (perentorio) è attualmente prevista solo per gli atti di recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegittimi dalla Commissione europea avendo il legislatore inteso stabilire con l’art. 47 bis del d.lgs n. 546/92 una sorta di “corsia preferenziale” caratterizzata – tra le altre varianti “acceleratorie” – dalla fissazione del termine di sessanta giorni dall’ordinanza di sospensione per definire nel merito la controversia (in mancanza di istanza di riesame e di ottenimento di conferma improrogabile per ulteriori sessanta giorni).

Ciò nondimento è significativo segnalare come la estensione della sospensiva breve anche al comparto fiscale (con perdita di efficacia del provvedimento sospensivo in difetto di decisione nel merito entro 150 gg)venne avanzata e poi espunta – in sede di conversione – dalla L. 122/2010.

Verosimilmente grazie ad un intervento medio tempore della Corte costituzionale (281/2010) che dichiarava costituzionalmente illegittima la parallela norma della L. 101/2008 sulla decadenza dell’effetto sospensivo del provvedimento giudiziale emesso nel processo civile di recupero degli aiuti di Stato per il mero decorso del termine a prescindere dalla verifica di persistenza (o financo aggravamento) delle condizioni determinanti l’arresto di esecutività.

La Consulta rilevava infatti il contrasto di tale regola sia con il diritto di difesa e l’effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) destinata a rimanere ingiustificatamente compressa da termini troppo ristretti per il compimento dei necessari atti istruttori da parte di chi aveva promosso il giudizio; sia con il rispetto della posizione paritaria delle parti per la posizione di indebito vantaggio attribuita all’ente pubblico e con il principio della durata ragionevole del processo implicante l’osservanza di limiti temporali “certi” ma entro un arco sufficiente a garantire lo spiegamento “congruo” del contradditorio e dell’esercizio dei diritti di difesa.

Principio che potrebbe aprire varchi di intervento anche sull’art. 47 bis del d.lgs n. 546/92 nonostante tali controversie siano ormai residuali nel contenzioso tributario in quanto tutta la materia (in tema di validità dei provvedimenti concessori e di recupero degli aiuti illegittimi ) è ormai passata alla competenza esclusiva del giudice amministrativo ex lege 234/2012.

9. L’esecuzione

L’immediata esecutività delle sentenze tributarie per tutte le parti in causa ed in particolare di quelle di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente senza doverne attendere il passaggio in giudicato ha portato il legislatore delegato (d.lgs n. 156/2015) a riformulare e/o integrare la normativa di riferimento del d.lgs n. 546/92 (artt. 67 bis, 68, 69, 70) consentendo l’utilizzo dell’istituto dell’“ottemperanza” oltre che –come in passato – per le sentenze passate in giudicato, anche per quelle non definitive di condanna.

È stato così definitivamente superato l’orientamento negativo della Corte costituzionale (316/2008) che aveva ritenuto «non costituzionalmente necessitato» introdurre nel sistema processuale una disciplina inedita del giudizio di ottemperanza che facultasse il contribuente vittorioso in I grado a chiedere in pendenza di appello l’ottemperanza degli obblighi derivanti dalla sentenza non passata in giudicato e non provvisoriamente esecutiva emessa dalla Commissione tributaria provinciale .

La tutela anticipata del creditore in tal modo esercitata si presenta infatti “coessenziale” alla tutela giudiziale dei diritti ed interessi legittimi e giustamente è stata dal legislatore inserita nel nuovo impianto contenzioso.

Conclusioni

Come si vede da questo rapido excursus, gli interventi della Corte costituzionale sul processo – al di là di talune pronunzie spiccatamente “interventiste” – sono state in genere orientate nel senso di salvaguardare lo status esistente sul rilievo della disomogeneità dei modelli processuali e dei relativi contesti di tutela giustificanti le denunziate difformità di trattamento: le formule motivazionali sono state quelle tradizionali della “spiccata specialità” del processo tributario e della “discrezionalità non irragionevole” del legislatore.

Resta dunque ancora in salita la strada per edificare all’interno del “contenitore” del d.lgs n. 546/92 un modello processuale unitario per tutto ed in tutto parificato alle giurisdizioni contermini, civile ed amministrativa.

Si pensi – tra i tanti spazi di intervento mancati – all’istituto dell’opposizione di terzo ordinaria previsto dall’art. 404 cpc ma di ingresso precluso nel giudizio tributario per effetto dell’art. 50 del d.lgs n. 546/92 (che non lo prevede tra i mezzi di impugnazione).

Allo stato non è possibile utilizzare tale rimedio contro la sentenza definitiva ancorché arrecante pregiudizio ad un terzo, nonostante la Corte costituzionale (177/1995) lo abbia ammesso nel processo amministrativo ricordando come l’attuazione della sentenza possa dar luogo ad interferenze su altri rapporti facenti capo a soggetti che non hanno potuto partecipare al processo.

Tale situazione è agevolmente trasponibile anche nel settore fiscale e sarebbe auspicabile un ripensamento del legislatore, specie alla luce dei principi da ultimo affermati dalla Corte di giustizia (sia pur nell’ambito della cooperazione giudiziaria civile[4]) circa la contrarietà all’ordine pubblico ed al diritto ad un equo processo dell’omessa audizione del terzo cui resti impedito far valere le proprie ragioni avanti ad un giudice .

In ogni modo per raggiungere un risultato di omogeneità sarà bene accantonare la vecchia tesi dottrinaria della “tutela giurisdizionale differenziata “e guardare più direttamente al giusto processo nella sua più lata dimensione quale “casa comune” ai cui principi ispirare, senza differenziazione di sorta, qualsiasi rito compreso quello tributario.

È dunque da auspicare che l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale che per la verità ha fornito negli ultimi tempi segnali rassicuranti in questo senso, contribuisca all’opera di revisione delle zone ancora “grigie” del sistema rafforzando la certezza del diritto ed aprendo il varco ad una legislazione procedimentale il più possibile parificata e conformata sui principi dell’art. 111 della Costituzione.

[1]La natura delle Commissioni tributarie,inizialmente organi appartenenti all’amministrazione finanziaria, è stata oggetto di ripetuti interventi della Consulta che le ha qualificate giurisdizionali (1957) con diritto di cittadinanza a fianco alle altre giurisdizioni in quanto giudici speciali preesistenti alla Costituzione, quindi riqualificate come organi amministrativi (1969) ed infine ridefinite organi giurisdizionali e consacrate come costituzionalmente legittime con la riforma del 1972.

[2] Proposta di Legge Ermini-Ferranti n. 3734 del 18.4.2016: delega al Governo per la soppressione delle Commissioni tributarie provinciali e regionali e per l’istituzione di sezioni specializzate tributarie presso i Tribunali ordinari.

[3] Cedu, 23 novembre 2006, ric. 73053/01. La questione riguardava la contestazione di un accertamento fiscale avanti a Tribunale finlandese con richiesta (negata) di verifica di attendibilità del pvc mediante interrogatorio incrociato del funzionario che aveva provveduto all’accertamento e la testimonianza di consulente del contribuente.

[4] Corte di Giustizia 25 maggio 2016 C-559/14 RudolfsMeroni