Magistratura democratica

Brevi note sulla riforma della magistratura onoraria

di Ilaria Pagni

L’esame delle novità del 2016 in tema di magistratura onoraria, sia quanto alle linee essenziali della delega, sia quanto alla sua prima attuazione (parziale), relativa alla conferma dei magistrati in servizio, offre lo spunto per una riflessione più generale sul ruolo della magistratura onoraria oggi, e sulla rilevanza che la finalità di deflazione del contenzioso va assumendo nel quadro delle riforme della giustizia civile, nella prospettiva dell’efficienza della risposta dell’ordinamento giudiziario alla domanda di tutela. Un cenno è riservato anche all’ufficio del processo e, in particolare, al modo in cui dovrebbe essere intesa l’attività di assistenza al giudice togato che vi svolgono i tirocinanti previsti dall’art. 37 del dl 6 luglio 2011, n. 98, convertito in l. 15 luglio 2011, n. 111, e dall’art. 73 del dl 21 giugno 2013, n. 69, convertito in l. 9 agosto 2013, n. 98.

1. Le novità del 2016 in tema di magistratura onoraria: la prima attuazione (parziale) della delega

Con la legge del 28 aprile 2016, n. 57, si è inteso attuare «il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria prescritto dall’art. 245 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51»[1], come si legge all’art. 9, 2° comma, della delega. La delega si inserisce in un quadro più ampio di riforme dell’ordinamento giudiziario, che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni, a partire dalla Legge delega 25 luglio 2005, n. 150, per arrivare agli interventi che il Governo sta operando nel settore della giustizia[2].

Naturalmente l’attuazione completa della riforma della magistratura onoraria presuppone l’emanazione dei decreti delegati previsti all’art. 1, nei quali il Governo dovrà attenersi ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 2: al momento in cui scriviamo, la delega ha avuto una prima, parziale, attuazione col d.lgs 31 maggio 2016, n. 92 («Disciplina della sezione autonoma dei Consigli giudiziari per i magistrati onorari e disposizioni per la conferma nell’incarico dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio»), che ha regolato il regime transitorio per i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo[3].

Più precisamente, in ossequio ad alcuni dei criteri direttivi contenuti nell’articolo 2, comma 17, della Legge delega, è stato disposto il mantenimento in servizio di coloro che stessero esercitando le funzioni alla data del decreto, a condizione che gli stessi vengano confermati nell’incarico secondo i parametri previsti dall’art. 2, comma 17, lettera a), numero 1) della Legge delega, che fa rinvio ai criteri dettati, a regime, dal comma 7, lettera b) del medesimo articolo.

Ai fini della conferma, è previsto che il capo dell’ufficio rediga un rapporto sull’attività svolta da ciascun magistrato onorario, relativamente alla capacità, laboriosità, diligenza e impegno dello stesso, nonché ai requisiti di indipendenza, imparzialità ed equilibrio: il rapporto dovrà essere redatto sulla base dell’esame di provvedimenti e verbali di udienza, a campione, e verrà unito ad una relazione predisposta dallo stesso magistrato sottoposto a conferma. Il giudizio di idoneità sarà espresso a norma dell’art. 11 d.lgs 5 aprile 2006, n. 160 (“Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150»), come modificato dall’art. 2 l. 30 luglio 2007, n. 111[4], in quanto compatibile, e, se necessario, previa audizione dell’interessato.

Il giudizio verrà reso dalla sezione autonoma del Consiglio giudiziario competente, nella nuova composizione caratterizzata dalla presenza di rappresentanti sia dei giudici onorari di pace che dei vice procuratori onorari: è previsto che si tenga conto del parere espresso dal Consiglio dell’ordine territoriale forense del circondario in cui ha sede l’ufficio giudiziario presso cui il magistrato ha esercitato le funzioni[5].

Secondo quanto si legge nella Relazione illustrativa al d.lgs 92/2016, con l’introduzione della verifica di idoneità si ha «un primo intervento di riforma organica della magistratura onoraria, com’è reso evidente dalla considerazione che dal 2003 ad oggi la totalità dei giudici di pace, e gran parte dei giudici onorari di tribunale e i vice procuratori onorari, sono stati mantenuti in servizio mediante interventi normativi di proroga annuale senza alcuna preventiva verifica di idoneità all’esercizio delle funzioni, in contrasto con quanto previsto, per i giudici di pace, dalla legge n. 374 del 1991 e, per i got e i vpo, dall’ordinamento giudiziario (di cui al Rd. n. 12 del 1941)»[6]. «La novità strutturale dell’intervento in esame – prosegue la Relazione - risiede nel fatto che ai magistrati onorari in servizio si assegna, in prima attuazione del criterio di delega di cui al citato articolo 2, comma 17, lettera a), n. 2) della legge di delega (a norma del quale i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi attuativi possono essere confermati nell’incarico per quattro quadrienni, durante l’ultimo dei quali possono svolgere esclusivamente i compiti e le attività inerenti all’ufficio per il processo), un primo mandato quadriennale espressamente condizionato all’esito positivo della procedura di conferma straordinaria alla quale sono tutti assoggettati».

Vi è da dire, per la verità, che, sebbene la conferma dell’incarico segua alla valutazione di idoneità del magistrato, al tempo stesso in questa prima fase la proroga nel servizio è automatica, ancorché soltanto per la durata della procedura di conferma.

D’altra parte, l’art. 1, commi 610 e 613, della legge di stabilità 2016 aveva fissato la data del 31 maggio 2016 come termine ultimo per la proroga ex lege nell’incarico dei magistrati già in servizio, sicché, senza un meccanismo come quello previsto dal d.lgs 92/2016, la gran parte dei magistrati onorari sarebbe cessata dall’ufficio, con la paralisi dell’attività giudiziaria da svolgere[7].

2. Le novità del 2016 in tema di magistratura onoraria: i contenuti essenziali della delega

Al di là dei profili cui si è finora accennato, concernenti la conferma nell’incarico dei magistrati, e venendo ad un esame più generale dei contenuti della riforma, la nuova disciplina immagina uno statuto unico della magistratura onoraria, col superamento della distinzione tra giudici onorari di tribunale e giudici di pace, confluiti nell’unica figura del “giudice onorario di pace”; introduce una nuova regolamentazione dell’accesso[8] e della carriera; conferma la natura temporanea dell’incarico, che avrà durata di quattro anni, rinnovabili al massimo per un altro quadriennio, con limite al compimento del sessantacinquesimo anno di età; rivede i meccanismi di liquidazione dell’indennità spettante ai magistrati onorari[9]; amplia la competenza del giudice di pace nel settore civile, ed estende i casi di decisione secondo equità per le cause il cui valore non ecceda euro 2.500.

Inoltre, la Legge delega prevede che i giudici onorari di pace vengano inseriti nell’«ufficio per il processo», costituito col dl 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, come supporto al lavoro giudiziario, e del quale fanno parte, oltre al personale di cancelleria e alla magistratura onoraria, coloro che svolgono presso gli uffici i tirocini formativi disciplinati dall’art. 37 del dl 6 luglio 2011, n. 98, convertito in l. 15 luglio 2011, n. 111, e dall’art. 73 del dl 21 giugno 2013, n. 69, convertito in l. 9 agosto 2013, n. 98[10].

Come si legge sul sito del Ministero della giustizia, l’ufficio per il processo vuol essere un «progetto di miglioramento del servizio giustizia, che, partendo da prassi virtuose di revisione dei moduli organizzativi del lavoro del magistrato e delle cancellerie, consente di supportare i processi di innovazione negli uffici giudiziari». Le attività che l’Ufficio in generale svolge, e che variano a seconda delle competenze del soggetto ad esse preposto, vanno dalla ricerca dottrinale e dei precedenti giurisprudenziali[11], alla stesura di relazioni, alla massimazione di sentenze, alla collaborazione diretta col magistrato per la preparazione dell’udienza, alla rilevazione dei flussi statistici, al potenziamento, grazie ai vantaggi conseguenti alla diffusione della digitalizzazione nei settori civile e penale, dei servizi di cancelleria che non richiedono il contatto col pubblico.

A partire dal 31 dicembre 2016 è previsto anche l’avvio della banca dati della giurisprudenza di merito su base nazionale, di cui la Direzione generale dei servizi informativi e automatizzati (Dgsia) dovrà assicurare la fruibilità dei contenuti.

Secondo quanto previsto all’art. 2, comma 5, lett. a, della delega, l’inserimento dei giudici onorari di pace nell’ufficio per il processo, ad opera del presidente del Tribunale, verrà compiuto per lo svolgimento dei compiti di i) «coadiuvare il giudice professionale e, quindi, compiere tutti gli atti preparatori, necessari o utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di quest’ultimo»; ii) «svolgere le attività e adottare i provvedimenti che possano [essergli] delegati dal giudice professionale tra quelli individuati in considerazione della natura degli interessi coinvolti e della semplicità delle questioni che normalmente devono essere risolte», con esclusione, al tempo stesso, dei «procedimenti che non possono essere delegati dal giudice professionale, salvo quelli specificamente individuati in considerazione della loro semplicità».

Il massiccio inserimento della magistratura onoraria nell’ufficio per il processo è criticato da chi ritiene che, al di là dell’utilità in sé di un’attività di assistenza del giudice professionale (che si vorrebbe assicurata, però, piuttosto attraverso l’impiego dei laureati in giurisprudenza, ma con accesso a seguito di uno specifico concorso che dia luogo all’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato[12]), la riforma della magistratura onoraria, se tale vuole essere, non possa tradursi, anziché in una valorizzazione della categoria, nel prevedere che l’attività principale sia quella di coadiuvare i giudici togati, sotto il controllo e le direttive di questi ultimi, nel mentre i compiti giurisdizionali divengono una attività secondaria[13].

In quest’ottica, si osserva[14], l’opzione del legislatore avrebbe dovuto essere piuttosto quella di “professionalizzare” i giudici onorari e affidare loro un maggior numero di controversie.

Il che, però, presuppone che si ritenga ormai irreversibile – del che sia consentito dubitare - la scelta per un recupero dell’efficienza del sistema che passi attraverso l’attribuzione alla magistratura onoraria di settori sempre più ampi di contenzioso.

Scelta, questa, che richiede in ogni caso, qualunque giudizio se ne dia, da un lato, che l’individuazione delle controversie da demandare alla competenza del giudice di pace segua un criterio che non sia solo quello degli ambiti nei quali si manifestano in modo più significativo le esigenze di deflazione del carico di lavoro della magistratura togata, ma che guardi anche alla tipologia della lite; dall’altro lato, che quest’ultimo requisito, che la delega ha declinato nel riferimento, impiegato in modo ampio, alla maggiore o minore complessità della controversia sia individuato a priori dal legislatore, con una valutazione necessariamente astratta ed ex ante, e non utilizzato invece per determinare, caso per caso, quando il giudice debba ritenersi o meno competente, in violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge.

3. Qualche notazione generale sul sistema introdotto dal legislatore delegante

In attesa che i principi contenuti nella delega vengano declinati nelle norme di attuazione, mi limito, in queste note, a svolgere qualche breve riflessione sulle linee generali del sistema che il legislatore delegante ha inteso introdurre e sugli obiettivi della riforma.

Iniziamo dagli interventi sul fronte della formazione. Qui il legislatore ha ribadito la necessità della partecipazione del magistrato onorario a corsi di formazione decentrata specificamente dedicati e ha previsto che vengano tenute riunioni trimestrali, cui intervengano anche i magistrati professionali, organizzate dal presidente del tribunale o da un giudice professionale da questi delegato, «per l’esame delle questioni giuridiche più rilevanti» di cui il magistrato onorario abbia curato la trattazione, «per la discussione delle soluzioni adottate» e «per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative».

La partecipazione alle riunioni trimestrali e alle iniziative di formazione è obbligatoria e la mancata partecipazione senza giustificato motivo è valutata negativamente ai fini della conferma nell’incarico.

Il modello formativo è in grado, almeno sulla carta, di garantire una preparazione del magistrato all’altezza dei compiti affidatigli, che va di pari passo col fatto che, nel frattempo, la sedimentazione di prassi che hanno delineato le dinamiche del giudizio dinanzi al giudice di pace, e l’intervenuta (già dal 2006) appellabilità delle sentenze rese secondo equità necessaria, sia pure negli stretti binari della violazione delle norme sul procedimento, di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia, hanno reso il processo dinanzi al giudice di pace assai più affidabile di un tempo[15]. Tanto da far valutare positivamente, da taluno, anche la scelta del legislatore del 2009, cui la riforma del 2016 ha dato ulteriore seguito, di aumentare la competenza del giudice di pace, in ragione della serietà e della funzionalità di cui la magistratura onoraria, almeno in alcune zone del Paese, ha dato prova[16].

Quanto ai compiti che, al di là della competenza “propria” dell’ufficio, possono essere assegnati al giudice onorario di pace – tenuto conto che nei primi due anni dell’incarico possono essere svolti esclusivamente i compiti inerenti l’ufficio per il processo – sono sostanzialmente di quattro tipi: l’affiancamento al giudice professionale; l’esercizio delegato della giurisdizione in considerazione della natura degli interessi coinvolti e della semplicità delle questioni che devono essere risolte; l’applicazione quale componente dei collegi giudicanti, ad esclusione delle sezioni specializzate, in casi tassativi, eccezionali e contingenti (in ragione della significativa scopertura dei posti previsti dalla pianta organica e del numero dei procedimenti assegnati ai magistrati ordinari, ovvero di quelli per i quali è stato superato il termine di ragionevole durata del processo); l’applicazione, in casi tassativi, per la trattazione di procedimenti di competenza del tribunale ordinario, con esclusione dei procedimenti indicati nel terzo comma dell’art. 43-bis dell’ordinamento giudiziario[17] e dei procedimenti in materia di rapporti di lavoro e previdenza e assistenza obbligatorie.

A ciò si aggiungono le competenze proprie dell’ufficio del giudice di pace, che la delega, come detto, amplia attribuendo al giudice onorario, nel settore civile, le cause e i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio degli edifici, i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia successoria e di comunione connotati da minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria, le cause in materia di diritti reali e di comunione connotate da minore complessità quanto all’attività istruttoria e decisoria,[18] le cause relative a beni mobili di valore non superiore ad euro 30.000, le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti di valore non superiore ad euro 50.000, altri procedimenti di volontaria giurisdizione connotati da minore complessità, i procedimenti di espropriazione mobiliare presso il debitore e di espropriazione di cose del debitore che sono in possesso di terzi.

È, quest’ultima, una novità (come nuova, del resto, è l’attribuzione di settori di volontaria giurisdizione), attesa la precedente assenza di competenze del giudice onorario nel processo esecutivo, fatta eccezione per la competenza nei giudizi – però di cognizione – di opposizione, entro precisi limiti di valore. A tale proposito, si prevede che al giudice onorario vengano impartite specifiche direttive, anche in merito alle prassi applicative, dai giudici professionali, i quali avranno anche il compito di vigilare sull’attività svolta[19].

Si ha, così, una scelta ondivaga: da un lato, si potenzia l’impiego della magistratura onoraria in settori di non semplice conduzione, dall’altro, si utilizza il giudice onorario di pace sotto il controllo del giudice professionale[20]. Scelta ondivaga che si spiega, ma non necessariamente a mio avviso si giustifica, con l’esigenza di istituzionalizzare quella che un tempo si definiva “giustizia minore”, e che ora tanto minore non è,[21] per deflazionare il contenzioso pendente, nella prospettiva, e in nome, del sempre più spesso invocato principio di ragionevole durata dei processi.

Se le ragioni di bilancio e la difficoltà di aumentare il ruolo dei giudici togati anche «per la qualità dei laureati che sfornano le ex facoltà di giurisprudenza»[22] sono tali da rendere difficile operare altrimenti, è inevitabile – ma non è un bene – che, oltre a puntare su modifiche alle regole del processo (nonostante da più parti si sottolinei come intervenire sul codice di rito non serva allo scopo), si faccia assegnamento su modelli che tradiscono, e neppure in modo troppo celato, l’obiettivo dell’alleggerimento dei carichi di lavoro della magistratura togata.

Partecipa, del resto, di sorte analoga l’istituto della mediazione delle controversie civili e commerciali, che, se correttamente inteso, è una delle forme più alte di risoluzione delle controversie, per il ruolo riconosciuto all’autonomia negoziale in luogo dell’eteronomia giudiziale[23], e che invece viene spesso impiegato come mero strumento deflattivo, cui le parti si vedono costrette a ricorrere senza reale convinzione, o perché il tentativo di conciliazione è previsto come condizione di procedibilità della lite, o perché il giudice, nell’optare per la mediazione delegata, indica questa come soluzione che serve soprattutto a scongiurare il rischio di troppo elevati costi e di troppo lunghi tempi del processo. Non va dimenticato che anche al giudice di pace è stata attribuita una funzione in questo ambito, con la cd conciliazione in sede non contenziosa prevista dall’art. 322 cpc, anche se, come già era avvenuto per il conciliatore, quell’attività ha sempre avuto scarso rilievo ed oggi è pressoché nulla, anche per il limitato valore (di scrittura privata riconosciuta in giudizio) attribuito al verbale di conciliazione nelle controversie che non rientrino nella competenza del giudice di pace.

Non è semplice esprimere un’opinione sull’indirizzo che sta prendendo il sistema della risoluzione delle controversie, del quale l’istituzione del giudice di pace, avvenuta ormai venticinque anni orsono, accompagnata dalla ristrutturazione degli uffici giudiziari attraverso la creazione del giudice unico di primo grado, rappresenta una tappa fondamentale. Una tappa che oggi, con la riforma del titolo V della Costituzione, ha assunto una rilevanza costituzionalmente necessaria, visto il richiamo alla “giustizia di pace”, contenuto nel novellato art. 116, 3° comma, Cost.

Il modello di magistrato onorario per il quale il legislatore ha optato negli anni ‘90 è diverso da quello che si era delineato inizialmente nel dibattito politico e scientifico in proposito[24]. È noto, infatti, che alle aspirazioni per un giudice laico, elettivo, espressione del principio di partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia, che, nel sostituire il giudice conciliatore[25], sarebbe diventato il giudice della convivenza, come espressione di una giustizia coesistenziale, oppure si sarebbe visto attribuire competenze sulle situazioni sostanziali di nuova emersione, in materie quali i diritti del consumatore, la tutela della salute e la tutela ambientale (il cd. modello “forte”), sono subentrate considerazioni dovute all’aggravarsi della crisi di efficienza della giustizia, che hanno portato alla scelta per il diverso modello (cd. modello “debole”) di un giudice operante in funzione eminentemente deflattiva, ossia di alleggerimento dei carichi di lavoro della magistratura togata[26]. Si è riconosciuto che l’attribuzione al giudice di pace di materie di elevato valore sociale come quelle che si sono ricordate avrebbe postulato una congenialità tra interessi diffusi e non professionalità dell’intervento giudiziario che non poteva essere condivisa[27]. In una prospettiva essenzialmente deflattiva, è stata fatta una scelta per materie di valore relativamente modesto (anche se poi progressivamente elevato, e non solo per un naturale adeguamento alle variazioni del potere di acquisto della moneta), e per una tipologia di controversie frequentemente ricorrenti, quali quelle accomunate sotto la formula del contenzioso della convivenza e della tolleranza, o ritenute a basso tenore normativo (anche se oggi, col codice delle assicurazioni private, se ne è fortemente accentuato il tecnicismo dal punto di vista processuale), come le cause da risarcimento danni prodotti dalla circolazione stradale.

L’obiettivo dell’efficienza, intesa come proporzionalità e rapidità della risposta dell’ordinamento giudiziario alla domanda di tutela, è obiettivo oggi ritenuto prioritario, al punto da condizionare ormai tutte le scelte in materia di giustizia civile. Il principio di proporzionalità comporta che trattare una causa secondo giustizia includa, per quanto praticabile, attribuire ad essa una quota appropriata delle risorse del giudice, tenendo conto della necessità di riservare le risorse agli altri casi.

Non vi è dubbio che la finalità dell’efficienza debba essere perseguita, sotto l’egida del principio costituzionale espresso dall’art. 111 Cost., ma vorremmo che lo fosse senza eccessi, e a patto che le tecniche adottate non confliggano con le esigenze di effettività della tutela garantite dall’art. 24 Cost.

La giustizia civile ha visto, in questi anni, oltre al potenziamento del ruolo delle forme alternative di risoluzione delle controversie e all’ampliamento delle competenze del giudice di pace, sempre più frequenti iniziative di contrasto dell’abuso del processo con sanzioni di carattere economico o di tipo processuale, di introduzione di corsie preferenziali o di forme di tutela differenziata per alcuni tipi di diritti, di trasformazione dell’appello in un giudizio a carattere marcatamente impugnatorio e di riduzione degli spazi per il ricorso in cassazione, fino ad arrivare agli interventi immaginati nel recente disegno di Legge delega approvato dalla Camera il 10 marzo 2016 e trasmesso all’altro ramo del Parlamento, rubricato appunto «Per l’efficienza del processo civile».

Tutte iniziative sulle quali i pareri sono discordanti. Non raggiunge lo scopo quella perenne ricerca del rito «migliore» per la generalità delle liti, che caratterizza i ripetuti interventi sul secondo libro del codice processuale, nel tentativo di coniugare con la predeterminazione delle forme e dei termini da parte del legislatore, propria del processo a cognizione piena, l’obiettivo di una maggiore celerità del giudizio. Ed è inevitabilmente fonte di confusione, perché rende il sistema della tutela dei diritti un labirinto nel quale non è semplice districarsi, anche se al tempo stesso è elemento di efficienza del processo, la scelta di forme processuali peculiari per determinate situazioni sostanziali, che si è moltiplicata a partire dalla riforma del processo del lavoro del 1973, per arrivare, passando attraverso la predisposizione di tutele sommarie non cautelari a protezione di determinati tipi di credito e dei diritti del locatore, o in reazione a pratiche antisindacali o discriminatorie, ad una proliferazione delle soluzioni di cd. tutela giurisdizionale differenziata, per materie ritenute maggiormente bisognose di processi rapidi e incisivi, nonché ad un impiego sempre più ampio del processo camerale in materia di giurisdizione contenziosa e non soltanto di giurisdizione volontaria. Così come la diffusione di strumenti alternativi da sola non basta, se non accompagnata da un buon funzionamento della giustizia civile, dato che solo la prospettiva di una tutela giurisdizionale efficiente può scoraggiare strategie ostruzionistiche nell’attuazione del rapporto sostanziale e incoraggiare soluzioni stragiudiziali della lite consensualmente definite.

La finalità deflattiva è comprensibile, ma non può essere l’unica stella polare degli interventi normativi sulla giustizia civile.

Né l’esigenza di recuperare l’efficienza del sistema, che, come permea ogni recente riforma, caratterizza anche quella della magistratura onoraria, impedisce di riflettere sulla possibilità di riproporre, visti i cambiamenti nel frattempo intervenuti in materia di risoluzione delle liti, la figura di un organo giurisdizionale che, pur con una competenza limitata (almeno in parte) al contenzioso di minor spessore, e anzi, proprio perché operante con riferimento a una particolare tipologia di controversie, possa nel contempo garantire rapidità ed efficienza nell’amministrazione dei procedimenti, e avere particolari requisiti culturali, di esperienza e di autorevolezza a garanzia di un diverso modo di affrontare un certo tipo di domanda di giustizia. Un organo giurisdizionale con una funzione in parte differente, rispetto a quella del giudice togato, come diverse sono adesso le forme di risoluzione delle controversie; e non soltanto un magistrato che svolge la medesima funzione in tono minore, o sotto il controllo del giudice professionale.

Oggi è non solo inevitabile, ma anche corretto, pensare alle forme di tutela dei diritti in una prospettiva differente da quella tradizionale che vede la tutela solo in chiave giurisdizionale, e solo davanti alla magistratura togata: si fa un gran parlare del cd. multi doors system, un quadro composito, costruito su più livelli, del quale fa parte anche quella che un tempo si definiva la cd. giustizia minore, affidata alla magistratura onoraria. Un quadro arricchito oltretutto da esperienze relativamente nuove, come quella delle Autorità amministrative indipendenti, cui sono stati affidati, insieme a compiti regolatori, anche poteri para-giurisdizionali, che hanno reso necessario interrogarsi sul modo in cui si articola, oggi, la protezione di alcune situazioni soggettive (tra tutte, quelle nel frattempo riconosciute al consumatore, dapprima dalla l. 30 luglio 1998, n. 281 e poi dal Codice del consumo).[28]

Tutto questo è un punto rispetto al quale non sono possibili, né avrebbero senso, passi indietro.

In questo contesto, sarebbe certamente apprezzabile un impiego della magistratura onoraria che, al di là della opportunità di fornire un ausilio al giudice togato, tenesse conto del fatto che in certi settori, oltre alle forme alternative di risoluzione delle controversie introdotte in modo massiccio negli ultimi anni, potrebbe fare molto anche un giudice non togato, in possesso di requisiti adeguati a condurre i processi nel dialogo effettivo con le parti, e con un’attenzione particolare alle tecniche di composizione della lite. Se è vero infatti che la commistione di funzioni diverse, conciliativa e giurisdizionale, non sempre è in grado di dare buona prova di sé, è anche vero che questa commistione è ormai penetrata nel nostro processo civile (da ultimo, con l’introduzione dell’art. 185 bis, che si vorrebbe potenziare nei progetti di riforma del codice) e che, se la conciliazione non si muove troppo rigidamente sulla falsariga di quello che sarebbe il contenuto della decisione eteronoma, i due piani non sono destinati ad interferire necessariamente tra di loro.

Riguardate le cose da questo punto di vista, in un contesto sociale, storico e normativo profondamente mutato rispetto a quello dell’epoca in cui la figura è stata introdotta (e non solo per il consolidamento delle tecniche di Adr, ma anche per l’emersione che si è avuta, nel frattempo, delle domande di tutela relative agli interessi collettivi, verso cui un tempo si pensava di indirizzare il processo dinanzi al giudice di pace), lo sforzo di tratteggiare la fisionomia del giudice onorario sarebbe potuto andare in una direzione diversa, che non fosse tanto quella del supporto alla magistratura togata, ma piuttosto quella di una figura alternativa ad essa.

In questa logica, il giudizio sulla riforma della magistratura onoraria non può essere particolarmente positivo.

Sarebbe in ogni caso sbagliato, però, una volta che la strada è stata scelta, rinunciare a far funzionare comunque la riforma per quello che può dare. Per un miglior funzionamento della giustizia occorre uno sforzo da parte di tutti coloro che operano nel settore: se è vero che ogni gesto che compiamo condiziona non solo la nostra vita, ma anche la società in cui viviamo, per il cd. ”effetto farfalla”, nell’attesa di riforme che non siano più soltanto a costo zero, se mai arriveranno, occorre compiere ogni sforzo, a prezzo di qualche sacrificio non dovuto, perché quello che abbiamo, anche se non ci piace, funzioni nel modo migliore possibile.

[1] L’art. 245 d.lgs 19 febbraio 1998, n. 51 («Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado») prevede che «le disposizioni del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificate o introdotte dal presente decreto, in forza delle quali possono essere addetti al tribunale ordinario e alla procura della Repubblica presso il tribunale ordinario magistrati onorari, si applicano fino a quando non sarà attuato il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria a norma dell’art. 106, secondo comma, della Costituzione e comunque non oltre il 31 maggio 2016».

[2] Cfr. Aa.Vv., Dieci anni di riforme dell’ordinamento giudiziario, in Foro it., 2016, 158 ss..

[3] Obiettivo previsto all’art. 1, comma 1, lett. r, della delega.

[4] Che ha introdotto, al posto del previgente sistema di progressione in carriera, sette fasce di anzianità, maturabili ogni quadriennio, sicché, se il precedente sistema si basava sulla valutazione globale della professionalità, la nuova normativa ha previsto un insieme di parametri (capacità, laboriosità, diligenza e impegno), ciascuno dei quali deve risultare autonomamente positivo. In argomento, v. D. Cavallini, Le valutazioni di professionalità dei magistrati: prime riflessioni tratte da una ricerca empirica sui verbali del Csm, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 1223 ss.; M. Frasca, La valutazione della professionalità: l’art. 11 del d.lgs 160/2006 e le circolari del Consiglio superiore; l’autorelazione; la funzione dei capi degli uffici, dei Consigli giudiziari; il Giudizio del Csm, in www.csm.it.

[5] Sul modo in cui si articola la procedura di conferma dei magistrati onorari, v. G. Finocchiaro, Magistrati onorari: prorogati per tutta la procedura di conferma, in Il Quotidiano Giuridico, rivista on line, 6 giugno 2016.

[6] Le fonti legislative in questione, infatti, subordinano il rinnovo dei mandati (sino al massimo di tre mandati quadriennali per i giudici di pace e di due mandati triennali per i got e i vpo) all’esito positivo di una procedura di conferma che si conclude con decreto del Ministro della giustizia su deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, adottata tenuto conto del parere del Consiglio giudiziario (per i soli giudici di pace è previsto, dall’articolo 10 del d.lgs n. 25 del 2006, che la competenza per tutti gli affari relativi ai predetti uffici, ivi incluse le valutazioni per la conferma, siano assunte da una sezione autonoma composta anche da rappresentanti dei Giudici di pace, costituita all’interno del Consiglio giudiziario).

[7] Come si legge nella Relazione illustrativa al d.lgs 92/2016, alla data del 31 maggio sarebbe venuto a scadere il mandato della quasi totalità dei magistrati onorari in servizio, secondo il seguente prospetto:

«Giudici di pace:

- allo stato sono in servizio 1.509 giudici, dei quali 1.415 sono in proroga di legge fino al prossimo 31.5.2016

- i restanti 94 giudici cesseranno (per scadenza del terzo ed ultimo mandato quadriennale in corso di svolgimento) già a partire dal 3.6 (1 gp), 4.6 (2 gp), 5.6 (1 gp) e cosi via fino ad arrivare al 31.12.2016 quando rimarrebbero in servizio 27 gp (ove non intervenissero proroghe).

Giudici onorari di tribunale:

- allo stato sono in servizio 2.186 giudici onorari, dei quali 1.263 sono in proroga di legge fino al prossimo 31.5.2016

- dei restanti 923 got che stanno svolgendo il primo triennio (di nomina) ovvero il secondo triennio (di conferma), per 88 got l’incarico cesserà il 31.12.2016 e per altri 108 got cesserà il 31.12.2017.

Vice procuratori onorari:

- allo stato sono in servizio 1.800 vice procuratori, dei quali 1.277 sono in proroga di legge fino al prossimo 31.5.2016

- dei restanti 523 vpo che stanno svolgendo il primo triennio (di nomina) ovvero il secondo triennio (di conferma), per 60 vpo l’incarico cesserà il 31.12.2016 e per altri 104 vpo cesserà il 31.12.2017».

Pertanto, prosegue la Relazione, «in assenza di interventi normativi diretti a mantenimento in servizio dei magistrati onorari si produrrebbe non soltanto la sostanziale paralisi dell’attività dell’ufficio onorario del giudice di pace ma anche gravissime conseguenze in ordine alla funzionalità degli uffici del tribunale ordinario e della procure della Repubblica, che rispettivamente si avvalgono dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari».

[8] Tra i requisiti per l’accesso è prevista l’età non inferiore a 27 anni e non superiore a 60 anni, la laurea in giurisprudenza a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, e la professionalità: costituiscono titoli preferenziali l’aver esercitato funzioni giudiziarie a titolo onorario, l’aver svolto o lo svolgere la professione di avvocato o notaio (per gli avvocati sono previste ovviamente specifiche ipotesi di incompatibilità), l’aver insegnato o l’insegnare materie giuridiche presso le università.

[9] In particolare, anche per evitare il ripetersi di fatti non commendevoli accaduti in passato, favoriti dal sistema che prevedeva un’indennità corrisposta per ciascuna attività compiuta o ciascun provvedimento assunto, la delega stabilisce un meccanismo per cui la parte variabile dell’indennità verrà corrisposta in ragione del raggiungimento di risultati direttamente riferibili all’efficienza dell’ufficio giudiziario cui il magistrato onorario è addetto.

[10] Con Decreto del Ministero della giustizia 1° ottobre 2015 sono state dettate le misure per l’attuazione dell’ufficio per il processo, con le quali si stabilisce che il Presidente della Corte d’appello o del Tribunale articolino le strutture organizzative denominate «ufficio per il processo» tenuto conto del numero effettivo di giudici ausiliari o di giudici onorari di tribunale, nonché del personale di cancelleria e di coloro che svolgono gli stage di cui all’art. 73 o la formazione professionale dei laureati a norma dell’art. 37; inoltre, che assegnino le strutture organizzative in questione a supporto di uno o più giudici professionali, tenuto conto delle sopravvenienze e delle pendenze, nonché, per il settore civile, della natura dei procedimenti e del programma di gestione previsto dall’art. 37.

Col dl 31 agosto 2016, n. 168, recante «Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l’efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa», l’art. 73 è stato modificato con la sostituzione, al comma 1, delle parole: «possono accedere, a domanda e per una sola volta, a un periodo di formazione teorico-pratica presso le Corti di appello, i tribunali ordinari, gli uffici requirenti di primo e secondo grado, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni della durata complessiva di diciotto mesi» con le seguenti: «possono accedere, a domanda e per una sola volta, a un periodo di formazione teorico-pratica presso la Corte di cassazione, le Corti di appello, i tribunali ordinari, la Procura generale presso la Corte di cassazione, gli uffici requirenti di primo e secondo grado, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni della durata complessiva di diciotto mesi».

[11] Su questo punto, mi sia consentita una breve considerazione, apparentemente eccentrica rispetto al tema oggetto di queste brevi note, relativamente alla presenza dei tirocinanti nell’ufficio per il processo. E ciò, dall’angolo visuale di chi segue i tirocini presso gli uffici giudiziari nella qualità di tutor universitario, ben da prima (da oltre quindici anni) che l’ufficio per il processo fosse istituito.

Nel valutare positivamente la scelta di affidare ai tirocinanti compiti di assistenza al giudice nella ricerca di dottrina e giurisprudenza, debbo però – riprendo le parole di M. Fabiani, Per la qualità delle conoscenze giuridiche, tra nostalgia e tutela dei diritti, in Corr. Giur., 2016, 511 ss. – invitare chi è chiamato a questo compito a compiere quella ricerca in modo serio, senza fermarsi, come troppo spesso avviene, alle conoscenze on line, agli elementi ricavabili dalle banche dati, e ad utilizzare maggiormente le biblioteche universitarie, cui il tirocinante ha di norma accesso, per acquisire saperi da trasferire all’interno dell’ufficio per il processo.

Come osserva Fabiani, op. cit., passim, «le conoscenze online rappresentano una fonte straordinaria di informazione, molto democratica e globale perché alla portata di tutti e in tutto il mondo. E se si guarda alle cose sul versante dell’informazione è difficile credere che questa modernità sia davvero perniciosa. La libertà di acquisire informazioni centuplica le risorse conoscitive. Quando ciascuno di noi vuol togliersi una curiosità su un certo fatto, su un certo interrogativo, si colloca virtualmente su un motore di ricerca e trova le risposte. Certo, tante volte, queste risposte non saranno davvero precise, come pure avranno un livello di tecnicismo forse approssimativo, ma ci restituiscono esattamente ciò che cerchiamo. Quando, però, quello che cerchiamo non sono informazioni ma saperi delle scienze umane e sociali, le cose cambiano radicalmente, quasi si ribaltano. Scambiamo le informazioni per conoscenze, crediamo, presuntuosamente, di avere capito subito tutto e pensiamo di avere con ciò risolto il problema che ci aveva spinto ad effettuare la ricerca. Ed allora, ecco che si pone la questione della qualità. I bassi costi di informazione certo non fanno premio sulla bassa efficienza della ricerca. La qualità della ricerca ha un costo». E ancora, il tema non è «carta vs. video», ma quello ben più serio «conoscenze vs. informazioni». La deriva della preminenza dell’informazione presenta un profilo di negatività di secondo livello. Non solo si corre dietro all’informazione, ma una volta avutala, ci si disinteressa del sapere. Tutto ciò che non «sta su internet, è “vecchio”, ancor prima di essere conosciuto».

«Le riflessioni sulla prevalenza delle informazioni sui saperi ridondano di un rilevantissimo impatto sull’esercizio della giurisdizione». «La lettura degli atti processuali di parte e delle decisioni induce a ritenere che nei primi, la costruzione della tesi difensiva tenda ad essere annegata nella inclusione di brani di massime (e più raramente di motivazioni), nella speranza di aver trovato quella più recente e più convincente, senza una particolare attenzione al caso specifico e quindi alla realità del diritto che si vuole difendere. Nelle decisioni, invece, molto spesso la mancanza di conoscenze approfondite (anche se si vuole giustificata dai ritmi incalzanti del numero dei processi) spinge il giudice a considerare come spunto interpretativo solo le letture sul web (come già detto si fa qui riferimento alle informazioni e non ai saperi che pure il web ospita), e spesso le discussioni sui forum e sulle mailing-list. Una agorà virtuale sarebbe un atout formidabile per la diffusione dei saperi, ma viene sfruttata in modo inversamente proporzionale alle sue immense potenzialità».

Mi ricollego a queste considerazioni, che condivido in pieno, per ricordare a chi opera nella struttura istituita col dl  24 giugno 2014, n. 90 che una ricerca che muova dalle banche dati, ma non si fermi ad esse, in cui la soluzione del problema concreto avvenga “in biblioteca”, ovvero attraverso la ricostruzione compiuta del dibattito in materia (con la consultazione anche di trattati, commentari, monografie), e che non si risolva nel richiamo alla prima massima trovata coi motori di ricerca oggi disponibili, è il vero contributo che i tirocinanti possono portare all’ufficio per il processo: un contributo, questo, che va oltre la consultazione dei repertori on line, per la quale neppure vi sarebbe bisogno dell’apporto dei giovani stagisti.

[12] In questi termini, A. Proto Pisani, Che fare della magistratura onoraria?, in Foro it., 2015, V, 366. Per un commento positivo all’art. 50 dl 90/2014, quale «prospettiva di sicuro interesse per gli studenti che puntano al concorso in magistratura» oltre che «concreta possibilità per gli uffici di disporre di una struttura di supporto al lavoro giudiziario», v. invece M. Ciccarelli, Tirocini formativi e ufficio per il processo: un’occasione da non sprecare, in questa Rivista on line, 15 luglio 2014, www.questionegiustizia.it/articolo/tirocini-formativi-e-ufficio-per-il-processo_un-occasione-da-non-sprecare_15-07-2014.php.

[13] Così G. Scarselli, Note critiche sul disegno di legge per la riforma organica della magistratura onoraria, ivi, 369-370.

[14] Id., op. cit., loc. cit.

[15] In questi termini, F.A. Genovese, La novella del codice di rito civile e l’intervento sulla competenza del giudice di pace, in Il Giudice di pace, 2009, 281.

[16] È l’opinione di C. Consolo, Una buona “novella” al cpc: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corr. Giur., 2009, 737. Favorevole all’attribuzione di maggiori cause e procedimenti ai giudici di pace era, fin da subito, F. Cipriani, Giudici di pace e riparto della competenza (ovvero, come distribuire quattro milioni di procedimenti civili all’anno), in Foro it., 1995, I, 3016.

[17] Per la materia civile, si tratta dei procedimenti cautelari e possessori, fatta eccezione per le domande proposte nel corso della causa di merito o del giudizio petitorio.

[18] Col richiamo alla complessità dell’attività istruttoria e decisoria il legislatore ha rimesso dapprima all’attore, e poi al giudice, il compito di stabilire a chi debba essere attribuita la competenza per alcuni procedimenti di volontaria giurisdizione o per alcuni settori di contenzioso: così facendo, quella che finora era stata utilizzata come tecnica per individuare il tipo di rito applicabile (così nell’art. 702 bis cpc) è divenuta invece una tecnica per la determinazione della competenza del giudice, non già in base all’oggetto del contendere, ma in base alla complessità o meno dello stesso nel caso concreto.

[19] Osserva che una disposizione come quest’ultima appare palesemente incostituzionale, perché anche i giudici sono soggetti solo alla legge ex art. 101 Cost., sicché è impensabile che al giudice professionale venga attribuito il compito di impartire direttive e vigilare sull’attività svolta, G. Scarselli, op. cit., 370.

[20] Sull’incompatibilità tra alcune espressioni utilizzate dalla delega e le caratteristiche di indipendenza e autonomia che il magistrato deve avere, v. anche R. Amoroso, Riforma della magistratura onoraria: più ombre che luci, in www.altalex.com, 11 maggio 2016.

[21] Com’è stato notato, di “giustizia minore” oggi non è più del tutto corretto parlare, né dal punto di vista del valore, né della materia, tenuto conto dell’aumento delle competenze, nonché dell’attribuzione, fra di esse, anche della competenza per materia rappresentata dalle controversie relative agli interessi e accessori da ritardato pagamento in ambito previdenziale e assistenziale: così D. Dalfino, Le nuove competenze civili del giudice di pace, in Il Giusto processo civile, 2010, 154.

[22] Così A. Proto Pisani, Che fare della magistratura onoraria, cit., 366, il quale osserva che l’aumento dei giudici togati «(stante la qualità dei laureati che sfornano le ex facoltà di giurisprudenza) non potrebbe essere superiore a 50-75 posti l’anno; il che vuol dire che in un decennio il numero dei giudici togati potrebbe essere aumentato al massimo di 500 o 750 unità».

[23] Si tratta, del resto, di strumenti che un tempo aprivano il codice processuale (era così nel codice del 1865), in considerazione del rilievo che l’interesse sociale alla definizione dei litigi può dirsi soddisfatto «anche quando le parti pongano da sole fine alla controversia, o quando da sole provvedano ai mezzi che stimano opportuni per darle termine», come nel caso dell’arbitrato (così la relazione Pisanelli), e che successivamente sono stati relegati a meccanismo secondario, sul diverso presupposto che non fosse possibile un sacrificio della sovranità, detentrice della giurisdizione, alla libertà degli individui.

[24] V. gli scritti di S. Chiarloni, Un giudice di pace per la pace dei giudici; di A. Proto Pisani, Il giudice di pace tra mito e realtà; di G. Borrè, Né un modello forte né un modello debole; di M. Taruffo, Osservazioni comparatistiche, e gli altri contributi raccolti in Il giudice di pace, Il dibattito attuale e le iniziative di legge, Materiali e atti a cura di R. Sestini, supplemento al n. 3 di Democrazia e diritto, 1989.

[25] Su cui v. lo scritto di N. Picardi, Il conciliatore, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, 1067 ss..

[26] In argomento, v., amplius, F. Rota, voce Giudice di pace (diritto processuale civile), in Enc. Dir., Annali, Milano, 2008, 291 ss..

[27] M. Pivetti, La selezione per la nomina, in Il giudice di pace, Il dibattito attuale e le iniziative di legge, cit., 64.

[28] Per una ampia rilettura del sistema cfr., da ultimo, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, V, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, Milano, 2015, 247 ss.