Magistratura democratica

La Corte costituzionale ha voluto dimostrare di sapere anche mordere

di Elisabetta Lamarque

Il contributo tenta di rispondere, dalla prospettiva costituzionalistica, ai seguenti tre interrogativi: a) Come si è arrivati a questa sentenza costituzionale?; b) Quali sono le caratteristiche delle questioni presentate alla Corte costituzionale che rendono – e non potevano non rendere – la sentenza in commento del tutto unica e peculiare nel panorama della giurisprudenza costituzionale?; c) Quali sono gli effetti che la sentenza è in grado di produrre all’interno dell’ordinamento italiano, nei confronti dei giudici civili e delle parti dei loro giudizi? (par. 4)

1. Ha fatto ormai letteralmente il giro del mondo la notizia che la Corte costituzionale italiana con la sentenza n. 238 del 22 ottobre 2014 ha stabilito che la norma consuetudinaria internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, così come accertata nel suo contenuto dalla Corte internazionale di giustizia appena due anni prima in una controversia riguardante i medesimi due paesi Germania e Italia e analoghi crimini di guerra[1], non vale, non agisce, all’interno dell’ordinamento italiano in tutta la sua portata.

Tale norma consuetudinaria, infatti, secondo la sentenza costituzionale entra in Italia solo dopo essere stata “amputata” della parte contrastante con il controlimite che l’ordinamento costituzionale italiano le oppone, consistente nel diritto delle vittime e dei loro familiari alla tutela giurisdizionale nei confronti di atti che siano qualificabili come crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi dei diritti inviolabili e della dignità stessa della persona umana (art. 24 Cost., letto congiuntamente all’art. 2 Cost.). Tale norma, in altre parole, entra in Italia ridotta nella sua portata e sostanzialmente trasformata in una diversa norma che impone sì l’immunità per gli atti iure imperii degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, ma la esclude per atti quali la deportazione e la messa ai lavori forzati di civili in tempo di guerra, di cui si discuteva davanti al giudice che aveva interpellato la Corte costituzionale.

La nostra sentenza ha già battuto ogni record per la straordinaria quantità di commenti a prima lettura che la riguardano[2], senza contare che ora è in arrivo l’onda lunga dei contributi più approfonditi, e per il gran numero di incontri e seminari interdisciplinari, soprattutto tra internazionalisti e costituzionalisti, a cui finora ha dato vita in giro per l’Italia, e non soltanto.

Soprattutto, essa si avvia a diventare la più nota pronuncia della Corte costituzionale italiana al di fuori dei confini nazionali, perlomeno tra quelle degli ultimi anni. E ciò accade non soltanto per il tema in sé – il tema del rapporto tra diritto internazionale consuetudinario e diritti fondamentali tutelati dalle costituzioni nazionali ha infatti una naturale vocazione globale –, ma anche per la soluzione che essa fornisce, che non lascia indifferente nessun commentatore, suscitando o innamoramenti a prima vista oppure (per verità più frequentemente) forti critiche.

La spiegazione di un’accoglienza così vivace e contrastata sta certamente nel fatto che la nostra sentenza offre al difficile problema di come bilanciare i diritti costituzionali delle vittime di atroci violenze con il rispetto del diritto internazionale consuetudinario una soluzione estremamente rigida, secondo cui aut alle vittime italiane dei crimini di guerra e ai loro discendenti viene assicurata la possibilità di agire in giudizio contro la Germania per ottenere il risarcimento dei danni subiti, in violazione della consuetudine internazionale che impone l’immunità degli Stati, aut i loro diritti e la loro stessa dignità di esseri umani devono ritenersi sempre per ciò stesso violati. Nella nostra sentenza, in altre parole, non si accenna neppure alla possibilità di considerare altri elementi, e in particolare quelle forme di compensazione collettiva già auspicate dalla stessa sentenza della Corte internazionale di giustizia che, pur senza passare attraverso la via giurisdizionale, comunque potrebbero in ipotesi raggiungere l’obiettivo ultimo di tutelare la dignità delle persone coinvolte.

Per questo suo essere così tranchant, dunque, la nostra sentenza costituzionale quando piace piace molto, e quando non piace suscita invece perplessità, di cui la più seria è che un simile aut aut è indegno dei raffinati bilanciamenti che la giurisprudenza costituzionale italiana è solita invece fare. Bilanciamenti che purtroppo all’estero sono poco conosciuti e apprezzati perché il sito ufficiale della Corte costituzionale non fornisce la traduzione inglese di tutte le sue pronunce[3].

Per chi sposa la posizione critica, in definitiva, se la nostra sentenza diventerà davvero la più nota decisione costituzionale italiana al di fuori dei confini nazionali, lo sarà immeritatamente, perché esistono molte altre pronunce costituzionali capaci più di questa di portare preziosi argomenti e spunti di riflessione alle altre Corti supreme, nazionali o internazionali, e di arricchire così il loro reasoning nel momento in cui si trovano ad affrontare casi analoghi.

Tuttavia, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, anziché mezzo vuoto, tanto clamore intorno a questa sentenza potrebbe anche servire a qualcosa. Potrebbe servire, ad esempio, a ricordare che le corti costituzionali esistono ancora, e in particolare che quella italiana ha ancora una sua funzione da svolgere (sul tema tornerò tra poco), e che sopravvivono ancora, nel mondo e in Europa, identità costituzionali distinte, in nome delle quali le più alte Corti nazionali hanno davvero ragione a reclamare un proprio spazio e a fare sentire la propria voce, nonostante non sempre lo facciano – mi si consenta il gioco di parole – quando hanno ragione nel singolo caso.

Svolte queste necessarie premesse, nelle brevi considerazioni che seguono non desidero certo richiamare tutte le numerose questioni che la nostra sentenza suscita, e che in gran parte la dottrina ha già affrontato, e in particolare non accennerò ai molti problemi di diritto internazionale da essa sollevati, perché travalicano la mia competenza.

Preferisco piuttosto tentare di rispondere, dalla prospettiva costituzionalistica, che è più alla mia portata, e nel modo più semplice possibile, a tre dei principali interrogativi che un lettore della nostra sentenza potrebbe porsi: a) che cosa è successo? Come si è arrivati a una sentenza come quella in commento? (par. 2); e, ancora, b) perché? Quali sono cioè le caratteristiche delle questioni presentate alla Corte costituzionale che rendono – e non potevano non rendere – la sentenza di cui qui ci occupiamo del tutto unica e peculiare nel panorama della stessa giurisprudenza costituzionale italiana, giustificando così in gran parte l’attenzione che gli studiosi le riservano? (par. 3); e, infine, c) che cosa potrebbe succedere ora? Quali sono gli effetti che la nostra sentenza è in grado di produrre non tanto ovviamente nei confronti della comunità internazionale – indagare tali aspetti non è certamente compito mio – quanto piuttosto all’interno dell’ordinamento italiano, nei confronti dei giudici civili e delle parti dei loro giudizi? (par. 4).

 

 

2. Avverto subito che qui non posso descrivere i più risalenti tentativi compiuti dagli italiani vittime dei crimini di guerra nazisti e dai loro familiari per ottenere in via stragiudiziale un indennizzo per i danni subiti. Mi basta dire che tali tentativi rivestono un’importanza cruciale per comprendere l’intera vicenda, come del resto sottolinea la pronuncia della Corte internazionale di giustizia, che al contrario della sentenza della Corte costituzionale vi si sofferma ampiamente, perché da essi emerge che anche il governo italiano ha avuto, e continua ad avere, la sua buona parte di responsabilità nella mancata soddisfazione della domanda di giustizia avanzata dai propri cittadini.

Mi limiterò invece a richiamare per estrema sintesi le vicende che seguono il fallimento della via stragiudiziale e la conseguente emersione delle richieste delle vittime davanti alle nostre corti.

Quando, una decina di anni fa, alcuni dei procedimenti civili avviati nei confronti della Germania giungono al supremo giudice di legittimità, a sorpresa quel giudice non si adegua alla consuetudine internazionale che gli avrebbe imposto di dichiarare sbarrata la via giurisdizionale. La nota e commentatissima sentenza Ferrini delle Sezioni unite della Cassazione civile del 2004[4], infatti, propone alla comunità internazionale di accogliere una nuova versione di quella consuetudine che tenga conto del primato assoluto dei valori fondamentali di libertà e dignità della persona umana, riformulandola nel seguente modo: l’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati stranieri non si estende agli atti iure imperi di questi configurabili come crimini contro l’umanità. La proposta è poi ribadita in casi analoghi nel 2008[5] e nel 2011[6]. In queste ultime sentenze il ragionamento è se possibile ancora più esplicito. Secondo la Cassazione italiana, la norma internazionale di tutela dei diritti umani fondamentali “supera” la norma consuetudinaria sull’immunità, perché «è norma di grado più elevato», «ha carattere sopraordinato» e «ha assunto, anche nell’ordinamento internazionale, il ruolo di principio fondamentale, per il suo contenuto assiologico di meta-valore». Nell’ultima sentenza della serie la Cassazione afferma esplicitamente che la giurisprudenza inaugurata dalle sentenza Ferrini deve essere ribadita perché «costituisce un indubbio progresso in tema di conformazione dell’immunità giurisdizionale al nuovo ordine internazionale» che appunto vede al suo vertice i diritti umani.

Senonché nel 2012 la Corte internazionale di giustizia, adita dalla Germania, respinge la proposta innovativa del supremo giudice civile italiano e ricostruisce la norma consuetudinaria vigente sull’immunità degli Stati in termini tradizionali [7]. La Cassazione, allora, pronunciandosi dopo pochi mesi in sede penale, si allinea alla regola dell’immunità per tutti gli atti iure imperii, crimini di guerra inclusi[8]. Anche il Parlamento italiano si adegua alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia, adottando nel 2013, con inusitata tempestività, una legge che impone ai giudici di dichiarare il difetto di giurisdizione nei giudizi civili in corso e che consente di revocare le sentenze già passate in giudicato con le quali si era ammessa l’azione civile nei confronti della Germania[9].

La vicenda, tuttavia, non si chiude qui. Pochi mesi dopo un giudice di primo grado, in netta controtendenza rispetto alla Cassazione e agli organi politici, dubita di dovere seguire la decisione del giudice internazionale, e chiama così in gioco la Corte costituzionale con quattro identiche ordinanze di rimessione, tre delle quali sono state decise dalla sentenza in commento, mentre la quarta è stata di recente decisa dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 30 del 2015.

Il perno dei dubbi di costituzionalità presentati dal giudice di Firenze è l’art. 10, primo comma, Cost.. Da molti anni, infatti, la giurisprudenza costituzionale consolidata sostiene che attraverso la “porta aperta” dell’art. 10, primo comma, Cost. le norme internazionali consuetudinarie entrano nell’ordinamento italiano ponendosi sul medesimo piano delle norme costituzionali[10], salvo che – al pari di quanto la Corte stessa predica a proposito delle norme dell’Unione europea quando discorre dei controlimiti[11] – esse contrastino con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o attentino ai diritti inalienabili della persona umana[12]. Secondo il giudice di Firenze, dunque, la consuetudine internazionale che impone l’immunità della Germania nei procedimenti civili davanti a lui pendenti si scontra con il controlimite costituito dal diritto alla tutela giurisdizionale nel caso di grave violazione di diritti fondamentali. Di qui i suoi dubbi, che si appuntano concretamente su tre norme diverse, ognuna delle quali diventa poi oggetto della sentenza costituzionale.

La Corte costituzionale gli dà sostanzialmente ragione in relazione a tutte e tre le questioni. Ma lo fa, attenzione, senza mettere più in discussione la portata della norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati, diversamente da quanto aveva fatto la Cassazione con la sentenza Ferrini, perché si limita a dire che tale norma, così come è, non può entrare in Italia per l’esistenza appunto di un controlimite.

Nel primo capo del dispositivo la nostra sentenza dichiara incostituzionale la legge italiana del 2013 intesa a vincolare i giudici italiani al rispetto della pronuncia della Corte internazionale di giustizia del 2012.

Nel secondo capo del dispositivo essa dichiara incostituzionale – si noti bene! – nientemeno che la legge italiana del 1957 che dà esecuzione allo Statuto delle nazioni unite[13], nella parte in cui, con l’art. 94, obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla medesima pronuncia della Corte internazionale.

Nel terzo capo del dispositivo, infine, la Corte costituzionale decide la questione più delicata, che verte su un oggetto completamente inedito, e cioè non su una legge italiana, ma sulla “norma” – così la chiama, genericamente, anche la Corte costituzionale – prodotta nell’ordinamento italiano mediante recepimento, ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost., della norma consuetudinaria internazionale.

La questione viene risolta con quella che nel gergo tecnico della nostra giustizia costituzionale si chiama sentenza interpretativa di rigetto. Viene risolta, in altre parole, con il rigetto del dubbio di costituzionalità sollevato dal nostro giudice di Firenze condizionato tuttavia a una (nuova) lettura della norma oggetto del dubbio che ne escluda il contrasto con la Costituzione.

Secondo la Corte costituzionale, infatti, come ho anticipato, la norma consuetudinaria internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati che si deve ritenere effettivamente “entrata” nell’ordinamento italiano è quella che non viola il controlimite costituzionale, e che dunque, pur imponendo in generale l’immunità degli Stati per gli atti iure imperii, tuttavia non copre atti quali la deportazione, i lavori forzati, gli eccidi riconosciuti come crimini contro l’umanità.

 

 

3. La mia sensazione è che l’innegabile peculiarità dei problemi affrontati non può non avere inciso sulle scelte – per molti aspetti criticabili e giustamente criticate – compiute dalla Corte costituzionale.

Innanzitutto c’è da dire, in generale, che pochi altri casi sono in grado di suscitare un’eco emotiva paragonabile a quella che nasce dall’orrore nazista.

È possibile anche che all’interno dello stesso collegio costituzionale ci fossero persone capaci di sentire quell’eco con intensità ancora maggiore o per ragioni anagrafiche, essendo già nati all’epoca della seconda guerra mondiale, oppure per le loro storie familiari. Molti italiani, del resto, si trovano in questa condizione. Ad esempio, entrambi i miei nonni materni erano capi partigiani in Piemonte, e mia madre, nata nel 1941, ricorda ancora quando, all’età di tre anni, nascosta dentro un pozzo buio dai contadini a cui era stata affidata, sentì le voci dei soldati tedeschi che erano venuti a cercare lei per arrivare a catturare i suoi genitori, e che dopo avere interrogato i contadini si allontanarono per fortuna senza più tornare.

Il caso, inoltre, presentava una dimensione simbolica più unica che rara.

Si pensi, in particolare, che in Europa la giustizia costituzionale come noi oggi la conosciamo si può dire che nasca nel secondo dopoguerra proprio come reazione al genocidio nazista, perché quei fatti storici avevano provato che le costituzioni nazionali precedenti non erano effettivamente in grado di garantire i diritti individuali in esse enunciati contro lo strapotere delle maggioranze politiche, e intere minoranze erano state private non solo del diritto alla vita, ma anche della stessa loro dignità di esseri umani. Proprio per evitare che quello che era successo accadesse di nuovo, dunque, non ci si accontentò di fare nuove costituzioni sovraordinate alle leggi ordinarie, ma si ritenne necessario inserire la previsione di appositi tribunali costituzionali, a cui si diede il potere di mettere nel nulla la volontà delle maggioranze politiche nel caso di violazione dei diritti umani in esse riconosciuti. E così, fecero, in particolare e non a caso, la Costituzione italiana del 1948 e quella tedesca del 1949.

Si capisce quindi perché per la nostra Corte costituzionale sarebbe stato difficile, anche dal punto di vista ideale, non rispondere alla chiamata del nostro giudice di Firenze proprio sulla tutela delle vittime dei crimini nazisti.

Bisogna dire, ancora, che era già accaduto, sia pure non molte volte, che la Corte costituzionale avesse a che fare con una consuetudine internazionale. Ma – attenzione – in passato non era mai successo che essa si confrontasse con una norma consuetudinaria la cui esistenza e la cui portata fosse stata già in precedenza accertata e dichiarata dalla Corte internazionale di giustizia. E non era mai accaduto nemmeno che la norma consuetudinaria, così come ricostruita da quest’ultimo giudice, oltre a costituire il parametro a cui raffrontare la legge interna denunciata, diventasse anche oggetto essa stessa del giudizio costituzionale, in relazione ai controlimiti. Al contrario che in tutti i casi precedenti, dunque, uno dei risvolti delicati per la Corte costituzionale era di trovarsi a valutare l’operato della Corte internazionale di giustizia, sia pure alla luce di parametri interni.

Solo in quest’ultima occasione, in altre parole, veniva prepotentemente in rilievo il tema dei rapporti tra corti nella tutela dei diritti fondamentali, che come sappiamo è un problema generale che assilla ormai da qualche anno tutte le corti supreme, e in particolare i tribunali costituzionali[14].

Non si può dimenticare, infatti, che anche la Corte costituzionale italiana, come tutti i suoi “colleghi” europei, almeno a partire dall’inizio del nuovo millennio si è trovata catapultata in un mondo sempre più complesso, quello della tutela multilivello dei diritti e dei tribunali di Babele[15], dove si vede costretta quotidianamente a combattere per preservare il proprio ruolo, affinché non sia indebitamente eroso da altri giudici.

In particolare, la sua posizione è minacciata sia “dall’interno”, in quanto i giudici comuni e in particolare le supreme magistrature sono oggi in grado di svolgere gran parte dei suoi compiti di controllo sulla legge; sia “dall’esterno”, perché le due Corti europee, di Strasburgo e di Lussemburgo, per motivi diversi che qui è impossibile esaminare, le fanno una pericolosissima concorrenza, minacciando la stessa perdurante operatività del sistema accentrato di controllo di costituzionalità[16].

Anche sotto il profilo delle “relazioni pericolose” tra Corti, dunque, nel nostro caso deve avere contato l’assoluta peculiarità dei fatti storici di cui in tutte le sedi si discuteva, e cioè la deportazione, i lavori forzati, gli eccidi riconosciuti come crimini contro l’umanità compiuti dal regime nazista.

In questo senso, si può dire che la Corte costituzionale italiana abbia colto al volo un’ottima, e forse unica occasione, per “parlare a nuora” – la Corte internazionale di giustizia – perché “suocere” – la Corte di Strasburgo e soprattutto la Corte di Lussemburgo – intendessero. Ha, insomma, approfittato del caso sottopostole dal Tribunale di Firenze per dimostrare soprattutto alle due Corti europee di essere capace, all’occorrenza, di opporre resistenza all’ingresso nell’ordinamento italiano di orientamenti di giudici esterni.

Si è spesso detto, infatti, ragionando dei rapporti con la Corte di giustizia dell’unione europea, che il vecchio istituto dei controlimiti all’ingresso del diritto dell’Unione, inventato quasi cinquant’anni fa dalla stessa Corte costituzionale ma poi di fatto da lei stessa mai utilizzato, sarebbe ormai caduto in disuso. Can che abbia non morde, si ripeteva da tempo.

Ora, invece, la Corte costituzionale ha voluto dimostrare di sapere anche mordere, ma lo ha fatto quando la preda da mordere era una preda facile, che ben si prestava a essere aggredita dal punto di vista simbolico, perché sullo sfondo c’erano i crimini commessi dal regime nazista. A una Corte costituzionale nazionale non poteva capitare una occasione migliore per farsi paladina dei diritti umani constatando l’inadeguatezza della tutela offerta da una Corte internazionale.

 

 

4. Eccoci quindi all’ultima delle tre domande, che a me pare quella cruciale. Quali effetti produce la nostra sentenza nei confronti dei giudici italiani? In particolare, li vincola, li obbliga davvero a compiere un illecito internazionale? Oppure li invita soltanto a compierlo?

Sembra pacifico, infatti, che l’illecito internazionale prospettato nella sentenza in commento non si è ancora consumato, ma verrà ad esistenza solo nel momento in cui un giudice, adito in sede civile da una vittima o da un suo discendente, esplicitamente o implicitamente negherà alla Germania l’immunità dalla giurisdizione, portando avanti il proprio procedimento[17].

Quale sia l’effetto delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale contenute nei primi due capi del dispositivo della nostra sentenza non è in realtà chiarissimo. O meglio, si può dire con certezza solo che dopo la sentenza della Corte costituzionale il giudice italiano non è ormai più vincolato alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia. Ma è anche obbligato a non adeguarsi a quella pronuncia? Oppure è ancora libero di effettuare un diverso bilanciamento dell’art. 10 Cost. con gli artt. 2 e 24 Cost., e fare quindi prevalere sulla tutela dei diritti delle vittime il vincolo internazionale che gli imporrebbe di dichiarare l’immunità della Germania?

Mettiamo in ipotesi che riprendano le trattative tra Italia e Germania, e che si arrivi a corrispondere un indennizzo a tutte le vittime dei crimini di guerra e ai loro discendenti. Non potrebbe un giudice italiano, ritenendo a quel punto tutelata a sufficienza la dignità delle vittime (art. 2 Cost.), valutare che il rispetto della consuetudine internazionale sull’immunità degli Stati prevalga sul loro diritto di agire in giudizio per ottenere un risarcimento pienamente satisfattivo (art. 24 Cost.)? Se anche per le sentenze della Corte costituzionale si applica il principio di totalità, per cui il dispositivo deve interpretarsi alla luce della motivazione, la risposta parrebbe essere negativa, perché la motivazione della nostra sentenza, nel modo che come ho detto più sopra pare davvero criticabile, impone un rigido aut aut.

Ciò nonostante, resta ancora spazio, a mio parere, per sostenere che entrambi i dispositivi di accoglimento semplicemente autorizzino i giudici ordinari italiani a negare l’immunità alla Germania, ma non valgano a imporre loro quest’unica soluzione.

A confermare una simile conclusione – secondo cui la sentenza costituzionale in commento non obbliga i giudici italiani a compiere l’illecito internazionale, ma solo li invita a farlo – concorre la “forma” del terzo capo del suo dispositivo. Come ho detto prima, infatti, la sentenza costituzionale risolve la questione che ha a oggetto direttamente la norma consuetudinaria entrata nell’ordinamento italiano attraverso la “porta aperta” dell’art. 10, primo comma, Cost. con un dispositivo di rigetto del dubbio di costituzionalità che chiede ai giudici di dare a quella norma una lettura diversa, che non contrasti con il controlimite.

Ebbene. Una sentenza interpretativa di rigetto non è mai – per consolidatissima giurisprudenza – vincolante verso la generalità dei giudici[18]. È un consiglio, non un comando[19].

Liberi tutti, dunque, i giudici civili italiani di scegliere se adeguarsi alla sentenza costituzionale del 2014 oppure alla sentenza internazionale del 2012, e dunque dichiarare, o meno, l’immunità della Germania? La risposta potrebbe essere positiva.

Da questo punto di vista, solo la posizione del giudice di Firenze nei processi civili riassunti dopo la sentenza della Corte costituzionale rimane particolare, perché almeno nel processo da cui era sorta la questione la sentenza interpretativa di rigetto produce sia un vincolo esegetico negativo, a non accogliere l’interpretazione ritenuta dalla Corte costituzionale non conforme a Costituzione, sia la preclusione processuale a risollevare identica questione, in ossequio al divieto di impugnazione delle sentenze costituzionali previsto dall’art. 137, ultimo comma, Cost. [20]

Ma a questo punto entra in gioco un altro importante elemento, che i commentatori della sentenza costituzionale spesso trascurano, e che cioè esiste ancora, ed è ancora pienamente obbligatoria per tutti i giudici italiani, una legge ordinaria – la legge 23 marzo 1958, n. 411 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per il regolamento pacifico delle controversie, firmata a Strasburgo il 29 aprile 1957) – che contiene una norma analoga a quella dell’art. 94 dello Statuto delle nazioni unite: l’art. 39 di tale Convenzione, secondo cui «ciascuna Alta parte contraente si conformerà al decreto della Corte internazionale di giustizia […] in ogni controversia nella quale è parte». Una norma che è ancora in vita solo perché il giudice di Firenze non l’ha denunciata al giudice delle leggi.

La Corte costituzionale, alcuni potrebbero osservare, non era tenuta a giudicare su quella norma, non essendo compresa nel thema decidendum. Ma, si potrebbe ribattere, se la Corte costituzionale avesse voluto veramente fare pulizia di tutte le norme che stringono i giudici italiani al rispetto della pronuncia della Corte internazionale di giustizia avrebbe potuto eliminare anche quella previsione ricorrendo all’istituto della illegittimità costituzionale consequenziale, che le consente di uscire dai limiti dell’impugnazione, e di dichiarare «altresì quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza della decisione adottata»[21].

Tutto ciò per dire che qualsiasi giudice – compreso lo stesso giudice di Firenze che aveva sollevato le questioni ora già decise! – che volesse procedere in un giudizio civile intentato contro la Germania non potrebbe farlo neppure dopo la nostra sentenza costituzionale, perché dovrebbe comunque prima sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale sulla legge del 1958, in modo da eliminare anche l’ultimo ostacolo rimasto alla sua “disobbedienza” nei confronti della pronuncia della Corte internazionale del 2012.

E sarebbe bene che ciò accadesse, anche perché nel giudizio costituzionale così instaurato la Corte costituzionale potrebbe avere la preziosa occasione di correggere il tiro, magari appoggiandosi a nuove circostanze di fatto, quali ad esempio trattative diplomatiche eventualmente in corso o concluse con la Germania, e compiere un diverso e più flessibile bilanciamento tra il diritto di difesa delle vittime e la consuetudine internazionale che impone l’immunità degli Stati.

La prospettiva, in definitiva, è abbastanza confortante. Pare possibile, e anzi molto probabile, che i clamorosi difetti di rigidità della sentenza costituzionale di cui ci occupiamo – che rendono addirittura inutile, ai fini di evitare la responsabilità dello Stato italiano per illecito internazionale, la ricerca di una soluzione diplomatica che consenta di indennizzare le vittime e i loro parenti – possano essere emendati in un futuro anche molto vicino dai giudici ordinari italiani oppure – meglio – dalla stessa Corte costituzionale in occasione di un nuovo giudizio di costituzionalità.

E una volta operata questa correzione di rotta, che a me pare necessaria, della nostra vicenda resterà solo l’aspetto più interessante, e cioè il segnale di perdurante vitalità lanciato dall’organo italiano di giustizia costituzionale e ormai recepito forte e chiaro dall’intera comunità internazionale. Senza contare che, una volta opportunamente ammorbidita, l’impostazione della Corte costituzionale italiana potrebbe anche contribuire a fare evolvere positivamente la consuetudine internazionale sull’immunità degli Stati per atti iure imperii, nel senso di arrivare ad escluderla almeno per le gravi violazioni di diritti umani che non abbiano trovato forme alternative di compensazione per le vittime.

[1] La sentenza della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012 si trova all’indirizzo www.icj-cij.org/docket/files/143/16883.pdf.

[2]Si veda, innanzitutto, il ricco dibattito sviluppatosi all’interno deiblog dellaSocietà Italiana di Diritto Internazionale (Sidi), all’indirizzo www.sidi-isil.org/sidiblog (nel quale sono fino a ora intervenuti L. Gradoni, Corte Costituzionale italiana e Corte internazionale di giustizia in rotta di collisione sull’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione civile; P. De Sena, Spunti di riflessione sulla sentenza n. 238/2014 della Corte costituzionale; M. Longobardo, “Il non-essere non è e non può essere”: brevi note a margine della sentenza n. 238/2014 della Corte costituzionale rispetto all’adattamento dell’ordinamento italiano al diritto internazionale consuetudinario; e poi di nuovo P. De Sena,Norme internazionali generali e principi costituzionali fondamentali, fra giudice costituzionale e giudice comune (ancora sulla sentenza 238/2014) e L. Gradoni, Giudizi costituzionali del quinto tipo. Ancora sulla storica sentenza della Corte costituzionale italiana e Id., Un giudizio mostruoso. Quarta istantanea della sentenza 238/2014 della Corte costituzionale italiana) e della rivista Questions of International Law (Qil), all’indirizzo www.qil-qdi.org (lo Zoom out II – 2014 sul tema Colliding legal systems or balancing of values? International customary law on State immunity vs fundamental constitutional principles in the Italian Constitutional Court decision no 238/2014, è stato introdotto da M. Arcari e vede finora i contributi di P. De Sena,The judgment of the Italian Constitutional Court on State immunity in cases of serious violations of human rights or humanitarian law: a tentative analysis under international law; R. Kolb, The relationship between the international and the municipal legal order: reflections on the decision no 238/2014 of the Italian Constitutional Court) e C. Pinelli, Decision no. 238/2014 of the Constitutional Court: Between undue fiction and respect for constitutional principles. Tra i molti altri commenti a prima lettura apparsi sul web si vedano poi ancora almeno: A. Peters, Let Not Triepel Triumph – How To Make the Best Out of Sentenza No 238 of the Italian Constitutional Court for a Global Legal Order, in www.ejeltalk.org e in VerfBlog, all’indirizzo www.verfassungsblog.de; N. Krisch, The Backlash against International Courts, in VerfBlog; F. Würkert, No Custom restricting State Immunity for Grave Breaches - Well Why Not?, ivi; F. Fontanelli, Damage-assessment on the Building of International Law after the Italian Constitutional Court’s Decision No. 238 of 2014: No Structural Damage, just Wear and Tear, ivi; H. Birkenkötter, R. Kunz e D. Schmalz, Of Global Cities and Gallic Villages: Tensions between Constitutional and International Law, ivi; D. Roughton, e A. Hoffmann, Constitutional Rights vs. State Immunity: Implementation of an ICJ Decision on Sovereign Immunity Declared Unconstitutional, in www.hsfnotes.com/publicinternationallaw; R. Caponi, Sovereign Immunity and Fundamental Human Rights after Italian Constitutional Court no. 238 2014, in www.academia.edu; Id., A Fresh Start: How to Resolve the Conflict between the ICJ and the Italian Constitutional Court, in www.tinyurl.com/iccvsicj (nella versione italiana in corso di pubblicazione in Giur. cost., 2014); A. Ruggeri, La Corte aziona l’arma dei “controlimiti” e, facendo un uso alquanto singolare delle categorie processuali, sbarra le porte all’ingresso in ambito interno di norma internazionale consuetudinaria (a margine di Corte cost. n. 238 del 2014), in Consulta on line, Studi 2014; A. Guazzarotti, Il paradosso della ricognizione delle consuetudini internazionali. Note minime a Corte cost. n. 238 del 2014, in www.forumcostituzionale.it; L. Gradoni, Corte costituzionale italiana “controvento” sull’immunità giurisdizionale degli Stati stranieri?, ivi; P. Faraguna, Corte costituzionale contro Corte internazionale di giustizia: i controlimiti in azione, ivi; S. Lieto, Il diritto al giudice e l’immunità giurisdizionale degli Stati nella sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2014, ivi; S. Leone, Sul dispositivo della sentenza n. 238 del 2014: una soluzione preordinata ad accentrare il sindacato sulle consuetudini internazionali presso Palazzo della Consulta, ivi; A. Tanzi, Sulla sentenza Cost. 238/2014: cui prodest?, ivi; F. Fontanelli, I know it’s wrong but I just can’t do right. First impressions on judgment no. 238 of 2014 of the Italian Constitutional Court, in www.diritticomparati.it; P. Passaglia, Una sentenza (auspicabilmente) storica: la Corte limita l’Immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile, ivi; P. Faraguna, Corte costituzionale e Corte internazionale di giustizia: il diritto alla penultima parola (sulla sentenza n. 238 del 2014), ivi; Id., La sentenza n. 238 del 2014: i controlimiti in azione, in Quad. cost., 2014; S. Leone, La sentenza n. 238 del 2014: una soluzione preordinata ad accentrare il sindacato sulle consuetudini internazionali, ibideme ancora L. Gradoni, La sentenza n. 238 del 2014: Corte costituzionale italiana “controvento” sull’immunità giurisdizionale degli Stati stranieri?, ibidem.

[3]Le poche sentenze tradotte, dal 2006 a oggi, si trovano all’indirizzo www.cortecostituzionale.it/ActionPagina_1240.do. Né ci sono, a quanto mi consta, raccolte non ufficiali di “grandi decisioni costituzionali italiane”, salvo quella, che ha purtroppo avuto una limitatissima circolazione, di C. Pettinari, Cases and materials on the Italian Constitutional Court, Milano, Cuem, 2009, 218 pages.

[4]Cass., sez. un. civ., 11 marzo 2004, n. 5044 (nota come sentenza Ferrini), in International Law Reports (ILR), Vol. 128, 2006. Sulla questa sentenza, molto commentata, si veda almeno P. De Sena e F. De Vittor, State Immunity and Human Rights: The Italian Supreme Court Decision on the Ferrini Case, in The European Journal of International Law (EJIL), 2005, Vol. 16, No. 1, pp. 89 ss.

[5]Tra le pronunce del 2008 si ricorda Cass., sez. un. civ., sent. 28 maggio 2008, n. 14199, da cui è tratta la frase riprodotta tra virgolette nel testo.

[6]Cass., sez. I civ., 20 maggio 2011, n. 11163.

[7]La pronuncia della Corte internazionale di giustizia è molto nota. Si vedano, fra i numerosi commenti, i contributi contenuti nel libro Immunities in the Age of Global Constitutionalism, edited by A. Peters, E. Lagrange, S. Oeter e C. Tomuschat, Leiden, 2014; M. Krajewski e C. Singer, Should Judges be Front-Runners? The ICJ, State Immunity and the Protection of Fundamental Human Rights, in Max Planck Yearbook of United Nations Law, edited by A. von Bogdandy e R. Wolfrum, Vol. 16, 2012; P.C. Bornkamm, State Immunity Against Claims Arising from War Crimes: The Judgment of the International Court of Justice in Jurisdictional Immunities of the State, in German Law Journal, Vol. 13, no. 6, pp. 773 ss.; M. McMenamin, State Immunity before the International Court of Justice: Jurisdictional Immunities of the State (Germany v. Italy), in Victoria U. Wellington L. Rev., Vol. 44, 2013, pp. 189 ss.; M. Kaldunski, The Law of State Immunity in the Case Concerning Jurisdictional Immunities of the State (Germany v. Italy), in The Law & Practice of International Courts and Tribunals, Vol. 13, Issue 1, 2014, pp. 54 ss.; D. Raju e B. Jasar, Intervention before the International Court Of Justice - A Critical Examination of the Court’s Recent Decision in Germany v. Italy, in NUJS L. Rev., Vol. 6, 2013, pp. 63 ss.; S. Talmon, Jus Cogens after Germany v. Italy: Substantive and Procedural Rules Distinguished, in Leiden Journal of International Law, Vol. 25, 2013, pp. 979 ss.

[8]Cass., sez. I pen., sent. 30 maggio 2012, n. 32139 (nota come sentenza Albers), annotata da F. Fontanelli, Criminal Proceedings against Albers, in American Journal of International Law (ASIL), Vol. 107, n. 3, 2013, pp. 632 ss. In quell’occasione, le precedenti pronunce della Cassazione civile sono qualificate in modo molto lucido «come un tentativo, dettato da esigenze di affermazione di principi di civiltà giuridica, che, in difetto della sua “convalida” da parte della Comunità internazionale della quale la Corte dell’Aja è il massimo momento di sintesi giurisdizionale, non è stato, o non è stato ancora, fornito della necessaria condivisione, e che, per questa ineluttabile considerazione, non può essere portato ad ulteriori applicazioni». Segue quindi nel 2013 una nuova pronuncia delle sezioni unite civili in sede di regolamento di giurisdizione: anch’esse si arrendono alla pronuncia della Corte dell’Aja, e dichiarano il difetto di giurisdizione del giudice italiano nei confronti della Germania, convenuta in una diversa causa di risarcimento dei danni conseguenti alla detenzione, alle torture subite e alla sua successiva uccisione di un cittadino italiano da parte del criminale nazista Priebke nell’eccidio delle Fosse Ardeatine (Cass., sez. un. civ., sent. 21 febbraio 2013, n. 4284). Su questi sviluppi della vicenda si veda anche V. Filfak, Domestic Courts Enforcement of Decisions and Opinions of the International Court of Justice, Legal Studies Research Paper Series, University of Cambridge, Faculty of Law, paper No 32/2014, April 2014, pp. 15 ss.

[9]L. 14 gennaio 2013, n. 5. Sul punto G. Nesi, The Quest for a‘Full’ Execution of the ICJ Judgment in Germany v. Italy, in Journal of International Criminal Justice, Vol. 11, 2013, pp. 185 ss.

[10] La formulazione dell’art. 10, primo comma, Cost. era stata proposta in Assemblea costituente da Tomaso Perassi, che già in quella sede aveva dato al meccanismo previsto da quell’articolo il nome di «trasformatore permanente» delle consuetudini internazionali in prescrizioni vincolanti interne (Commissione per la Costituzione, seduta plenaria, 24 gennaio 1947). Tale definizione sarà ripresa nella dottrina italiana prima da Perassi stesso (T. Perassi, Lezioni di diritto internazionale, Padova, 1959) e poi da moltissimi altri autori.

[11] Corte cost., sent. n. 98 del 1965, e poi Corte cost., sent. n. 183 del 1973, n. 170 del 1984 fino alla formulazione definitiva contenuta in Corte cost., sent. n. 232 del 1989.

[12] L’affermazione dell’esistenza di controlimiti anche all’ingresso nell’ordinamento italiano delle norme internazionali consuetudinarie è affermata per la prima volta nel caso Russel (Corte cost., sent. n. 48 del 1979).

[13] L. 17 agosto 1957, n. 848.

[14] La letteratura sul tema è ormai amplissima. Per uno sguardo lucido e ampio ai principali problemi si rinvia, per tutti, a M. Cartabia, Fundamental Rights and the Relationship among the Court of Justice, the National Supreme Courts and the Strasbourg Court, in 50ème anniversaire de l’arrêt du 5 février 1963, Van Gend en Loos. Actes du colloque, Luxembourg, 2013, pp. 155 ss.

[15] S. Cassese, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, 2009.

[16] Per questa visione si veda soprattutto V. Ferreres Comella, Constitutional Courts and Democratic Values. A European Perspective, New Haven&London, 2009 e, in relazione al caso italiano, Dove va il sistema italiano accentrato di controllo di costituzionalità? Ragionando intorno al libro di Victor Ferreres Comella Constitutional Courts and Democratic Values, a cura di L. Cappuccio e E. Lamarque, Napoli, 2013.

[17] A. Peters, Let Not Triepel Triumph, cit., p. 4.

[18] E non produce neppure quel vincolo alternativo prospettato da antica e autorevole dottrina (L. Elia, Sentenze «interpretative» di norme costituzionali e vincolo dei giudici, in Giur. cost., 1966, pp. 1718 ss.; Id., Gli inganni dell’ambivalenza sintattica, in Giur. cost., 2002, p. 1051), secondo cui i giudici, di fronte a una sentenza interpretativa di rigetto, sarebbero tenuti, alternativamente, o a seguire l’interpretazione offerta dalla Corte costituzionale oppure a investire di nuovo la Corte costituzionale della medesima questione allo scopo di ottenere finalmente una dichiarazione di illegittimità costituzionale.

[19] A. Pizzorusso, La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale: comandi o consigli?, in Riv. trim. dir. pubbl., 1963, pp. 346 ss.

[20] Sia consentito il rinvio a E. Lamarque, Corte costituzionale e giudici nell’Italia repubblicana, Roma-Bari, 2012, pp. 75-80.

[21] Art. 27 della l. 11 marzo 1953, n. 87.