Magistratura democratica
Magistratura e società

Raffaele Mattioli, il banchiere umanista

di Bruno Giangiacomo
presidente del Tribunale di Vasto
In occasione del 120° anniversario della sua nascita, avvenuta a Vasto nel 1895. un ritratto del banchiere che è stato alla guida della Banca Commerciale Italiana (Comit) e poi fondatore di Mediobanca. Un personaggio che ha attaversato 50 anni di storia italiana, mostrandosi sensibile ad aspetti culturali e politici

Ricorre quest’anno il 120° anniversario della nascita di Raffaele Mattioli [avvenuta in Vasto (Ch) il 20.3.1895], un sicuro protagonista dell'economia italiana a cavallo della metà del secolo scorso e per circa cinquant'anni.

Il nome di Mattioli è legato a filo doppio alla Banca Commerciale Italiana (Comit), ma egli ha legato il suo nome anche alla forte passione per la cultura e la letteratura in particolare, tanto da guadagnarsi la fama di banchiere umanista, fama che egli ha pressocchè in esclusiva nel mondo bancario ed economico italiano.  

Alla Comit Mattioli arriva nel 1925, dopo i suoi studi giovanili e gli scritti postuniversitari pubblicati sulla Rivista bancaria, rivolti alla moneta ed ai cambi con prospettive decisamente innovative per l'epoca che guardavano al mondo anglosassone. Mattioli viene subito nominato capo di gabinettodell'allora amministratore delegato della Comit, Giuseppe Toeplitz (un ebreo polacco),per poi diventare direttore centrale e, quindi,dal 1933 amministratore delegato (seppure per un buon periodo in condominio con altri); nel1960 viene nominato presidente della Comit, carica che rivestirà sino al 1972, un anno prima della sua morte.

La Comit nel 1926 non riusciva a smobilizzare i crediti industriali e questo mancato rientro di liquidità aveva determinato delle difficoltà della banca. Nel contempo la crisi delle borse non consentiva il ricorso al mercato finanziario interno; a quel punto Toeplitz aprì al mercato finanziario americano, tanto che si recò negli Stati Uniti insieme a Mattioli e Giovanni Malagodi, che diventò in seguito anche un personaggio della politica italiana. Ma la "grande crisi" del 1929 impedì tra l'altro la risoluzione della crisi della Comit e fu gioco forza cercare di trovare altre soluzioni.

E' a questo punto che Mattioli costruiva il progetto IRI: l'11.9.1931 inviava un memoriale a Benito Mussolini, allora Capo del Governo, intitolato Per la regolamentazione dell'economia italiana, nel quale proponeva di affidare i pacchetti azionari posseduti dalle banche miste (tra cui Comit) ed il coordinamento della politica industriale ad un ente di natura tecnica, l'IRI (acronimo di Istituto per la ricostruzione industriale), che viene infatti costituito a distanza di poco più di un anno, nel gennaio del 1933.

Ciò determinò anche una crisi interna della Comit, culminata nella sostituzione di Toeplitz, che voleva la Comit una banca d'affari, mentre Mattioli la conduceva più verso la funzione tipica della banca (raccolta del risparmio ed esercizio del credito, cioè un istituto di credito), ma con una configurazione "mista" che comprendeva l'attività d'investimento soprattutto attraverso l'intervento nelle società in un'ottica propulsiva e non meramente speculativa; una banca che vuole essere partecipe del processo di sviluppo economico del Paese.

Senonchè il sistema bancario italiano si caratterizzava per una scarsità di capitali di rischio ed allora occorreva l’aiuto, l’intervento dello Stato; da qui l'idea della costituzione dell'IRI.

Toeplitz che non condivideva questa linea; abbandonò la Comit e gli subentrò Mattioli in condominio con Facconi.

Una conseguenza personale e politica per Mattioli, la cui linea aveva vinto presso il Governo, fu che il banchiere si dovette iscrivere al Partito nazionale fascista, pur essendo parecchio alieno dalle idee di quel partito, come la sua storia anche successiva dimostrerà.

Nell'ottobre del 1931, quale prodromo della costituzione dell'IRI, venne stipulata la convenzione per il salvataggio della Comit con lo scorporo delle partecipazioni industriali tramite una società finanziaria, ma il processo di smobilizzo dei crediti, che aveva determinato la crisi della Comit fu difficoltoso, l'onere finanziario insopportabile e quindi il passaggio successivo fu che Comit passò nelle mani dell'IRI e poco o niente di quella banca restava ai privati.

La situazione permaneva critica perchè i crediti restavano comunque, seppure nei riguardi dell'IRI, ma Comit s'impegnò a realizzare in tempi brevi un riequilibrio del bilancio ed una rapida riforma dell'assetto organizzativo interno della banca. Fu un periodo di lacrime e sangue per gli stessi dirigenti ed impiegati della banca, cui si affiancò una loro spiccata autonomia ed una conseguente assunzione di responsabilità dei direttori delle filiali, mentre Mattioli si sforzava di collocare i titoli azionari presso la clientela ed i mercati esteri.

L'ulteriore passaggio fu che nel 1937 Comit, Credito Italiano e Banco di Roma vennero dichiarate banche d'interesse nazionale e quindi l'assetto proprietario in capo all'IRI della Comit si consolidò e permarrà per circa sessant'anni (l’IRI è stata per molti anni la più grande azienda industriale al di fuori degli Stati Uniti).

In questo periodo l'Ufficio studi della Comit divenne il più brillante centro di elaborazione delle analisi economiche ed insieme alla Banca d'Italia produsse studi comparati sino ad allora mai elaborati; nel dopoguerra quell'Ufficio studi divenne anche un centro di organizzazione per il Partito d'Azione, tanto da essere definito una sorta di università della classe dirigente laica e antifascista (presso cui hanno lavorato Ugo La Malfa, Malagodi, Guido Carli ed Enrico Cuccia), ma Mattioli manteneva anche ottimi rapporti con Mussolini che aveva convinto all'istituzione dell'IRI.

L'affermazione della politica voluta da Mattioli per Comit con il parziale risanamento della banca e la riconversione organizzativa di questa ne accrebbe il prestigio personale e lo tenne in qualche modo al riparo dal regime fascista, cui era sostanzialmente avverso e col quale doveva comunque trattare: l'IRI era stata la salvezza della Comit ed il regime fascista e le casse dello Stato avevano fortemente contribuito a questo; ma la freddezza di Mattioli nei confronti del regime fascista si palesò non operando concessioni di credito alle industrie belliche al momento dello scoppio del conflitto mondiale e ancor prima non assecondando le mire espansionistiche dell'Impero fascista attraverso le campagne di conquista dell'Etiopia e dell'Albania, tanto che questo lo fece entrare in conflitto con l'altro amministratore delegato dell'epoca (A. D'Agostino), che si dimise da tale carica per passare alla Banca Nazionale del Lavoro.

Mattioli rinsaldò il suo legame con il Credito Italiano e cooperò alla Resistenza. Tutto questo gli costò la temporanea sospensione dalla carica di amministratore delegato dell'IRI (che aveva trasferito la sua sede momentaneamente al nord) nell'agosto del 1944, carica che Mattioli riprese qualche mese dopo nel maggio 1945.  

Mattioli si rendeva conto della difficoltà dell'economia italiana senza l'intervento dello Stato e questo ribadì anche nell'audizione all'Assemblea Costituente nel 1946 presso la Commissione economica, ove espressamente si dichiarò favorevole al mantenimento dell'IRI quale socio di riferimento per le banche d'interesse nazionale in carenza di investitori privati stabili e in presenza di possesso del capitale delle imprese in mano alle banche; in questa situazione la presenza dello Stato fungeva da elemento equilibratore. La Costituzione previde e dette, quindi, rilievo all’art.41 all’attività economica pubblica a fianco di quella privata e all’art.47 affermò che la Repubblica disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito, chiaramente facendo intendere che le banche devono essere disciplinate per l’alta funzione che esse esercitano nell’economia.

E' proprio in questo periodo che Mattioli rilancia e comincia la gestazione di  Mediobanca che vedrà la luce nel 1946, la cui guida fu affidata ad Enrico Cuccia che era stato stretto collaboratore di Mattioli quale condirettore centrale della Comit. Tramite Mediobanca la raccolta del risparmio, attraverso certificati di deposito e titoli da essa emessi, confluiva direttamente verso i fabbisogni finanziari delle imprese clienti di Comit ed anche delle altre due banche di interesse nazionale gestite dall'IRI, Credito Italiano e Banco di Roma, istituti che, non si dimentichi, uscivano anch'essi malconci da una guerra mondiale perduta e devastante per l'economia italiana e che avevano bisogno di essere rinsanguati. Mediobanca diventa l'unica banca privata d'investimento, tanto da essere definita negli anni '70, l'arbitro degli equilibri tra le grande famiglie del capitalismo italiano, un ruolo che andò oltre la stessa previsione di Mattioli che storicamente diffidava del capitalismo finanziario, propendendo per un'impresa che potesse avere una sua autonomia economico-finanziaria, che si finanziasse da sè (autofinanziasse) o comunque desse maggior equilibrio tra mezzi propri e mezzi di terzi. La funzione della banca doveva servire ad assistere le imprese nella loro crescita, per favorirne lo sviluppo, fino a farle quotare in borsa, non doveva servire a farle sopravvivere; ma questa era un'aspirazione.

Secondo alcuni autori, però, l'IRI aveva ad un certo punto un pò frenato la Comit, negandole aumenti di capitale che dovevano servire a recuperare i danni recati dalla guerra alla banca e preferendo la politica bancaria rivolgersi verso banche di rilievo locale, che potessero soddisfare l'erogazione di un credito speciale o agevolato, verso il quale Mattioli manifestava un pensiero critico, per la deriva burocratica nella quale faceva approdare l'attività bancaria.

Il lavoro di Mattioli proseguì negli anni '60 nella sua nuova veste di Presidente della banca, sempre rivolto a far pensare in grande le imprese ed a farle compiere salti di qualità, eventualmente anche ricorrendo al mercato finanziario. I dati sul credito erano riportati e commentati nelle relazioni annuali al bilancio della Comit, un appuntamento che da anni rivestiva un connotato anche politico e non solo economico. 

In quegli anni Mattioli sostenne Enrico Mattei, incaricato di liquidare l'AGIP e che invece dette nuovo impulso al settore costituendo l'Eni, che la Comit finanziò.

Mattioli rifiutò la carica di presidente onorario quando la politica impose la nomina di Gaetano Stammati quale presidente della Comit nel 1972 e, pertanto, si dimise un anno prima circa della sua morte.

Raffaele Mattioli figura culturale

Mattioli finanzia tramite la Comit durante il fascismo riviste letterarie, quali La cultura e La fiera letteraria, e la casa editrice Riccardo Ricciardi di Napoli nonchè opere letterarie dello scrittore Carlo Emilio Gadda, ma Mattioli intrattiene anche rapporti personali con Riccardo Bacchelli, Franco Rodano, Giuseppe De Luca, Federico Chabod, Gianfranco Contini.

Ma forse l'aspetto culturale che ha segnato la sua vita è stata l'amicizia con Benedetto Croce, il quale lo volle alla Presidenza dell'Istituto italiano per gli studi storici, quale successore alla sua morte. Detta istituzione era concepita come una scuola di alti studi post laurea con borse di studio conferite a giovani ricercatori italiani e stranieri, così da contribuire a formare un'intera generazione di storici di rilievo nazionale ed internazionale.

Nel dopoguerra Mattioli, anche per il particolare rapporto che instaura con Togliatti si adopera per salvare i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci.

Raffaele Mattioli Figura politica

Da un punto di vista politico-sociale Mattioli ebbe rapporti controversi col Vaticano e discussi con la Massoneria.

Lo chiamavano il banchiere eretico perchè lontano dal Vaticano, che però finanziò la Comit e fu chiamato nel 1939 da Padre Gemelli ad insegnare Tecnica bancaria all'Università Cattolica. Nel dopoguerra strinse rapporti d'amicizia con politici cattolici, quali Vanoni e Mattei.

Discusso è stato il suo rapporto con la Massoneria: si insinuò che dietro il suo ingresso alla Comit ci fosse la spinta di qualche Gran Maestro, ma nel contempo l'amicizia con Croce lo portava a condividere l'avversione verso questa organizzazione.

Dal punto di vista del rapporto con la politica e i partiti nel 1942 Mattioli partecipò alla stesura del manifesto del Partito d'Azione, ma lavorò anche al salvataggio della Casa Savoia. Il fallimento di quel partito lo portò ad avvicinarsi ad ambienti politici della sinistra, instaurando un intenso dialogo con Togliatti, che si manifestò culturalmente nella salvaguardia dei Quaderni gramsciani, sino ad arrivare a finanziare la casa della cultura di Rossana Rossanda.

Mattioli si presentava aperto anche alle società dei Paesi dell'Est, tanto che nella primavera del 1947 fu prescelto per guidare una delegazione economica inviata a Belgrado per stipulare un trattato commerciale con la Jugoslavia e questo gli creò qualche problema di rapporti con gli Stati Uniti ed un tentativo di sollevarlo dalla carica presso la Comit da parte del Governo Scelba, che però incontrò l'opposizione del Presidente della Comit ed anche il Presidente della Repubblica dell'epoca, Luigi Einaudi, intervenne in favore di Mattioli.  

Brevi considerazioni finali

Un'intelligenza spiccata e naturale quella di Mattioli che l'ha reso una figura versatile, scambiata a volte per contraddittoria.

Mattioli ha percepito subito le difficoltà genetiche e strutturali del capitalismo italiano, povero di mezzi propri e scarsamente autosufficiente, e credeva per questo nella necessità di un aiuto dello Stato, che accompagnasse l'economia per esserne un ricostituente, non l'ossigeno vitale; da qui l'idea dell'IRI, la prima delle sue grandi idee per cercare di sorreggere l'economia italiana, un'istituzione durata circa settant'anni.

Mattioli credeva nella funzione tipica della banca e della capacità di questa di contribuire all'economia del Paese. Rifiutava una sovraesposizione del sistema finanziario e una concezione del danaro per il danaro che costringe l'economia, la relega, un'economia che deve essere fatta innanzitutto di beni e servizi prodotti per il mercato; ecco perchè la banca può e deve aiutare il sistema delle imprese produttive. Da qui la creazione di Mediobanca, la seconda grande idea di Mattioli, tuttora esistente, nata comebanca privata d'investimento, tanto da essere definita negli anni '70 l'arbitro degli equilibri tra le grande famiglie del capitalismo italiano.

Tutto questo Mattioli ha perseguito, ritenendo che non fosse importante con chi o attraverso chi realizzare queste idee, ma fosse importante realizzarle, raggiungere l'obiettivo.

Un banchiere, Mattioli, sicuramente illuminato e sorretto da una grande cultura.

Ma l'economia italiana è quella del capitalismo c.d. assistito, di uno Stato che ha finanziato anche sperperando e di una banca, quelle rimaste per aver operato oculatamente, aiutando gli indecisi e calmando i temerari, che ormai ha liquidità stagnanti, divenendo delle vere e proprie finanziarie più che delle erogatrici di credito.

Non proprio la direzione voluta da Mattioli, ma il suo pensiero può forse ancora costituire una cometa per chi voglia invertire questa rotta. 

26/07/2015
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