Magistratura democratica
Magistratura e società

Mare fuori, sempre più lontano dalla realtà del carcere minorile

di Ennio Tomaselli
magistrato in pensione, già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino

Riflessioni a partire dalla quarta stagione della serie Rai (2024)

Ho scritto già più d’una volta su Mare fuori[1] e, ora che imperversa (in prima serata su Rai 2, oltre che su RaiPlay) la quarta stagione della serie-fenomeno, mi sento quasi in obbligo di scriverne ancora. Soprattutto per esercizio di obiettività e corretto senso critico rispetto a un prodotto di cui parrebbe non potersi parlare se non estremizzando: i più continuano ad osannare, anche alla luce degli ascolti e delle visualizzazioni nonché di quanto è germinato dall’impianto originario[2], mentre altri lamentano una sorta di deriva buonista rispetto al “duro e puro” delle prime stagioni.

Chi regge il timone non gioca comunque al risparmio, forte del diffuso consenso, sul piano di una consacrazione che si vorrebbe definitiva: «Questa serie continua a sorprenderci per la capacità di rinnovarsi e rilanciare la sua forza d’attrazione rispetto al pubblico… I ragazzi in particolare si riconoscono in un racconto fortemente realistico che, in coerenza con lo spirito del servizio pubblico, colpisce per l’autenticità dei sentimenti con cui descrive il delicato passaggio all’età adulta nella condizione estrema del carcere minorile»[3] . Si può partire proprio da queste dichiarazioni per una serie di osservazioni.

La prima: anche se è di tutta evidenza che l’intera serie punta anzitutto al pubblico giovane e giovanissimo, ad apparire sullo schermo è anzitutto l’avvertenza che “la visione è destinata al solo pubblico adulto”. Così, per l’esattezza, nella messa in onda televisiva, mentre su RaiPlay la formula è quella della visione “consigliata ad un pubblico adulto”. Cautele, accortamente modulate, forse legate allo “spirito del servizio pubblico”; ma forse, più realisticamente, all’esigenza di mettere formalmente le mani avanti anche a costo di apparire più realisti del re, tanto più che nelle stagioni precedenti la cautela era solo nel senso che veniva “raccomandata la presenza di un adulto accanto a chi è ancora minorenne”. Poiché non c’è da spremersi le meningi per immaginare cosa succedeva, succede e succederà nella pratica al di là di qualsivoglia avvertenza, non c’è nemmeno da dilungarsi nel motivare perché tutte le citate avvertenze sono, in sostanza, solo delle foglie di fico.

Una questione che merita approfondimento adeguato è, invece, quella del realismo della narrazione. Lo svolgerò puntando sulla sostanza del discorso e dei problemi che ravviso soprattutto nel rapporto tra Mare fuori e la realtà della giustizia e del carcere minorile.

Mare fuori è un teen drama i cui autori, fin dall’inizio, hanno puntato soprattutto sui toni dark, con sfondi, personaggi e intrecci conseguenti. Il carcere minorile è una sorta di super protagonista e, per i ragazzi e le ragazze che ci finiscono, qualcosa in cui si entra quasi automaticamente alla commissione di un reato grave. Rileva, al riguardo, essenzialmente quanto legato all’evento (morte in primis) considerato di per sé. Altri profili sono ampiamente o del tutto trascurati, anche se potrebbero far dubitare della stessa punibilità (per esercizio di legittima difesa o altra scriminante) o attenuano, soprattutto sul piano soggettivo, la gravità dell’illecito o, comunque, farebbero ritenere più adeguata una diversa misura cautelare, tanto più rispetto a minorenni. Nella pressoché totale assenza ˗ una costante della serie ˗ di riferimenti a procedure, istituti e strumenti della cognizione, dell’esecuzione e della sorveglianza nonché a giudici e avvocati (tranne un unico legale: colluso, doppiogiochista e destinato a sparire malamente dalla scena), tutto è stato costruito perché ci fosse un unico polo d’attrazione e un unico grande contenitore, il carcere, in cui si intrecciassero storie anche molto diverse di ragazzi e ragazze. Una scelta sicuramente abile, efficace e coerente con la connotazione dark di cui si è detto; ma anche molto spregiudicata, se si gioca su un’immagine di carcere minorile distante, sempre più distante, da una realtà sicuramente complicata ma comunque assai diversa da quella rappresentata da Mare fuori, per cui il carcere è (v. sopra) “condizione estrema”. Non certo nell’accezione giuridica dell’extrema ratio bensì di un concentrato di aspre tensioni, lotte intestine e forti passioni, ampiamente coinvolgenti anche figure istituzionali, in un clima irrealmente sospeso: in questo strano carcere, paradossalmente, non si parla pressoché mai di scadenza delle misure cautelari e di fine pena, così come di progetti per il dopo almeno auspicabilmente strutturati e condivisi con il territorio. Tutto è rimesso ad attivazioni estemporanee di un unico educatore (padre, in segreto, di una detenuta), degli stessi giovani (mossi soprattutto da dinamiche affettive innescate dalla carcerazione) e di parenti per lo più inaffidabili, quando non autentici criminali, nonché a permessi su cui si eserciterà, al di là di pareri carcerari spesso contrastati e talvolta umorali, l’imperscrutabile discrezionalità di lontani e sconosciuti giudici.

Da tutto ciò inizia ad emergere che, anche se gli autori di Mare fuori hanno detto di essersi ispirati alla realtà dei ragazzi e delle ragazze dentro un carcere minorile per far meglio comprendere l’autenticità dei loro drammi nonché i loro errori ma anche le loro storie di riscatto, l’esito di larga presa sul pubblico è stato raggiunto soprattutto grazie ad altro, difforme dalla realtà e fuorviante per un’opinione pubblica che, su questioni così delicate, è già stimolata per lo più malamente da politici e media. Si consideri, ad esempio, che nella fiction sono fondamentali i legami di amore-odio e le connesse rivalità e gelosie che si creano fra detenuti e detenute, mostrate come presenti in buon numero anche loro. Ma le statistiche ministeriali, oltre alle rilevazioni dell’associazione Antigone, segnalano che il numero delle detenute negli i.p.m. è, invece, estremamente ridotto. Secondo il Ministero, al 31.1.2024, in tutta Italia, le ragazze erano 14, a fronte di 502 maschi; e, per quanto riguarda il dato più generale dell’utenza dei Servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, «le ragazze sono soprattutto di nazionalità straniera e provengono dai Paesi dell’area della ex Jugoslavia e dalla Romania». Vi sono istituti, come il “Ferrante Aporti” di Torino (citato in Mare fuori come destinazione di una detenuta in trasferimento dall’i.p.m. di Napoli), che da anni sono strutturati solo per un’utenza maschile, mentre a Pontremoli esiste una struttura che, al contrario, accoglie solo ragazze (al 15.1.2024, secondo “Antigone”, le giovani ivi ristrette erano 8, mentre le poche altre erano distribuite fra Roma e Napoli)[4] .

L’irrealtà è acuita dalla promiscuità, altra costante della fiction, se possibile accentuata in questa stagione. Ovunque nel carcere, comprese la cappella e una terrazza (da cui una giovane si tufferà in mare…), ragazzi e ragazze si muovono, si incontrano/scontrano e si scambiano di tutto come a casa loro, in strada o in una comunità per adolescenti fuori controllo da parte degli educatori. A proposito degli adulti: i soggetti istituzionali ai quali si è fatto cenno si riducono in sostanza (gli altri sono comparse o macchiette) alla direttrice, che era stata mandata per riportare l’ordine (ma poi cambierà…), al comandante della polizia penitenziaria (figura “eroica” votata alla salvezza dei ragazzi, “anche uno solo”, ma che in questa stagione di Mare fuori, colpito brutalmente negli affetti familiari, entra in crisi e rischia di farsi travolgere dalla sete di vendetta) e all’educatore già menzionato, i cui rapporti con la direttrice sono connotati da alti e bassi, anche sessuali, in stile adolescenziale (il comandante, d’altronde, era legato sentimentalmente alla direttrice precedente).

L’immagine del carcere minorile appare, in definitiva, estremizzata a bella posta, al di là delle criticità che si riscontrano nella realtà (che sono di altro tenore e di cui si dirà più avanti). Ciò perché ben poco di quanto rappresentato potrebbe avvenire in un vero i.p.m. e in altri ambienti quale un ospedale dove un giovane boss ricoverato uccide un boss anziano anch’egli degente, versando poi calde lacrime prima di tornare senza colpo ferire nella sua stanza. Nessuno si sognerà anche solo di sentirlo; mentre, per altro verso, in carcere il trio direttrice-comandante-educatore si mette talvolta a fare indagini di competenza della magistratura. Tutto questo fa a pugni con il forte realismo di cui parla la Rai e che non può riguardare, genericamente, solo un certo contesto (Napoli, le famiglie della camorra, il disagio e talvolta lo sfascio sociale). Il che è negativo anche perché, a forza di scene madri alternate ad alleggerimenti, con i toni della commedia, spesso ripetitivi e stucchevoli, si è persa un’occasione per trattare in modo più convincente e davvero realistico temi importanti che pure affiorano. Come la situazione dei rampolli di famiglie camorristiche importanti; la solitudine e la disperazione, al di là delle apparenze, di ragazzi cresciuti in famiglie autenticamente distruttive; la condizione, fuori e dentro il carcere, dei gay; il trauma e le conseguenze della violenza sessuale; disagi e disturbi della personalità di varia matrice.

Per la prima delle situazioni citate si è scelta la chiave narrativa dell’amore impossibile fra un ragazzo e una ragazza di famiglie antagoniste, ma con una insistenza e forzature tali da rendere la storia non solo dark ma anche, nonostante tutto, scontata e quindi priva di reale drammaticità, al di là dell’impegno e della bravura degli interpreti. La serissima problematica di prese in carico terapeutiche spesso carenti e di un sostegno psicologico complicato e inadeguato è stata sì accennata, ma nel contempo “risolta”, nello stile tipico di Mare fuori, grazie a un carcere che in qualche modo cura esso stesso, una volta si sarebbe detto con “sano paternalismo”. Sofia, Massimo e Beppe (in ordine gerarchico dalla direttrice all’educatore, passando per o’ comandante) riusciranno, nonostante tutto, a far prendere dei diplomi, ad avviare un ragazzo, refrattario allo studio, al lavoro all’esterno presso un canile (anche se questo, non conosciuto, risulterà del tutto inadeguato…) e perfino a predisporre tutto per il matrimonio dei due “nubendi impossibili” (per lei, ancora minorenne, arriverà un ok da parte del tribunale per i minorenni, essendo necessaria per legge una valutazione di maturità, anche se lì nessuno l’ha vista e le ha parlato…) .

Insomma, in Mare fuori il carcere è comunque, bene o male, salvifico. Perfino un carcere come quello nelle mani di Sofia, Massimo e Beppe, che in passato avevo paragonato a una fortezza sul mare ma che si potrebbe immaginare anche come un vascello eternamente nella tempesta. Qualcuno, ahimè, non verrà recuperato e potrà anche lasciarci la pelle, essendo rimasto insensibile ai moniti e all’empatia istituzionale; ma per gli altri qualche soluzione, magari imperfetta, si troverà. Come quell’approdo al lontano (e in realtà impossibile) “Ferrante Aporti” di Torino della ragazza, diplomata, figlia dell’educatore; come quell’avvio al lavoro con i cani del giovane appassionato di essi, anche se sarà poi lui, autonomamente, a trovarsi una collocazione adeguata…  Tutto ciò, trattandosi di una fiction, potrà anche far sorridere. Ma si sorride assai meno pensando che la bravura dei giovani interpreti poteva essere valorizzata maggiormente da una narrazione convincente e, soprattutto, che Mare fuori fa comunque presa, anche grazie alla grancassa mediatica, sul grande pubblico e quindi sull’opinione pubblica, mentre il carcere minorile sta diventando una realtà sempre più complicata e potenzialmente esplosiva per ben altro. Come segnala “Antigone” sulla base dei dati più recenti, per il secondo anno consecutivo le presenze negli i.p.m. aumentano e gli effetti del “decreto Caivano” (15.9.2023 n.123, convertito nella legge n.159 del 13.11.2023), che prevede la possibilità del carcere anche per reati ben diversi e meno gravi di quelli di cui si parla nella fiction, non potranno che risolversi in aumenti ulteriori, così come si sta già registrando un aumento in una fascia d’età chiave (16-17 anni) e, complessivamente, nella percentuale di chi è ancora minorenne (in passato i giovani adulti sono stati, a lungo, di più).

In una situazione reale sempre più difficile da gestire con le risorse messe finora a disposizione della giustizia minorile (che dovrebbe puntare al potenziamento delle strutture comunitarie, nelle loro varie tipologie, e delle sinergie con il territorio e il volontariato, entrambi poco o nulla presenti in Mare fuori), si è indotti, conclusivamente, a pensare che una serie come questa, ancorché concepita anni fa, faccia oggi, più che mai, comodo non solo alla Rai ma anche a chi punta su un’immagine del carcere minorile che riesce a fare presa sulla gente distogliendone, nel contempo, l’attenzione da una realtà forse non dark ma certo più preoccupante.


 
[1] La recensione riguardante la prima stagione fu pubblicata online da Minorigiustizia nel n. 4/2020, sotto il titolo Un carcere minorile senza giustizia e con poca speranza. Almeno nella fiction. Dopo la terza serie ho scritto una recensione (titolo: Mare fuori: pregi e limiti di una fiction da record) per Questione Giustizia online, che l’ha pubblicata il 18.3.2023.

[2] Si fa riferimento alla versione teatrale Mare Fuori-Il musical, al progetto di un film per la produzione cinematografica e alle reiterate apparizioni dei giovani interpreti della fiction Rai in vari contesti, quale quello dell’ultimo Festival di Sanremo.

[3] Sono dichiarazioni della direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati come riportate da La Stampa del 3.2.2024, in un articolo di Francesca D’Angelo dal titolo Numeri record per Mare Fuori. Adolescenti svegli di notte per vedere le nuove puntate.

[4] Cfr. i dati aggiornati periodicamente sul sito del Ministero della Giustizia nonché il VII Rapporto (febbraio 2024) dell’associazione Antigone, Ragazzi dentro. Giustizia minorile e Istituti penali per i minorenni, presente sul web.

23/03/2024
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