Magistratura democratica
Diritti senza confini

La valutazione di credibilità del richiedente asilo tra diritto internazionale, dell’UE e nazionale *

di Luca Minniti
giudice della sezione specializzata del Tribunale di Firenze
Il giudizio di protezione internazionale rende particolarmente complesso il compito del giudice per molti aspetti: tra questi spicca la valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo

“Il progresso della conoscenza avviene sui confini” e tra i suoi corollari ha anche quello per cui il ricercatore deve tenersi in contatto con altri saperi[1]. E proprio disciplina di confine – Fringe science – è il diritto d’asilo che per definizione è un diritto senza confini.

1. Le difficoltà teoriche e pratiche del decisore di fronte al giudizio di protezione internazionale, con particolare riferimento alla valutazione di credibilità

Il giudizio di protezione internazionale presenta caratteristiche peculiari, sia per la variabilità che per la intensità delle vicende umane coinvolte.

La prima è rappresentata dalla sua stessa natura, dato che esso presenta, fisiologicamente, la struttura logica della cognizione cautelare, essendo caratterizzato, da una parte, da forte dimensione prognostica e, dall’altra, da uno standard probatorio particolarmente attenuato. La valutazione prognostica del pericolo di pregiudizio (che nell’asilo si presenta come connotato della fattispecie) è altamente condizionata dalla difficoltà di stabilire sia l’effettività e l’intensità del rischio, sia l’attualità del pericolo proiettato nel futuro ed in contesti socio-culturali molto differenti da quelli dell’organo decidente.

A tale difficoltà di proiettare il giudizio sul rischio nel futuro prossimo, se ne aggiunge un’altra, altrettanto impegnativa, sul piano dello standard probatorio.

Come noto, infatti, nel giudizio civile lo standard non può scendere al di sotto del livello richiesto dalla disciplina della prova per presunzioni ai sensi dell’art. 2729 cc, in base al quale le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, che può apprezzarle come prova piena solo quando siano corredate di indizi che appaiano gravi, precisi e concordanti[2]. Nel diritto di asilo, invece, la valutazione probatoria si avvale di uno standard inferiore, laddove la disciplina in esame consente al racconto della parte – anche se a sé favorevole, purché coerente, articolato e plausibile – di costituire sufficiente prova dei fatti narrati.

Si tratta di un passaggio complesso per la cultura della prova del giudice civile, al quale si aggiungono altre peculiari difficoltà.

Nel diritto di asilo, infatti, le dichiarazioni del richiedente sono spesso l’unica fonte di prova, quantomeno delle circostanze specifiche più rilevanti e, dunque, potenzialmente, dei fatti costitutivi del diritto; ragione per la quale il legislatore (interno e sovranazionale) ha dato necessario rilievo alla giustificata mancanza di altre fonti di prova. Ne discende che la valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente non possa basarsi sull’approccio soggettivo, sugli assunti, sulle impressioni, sulla conoscenza personale o l’intuizione di un decisore[3], ma deve necessariamente essere oggettivata.

Ciò può risultare estremamente complesso anche perché, nel diritto d’asilo, ai decisori viene richiesto un impegno e soprattutto competenze differenti da quelle utilizzabili nelle controversie che riguardano cittadini dello Stato di appartenenza dell’organo giudicante, sebbene i decisori stessi non possano formarsi idee e convinzioni in merito, se non in analogia con esperienze a loro familiari[4]. E di questa consapevolezza è necessario fare tesoro perché, le massime di esperienza, il cui utilizzo probatorio verrà esaminato in seguito, hanno una elevata connotazione culturale, si fondano su esperienze maturate in un circoscritto ambito culturale e territoriale[5]. Inoltre, la valutazione delle dichiarazioni del richiedente incontra la estrema difficoltà di comprendere il condizionamento che la storia subisce in ragione della personalità del dichiarante, ignota al giudicante.

In questo contesto, elevato è il rischio di una risposta routinaria e stereotipata, sospinta verso la massificazione seriale delle decisioni, indotta da ritmi incompatibili con la qualità dell’istruttoria e della decisione, che dovrebbe, invece, essere individualizzata secondo i rigorosi canoni prescritti dalle norme[6].

È stato giustamente scritto che l’“analisi sulla variabilità degli esiti del giudizio di credibilità sconta la difficoltà di confrontare prima ancora che le differenti valutazioni di credibilità, gli stessi racconti e storie che sono sempre tutte diverse se analizzate con attenzione”[7].

Infine, un ulteriore aspetto peculiare del giudizio di protezione internazionale che deve necessariamente essere sottolineato, è costituito dal fatto che, per il suo tramite, entrano nelle aule di giustizia per essere raccontate, ascoltate, comprese e valutate da un giudice, storie di grande sofferenza e scioccante intensità.

Non c’è nulla di compassionevole nel ricordarlo, nessun ricatto morale che si insinua nei confronti del giudicante, ma è, al contrario, un dato macroscopico ed obiettivo.

Sorge di conseguenza la necessità di porre l’attenzione sul fatto che non sia certamente agevole per un giudice, tenuto ad ascoltare centinaia di vicende umane ogni anno, sottrarre il proprio inconscio all’attivarsi di un meccanismo psicologico di autodifesa, di evitamento[8]. Un fenomeno che nel dibattito culturale sull’asilo è conosciuto come fatica della comprensione[9], «compassion fatigue»[10]. E ciò al netto della pressione politico-sociale prodotta sul giudice dell’asilo dalla diffusione della tesi (decisamente smentita dai dati) secondo cui vi sarebbe un diffuso abuso del sistema di asilo determinato da una prevalenza di richieste presentate da migranti per motivi economici nel contesto di flussi di ingresso non contenibili[11].

2. La funzione della valutazione di credibilità all’interno del sistema probatorio del giudizio di asilo

2.1. L’oggetto, la finalità ed il limite della valutazione di credibilità

L’individuazione della funzione della valutazione di credibilità presuppone il riconoscimento del suo oggetto, che nella specie va identificato nella dichiarazione resa dal richiedente al decisore. L’oggetto della valutazione di credibilità riservata al giudice sarà dunque la dichiarazione raccolta in udienza, secondo le regole dell’audizione nel corso del giudizio. Così come oggetto della valutazione di credibilità riservata alla Commissione territoriale in sede di decisione della domanda di protezione sarà la credibilità delle dichiarazioni raccolte nel corso dell’audizione svolta di fronte ad essa.

Per le ragioni che si perviene ad esporre, la collocazione sistematica della valutazione di credibilità non può essere all’interno della valutazione del perfezionamento (o meno) delle diverse fattispecie di protezione (dove il giudice formula un giudizio di corrispondenza del fatto accertato al diritto), dovendo, invece, essere più propriamente collocata, in una fase anteriore del giudizio, nel segmento concernente «l’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda»[12].

Da questa considerazione sistematica è possibile ricavare i seguenti corollari:

  1. La valutazione di credibilità del richiedente riservata al giudice ha ad oggetto le dichiarazioni rese personalmente dal richiedente al giudice, anche se si avvale della verifica di coerenza con altre fonti di prova. Tra queste altre fonti di prova, emergono dall’esperienza in primo luogo le dichiarazioni raccolte nell’audizione dalla Commissione territoriale, oltre agli eventuali documenti, alle (rare) testimonianze, alle molteplici informazioni provenienti dal paese di origine e, tra queste, principalmente le Country of Origin Information, raccolte e rese pubbliche dai soggetti più accreditati.
  2. Le dichiarazioni rese nell’audizione davanti alla Commissione territoriale di cui il giudice deve avvalersi per svolgere la propria attività e valutare la credibilità del richiedente davanti a sé, anche se devono ritenersi soggette alle stesse regole di valutazione, si presentano come una diversa fonte di prova, non potendo esser assimilate, all’audizione, svolta in udienza, con l’assistenza dell’avvocato e ad opera del giudice terzo ed imparziale[13].
  3. La valutazione di credibilità si deve avvalere della valutazione congiunta di altre fonti probatorie, ma non si può confondere con essa. È una parte, usualmente molto rilevante della valutazione della prova, risente del – ma non coincide con – il regime di ripartizione dell’onere della prova o con l’abbassamento dello standard probatorio.
  4. La valutazione di credibilità costituisce il nucleo essenziale del ragionamento probatorio perché, quanto meno davanti al giudice che incontra una serie di casi selezionati e più problematici, le ragioni della domanda protezione internazionale si mostrano spesso prive di diverso ed adeguato supporto istruttorio. Ma la prevalenza, tra le fonti di prova, delle dichiarazioni del richiedente rese nell’audizione davanti alla CT o al giudice è un mero fatto storico che dipende dalle condizioni materiali in cui si presenta il richiedente, non discende da una previsione di diritto positivo.
  5. Se la valutazione di credibilità del richiedente è solo uno degli strumenti di valutazione delle prove e non può esaurire l’oggetto del giudizio di fatto nel processo di protezione internazionale, ciò deriva dalla circostanza che la credibilità del ricorrente non è un elemento costitutivo della fattispecie di protezione internazionale od umanitaria, i cui presupposti sono invece identificabili solo nelle obiettive e soggettive circostanze descritte nelle norme di vario rango e matrice che disciplinano il diritto di asilo[14].
  6. Tale ultima affermazione non è contraddetta dalla collocazione della disciplina della valutazione di credibilità nella cd Direttiva qualifiche 2011/95/UE, in perfetta consonanza con la collocazione sistematica nel codice civile italiano della disciplina delle prove e delle regole di loro valutazione.
  7. La dichiarazione del richiedente costituisce fonte di prova, a favore del dichiarante, solo nel giudizio di protezione internazionale, mezzo di prova tipica perché disciplinata dalla legge, nazionale ed europea.
    L’art. 3, co. 5 del d.lgs n. 251/2007, la colloca infatti tra le fonti di prova laddove afferma cheQualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove[15], essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che […]”.
  8. La dichiarazione del richiedente davanti al giudice è quindi una prova tipica (con iter procedimentalizzato di valutazione ) ma libera (ai sensi dell’art. 116, co.1 cpc); non è una prova legale e neppure un argomento di prova (ai sensi dell’art. 116, co. 2 cpc).
  9. Il procedimento della sua assunzione non è quindi un interrogatorio libero ai sensi dell’art. 117 cpc, anche se connotato dal dovere di cooperazione istruttorio e quindi sottratto al principio dispositivo, perché la dichiarazione del richiedente può produrre la piena prova dei fatti allegati, diversamente dalle dichiarazioni rese dalle parti al giudice ai sensi della norma citata.
  10. La dichiarazione del richiedente costituisce strumento di assolvimento dell’onere probatorio di parte e non di adempimento di un obbligo processuale, anche se essa può esser ammessa non solo su richiesta di parte, di tutte le parti, ma anche d’ufficio.
  11. È una prova orale perché raccolta direttamente dal giudice in udienza ed è prova diretta perché può avere ad oggetto i fatti costitutivi del diritto come immediatamente percepiti dal richiedente.
  12. La dichiarazione del richiedente, infine, può costituire fonte di prova di tutte o solo di alcune delle circostanze dichiarate perché la credibilità può non connotare l’intera narrazione[16], è un attributo della dichiarazione, non del soggetto come meglio di esporrà in seguito.

Il fondamento giuridico di questa peculiare fonte di prova può individuarsi nel principio di effettività del diritto alla tutela giurisdizionale affermato nell’art. 47 Carta Ue e 24 Cost. Diritto inviolabile al quale il diritto alla prova assicura “un contenuto di pienezza” nel suo “rapporto di necessità con l’esercizio della tutela giurisdizionale”, poiché, come si esprime la motivazione della sentenza n. 53 del 1966 – “ogni qualvolta si nega o si limita alla parte il potere processuale di rappresentare al giudice la realtà dei fatti ad essa favorevole, ovvero le si restringe il diritto di esibire i mezzi rappresentativi di quella realtà, le si rifiuta in pratica quella stessa tutela”[17].

Nella dichiarazione del richiedente si rinviene uno strumento peculiare di attuazione del diritto alla prova[18], necessariamente corredata dalla speciale regola di sua valutazione, entrambi, mezzo di prova e regola di valutazione[19], previsti nell’art. 4, co. 5, della Direttiva 2011/95/UE, attuato dall’art. 3, co. 5, d.lgs n. 251/2007 nell’ordinamento italiano, «cardine del sistema di attenuazione dell’onere della prova»[20].

Una regola che si pone sullo stesso piano della disciplina dello standard probatorio descritto nelle regole di valutazione della prova del nostro codice civile dove, solo se gravi, precisi e concordanti gli indizi possono far ritenere indirettamente provato un fatto ignoto (ex art. 2729 cc).

Così, nel diritto di asilo, il legislatore ha codificato l’efficacia probatoria delle dichiarazioni del soggetto che vanta il diritto, descrivendo la fitta trama del ragionamento probatorio che il giudice è tenuto a seguire. Una trama procedimentalizzata che, se da una parte aiuta il giudice ad orientare la propria valutazione, dall’altra rappresenta un cimento davvero impegnativo e denso di insidie.

Com’è noto, il sistema di valutazione della prova trova nella verifica della veridicità di ciascuna delle circostanze dichiarate dal richiedente lo strumento essenziale che impone al giudice di non lasciare nulla di intentato per agevolare la prova dei presupposti materiali del diritto.

L’art. 3, co. 5, d.lgs n. 251/2007 si esprime nel senso di riferire la valutazione di credibilità anche solo a “taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale [che – ndr] non siano suffragati da [altre – ndr] prove”.

Con ciò evidenziandosi la necessità di una valutazione autonoma dei singoli elementi ed aspetti sui quali la dichiarazione del richiedente si sofferma[21].

2.2. La credibilità o attendibilità generale

Se è vero quanto sopra affermato, coerenza vuole che si debba esser conseguenti nell’escludere che il giudizio di credibilità possa esaurire l’oggetto del giudizio di fatto nell’ambito del processo di protezione internazionale, perché come si è anticipato, l’accertamento del diritto alla protezione internazionale od umanitaria non è un giudizio sulla sincerità della persona[22].

Ne consegue che, se si ritiene che le dichiarazioni del richiedente siano (solo) una delle prove tipiche del processo di protezione internazionale e che il giudizio di credibilità sia (solo) uno dei momenti del giudizio di valutazione della prova, (solo) come tale esso va considerato, privato di ogni differente ed ulteriore funzione; perché quello di cooperazione gravante sul richiedente non è un obbligo, simmetrico all’obbligo di cooperazione istruttoria gravante sul giudicante, ma un onere, nella specie, un onere di rilevanza esclusivamente probatoria.

Si comprende così perché anche la nostra Corte di Cassazione abbia chiaramente affermato che non è corretto accendere i riflettori[23] «su talune imprecisioni riguardanti aspetti secondari del racconto del richiedente la protezione, (...) senza escludere la sostanziale verità del fatto»[24]. Così come in questo senso ed entro questi limiti va collocata la condivisibile affermazione dottrinaria, secondo la quale il giudizio di credibilità deve considerarsi unitario; con ciò dovendosi intendere non che la non credibilità delle dichiarazioni relative ad una circostanza o gruppo di circostanze sia sempre tale, di per sé, da incrinare il resto della narrazione (con un effetto improprio di simul stabunt simul cadent). Ma, al contrario, dovendosi propendere per la necessità valutare se la singola incongruenza, esaminata congiuntamente alle altre, possa in taluni casi non esser ritenuta tale da minare l’intero racconto.

Tanto ciò appare coerente con il nostro sistema giuridico e con la disciplina dell’asilo che, quando e nella misura in cui, la valutazione di credibilità risulti solo in parte negativa, la conseguenza che se ne potrà trarre non sarà l’automatica esclusione dei presupposti del riconoscimento della protezione internazionale. Perché i presupposti del riconoscimento del diritto possono essere sempre dimostrati sulla base di altri mezzi di prova, così da far ritenere altrimenti provati i fatti integrativi della fattispecie costitutiva, indipendentemente da una dichiarazione in tutto o in parte non credibile.

È quanto accade, ad esempio, per le storie di minaccia individuale ritenute non credibili, narrate da persone che, provenendo da aree geografiche pervase da violenza indiscriminata determinata da conflitto armato, hanno diritto comunque ad ottenere, per ciò solo, la protezione sussidiaria se dimostrano (con ogni mezzo, quindi, ad esempio, mediante documenti, o mediante la dimostrazione della conoscenza della lingua, o per il tramite della prova dell’appartenenza etnica, o attraverso conoscenze specifiche dei luoghi di provenienza) la veridicità della dichiarata provenienza dall’area colpita da un conflitto armato idoneo a produrre violenza indiscriminata. Ma, come discende dalla funzione di valutazione della fonte di prova della operazione di accertamento della credibilità, in tutti i casi, e quindi anche nella verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c, d.lgs n. 251/2007, l’ambito dell’accertamento della credibilità rimane circoscritto ai singoli fatti integrativi della fattispecie. Sicché le conseguenze della ritenuta non credibilità solo in questi circoscritti limiti obiettivi possono operare.

E, dunque, nel caso di conflitto armato con violenza indiscriminata desumibile dalle «Country of Origin Information» (Coi), poiché la prova del richiedente si esaurisce nella dimostrazione del Paese (o dell’area) di provenienza giacché il pericolo che chiama in campo il divieto di respingimento è insito nella condizione obiettiva dell’area di provenienza, solo con riferimento ai presupposti implicati dalla specifica fattispecie normativa il giudice deve valutare la credibilità. Ed invero, in una recente ordinanza, la prima sezione della Corte di Cassazione[25] si è ancora una volta espressa nel senso qui prospettato[26], ribadendo l’orientamento sino ad oggi prevalente.

Risulta però ricorrente in qualche provvedimento di merito ed in qualche obiter della Corte di Cassazione un impiego differente del giudizio di credibilità che rischia di vederlo trasfigurato da strumento di valutazione della prova in giudizio sulla lealtà processuale o, persino, in condizione di ammissibilità o presupposto del riconoscimento del diritto. Secondo tale orientamento[27], la valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di cui all’art. 3 d.lgs n. 251/2007, impedirebbe al giudice di procedere ad un approfondimento istruttorio officioso, persino nel caso di cui all’art. 14, lett. c), quand’anche non sia controversa l’area di provenienza del richiedente. Così finendo per diffondere l’influenza della valutazione negativa di credibilità ben oltre il piano della prova dei soli fatti resi indimostrati dalla mancanza di prova. Una configurazione questa che, ad avviso dello scrivente, è priva di fondamento di diritto positivo e di ordine sistematico.

Ancora, nella sintetica motivazione di una recente decisione della Cassazione[28] si porta, a sostegno di tale criticata impostazione, il dato normativo ricavabile dall’art. 18 del d.lgs 251/2007, in materia di revoca della protezione, secondo il quale la revoca deve esser disposta se “il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti”[29]. Tuttavia, una lettura attenta della norma conduce ad una conclusione diversa rispetto a quella fatta propria dalla decisione del giudice di legittimità: a ben vedere, la sopravvenuta scoperta della falsità dei fatti può, secondo la previsione normativa, integrare i presupposti della revoca solo quando essi, “in modo esclusivo” abbiano determinato il riconoscimento della protezione, come recita limpidamente l’art. 18 l. cit.: non una qualsiasi falsità concernente fatti diversi da quelli su cui è fondata la protezione riconosciuta. In altre parole, l’art. 18 d.lgs n. 251 del 2007, non può che riguardare i presupposti di fatto accertati sulla base del falso od erroneo presupposto per cui è stata ritenuta integrata la fattispecie costitutiva del diritto riconosciuto; ma solo questi e non altri[30]. E ciò, nonostante sia senz’altro vero che, come si legge nella decisione, «la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda tutti gli aspetti significativi della domanda (art. 3, comma 1) e si riferisce, come risulta dagli artt. 3, commi 3, lett. b), c), d), e 4 del d.lgs cit., a tutti i profili di danno grave considerati dalla legge come condizionanti il riconoscimento della protezione sussidiaria»[31].

L’equivoco si trova talvolta, magari implicitamente, presente anche nella giurisprudenza di merito e vale dunque la pena provare ad analizzare il presupposto sul quale si fonda.

Si tratta di un passaggio del tessuto normativo contenuto nell’art. 3, co. 5, lett. e), d.lgs n.251/2007, secondo il quale nella valutazione di credibilità si deve verificare anche se il richiedente “è, in generale, attendibile”. Pur senza escludere che una specifica incongruenza anche relativo ad un profilo accessorio, come le modalità di fuga, possa, per il ruolo specifico della circostanza che ne risulta contaminata, destituire del tutto la narrazione di credibilità e dunque di efficacia probatoria, la menzionata norma che pone come condizione che il racconto sia “in generale, attendibile” non può che esser intesa nel senso di ritener sufficiente che il racconto sia credibile “nell’insieme”, dunque generalmente, complessivamente, globalmente, appunto “in generale”. Attribuire invece alla locuzione il significato opposto di “integralmente”, “totalmente”, “specificamente”, in ogni particolare credibile, significherebbe sovvertire il contenuto testuale della norma.

In questo senso sono orientati tutti i contributi teorici di soft law (Easo e Unhcr).

“La credibilità non è considerata come riferita alla sin­cerità dei richiedenti, bensì all’attendibilità complessiva del loro resoconto e, in particolare, alle dichiarazioni (…) a suffragio di una domanda”[32].

Si tratta invero del criterio di chiusura del sistema di valutazione fondato sugli specifici indicatori di credibilità che di seguito si esamineranno.

Criterio di chiusura rivolto ad imporre un’applicazione prudente e coordinata degli indicatori e quindi a suggerire una verifica della credibilità mediante ponderazione dei diversi criteri attraverso un’attenta articolazione del giudizio di credibilità, dettagliato con riferimento a tutti i fatti rilevanti ai fini del perfezionamento della fattispecie[33].

2.3. La credibilità parziale

Quanto sopra esposto consente anche di valutare in modo appropriato il tema della cd. credibilità parziale o frazionata.

La credibilità delle dichiarazioni deve infatti essere verificata in relazione alle singole circostanze. Essa non si estende meccanicamente a tutti i fatti, potendo essere circoscritta solo ad alcuni di essi. Inoltre, la credibilità delle dichiarazioni relativamente ad alcuni fatti (e non ad altri) può consentire di ritenere integrata una delle differenti fattispecie di protezione che da fatti a volte molto differenti possono ritenersi egualmente integrate.

Così si è espressa nitidamente la Corte di cassazione[34], affermando che “il giudizio di scarsa credibilità del ricorrente in relazione alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, ai fini del riconoscimento di altra forma di protezione (nella specie protezione umanitaria), delle diverse circostanze che concretizzino una situazione di “vulnerabilità”, da effettuarsi su base oggettiva (…), in quanto il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente al rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti”.

Anche nel General Comment No. 4 (2017) del Comitato contro la tortura si afferma che “In order to ensure that victims of torture or other vulnerable persons are afforded an effective remedy, States parties should refrain from following a standardized credibility assessment process to determine the validity of a non-refoulement claim. As regards potential factual contradictions and inconsistencies in the author’s allegations, the States parties should appreciate that complete accuracy can seldom be expected from victims of torture”[35].

Lo stesso concetto si trova affermato nella monografia Easo sulla valutazione delle prove e della credibilità del richiedente protezione. Ivi si afferma che “il fatto che un richiedente abbia mentito, e anche molto, non significa, di per sé, che dette menzogne siano sostanziali o determinanti ai fini del risultato della domanda senza fattori aggiuntivi tali da indicare che la domanda del richiedente è infondata. L’organo decisionale è tenuto a rispettare gli obblighi internazionali degli Stati membri nei confronti delle persone che rientrano di fatto nell’ambito della protezione prevista dalla convenzione sui rifugiati, quantunque alcune di esse possano aver fondato il loro caso su bugie o atti di malafede. Nella sentenza MA (Somalia), la Corte suprema del Regno Unito ha considerato gli effetti delle menzogne addotte da un richiedente a suffragio di una domanda di protezione internazionale, affermando che una bugia può incidere pesantemente sulla questione di cui trattasi o [al contrario – ndr] l’organo decisionale può considerare che sia «di scarso rilievo», ma «tutto dipende dai fatti»[36]. Interessante anche notare che la Corte britannica ivi citata aveva statuito che: “ la rilevanza delle bugie varia a seconda del caso. In alcuni casi, l’[organo decisionale] può giungere alla conclusione che una bugia non abbia conseguenze notevoli. In altri casi, qualora il [richiedente] dica bugie riguardo a una questione fondamentale del caso, l’[organo decisionale] può concludere che tali menzogne producano conseguenze notevoli”.

3. Le due fasi del giudizio credibilità

3.1. Prima fase: L’acquisizione della prova

Prima di esaminare nel dettaglio gli strumenti attribuiti al giudice per valutare la credibilità del richiedente è necessario fare un passo indietro, soffermando l’analisi sulle modalità di acquisizione della prova che necessariamente risentono dei canoni di valutazione del mezzo istruttorio.

In breve, è noto come la comprensione delle allegazioni orali da parte del giudicante risenta gravemente della capacità linguistica del richiedente. Dipende poi molto anche dalla complessità dei meccanismi della memoria del richiedente in relazione a circostanze percepite in (o filtrati da) un contesto di terrore. In misura significativa dalla capacità di comprendere da parte dell’interprete; poi anche dalla capacità di comunicare di entrambi, dalla capacità di trasporre il narrato in un testo scritto, il verbale di udienza, redatto dal giudice che raccoglie le dichiarazioni.

La questione principale, già ampiamente sottolineata[37], riguarda da un lato la difficile comprensione da parte del soggetto richiedente degli oneri da soddisfare nelle diverse fasi della richiesta; dall’altro, la espressione verbale da parte dello stesso del proprio vissuto e delle ragioni di fatto che giustificano la sua richiesta. In questo secondo aspetto, la fallacia della memoria individuale, la scarsa persuasività del racconto orale e la usuale difficoltà di addurre fonti di prova che corroborino la ricostruzione rappresentano, più che circostanze ostative alla concessione della protezione, un corollario stesso della situazione in cui versa il richiedente e che a fortiori ne dovrebbero comprovare la condizione di vulnerabilità e bisogno.

Come è stato acutamente rilevato, molti “studi hanno sottolineato la relazione di potere fortemente asimmetrica dei contesti istituzionali in cui sono prodotte le storie di asilo, dove la posta in gioco è altissima(…..). Il fatto che codici culturali ed espressivi ritenuti appropriati in contesti decisionali occidentali non siano noti a chi deve narrare lì la propria storia (perché non fanno parte della sua esperienza o bagaglio culturale) rende il lavoro della cooperazione nell’intervista particolarmente scivoloso, quando non impossibile”; ed ancora: “La linguistica antropologica ha mostrato che nessuna trascrizione, per quanto completa, può riportare ogni parola proferita nello scambio comunicativo. Soprattutto nei casi in cui un solo decisore deve contemporaneamente porre le domande, ascoltare e trascrivere le risposte, questi opererà una selezione spesso inconsapevole di quanto ascolta finendo per trascrivere ciò che ha meglio compreso, che sente più vicino alle proprie convinzioni, o che meglio conosce (Grillo 2016)”[38].

3.2. L’esame dell’audizione svolta dalla Ct ed il ricorso in punto di credibilità

Le caratteristiche peculiari del giudizio di asilo e i profili umani e professionali ad esso sottesi determinano anche la necessità di considerare in modo particolarmente scrupoloso la rilevanza istruttoria dell’audizione del richiedente con la difficile, ma necessaria, comunicazione diretta con il giudice.

Particolare rilievo problematico assume il fatto che il diniego impugnato in sede giurisdizionale può esser fondato sulle dichiarazioni (di cui il giudice avrà cognizione nella fase giurisdizionale attualmente sulla base di un testo scritto in futuro tramite una videoregistrazione) rese dal richiedente davanti alla Commissione territoriale, generalmente senza ausilio di un difensore e senza la mediazione culturale di una persona che lo abbia in precedenza ascoltato e compreso[39].

L’esame del richiedente può affrontare profili molto differenti della sua vita. Il contesto familiare, il contesto sociale, il contesto culturale e religioso, il contesto politico: tutte dimensioni la cui comunicazione a un terzo, qual è il giudice estraneo al contesto di provenienza, può presentare molteplici difficoltà nel compito di verifica dell’autenticità della minaccia o di apprezzamento della sua effettiva portata e di accertamento della sua permanente attualità.

Alcuni richiedenti, in particolare i minori, ma anche i giovani vissuti in comunità agropastorali, non hanno altra identificazione al di fuori della famiglia di origine, quand’anche allargata; talvolta si possono identificare in una micro-comunità connotata etnicamente o per appartenenza religiosa (al cui vertice si trovano usualmente capi famiglia, capi villaggio, consigli degli anziani, capi religiosi o, non di rado, potentati locali costruiti sulla forza o violenza o su tradizioni morali molto radicate, autorità comunque con un ambito territoriale di influenza circoscritto). Oltre i ristretti ambiti di tali comunità tutto, ma proprio tutto, è ignoto al richiedente, talvolta anche la lingua. Tanto che al di fuori della comunità di origine ogni incontro si dimostra effettivamente o potenzialmente ostile, in assenza di un’autorità in grado di riconoscere la persona migrante, che si trova a vivere da straniera anche nel proprio Paese, perdendo identità, diventando merce, oggetto di traffico e di sfruttamento. Al di fuori della loro comunità, in assenza di qualsivoglia dimensione statuale, i richiedenti asilo raccontano di vite da profughi, anche a poche miglia da casa, dove, come alberi sradicati sul letto del fiume in piena, incontrano il torrente delle migrazioni endo-africane o dell’Asia che li porta, come noto, sulle spiagge del Mediterraneo o lungo la rotta balcanica, verso l’Europa.

Altri giovani, uomini e donne, vissuti da sempre nella giungla urbana delle megalopoli africane o asiatiche, talvolta giunti in quei luoghi per effetto di migrazioni delle precedenti generazioni, non hanno mai trovato neppure nella famiglia una forma di protezione adeguata. Hanno navigato già nel mare aperto ed insicuro delle periferie metropolitane, dove i poteri e le gerarchie sono provvisori, gli strumenti pubblici e privati di protezione del tutto aleatori e in permanente reciproco conflitto, spesso drammaticamente violento. Comunità precarie anche quando caratterizzate da risorse economiche considerevoli, ma aggregate intorno al – o comunque condizionate dal – crimine organizzato. In esse, le forme di violenza criminale si intrecciano con i conflitti politici e religiosi, con il dominio sulle risorse scarse di fabbisogno immediato, come i terreni coltivabili in Bangladesh, o preziose, come il petrolio in Nigeria. In questi diversi contesti, i richiedenti asilo raccontano spesso di aver vissuto e, in qualche modo, dimostrano anche di aver partecipato a una realtà di violenza religiosa, politica, di strada, dove le forze di polizia sono in grande prevalenza al servizio di interessi privati, che rimangono tali anche quando identificati in soggetti che ricoprono cariche istituzionali. Si pensi anche ai gruppi criminali, prevalentemente giovanili e con struttura mafiosa, che si scontrano nelle grandi periferie dei centri abitati dei Paesi dell’Africa subsahariana.

È, dunque, importante comprendere come possa esser del tutto naturale che il racconto reso dal richiedente davanti alla commissione territoriale appaia molto povero di dettagli, in particolar modo se al cosiddetto “narrato libero” non si faccia seguire una articolata interlocuzione orientata dalle domande dell’intervistatore.

La persona che racconta, ad eccezione di rari casi in cui è ospite in centri di accoglienza attrezzati, che lo hanno aiutato a dare rilievo alla propria storia e a farne emergere tutti i profili rilevanti, non ha la percezione di cosa possa esser importante raccontare, perché considera gran parte del retroterra di provenienza del tutto normale, usuale, quindi notorio, anche quando connesso in qualche modo alla intensità del pericolo da lui corso.

Perciò, può rivelarsi molto fragile una valutazione di non credibilità che fondi il giudizio di inadeguata descrizione dei particolari della vicenda sulla sola povertà del racconto libero, se e quando la narrazione non sia seguita da un’accogliente, ma decisa, sollecitazione dell’intervistatore, nel corso dell’intera audizione.

È frequente, ad esempio, che il richiedente asilo individui una minaccia dalla quale è fuggito alla fine di un percorso e dopo tentativi di porsi diversamente in salvo, aggiungendo infine l’impossibilità di farvi fronte per ragioni economiche, perché solo con il denaro egli potrebbe ottenere protezione in determinati contesti di provenienza.

Rischia, in tali casi, di essere erroneamente etichettato come “migrante economico” anche quando l’indigenza è solo un fattore che concorre ad aggravare il rischio di trattamento inumano che il richiedente subisce a causa di minacce o violenze in grado di integrare i presupposti del diritto al rifugio, alla protezione sussidiaria o comunque tali da produrre una situazione di elevata vulnerabilità, dovuta alla privazione dei diritti fondamentali nei Paesi di eventuale rimpatrio. Quest’ultima ipotesi è quella che, frequentemente, si riscontra in presenza di fattori espulsivi che integrerebbero i presupposti delle protezioni maggiori, ma rispetto ai quali l’attualità del pericolo sia venuto meno, pur avendo essi prodotto uno sradicamento irrimediabile per la condizione socialmente ed istituzionalmente degradata dell’area di provenienza.

Nel valutare le dichiarazioni del richiedente raccolte dalla Commissione territoriale, il giudice dell’asilo deve quindi considerare che esso è stato ascoltato, da solo, dopo un viaggio drammatico, ancora inconsapevole del fatto che chi lo ascolta proviene da un contesto culturale completamente diverso dal suo, da un soggetto che ha estrema difficoltà a comprendere i contesti socio-familiari, le gerarchie etniche, le regole tradizionali e religiose. Egli è poi ascoltato nella sua lingua, ma interpretato e tradotto da una persona che non necessariamente conosce la cultura dell’area di provenienza.

Per questo egli può, se non sollecitato a farlo, non comprendere la necessità di spiegare adeguatamente quello che ritiene notorio nel suo contesto di origine. Come la violenza che si esprime con il ripudio familiare e sradica dal contesto di provenienza, come la rappresaglia per la trasgressione di una decisione del consiglio degli anziani della comunità di appartenenza, come l’assenza assoluta di protezione statale nelle vicende quotidiane della vita -si pensi, ad esempio, al pericolo di linciaggio (mob justice) dei responsabili di gravi incidenti stradali o di altri illeciti civili o penali; infine, ai violenti conflitti ereditari aventi ad oggetto la terra come unica fonte di sostentamento.

Ne deriva che la qualità di un’intervista svolta dall’organo amministrativo (qualità dalla quale dipende anche la valutazione di credibilità, in seconda battuta, svolta dal giudice) vada perseguita dalla Commissione territoriale, e controllata dal Giudice, con la paziente ricostruzione del contesto, anche attraverso le domande che potremmo definire di contorno, quelle dirette a raffigurare l’ambiente di provenienza mediante la descrizione dei luoghi di vita privata, dei luoghi di lavoro, delle relazioni individuali, sociali e di potere (ad esempio, per comprendere il diffuso fenomeno della minaccia religiosa/spirituale nelle comunità tradizionali africane). Tutte circostanze che sono utili elementi di riscontro nell’opera di ricostruzione degli aspetti essenziali della vicenda: quali, ad esempio, la scoperta di un orientamento omosessuale o di una relazione sentimentale violentemente osteggiata per motivi religiosi o sociali, il conflitto endo-familiare o per ragioni successorie o sorto in contesti di lavoro particolari; o come quello scaturito sui campi arsi dalla siccità e soggetti a incendi disastrosi o quello sorto per lo sfruttamento di piccole miniere abusive o artigianali, o quello legato alle liti violente connesse alla diffusione della pastorizia sospinta dalla siccità a contendere i terreni all’agricoltura.

Proprio alla luce della complessità del compito affidato alla Commissione, il ricorso redatto dal difensore può offrire un importante contributo alla rilettura delle dichiarazioni del richiedente che siano state ritenute non credibili. Perché, se è vero che il termine concesso al difensore è spesso incompatibile con un approfondimento istruttorio tramite ricerca delle Country of Origin information e il colloquio con il cliente, è anche vero che questa attività può esser integrata, dopo la presentazione del ricorso fino al giorno in cui – normalmente alcuni mesi dopo il deposito dell’atto introduttivo- è fissata l’udienza per l’audizione.

La rilettura critica del giudizio di non credibilità sul quale dovesse esser fondato il diniego della protezione assume quindi un rilievo centrale anche nell’attività difensiva ed in particolare nel confezionamento del ricorso introduttivo.

Non vi è dubbio che, nella lettura critica dell’audizione davanti alla CT e nella proposta di rivalutazione della credibilità del richiedente, giochi un ruolo fondamentale l’assistenza del difensore, che ha l’obbligo di approfondire la storia, di identificare con precisione i luoghi, i contesti sociali e culturali, di acquisire le fonti bibliografiche mirando selettivamente a dare riscontro anche indiretto alla vicenda narrata.

Attività questa che potrà corroborare la richiesta di audizione del richiedente da parte del giudice.

Quando e se l’audizione davanti alla Commissione territoriale sarà videoregistrata e se tale documento sarà messo, con gli adeguati strumenti tecnici, a disposizione del Tribunale l’esame del documento si potrà avvalere della rappresentazione visiva delle dichiarazioni in lingua originale. Magari con la traduzione in sottotitoli per offrire una rappresentazione realistica della narrazione.

Allo stato, la produzione del verbale di audizione consta di un verbale in lingua italiana dove non è possibile controllare la correttezza della traduzione ed il processo di mediazione linguistica e culturale.

Si tratta di un deficit obiettivamente grave che da solo giustifica la necessità di riascoltare il dichiarante ogni qualvolta tale prova appaia rilevante ai fini del giudizio e vi sia la richiesta del richiedente di chiarire quanto narrato o la necessità del giudice di chiedere chiarimenti.

3.3. L’audizione davanti al giudice e l’esame del suo contenuto

In merito alla necessità istruttoria dell’audizione del richiedente davanti al giudice si sono spesi argomenti giuridici anche raffinati sul piano processuale, ma non sempre attenti a considerare il livello dei diritti sottesi agli istituti della protezione internazionale. La stessa Cgue ha rigorosamente delimitato l’esercizio della discrezionalità del giudice nel procedere senza audizione, consapevole che il rischio di erronea valutazione della storia del richiedente, esaminata in sua assenza, è elevatissimo. È esperienza diffusa che, solo l’audizione supportata dalle domande di chiarimento formulate dal giudice e le risposte direttamente da lui raccolte, possano ridurre l’alea di tale valutazione[40]. L’audizione non è, infatti, solo un diritto connesso all’esercizio del diritto di azione e del principio del contraddittorio, ma è un vero e proprio strumento probatorio, una delle prove tipiche nel processo di protezione internazionale, spesso lo strumento principale, che può essere negato solo in caso di assoluta irrilevanza ai fini del giudizio – a seguito, cioè, della prognosi circa la sua non idoneità a condizionare la decisione[41].

Per quanto sopra esposto l’audizione del richiedente da parte del giudice non è lo stesso mezzo di prova rappresentato dall’audizione svolta dalla CT. Nel processo l’audizione svolta dal giudice è una prova costituenda mentre quella della CT è una, differente, prova costituita.

Come sempre nel giudizio di valutazione della prova i mezzi istruttori possono rivelarsi irrilevanti alla luce o di questioni preliminari di rito e di merito, od alla luce della esaustività delle prove altrimenti raccolte.

D’altro canto, anche la regola che impone l’audizione alla CT è particolarmente limitativa della discrezionalità del decisore, laddove nell’art. 12 co. 2 del d.lgs n. 25/2008 prescrive che “La Commissione territoriale può omettere l’audizione del richiedente quando ritiene di avere sufficienti motivi per accogliere la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in relazione agli elementi forniti dal richiedente ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ed in tutti i casi in cui risulti certificata dalla struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale l’incapacità o l’impossibilità di sostenere un colloquio personale”.

Si tratta a ben vedere, né più né meno, del giudizio di rilevanza istruttoria cui il giudice sottopone sempre sia le richieste istruttorie di parte, sia la verifica del proprio dovere istruttorio officioso[42].

In definitiva il decisore deve fare sempre e meticolosamente il possibile per evitare il rischio che il richiedente non si riveli in grado, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, di dimostrare, con tutti gli elementi a sua disposizione ed in primis con le sue dichiarazioni, i fatti rilevanti ai fini del riconoscimento del suo diritto. E “poiché non si può di norma supporre che il richiedente sappia quali fatti e prove documentali o di altro tipo possano essere significativi, in conformità a tale obbligo di cooperazione, il Giudice deve fornire orientamenti adeguati al richiedente e ricor­rere, nel colloquio personale, a domande idonee a ottenere tutti gli elementi significativi”[43].

L’audizione ad opera del giudice presenta però alcune particolarità: essa muove da una storia già articolata ed esaminata, risente dei motivi del diniego, totale o parziale, pronunciato dalla CT. Diniego che può fondarsi o sulla negativa valutazione di credibilità della storia o, al contrario, sulla sua veridicità. Solo raramente può capitare che il giudice non abbia a disposizione l’audizione qualora davanti alla CT il richiedente non sia comparso, a volte per giustificato impedimento. E ciò in piena sintonia con quanto previsto dall’art. 16 della cd. Direttiva procedure, in base al quale: “nel condurre un colloquio personale sul merito di una domanda di protezione internazio­nale, l’autorità accertante assicura che al richiedente sia data una congrua possibilità di pre­sentare gli elementi necessari a motivare la domanda ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2011/95/UE nel modo più completo possibile. In particolare, il richiedente deve avere l’op­portunità di spiegare l’eventuale assenza di elementi e/o le eventuali incoerenze o contrad­dizioni delle sue dichiarazioni”.

Cosicché l’audizione priva della richiesta di chiarimenti in merito alle incongruenze del racconto – ed il provvedimento che si fondi su tali incongruenze non espressamente rilevate-, si rivelerà un’audizione inadeguata che rischia di produrre un provvedimento errato.

3.4. Il diritto e l’onere del richiedente di spiegare e chiarire ed i relativi obblighi che gravano sul giudice

L’art. 17, par. 3, Dpa (rifusione) afferma che “Gli Stati membri dispongono che al richiedente sia data la possibilità di formulare osserva­zioni e/o fornire chiarimenti, oralmente e/o per iscritto, su eventuali errori di traduzione o malintesi contenuti nel verbale o nella trascrizione, al termine del colloquio personale o entro un termine fissato prima che l’autorità accertante adotti una decisione. A tale scopo, gli Stati membri garantiscono che il richiedente sia pienamente informato del contenuto del verbale o degli elementi sostanziali della trascrizione, se necessario con l’assistenza di un interprete. (…)”

Le domande a chiarimento, le richieste di approfondimento, la sollecitazione ad articolare il racconto nelle parti ritenute generiche sono qualità essenziali dell’audizione ed identificano i criteri in base ai quali si verifica la idoneità di un’audizione tanto della Commissione territoriale quanto del giudice, a fondare un giudizio adeguato al caso singolo.

Una piena attuazione di questi principi si rinviene in una norma della disciplina olandese della protezione internazionale, secondo la quale il decisore deve sottoporre al richiedente i motivi della prevista decisione negativa, consentendogli di argomentare sul punto con l’ausilio del difensore[44].

4. Seconda fase. Gli strumenti di valutazione della credibilità

Una volta individuata la funzione e la natura della valutazione di credibilità (come mero strumento di verifica della efficacia probatoria di una fonte di prova) ed una volta esaminato il procedimento di assunzione della fonte di prova e la relazione tra qualità del procedimento di assunzione e qualità della sua valutazione si può agevolmente passare a trattare il contenuto di tale valutazione, tanto amministrativa quanto giudiziaria.

4.1. L’esame attento e prudente e lo standard di prova attenuato

L’importanza della posta in gioco è sempre valorizzata dalla giurisprudenza nazionale, internazionale ed europea. Così, nella sentenza Abdulla la Cgue ha ritenuto che, in materia di asilo, la «valuta­zione dell’importanza del rischio deve, in tutti i casi, essere operata con vigilanza e prudenza, poiché si tratta di questioni d’integrità della persona umana e di libertà individuali, questioni che attengono ai valori fondamentali dell’Unione»[45]. Analogamente si esprime la Corte Edu, che esige un esame attento ed una valutazione rigorosa da parte dei giudici[46].

Questo criterio non può che trovare applicazione anche con riferimento alla valutazione di credibilità muovendo dal favore riconosciuto al richiedente dal legislatore nazionale, internazionale e sovranazionale, giustificato dal rango della protezione del diritto di asilo e dal nesso tra rango ed effettività della tutela (artt. 10 c.3 e 24 Cost. e artt. 19 e 47 Carta Ue).

Tuttavia, la regola dell’attenta e prudente valutazione incontra però alcune difficoltà applicative in punto di giudizio probatorio.

In primo luogo, la difficoltà di implementare il diverso, inferiore, standard dimostrativo, imposto dal legislatore in attuazione del principio del diritto ad un ricorso effettivo di cui è immediata conseguenza. Come già affermato, è questo un aspetto essenziale, dato che implica il ritenere provato un fatto che non potrebbe esserlo secondo le norme del codice civile.

Tuttavia, è possibile rinvenire un collegamento tra la disciplina speciale in materia di asilo ed il principio generale elaborato dalla dottrina e dalla giurisprudenza sul principio di riparto secondo il criterio di prossimità della fonte di prova, che muove esso stesso da una lettura costituzionalmente orientata delle regole dell’onere della prova (fondata sull’art. 24 Cost. e sull’art. 47 della Carta Ue). Così, il tema dell’onere della prova nel giudizio di protezione internazionale può essere considerato una manifestazione significativa del principio di vicinanza o inerenza della prova che, negli ultimi decenni, ha orientato la giurisprudenza nella distribuzione tra le parti degli oneri dimostrativi, in ambiti dove la tutela dei diritti costituzionalmente tutelati (ad esempio del diritto alla salute ai sensi dell’art. 32 Cost. o del risparmio ai sensi dell’art. 47 Cost.) trova ostacolo nella profonda diseguaglianza/asimmetria, anche – ma non solo- informativa, costituente un serio ostacolo alla dimostrazione e dunque alla tutela del diritto[47].

4.2. Il rapporto tra cooperazione istruttoria e credibilità

In relazione alla verifica di credibilità, il dovere di cooperazione presenta due profili. Il primo consta del dovere di verificare con attenzione la credibilità del racconto sotto il profilo della coerenza esterna. Il secondo consta del dovere di accertare le condizioni obiettive di rischio di rimpatrio nel Paese di provenienza.

L’attività relativa a tali distinti profili il più delle volte obiettivamente coincide (ad esempio nell’accertamento delle condotte repressive e persecutorie ecc.), ma il fine dell’acquisizione officiosa dei riscontri esterni alle dichiarazioni del richiedente è del tutto diverso dalla cooperazione rivolta a verificare l’attualità e l’intensità del pericolo di rimpatrio.

La prima attività si colloca all’interno del procedimento di valutazione della credibilità e dunque di verifica della efficacia probatoria delle dichiarazioni del richiedente.

La seconda nell’ambito dell’attività di acquisizione probatoria degli elementi integrativi della fattispecie (in generale, si può affermare, delle condizioni del Paese di origine).

Ma se, come si è sostenuto in precedenza, si colloca il giudizio di credibilità sul circoscritto piano della valutazione delle fonti di prova del giudizio di protezione internazionale, ne consegue che l’accertamento della credibilità del richiedente asilo – come la valutazione di tutte le altre fonti di prova –non può che giovarsi sempre del dovere di cooperazione istruttoria, perché la coerenza interna del racconto (e la efficacia probatoria degli altri mezzi istruttori) non può esser valutata senza un esame approfondito della coerenza esterna supportato dall’analisi delle Country of origin information nel pieno contraddittorio tra le parti[48]. In altre parole, l’approfondimento istruttorio officioso con riferimento alle informazioni provenienti dal paese di origine, è prima di tutto il principale strumento di verifica della genuinità della dichiarazione del richiedente che il giudicante è obbligato ad impiegare: di talché tale dovere di cooperazione non può esser condizionato dal risultato della valutazione delle stesse dichiarazioni che è finalizzato a riscontrare.

Il dovere di cooperazione rappresenta una regola di riparto dei poteri istruttori e costituisce una deroga al principio dispositivo. Non esprime una regola che attiene alla valutazione delle fonti di prova, connotato, questo, che invece va attribuito alla norma che riconosce efficacia probatoria alla dichiarazione del richiedente che presenti determinate caratteristiche. Le due disposizioni normative, quella che impone al giudice la cooperazione istruttoria e quella che prevede la dichiarazione del richiedente come fonte di prova e la sua valutazione come regola di giudizio probatorio, attengono a fasi logicamente e cronologicamente distinte del giudizio di protezione internazionale: la prima (il dovere di cooperazione istruttorio) alla disciplina della raccolta delle prove; la seconda, l’esame della credibilità del richiedente, attiene alla fase di valutazione della fonte di prova.

Ne consegue che l’operazione logico-giuridica di subordinazione dell’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria all’accertamento della credibilità del richiedente non trova giustificazione nel tessuto normativo.

4.3. La procedura legale della valutazione della credibilità secondo la trama di criteri normativi

La norma cardine del giudizio di valutazione della credibilità è contenuta, come si è visto, nel d.lgs n. 251/2007 (art. 3, c. 5), nel quale oltre alla tipizzazione della fonte troviamo, analiticamente descritti, i criteri per riconoscerne efficacia probatoria secondo una trama predeterminata.

Secondo la Corte di cassazione, “La valutazione di credibilità o affidabilità del richiedente la protezione non è frutto di soggettivistiche opinioni del giudice di merito, ma il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, la quale dev’essere svolta non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri stabiliti nell’art. 3, comma 5, d.lgs n. 251/2007: verifica dell’effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; deduzione di un’idonea motivazione sull’assenza di riscontri oggettivi; non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; presentazione tempestiva della domanda; attendibilità intrinseca”. Inoltre, il giudice deve tenere conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente”, con riguardo alla sua condizione sociale e all’età (art. 5, comma 3, lett. c, d.lgs n. 251/2007), e acquisire le informazioni sul contesto socio-politico del paese di rientro, in correlazione con i motivi di persecuzione o i pericoli dedotti, sulla base delle fonti di informazione indicate nell’art. 8, comma 3, del d.lgs n. 25 del 2008, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi”[49].

L’esame analitico dei singoli criteri indicati nell’art. 3 co. 5 lett. c del Dlgs 251/2007 – plausibilità, l’onere di circostanziare il racconto, coerenza esterna ed interna – consente di verificare la correttezza di tale ricostruzione.

4.3.1. La plausibilità come portato delle massime di esperienza

La valutazione di plausibilità o verosimiglianza si fonda necessariamente su massime di esperienza cioè su regole causali (dato un evento ne consegue o non ne consegue normalmente un altro) che in ambito scientifico hanno regole di copertura tendenzialmente verificabili sul piano tecnico mentre, nell’ambito dei fenomeni sociali (individuali o collettivi) esse descrivono regolarità causali intimamente collegate a culture, tradizioni, antropologie, credenze religiose, ritualità (ecc.), difficilmente trasferibili al di fuori di esse.

La conformazione della massima di esperienza per opera del decisore europeo, in ordine alla plausibilità di un evento avvenuto, ad esempio, in Bangladesh od in Gambia, in Ghana o nel Punjab pakistano, è assai delicata e molto rischiosa dal punto di vista cognitivo.

Nei provvedimenti, amministrativi o giurisdizionali, si corre talvolta il rischio di impiegare in modo imprudente il giudizio di verosimiglianza logica, usualmente troppo esposto, nella lettura di storie avvenute in contesti molto diversi dal nostro, al vizio di incomprensione del contesto di origine e dunque della storia stessa del richiedente.

Di qui il rischio che il giudizio di verosimiglianza si trasformi in un esercizio di cinico scetticismo o ceda, di fronte alle difficoltà, riducendosi ad atto di fede.

Si pensi alla difficoltà di comprendere una reazione di violenta gelosia di fronte ad un mero incontro o ad uno sguardo, o ad una reazione punitiva endo-familiare prodotta da eventi simili e sproporzionata secondo i nostri canoni, o ad una reazione brutale alla trasgressione di regole religiose banali come la violazione di luoghi od oggetti[50]: tutti eventi la cui verosimiglianza o plausibilità potrebbero esser negate[51] secondo la massima di esperienza sorta nel contesto culturale europeo attuale[52], ma del tutto conformi all’esperienza di una corrente religiosa islamica ovvero alla mistica feticista di piccole comunità africane.

O pensiamo, anche, alla massima di esperienza fondata sulla ricorrenza dei fenomeni.

In alcune decisioni, l’argomento che il decisore adotta, per smentire la credibilità di una narrazione, è riferibile al fatto che il racconto narra un fenomeno che le fonti attestano essere molto raro (ad esempio, l’ostacolo ai matrimoni misti o l’induzione a matrimoni forzati in quei Paesi che generalmente vedono coesistere differenti comunità religiose).

La rarità dell’evento viene proposta in taluni casi come argomento di prova della generale improbabilità del fenomeno che, a sua volta, fonderebbe un giudizio di non verosimiglianza del caso concreto.

In altri casi, l’argomento logico che viene impiegato risulta esattamente quello inverso: la storia non potrebbe ritenersi verosimile perché conterrebbe elementi troppo simili ad altre analoghe vicende, da ritenersi per tale motivo stereotipate, in quanto connotate da serialità sol perché ripetutamente raccontate e tra loro somiglianti[53] [54].

Con sintesi efficace si è scritto invece che: “Poiché il problema della lontananza dei mondi culturali tra richiedenti e decisori/avvocati è ciò che maggiormente interviene a creare incomprensioni e a rendere non plausibile un racconto (Good 2007), il riconoscimento di questo nesso dovrebbe indurre a prestare particolare attenzione – in termini di raccolta di informazioni specifiche o pareri esperti – proprio a quegli elementi che suonano maggiormente estranei, meno familiari. Invece la letteratura sembra indicare piuttosto il contrario: più i racconti appaiono esotici e lontani dall’orizzonte culturale o di conoscenza dei decisori, maggiore è la probabilità di un giudizio negativo”[55].

Per ridurre questo rischio, infatti, tutte le fonti di soft law, le linee guida, gli strumenti formativi del sistema comune di asilo, raccomandano di riservare al giudizio di plausibilità un ruolo circoscritto e non prevalente, anche in ossequio al principio di concorrenza dei criteri di valutazione della credibilità, che implica sempre una valutazione prudente e ponderata degli stessi.

E ferma la necessità di motivare espressamente le ragioni della dedotta non plausibilità con riferimento ai motivi per cui, anche nel peculiare contesto spazio temporale nel quale i fatti sono dal richiedente collocati, la valutazione debba esser negativa.

All’evidenza torna in rilievo l’assunto in precedenza esposto: anche qui risulta evidente che la ricostruzione delle massime di verosimiglianza non possa non avvalersi del dovere istruttorio del giudice perché dovrà attingere al bagaglio di esperienze e contesti, tipici delle realtà dei Paesi di origine[56].

4.3.2. L’onere di circostanziare il racconto[57]

Di sicuro rilievo è, poi, la portata da conferire al requisito della ragionevole capacità di circostanziare la domanda, considerato in particolare che tale impegno non può esser valutato sulla base solo del cd. “narrato libero”, quello che la Commissione raccoglie prima di formulare le domande specifiche.

Ai sensi delle lett. a) e b) dell’art. 3 co. 5 del d.lgs 251/2007 la dichiarazione del richiedente può avere efficacia probatoria se egli “ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda” e “tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi”.

Ai sensi dell’art. 4 (2) della direttiva 2011/95/UE, il ricorrente – l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale – deve indicare gli elementi relativi all’identità, alla data di nascita ed all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande di asilo eventualmente già presentata (v. Corte di giustizia Ue, 5 giugno 2014, C-146/14).

Ma già questi primari elementi identificativi possono esigere un differente grado di dettaglio.

L’età e la data di nascita, ma anche il cognome, in alcune società hanno rilievo e riscontro amministrativo, mentre in altre culture e realtà sono talvolta meno certe o del tutto incerte o comunque non documentabili.

I richiedenti arrivano quasi sempre senza documenti per esserseli visti sottrarre anche a scopo estorsivo in una delle drammatiche fasi del proprio viaggio.

Esigere una qualche specifica descrizione delle modalità di sottrazione o perdita del documento di identità non sembra una pretesa ragionevole. Si tratta di una ritenuta ingiustificata mancanza dei documenti di identità dalla quale, peraltro, difficilmente si potrebbe desumere l’inefficacia probatoria della dichiarazione del richiedente circa la propria identità e provenienza, quando corroborata da altri elementi di individuazione dell’area di provenienza o dell’età, come la lingua od altre caratteristiche, anche fisiche, del richiedente[58].

Per tali ragioni negare l’identità attraverso un giudizio di non credibilità del richiedente per mancata o inadeguata allegazione delle circostanze di smarrimento dei documenti di identità, e, sulla base della ritenuta non dimostrata identità e provenienza, negare la protezione sembra esser operazione tanto radicale quanto giuridicamente non corretta.

La valutazione dell’adeguatezza della capacità di articolare il racconto va anche misurata in relazione alla, usualmente ridotta, capacità del richiedente di cogliere gli elementi essenziali su cui fondare la propria domanda. Ed esige che lo standard di dettaglio del racconto sia misurato e valutato attraverso specifiche domande, e non giudicato solo sulla base dell’esito di un’audizione che sia rimasta priva di sollecitazioni da parte del giudice.

Mentre solo l’interlocuzione dialettica consente di valutare se il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, se tutti gli elementi pertinenti che sono o possono entrare in possesso del richiedente siano stati prodotti e se sia stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi[59].

Si è già evidenziato come la capacità di articolare il racconto sia una variabile di molti fattori e, tra questi, dell’esercizio del dovere del giudice di proporre domande su aspetti di contesto, di contorno, accessori, usando un vero e proprio zoom fotografico per avvicinare l’osservazione al dettaglio.

Ne consegue che la capacità di fornire circostanze anche con riferimento a elementi accessori (descrizione dei luoghi, delle persone ecc.), se stimolata in audizione, può assumere una forte valenza corroborante la narrazione. Anche maggiore di un analitico ricorso introduttivo.

Pensiamo alla individuazione e descrizione dei luoghi con riferimento all’ambiente urbano, alla viabilità, all’ambiente naturale, alla vegetazione: alla identificazione e descrizione delle persone. Alla descrizione ed individuazione di elementi non allegati in origine nel racconto ma emersi su domanda del giudicante e magari riscontrabili attraverso i motori di ricerca anche con riferimento allo stato dei luoghi.

L’esperienza insegna che al cospetto del giudicante si presenta un quadro di complessità sempre differente che rende inesigibile uno standard uniforme di articolazione del racconto non solo perché il bagaglio soggettivo di esperienze legato al fattore espulsivo può esser molto differente da caso a caso, ad esempio quando l’evento coincide con un episodio circoscritto, nel tempo e nello spazio; ma anche perché potrebbe esser minimo anche il patrimonio di esperienze individuali acquisito dal richiedente che abbia vissuto sempre e solo in una micro comunità familiare od in un’area isolata lontana da contesti urbani. Mentre, diversamente può pretendersi una maggiore articolazione di taluni aspetti del racconto dai richiedenti provenienti da realtà urbane vivaci e complesse, anche se violente e degradate.

La necessità di ponderazione della capacità di circostanziare il racconto è con chiarezza tradotta nella norma e nella sua applicazione giurisprudenziale con la clausola del ragionevole sforzo di articolare il racconto[60].

Ma si tratta di una nozione da mettere in relazione alla realtà del contesto dell’area di origine che il giudice è tenuto a ricostruire, anche qui, sulla base del dovere di cooperazione istruttorio. Ne consegue un onere di motivazione specifico e calato nel contesto di origine.

4.3.3. La coerenza interna: la delicatezza del confronto tra le due audizioni. La (ir)rilevanza del C3, la limitata rilevanza della memoria

Il confronto tra due racconti di una medesima storia, a volte complessa a volte elementare ma quasi sempre intensa, non è mai semplice. Sta al giudice far interloquire i due (o più) racconti cercando di comprendere le eventuali incongruenze e sollevando in audizione tutti i propri dubbi allo scopo di consentire al richiedente ed al suo difensore di spiegare e di chiarire. E quando le incoerenze interne al racconto rimangono tali sta al decisore valutarne la portata integralmente o parzialmente demolitoria della credibilità.

Come sopra esposto, se si aderisce alla nozione di valutazione di credibilità come strumento di valutazione della prova dichiarativa[61] ne consegue l’ammissibilità della distinzione, all’interno del racconto, tra circostanze credibili e circostanze oggetto di dichiarazioni non credibili. E dunque si ammette la possibilità di riconoscere come provate anche solo alcune circostanze, escludendo dal novero dei fatti accertati solo quelli colpiti da specifica incoerenza o implausibilità.

In questo senso militano alcune decisioni della Corte di Cassazione[62].

Si tratta comunque di incoerenze od incongruenze che possono nascere dal confronto tra le dichiarazioni rese in momenti diversi (tra audizioni e dichiarazioni raccolte dalla CT ed audizioni e dichiarazioni rese davanti al giudice)[63].

Più di un dubbio suscita, invece, l’uso a questo fine delle dichiarazioni raccolte in sede di compilazione del modulo cd. C3[64].

Nei Paesi Bassi si distingue per disposizione normativa tra le affermazioni rese all’autorità preposta all’esame delle domande di protezione internazionale e le affermazioni rese ad altre autorità, escludendo l’utilizzabilità delle seconde nel giudizio sulla domanda di asilo[65].

Risulta evidente quale sia la necessità posta a fondamento di tale distinzione dato che anche in Olanda, come in Italia, l’autorità amministrativa preposta alla raccolta delle domande non è la stessa autorità amministrativa deputata all’esame delle domande.

L’autorità incaricata infatti di raccogliere la domanda amministrativa non è preparata al compito delicato richiesto dalla peculiarità della procedura, non procede con le regole che consentono una raccolta genuina della vicenda: se ne dovrebbe dedurre che anche nel nostro paese, come negli altri paesi dove non vi è un’espressa esclusione normativa, si debba pervenire in via interpretativa al medesimo approdo adottato, sul piano normativo, nei Paesi Bassi.

A diversa conclusione si deve invece giungere in relazione alle cd. memorie consegnate dal richiedente al momento della compilazione del modello di accettazione della domanda, che non sono dichiarazioni raccolte da un’autorità, ma documenti prodotti dalla parte richiedente; pur non potendosi dimenticare il peculiare contesto nel quale il racconto viene tradotto in memoria scritta, nelle prime e confuse fasi dell’inserimento dell’accoglienza, a ridosso di un viaggio drammatico e di un salvataggio talvolta miracoloso.

In ogni caso anche la valutazione della coerenza interna non può scindersi dalla valutazione di quella esterna, dalla quale il disposto normativo non la distingue. E dunque anche la valutazione della coerenza interna risulta condizionata, anche per le ragioni che si perviene ad esporre, dal più ampio esercizio del dovere di cooperazione istruttorio.

4.3.4. La coerenza esterna e le fonti del riscontro

Il controllo della coerenza esterna implica una importante distinzione, in particolare nel caso in cui la coerenza esterna sia sottoposta al confronto con le Country of Origin Information.

È necessario distinguere il caso della discordanza da informazioni specifiche, come le circostanze di accadimento di un singolo episodio, con la determinata collocazione spazio-temporale, (pensiamo ad un attentato, alle competizioni elettorali, ad un colpo di Stato, ad una manifestazione politica ecc.), dalla (in)coerenza da valutarsi alla luce di informazioni generali provenienti dal Paese di origine, ma relative a prassi, costumi, tradizioni, regole religiose, orientamenti culturali, consuetudini, condotte statali o giudiziarie, situazione criminale ecc...

Mentre nel primo caso le conclusioni che si possono trarre saranno più significative, o addirittura decisive in ordine alla coerenza del racconto[66], nel secondo, essendo il metro di misura un fenomeno storico tendenziale, connotato solo da un certo grado di probabilità, l’evento narrato può dimostrarsi egualmente coerente anche se originale, raro, atipico, ma pur sempre possibile anche se in contraddizione con altri fenomeni prevalenti. Si è sopra già evidenziato infatti come il cattivo uso della valutazione di credibilità degli eventi sociali e culturali troppo, o troppo poco, frequenti possa condurre a valutazioni inesatte[67].

Infine, va posto in evidenza come il controllo della coerenza esterna (in intima connessione con quella interna) sia la sede principale dove il dovere di cooperazione istruttoria del giudice assume un ruolo decisivo ed indefettibile alla luce delle ridotte possibilità del richiedente di produrre documentazione sulla realtà dalla quale si è ( o è stato) violentemente separato.

4.3.5. Il beneficio del dubbio

Se si condivide quanto sopra esposto, non solamente sarebbe priva di senso (oltre che di fondamento normativo e sistematico) la subordinazione del dovere di cooperazione istruttoria del giudice all’esito della valutazione della credibilità che da essa in parte dipende.

Ma non avrebbe neppure spazio giuridico conferire al principio del cd. beneficio del dubbio una portata diversa ed ulteriore rispetto alle regole ed agli standard probatori sopra descritti.

Ciò perché, da un lato non sembra avere senso affermare che l’ammissione al beneficio del dubbio sia condizionata dalla verifica di credibilità delle dichiarazioni del dichiarante, se non nel senso, tautologico, di ritenere che la valutazione negativa (totale o parziale) di credibilità del richiedente non consente di attribuire alle sue dichiarazioni (in tutto od in parte) efficacia probatoria.

Dall’altro non trova aggancio normativo una nozione del principio del beneficio del dubbio differente da quella plasmata sulla disciplina positiva della valutazione di credibilità della dichiarazione del richiedente.

Con il risultato di indurre ad identificare il beneficio del dubbio proprio nel sistema probatorio tipico del giudizio di asilo, nel quale, alle comuni fonti di prova già note nel nostro ordinamento, si è aggiunta la dichiarazione credibile del richiedente. Ammessa come prova tipica, ma soggetta ad una vera e propria prova di resistenza, prudente ed attenta e, come si è descritto, accuratamente procedimentalizzata: una prova ibrida che ha natura di prova diretta, ma regime analogo a quello della nostra prova indiretta.

Si è già accennato alla forte consonanza riscontrabile tra gli indicatori di credibilità e gli attributi degli indizi idonei a dimostrare un fatto ignoto, idonei solo se “gravi, precisi e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cc.

In questo senso, come scrive l’Unhcr[68], “nel caso in cui rimanga un elemento di dubbio, l’applicazione del beneficio del dubbio permette ai funzionari preposti all’esame delle domande di raggiungere una conclusione chiara sulla possibilità di accettare la credibilità di un fatto”.

Lo consente – deve intendersi- solo e nella misura in cui sia possibile conferire valore probatorio alle dichiarazioni del richiedente complessivamente attendibili, logicamente plausibili, adeguatamente articolate e coerenti, al loro interno e con le altre fonti di prova, comprese le informazioni provenienti dal Paese di origine.

Valutazione di credibilità che ha sì ad oggetto le dichiarazioni del richiedente, ma si avvale di tutte le altre fonti di prova acquisite anche in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria che anche a tale valutazione è finalizzato.

Il beneficio del dubbio, può considerarsi dunque l’espressione che descrive sinteticamente la regola di giudizio del ragionamento probatorio, applicabile nel caso in cui le fonti di prova che il sistema comune appresta non si dimostrino sufficienti a far ritenere provati i fatti costitutivi della domanda.

Esso appare quindi come il principio che giustifica la legittimazione tra le fonti di prova della dichiarazione del richiedente che, in quanto dichiarazione di parte, usualmente, non potrebbe acquisire efficacia probatoria favorevole al dichiarante.

Si può dire allora che il beneficio del dubbio è la ratio delle regole contenute nell’art. 4 (5) della Direttiva sulle qualifiche[69], la cui applicazione corretta esaurisce, integralmente, il suo contenuto.

5. Cenni sul controllo della valutazione di credibilità in sede di legittimità e sull’uso del precedente di legittimità

Il tema del controllo di legittimità richiederebbe una trattazione specifica che non si è in grado di proporre in questa sede.

Basti ricordare che, anche di recente, la Corte ha chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ex art. 3, comma. 5, lett. c), del d.lgs n. 251 del 2007: si ritiene, perciò, che tale apprezzamento di fatto sia censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cpc come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito[70].

L’esame dei casi di annullamento per motivazione apparente può comunque orientare l’avvocato ed il giudice del merito a migliorare la qualità del proprio lavoro[71].

Una notazione merita di esser riservata anche all’uso del precedente di legittimità nell’ambito del procedimento di protezione internazionale.

Proprio il ristretto ambito di controllo, riservato alla Corte Suprema in ordine al giudizio di credibilità, deve indurre a molta cautela i giudici del merito nel citare a sostegno di proprie decisioni quelle statuizioni in cui la Corte conferma le decisioni fondate su contestate valutazioni di credibilità (solo) perché non censurabili ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cpc.

Per altro verso, dall’esame del concreto esercizio del ristretto, ma non irrisorio, spazio riservato al controllo di legittimità della valutazione di credibilità, sorge in tutta la sua evidenza la lacuna determinata dall’abrogazione del giudizio di secondo grado, lacuna che si riverbera sulla Corte di Cassazione non solo sul piano dell’afflusso massiccio di ricorsi, ma anche sul terreno dell’effettivo mantenimento del controllo di legittimità al di sopra del minimo costituzionale di effettività.

Infine, non può nascondersi la significativa responsabilità gravante sul giudice dell’unico grado di merito e l’elevata esposizione della decisione di unico grado a censure di legittimità anche radicali in punto di motivazione apparente, perplessa o incomprensibile. Rischio che richiede di esser evitato con argomentazioni pregnanti e sempre corredate da esplicite e specifiche ragioni di incoerenza, di non plausibilità e di scarso livello di dettaglio. Operazione, talvolta, davvero ardua in relazione a vicende estranee alla nostra tradizione e cultura.

6. Conclusioni

Le ragioni della vita e l’istinto di sopravvivenza degli individui in fuga da tormentate vicende hanno sottoposto e sottopongono alla massima tensione, quotidianamente, la capacità degli Stati nazionali e dell’ordinamento UE ed internazionale di dare una risposta commisurata agli impegni derivanti dalle rispettive carte fondamentali, trattati e convenzioni, consona alla loro (degli Stati e della UE) stessa ragion d’essere.

D’altra parte, in nessun altro ambito giuridico le molteplici vicende che in ogni parte del mondo possono drammaticamente condizionare la vita di una persona (le guerre, le lotte per la libertà e l’eguaglianza, l’appartenenza religiosa, i conflitti etnici, le carestie, i colpi di Stato, il terrorismo nei Paesi di origine e di transito, la violenza di genere) hanno mai pervaso con tanta immediatezza e radicalità l’ordinamento giuridico e il sistema giudiziario italiano ed europeo, le loro regole e principi costitutivi.

Per queste ragioni, nel processo di protezione internazionale il giudice è dunque costretto a confrontarsi con conflitti, persecuzioni, minacce che si presentano nella realtà quotidiana con i volti di vittime sempre differenti al cospetto di minacce sempre nuove: si pensi, ad esempio, alle mille forme della violenza di genere o per orientamento sessuale, perpetrata in contesti culturali molto differenziati e in continua evoluzione o involuzione.

Sul piano giuridico, si può ritenere che nessun diritto soggettivo nel nostro ordinamento risulti essere, come quello di asilo, tanto esposto a un tasso così elevato di variabilità dei suoi presupposti materiali.

Una complessa multi-fattorialità, da sottoporre a giudizio in forza di clausole generali aperte alla natura variabile delle minacce ai diritti fondamentali, che un impegno particolare del decisore nella “personalizzazione” dell’accertamento, della decisione e della forma di tutela accordata[72]. Pur caratterizzandosi come uno dei segmenti essenziali di questa tutela a geometria variabile, il giudizio di credibilità può e deve essere ricondotto nell’ambito delle regole generali in materia di assunzione e valutazione delle prove. E ciò a beneficio della coerenza sistematica del nostro ordinamento giuridico, nonché dell’uniforme applicazione da parte dei giudici, come si è tentato di spiegare in queste -che non sono se non – prime riflessioni, in un settore ancora troppo povero di contributi dottrinali di matrice processualistica. Riportare a sistema gli istituti giuridici consente di chiarirne le caratteristiche[73] descrivendo il campo della ricerca, all’interno del quale cadranno le opzioni dottrinali e le scelte giurisprudenziali.

Trova da ultimo una significativa conferma l’assunto dal quale questo contributo ha preso le mosse. Quello secondo il quale il progresso della conoscenza avviene non di rado sui confini. Nel caso in esame si è scandagliato il confine varcato, per previsione normativa, dalla dichiarazione della parte, trasformatasi, nel giudizio di asilo, quandanche a sé favorevole, da allegazione difensiva suscettibile di libera valutazione da parte del giudice, ai sensi dell’art. 116 co.2 cpc, a vero e proprio mezzo di prova soggetta al prudente apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 116 co.1 cpc; apprezzamento disciplinato da una trama di criteri volti a guidare la razionalità del giudice.

A future riflessioni lasciamo il campo di studi degli strumenti processuali di integrazione del sapere giuridico con i diversi saperi dei quali il giudice della protezione internazionale dovrebbe necessariamente avvalersi, avendo consapevolezza che lo studio delle Country of Origin Information apre spazi sconfinati nella mente del giurista europeo[74].

 

 

[1] Così, richiamando un’affermazione di A. Einstein, si esprime S. Cassese, in un’intervista curata A. Gnoli, apparsa in La Repubblica – Robinson – del 21 settembre 2019.

[2] Cfr. Cassazione civile, sez. III, 30 maggio 2019, n. 14762, secondo la quale “Nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, ovvero che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza. Il giudice che ricorra alle presunzioni, nel risalire dal fatto noto a quello ignoto, deve rendere apprezzabili i passaggi logici posti a base del proprio convincimento”.

[3] Unhcr 2013, al di là, p. 251.

[4] Easo (2018) “Un’analisi giuridica Valutazione delle prove e della credibilità nell’ambito del sistema europeo comune di asilo”, pag. 176 ss.

[5] L’aporia viene chiaramente alla luce se si rammenta la definizione delle massime di esperienza offerta Piero Calamandrei secondo il quale esse “consistono in definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale ottenuti dall’esperienza dei fatti ma indipendenti dai casi singoli dalla cui esperienza son tratti, e al di fuori dei quali essi pretendono di valere anche per casi ulteriori” P. Calamandrei, in Opere giuridiche, vol. I, Problemi generali del diritto e del processo, nota 106.

[6] Art. 8, co. 2, d. lgs n. 25/2008.

[7] B. Sorgoni, Storie vere. L’inevitabile ambiguità all’esame del giudice dell’asilo in Questione giustizia, rubrica Diritti senza confini, www.questionegiustizia.it/articolo/storie-vere-l-inevitabile-ambiguita-all-esame-del-giudice-dell-asilo_03-06-2019.php.

[8] “Vanno anche presi in considerazione la natura ripetitiva del loro compito e l’esposizione continua a racconti di traumi e maltrattamenti, che possono indurre una diminuzione dell’empatia e un’attitudine sospettosa provocata da una sorta di ‘credibility fatigue’”, Unhcr, Al di là della prova, pag. 2.

[9] La traduzione dell’inglese “compassion” in “compassione” aggiunge un connotato morale non necessario, perché compassion può tradursi con comprensione. A. Simoni in Canovacci ricorrenti? Narrazioni dei migranti e linguaggio dei giudici in una pronuncia della cassazione in Questione Giustizia rubrica Diritti senza confini (www.questionegiustizia.it/articolo/canovacci-ricorrenti-narrazioni-dei-migranti-e-linguaggio-dei-giudici_16-01-2020.php), distingue l’empatia emotiva dalla empatia cognitiva richiesta al giudice dell’asilo.

[10] Easo (2018), Un’analisi giuridica Valutazione delle prove e della credibilità nell’ambito del sistema europeo comune di asilo, pag. 3, nota 61; Il concetto di «compassion fatigue» (affaticamento della comprensione – ndr) può essere descritto come l’impatto dell’esposizione a vicende traumatiche quando si lavora con persone che subiscono le conseguenze di un evento traumatico. Cfr. C.R. Figley (ed.), Compassion fatigue: Coping with secondary traumatic stress disorder in those who treat the traumatized, New York, Brunner/Mazel, 1995.

[11] Il fatto che le ragioni economiche concorrano nel rendere indifeso (mancante di protezione) nel proprio paese il richiedente asilo non per questo può far maturare la convinzione che il migrante indigente espatri (solo) per ragioni economiche.

[12] Cgue, sentenza del 22 novembre 2012, causa C-277/11, MM/ Minister for Justice, Equality and Law Reform, Irlanda, Attorney General, EU:C:2012:744, punti 64 e segg.; Cgue (Grande Sezione) sentenza del 2 dicembre 2014 punto 17 e ss. Per una puntuale descrizione delle diverse operazioni logiche contenute nella decisione di merito può esser utile rileggere Piero Calamandrei, in Opere giuridiche, vol. I, Problemi generali del diritto e del processo, sinteticamente ma nitidamente riassunte nel § 26.

[13] La differenza tra intervista amministrativa ed audizione davanti al giudice non è stata studiata a fondo ma è ben presente nella letteratura internazionale che distingue tra “interview by first instance autorithy and oral testimony at appelate instance v. Ida Staffans in “Evidence in European Asylum Procedures”, Leiden-Boston, 2012, p.2.2.4 p. 46.

[14] Art. 10 co. 3 Cost., artt. 7, 8 e 14 d.lgs 251/2007, art. 5 co. 6 abrogato, del Tu Immigrazione.

[15] La direttiva 2011/95/UE cd. QD si esprime più precisamente con “other evidence” lasciando intendere che la dichiarazione del richiedente è una, tra le altre, fonti di prova.

[16] In questo senso sono meritevoli di apprezzamento quei provvedimenti delle Commissioni territoriali e giurisdizionali che distinguono i profili di credibilità da quelli di non credibilità con riferimento alle singole circostanze operando poi un giudizio di corrispondenza (o meno) tra fatti provati e presupposti della protezione.

[17] Per un’approfondita disamina si veda G. Leo, Il diritto alla prova nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, Quaderni del Csm, La Prova nel processo civile, vol. I, pp. 71 ss.

[18] M. Taruffo in Treccani, Prova (2017) afferma che “Il diritto alla prova implica che ogni parte possa dedurre tutte le prove di cui dispone, ed abbia altresì il diritto a che tali prove siano ammesse, assunte e valutate dal giudice”.

[19] La differenza tra mezzo di prova e giudizio probatorio confusa nella lingua italiana con il termine prova è nitida nel testo delle fonti del diritto di asilo in lingua inglese dove si distingue tra evidence e proof.

[20] Cass. Civ., 8282/2013.

[21] La correttezza della necessità di una tale ricostruzione che vede la valutazione di credibilità radicata sulle singole circostanze rilevanti e frazionata per differenti presupposti della protezione, appare corroborata proprio dal ruolo che tale valutazione gioca nell’esame delle domande di protezione internazionale delle donne che, soggette a tratta per prostituzione, proprio per l’asservimento alla struttura criminale, neghino, nel ricorso e nelle dichiarazioni in giudizio, lo sfruttamento e la tratta; donne che narrano un’altra e diversa storia, di frequente, molto inverosimile. Donne che, se, da un lato, non possono esse ammesse alla protezione per tratta (protezione sociale in via amministrativa o status di rifugiato) quando le relative fattispecie non possono ritenersi perché gli elementi costitutivi non sono allegati ed anzi sono negati dalla richiedente, dall’altro non possono certamente rimanere senza protezione alla luce della estrema vulnerabilità dimostrata proprio dalla inverosimile narrazione; L. Minniti, La tutela delle vittime di tratta davanti al giudice della protezione internazionale. Le peculiarità, le possibilità, le necessità, gli obblighi, in Questione Giustizia rubrica Diritti senza confini, www.questionegiustizia.it/articolo/la-tutela-processuale-delle-donne-vittime-di-tratta_12-02-2019.php.

[22]V.. Ida Staffans in Evidence in European Asylum Procedures Leiden-Boston 2012 Cap. IV, 5.5 p. 95, la quale nitidamente afferma che “The effect of testimony that is not credible is that the value of that testimony for evidentiary assessment is low or none, not that the theme of proof cannot be established. Hence,credibility assessment is not itself linked to assessment of the refugee status of the applicant- credibility in not a pre-requisite for refugee status” nella quale è citato in nota Sweeney (2009) “and the discussion on inadmissibility versus evidentiary value”.

[23] Per usare l’espressione di Cass. n. 26921/2017.

[24] Cass. n. 26969/2018 secondo la quale “la centralità di questa valutazione richiede che sia eseguita seguendo i parametri indicati nell’art. 3 e, in particolare considerando nella sua interezza le dichiarazioni del richiedente. Al riguardo si riporta la massima della pronuncia n.26921 del 2017: In tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nell’art. 3, comma 5, del d.lgs n. 251 del 2007 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del d.lgs cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale. (cfr. anche Cass. n. 19716 del 2018)”.

[25] Cass. Ord. 24 maggio 2019, n. 14283.

[26] Cass. n. 14283/2019 “In conclusione, dunque, nell’ipotesi di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), d.lgs n. 251/2007, il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese di origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda la richiamata forma di protezione”. In senso opposto Cass. n. 15794/2019 e Cass. n. 16208/2019.

[27] Cass. Ord. sez. 6-1, n. 4892/2019, Cass. Ord. 6-1, n. 33096/2018 e Cass. Ord. Sez. I n. 16208/2019.

[28] Cass. sez. VI, 19/02/2019, n. 4892.

[29] Ma l’art. 18 prevede che la “1. La revoca dello status di protezione sussidiaria di uno straniero è adottata se, successivamente al riconoscimento dello status, è accertato che: a).. omissis.. ; b) il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti”.

[30] La norma può poi esser portata a sostegno anche della necessità di una valutazione frazionata e distinta della credibilità del richiedente.

[31] Cass civile sez. VI n. 4892/2019.

[32] Così Easo (2018), in Un’analisi giuridica. Valutazione delle prove e della credibilità nell’ambito del sistema europeo comune di asilo, pag. 80.

[33] Cass 26921/2017 “In tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nell’art. 3, comma 5, del d.lgs n. 251 del 2007 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del d.lgs cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale”. (cfr. anche Cass. n.19716 del 2018).

[34] Sez. 1, n. 10922/2019, Rv. 653474-01. Nello stesso senso si vedano anche Cass. Civ. n. 8282/2013 e Cass. n. 15782/2014.

[35] Comitato contro la tortura, General Comment No. 4 (2017) on the implementation of article 3 of the Convention in the context of article 22, para. 42.

[36] Easo (2018) cit. pag. 76.

[37] L. Breggia, L’audizione del richiedente asilo davanti al giudice: la lingua del diritto oltre i criteri di sintesi e chiarezza, in Questione Giustizia, 2/2018, p. 190, www.questionegiustizia.it/rivista/2018/2/l-audizione-del-richiedente-asilo-dinanzi-al-giudi_546.php; R. Russo, in Ruolo del Giudice, soggetti vulnerabili e soft skills in Giustizia insieme, www.giustiziainsieme.it/it/news/74-main/816-ruolo-del-giudice-soggetti-vulnerabili-e-soft-skills

[38] B. Sorgoni, Storie vere. L’inevitabile ambiguità all’esame del giudice dell’asilo in Questione Giustizia – Rubrica Diritti senza confini, www.questionegiustizia.it/articolo/storie-vere-l-inevitabile-ambiguita-all-esame-del-giudice-dell-asilo_03-06-2019.php.

[39] M. Veglio in Asilo, falsi miti e poteri divinatori. Così muore il diritto al contraddittorio. Osservazioni critiche a Cass. n. 1681/2019 in Questione Giustizia, www.questionegiustizia.it/articolo/asilo-falsi-miti-e-poteri-divinatori-cosi-muore-il_14-04-2019.php.

[40] M. Veglio in Asilo, falsi miti e poteri divinatori. Così muore il diritto al contraddittorio. Osservazioni critiche a Cass. n. 1681/2019, in Questione Giustizia, www.questionegiustizia.it/articolo/asilo-falsi-miti-e-poteri-divinatori-cosi-muore-il_14-04-2019.php.

[41] In questa direzione si muove Cass. Sent. n. 27073/2019 con la quale il collegio di legittimità ha affermato che: "8.2. Il diritto ad una tutela effettiva, sancito dall’art. 46 par. 1 della direttiva 2013/32, incide sul dovere di cooperazione del giudice e sulla necessità di disporre l’audizione del ricorrente, che è il momento centrale in cui tale dovere può esprimersi, sui nuovi temi introdotti in ricorso (che siano sufficientemente distinti e significativi), ove sugli stessi il richiedente non sia stato sentito dalla Commissione".

[42] Ai sensi degli artt. 183 co. 7 e 8 e 281-ter cpc.

[43] Easo (2018) cit., pag. 49.

[44] Aliens Decree 2000, Artikel 3.118b co. 2 e 6.

[45] Cgue, sentenza del 2 marzo 2010, Abdulla, C-175/08.

[46] Nella sentenza Shamayev, la Corte Edu ha statuito che il reclamo di un richiedente, il quale affermava che la sua espulsione lo avrebbe esposto a condotte contrarie all’articolo 3 Cedu, «doveva asso­lutamente essere soggetto a un attento esame da parte di un’autorità nazionale». Corte Edu, sentenza Shamayev/Georgia e Russia, sentenza del 12 aprile 2005, ric. n. 36378/02. Si vedano anche: Corte Edu, sentenza del 17 luglio 2008, NA/Regno Unito, ric. n. 25904/07, punto 111; Corte Edu, sentenza del 15 novembre 1996, Grande Sezione, Chahal/Regno Unito, ric. n. 22414/93, punto 96; Corte Edu, sentenza del 28 febbraio 2008, Grande Sezione, Saadi/Italia, ric. n. 37201/06, punto 128.

[47] Da ultimo Corte di Cassazione, ordinanza n. 24051 del 26 settembre 2019, Cass. n. 17923/2016 si esprime nel senso di "esige(re) l’impossibilità della sua acquisizione simmetrica” che è proprio ciò che riscontriamo nel diritto di asilo".

[48] Ove in ipotesi il giudice ritenga di utilizzare altre Country of Origin Information di fonte diversa o più aggiornate, che depongono in senso opposto a quelle offerte dal richiedente egli dovrà sottoporle preventivamente al contraddittorio, perché diversamente si arrecherebbe, in concreto, un irrimediabile vulnus al diritto di difesa, sul punto Cass. Ord. I sez. civ. n. 29056/2019.

[49] Cass. Sez. 6-1, n. 26921/2017, Rv. 647023-01, Sez. 6-1, n. 8282/2013, Rv. 625812-01; Sez. 6-1, n. 24064/2013, Rv. 628478-01; Sez. 6-1, n. 16202/2012, Rv. 623728-01.

[50] Magari peculiare nei diversi clan o tribù come di consueto per le regole di matrice religiosa animista.

[51] Ma non in via generale.

[52] Ma anche in Europa l’evoluzione della sacralità o dei codici d’onore, per non parlare dei codici di condotta mafiosa et similia, rende la realtà molto più complessa del suo stereotipo positivista.

[53] Storie ritenute dai decisori o troppo rare o troppo frequenti ma in ambo i casi considerate, sol per questo, non veritiere. Al di là della prova Unhcr 2013 pag. 8. Lo studio dell’Unhcr ha evidenziato che, considerata la natura ripetitiva del compito che i funzionari preposti all’esame delle domande di protezione si trovano a svolgere, c’è il rischio che essi tendano, consciamente o inconsciamente, a categorizzare le richieste di asilo sulla base di profili di caso generici che predeterminano le considerazioni in materia di credibilità. La maggioranza dei funzionari addetti all’esame delle domande intervistati in uno degli Stati membri ha dichiarato che quando si sentono per tante volte storie simili, si è portati a concludere che le storie siano false”. Ed ancora che “Gli esaminatori possono soffrire di stress psicologico a causa della loro esposizione a simili testimonianze – il cosiddetto trauma vicario – e mettere in atto di conseguenza naturali strategie di coping che possono involontariamente compromettere la loro imparzialità. Essi possono trovare il contenuto delle prove talmente orribile da essere tentati di rifiutarle come inimmaginabili, costruite e quindi prive di credibilità. Lo scetticismo è una strategia di coping molto umana, che però compromette l’obiettività e l’imparzialità. Il distacco emotivo può essere percepito come essenziale per mantenere l’obiettività. Tuttavia, i funzionari preposti all’esame delle domande devono prestare attenzione a che tale distacco non si traduca in una certa riluttanza a farsi coinvolgere dal resoconto del richiedente, e/o in scetticismo”.

[54] Cfr. Cass. 6-1 sent. 22111/2014 secondo la quale “La ripetitività delle ragioni di fuga … lungi dall’integrare un criterio normativo di credibilità impone ancor più rigorosamente l’esame delle condizioni oggettive del paese “. Ma nel rischio di banalizzazione dei fatti allegati sembra cadere persino la Cass sez. I, 07/08/2019, n. 21142.

[55] B. Sorgoni, Storie vere. L’inevitabile ambiguità all’esame del giudice dell’asilo in Questione Giustizia, Rubrica Diritti senza confini, www.questionegiustizia.it/articolo/storie-vere-l-inevitabile-ambiguita-all-esame-del-giudice-dell-asilo_03-06-2019.php.

[56] Una particolare attenzione a questa sorta di trappole della logica è prestata da H. Zahle in Proof Evidentiary Assessment and Credibility Asylum Procedures edited by Gregor Noll, pag 16 Leiden/Boston, 2005 dove si evoca il romanzo Catch 22 di Joseph Heller, citazione ripresa da “Al di là della prova” Unhcr, p. 11.

[57] “… D’un caso terribile, che il messo non sapeva né circostanziare né spiegare”, A. Manzoni, I Promessi sposi, p. 462.

[58] Desta qualche perplessità Cass. Ord. Sez. 6, n. 9204/2018 che nel confermare la sentenza di appello non ha censurato il giudizio di non credibilità fondato anche sulla mancata prova della stessa identità per mancanza di documenti perché giustificata solo con la generica allegazione del loro smarrimento.

[59] Cass n. 16201/2015 Quanto al passaggio sub a), invero, va osservato che il d.lgs n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non prende in considerazione puramente e semplicemente la maggiore o minore specificità del racconto delrichiedente asilo, ma impone al giudice di effettuare valutazioni ulteriori, attinenti alle ragioni dell’eventuale genericità: gli chiede, cioè, di valutare se il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda (lett. a) e se tutti gli elementi pertinenti in suo possesso siano stati prodotti e sia stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi (lett. b). Tali valutazioni sono state del tutto omesse dalla Corte d’appello, la quale si è arrestata alla mera constatazione della ritenuta genericità della narrazione del ricorrente, nonostante quest’ultimo deduca di avere invece ampiamente circostanziato la propria domanda, per quanto possibile, e che non gli siano mai state richieste, né in sede amministrativa né in sede giurisdizionale, ulteriori specificazioni.

[60] Cass. Sez. 6-1, n. 16201/2015 e Sez. 6-1, n. 14998/2015.

[61] … e non come strumento valutazione della buona fede del richiedente.

[62] Cfr. Cass. n.26921/2017 afferma che “la credibilità delle dichiarazioni del richiedente la protezione non può essere esclusa sulla base di mere discordanze o contraddizioni nell’esposizione dei fatti su aspetti secondari o isolati, quando sia mancato un preliminare scrutinio dei menzionati criteri legali previsti per la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni” e Cass. n. 21610/2018 con la quale si annulla la decisione fondata sul fatto che le circostanze narrate al giudice non sarebbero “esattamente le stesse “ di quelle narrate in CT.

[63] In fattispecie relativa ad istanza di protezione basata su persecuzione per motivi di orientamento sessuale, non addotti alla prima occasione disponibile, Cass. Sez. 6-1, n. 18128/2017, ha escluso che, per ciò solo, le autorità nazionali procedenti possano considerare non credibile il richiedente asilo, dovendosi tenere conto delle peculiarità del caso, dell’estrazione sociale e delle esperienze di vita, del sesso e dell’età del richiedente, nonché più in generale del contesto sociale di provenienza e delle caratteristiche individuali della persona esaminata.

[64] Non si può ricavare il principio opposto da Cass. civ. Sez. I, Ord., 30-10-2019, n. 27951 che sembra dar per scontato, seppure incidentalmente, la legittimità dell’uso delle dichiarazioni raccolte nel modello C3 come fonte di verifica di coerenza delle dichiarazioni.

[65] Dutch Council of State 7 March 2012, (201007907/1/V3) JV2012/184; LJN: BV9262; 118 Article 3.109 (3) Aliens Decree 2000; Unhcr Beyond the proof, p. 156.

[66] Pur con tutta la prudenza che si è in precedenza raccomandata.

[67] Easo (2018), in Un’analisi giuridica. Valutazione delle prove e della credibilità nell’ambito del sistema europeo comune di asilo, p. 80 si legge “Il riferimento alle informazioni generali può riguar­dare l’ambito in cui si dice siano avvenuti eventi specifici o la situazione generale esistente nel paese d’origine. Tuttavia, in alcuni casi particolari, i richiedenti possono essere in grado di individuare circostanze specifiche che conferiscono credibilità alla loro storia anche se in contraddizione con le Coi in generale. Gli organi decisionali e i membri degli organi giudiziari dovrebbero continuare a prendere in considerazione l’esistenza di possibili eccezioni”.

[68] “Al di là della prova”, cit., 2013, p. 4.

[69] … e dell’art. 3 c. 5 del Dlgs 251/2007 che lo trasferisce nel nostro bagaglio normativo.

[70] Cfr. Cass Sez. 1, n. 3340/2019, e Cass. civ. Sez. I, Ord., n. 30031/2019.

[71] Per alcuni esempi di annullamento per motivazione apparente/pleonastica si veda Cass. n.3758/2018 in materia di credibilità di minaccia non statale, e Cass. n. 23604/2017, Cass. n. 26822/2019 in materia di credibilità di orientamento sessuale, Cass. n.8053/2014.

[72] La nozione di personalizzazione della valutazione è un fattore di crescita della tutela giurisdizionale già noto nel nostro diritto civile, ad esempio con riferimento alla evoluzione del criterio di determinazione del risarcimento integrale del danno alla persona. Da ultimo all’esito di un risalente percorso di analisi dei profili di danno non patrimoniale si legga tra le altre Cass. III sez. civile sent. n. 28989/2019 in punto di risarcimento del danno terminale.

[73] In Proof Evidentiary Assessment and Credibility Asylum Procedures edited by Gregor Noll, pag 13 Leiden/Boston 2005 “Competing patterns for evidentiary assessments” H. Zahle scrive “ Bringing the evidentiary problems of asylum into this broader context is not meant to imply that asylum law is not something special when it comes to the evidence and proof. Quite the contrary, the broader context makes special elements of the discipline visible”.

[74] Croire à l’incroyable. Un sociologue à la Cour nationale du droit d’asile, Gallimard, 2018.

[*] Questo contributo è il frutto delle riflessioni svolte in diversi seminari nel corso del 2019 e costituisce un primo tentativo, certamente incompleto e problematico, di ricostruzione sistematica della funzione probatoria delle dichiarazioni del richiedente asilo e del procedimento di valutazione della loro efficacia. Le premesse teoriche di questa riflessione possono trovarsi in L. Minniti, Introduzione al numero monografico di Questione Giustizia n.2/2018, La Costituzione italiana come limite alla regressione e spinta al rafforzamento della protezione dello straniero in Europa ed in L. Minniti, L’eco dell’insegnamento di Carlo Verardi nell’esperienza del giudice dell’asilo in L’eredità di un giudice. Scritti per Carlo Maria Verardi, speciale di Questione Giustizia, ottobre 2019, p. 139, nota 7.

21/01/2020
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