Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Il protocollo per le udienze civili da remoto in Inghilterra e Galles

di Giuseppe Battarino
Magistrato collaboratore della Commissione bicamerale d’inchiesta sulle ecomafie
Le indicazioni hanno le caratteristiche della semplicità, della flessibilità, e si basano su un contesto culturale basato sul massimo affidamento nella capacità dei giudici di garantire lo svolgimento delle udienze e sulla fiducia tra tutti i soggetti che partecipano all’attività giurisdizionale.

I vertici della giustizia civile di Inghilterra e Galles[1] il 26 marzo 2020 hanno dettato un protocollo per lo svolgimento delle udienze da remoto durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19[2].

Le premesse sono che i tribunali devono proseguire nella loro attività; che l’emergenza richiede l’uso della modalità da remoto nella maniera più larga possibile per evitare rischi di contagio; che il protocollo va applicato con la necessaria flessibilità (§ 1, 2).

Compete al giudice stabilire le modalità di svolgimento delle udienze, che devono, come per l’ordinario, non derogare ai principi processuali (§ 3) e che in questa fase saranno: l’udienza da remoto; l’udienza in tribunale con adeguate misure precauzionali per evitare i contagi; il rinvio solo se risulti impossibile (not possible) l’udienza da remoto e contemporaneamente sconsigliabile (undesirable) – per lunghezza del procedimento o il numero delle parti - la celebrazione in tribunale (§ 16).

Prima della decisione del giudice sulle modalità con cui si terrà l’udienza, una sua proposta viene inviata alle parti, che, via mail, possono fornire argomenti contrari o proporre soluzioni diverse; il protocollo prevede ampia e rapida circolazione di informazioni tra giudice e parti sulle possibili modalità di svolgimento delle udienze (§ 17-19).

Deve essere garantita la pubblicità delle udienze, mediante collegamento aperto a singoli ascoltatori, giornalisti o mediante la trasmissione in streaming (§ 8).

Nelle Civil Procedure Rules è prevista la registrazione integrale come modalità di documentazione delle udienze civili[3] che il protocollo provvede ad applicare alla fase dell’emergenza con maggiore flessibilità e adeguamento alle modalità telematiche di svolgimento.

La documentazione dell’udienza potrà avvenire con gli ordinari strumenti di registrazione in dotazione al tribunale ma anche, considerate le modalità particolari introdotte nella fase dell’emergenza, con registrazione diretta tramite i dispositivi o le applicazioni utilizzate per l’udienza da remoto; vengono citate, a titolo di esempio e non esaustivamente: BT conference call, Skype for Business, MeetMe, Zoom ma anche normali chiamate telefoniche (§ 9, § 13) e comunque, con formula ampia, qualsiasi altro metodo disponibile - s’intende: in comune - ai partecipanti all’udienza, previa verifica da parte del giudice (§ 14; i §§ 20-23 forniscono sintetiche indicazioni sulla conduzione dell’udienza da remoto).

In sostanza la celebrazione di udienza da remoto è condizionata all’esistenza di uno strumento adeguato, condiviso tra i soggetti processuali.

La preparazione dell’udienza da remoto avviene con lo scambio di un fascicolo elettronico in pdf o altro formato da rendere disponibile a giudice e controparti mediante un link a un database disponibile online, o con una mail; la raccomandazione del protocollo è di limitare l’invio di atti all’essenziale per l’udienza (§§ 24-26).

A giudici, parti e avvocati si chiede esplicitamente di essere “proattivi” in vista delle esigenze del momento e delle udienze da celebrare (§ 10).

Alcune sintetiche riflessioni sono possibili a partire questo documento.

Le indicazioni del protocollo hanno le caratteristiche della flessibilità, del massimo affidamento nella capacità dei giudici di garantire lo svolgimento delle udienze, del postulato di collaborazione di tutti i soggetti del processo.

Si può ritenere che questo sia possibile in presenza di una normativa processuale che agisce per principi e sulla base della fiducia in tutti i soggetti che partecipano all’attività giurisdizionale, che attribuisce al giudice un ruolo procedimentale centrale e assistito da prestigio e tutela del prestigio.

Ma le considerevoli energie che in più contesti, in Italia, si stanno spendendo per assicurare la continuità della funzione giurisdizionale nella fase dell’emergenza epidemiologica, e l’intensità del dibattito sul futuro, suggeriscono l’idea che l’apertura verso un investimento – interno alla giurisdizione, e da parte dei decisori politici – nella medesima direzione possa essere quantomeno immaginato.

Intanto va considerato, nell’esperienza nazionale, il dato di partenza di sistemi processuali organizzati intorno a una prevalente cura del metodo e non alla proiezione verso il risultato decisorio[4].

Un secondo dato è quello dell’esistenza di regole generali sulle forme e sui vizi tendenzialmente omogenee per le fasi preparatorie del processo e per le fasi di dialettica processuale che portano al giudizio.

Una terza caratteristica è quella – emergente e pervasiva – della sfiducia manifestata dal legislatore nelle capacità dei giudici: che si esprime sia nell’attacco ai criteri regolativi della discrezionalità di giudizio, sia nella tendenza alla sovrabbondanza di regole processuali e ordinamentali.

Questo insieme di caratteristiche, non sempre avversate e talora assecondate o favorite dagli operatori pratici del diritto, non favorisce la possibilità di virare verso un sistema che fondi il fluire utile del procedimento sulla postulata corretta corrispondenza degli intenti e del comportamento dei soggetti processuali al contenuto degli atti che formalmente essi nel procedimento introducono.

All’assunzione di un postulato di correttezza corrisponde la verifica della sua (eccezionale) violazione, affidata a un’autorità giudiziaria della quale non si diffida e che a sua volta sia in grado di manifestare, in qualsiasi condizione pratica, affidabilità e autorevolezza.

Di questo quadro di riferimento, nel quale il protocollo delle Alte Corti inglesi sembra collocarsi, fa parte, a un livello superiore di elaborazione della consapevolezza professionale, l’idea che in un “ambiente sociale ipercomplesso”[5] l’efficienza del processo è un valore di rilevanza collettiva[6].

Al riconoscimento di questo valore, che colloca la giurisdizione in un quadro orientato a principi costituzionali di solidarietà e di necessaria rilevanza sociale che eccedono interessi e pulsioni di singoli attori e loro esigenze contingenti, è possibile subordinare ambiti soggettivistici (esercito il “mio” potere, esercito la “mia” facoltà di interdizione) in direzione di una visione – di maggiore utilità per tutti i soggetti del processo – fondata su valutazioni proattive permeate di riconoscimento della buona fede altrui.

Recependo alcune delle suggestioni prodotte dal protocollo per la giustizia civile inglese si può riflettere su passaggi che hanno impegnato il dibattito recente.

Il protocollo non prevede un “consenso delle parti” sulle modalità con cui si terrà l’udienza, ma una decisione del giudice conseguente a una significativa e reale interlocuzione con le parti.

Il conseguimento del consenso delle parti equivale alla configurazione in capo al giudice di un’obbligazione di risultato potenzialmente impervia e il cui raggiungimento è compromesso dall’esercizio di facoltà interdittive; laddove la decisione del giudice previo serio confronto con le parti e ascolto delle loro esigenze, richiama un’obbligazione di mezzi che favorisce lo svolgimento delle successive attività processuali nelle condizioni migliori (che in questa fase di emergenza sappiamo essere non solo quelle di migliore efficienza del processo ma anche quelle di maggiore sicurezza per i soggetti del processo).

Il protocollo valorizza la fase organizzativa e preparatoria del processo, dinamica e poco formale, distinguendola dalla fase di dialettica processuale garantita nelle forme e nella pubblicità.

Il che appare come una particolare applicazione del Pre-Trial – istituto diffuso e variamente normato nei Paesi di Common Law[7] – inteso come momento di confronto preventivo tra le parti di fronte al giudice, finalizzato alla migliore organizzazione della fase processuale mediante un leale scambio di informazioni utili a gestirne lo svolgimento.

Ed è appunto in questa fase che lo scambio da remoto tra le parti trova una delle sue sedi meglio praticabili[8].

Si tratta di due semplici spunti che confermano l’utilità del postulato della fiducia: nella lealtà delle parti, nella capacità del giudice.

Il contesto qui richamato per brevi cenni assume implicitamente come limite esterno della procedura la deontologia professionale ma anche l’effetto concreto di comportamenti spontaneamente conformati alla correttezza e alla collaborazione[9].

In questo modo l’idea dell’efficienza del processo come valore rilevante per la collettività potrebbe orientare in forma condivisa la condotta dei soggetti del processo e da essi transitare all’insieme dei cittadini: in relazione al cui sentiment, in questo momento storico, sia i magistrati che gli avvocati hanno tutto l’interesse a dimostrare che nei tribunali si fanno cose serie, concrete, essenziali per la società.

Dunque, tornando alla suggestione che attraversa questa sintetica e parziale riflessione occasionata dal documento delle Alte Corti inglesi, si potrebbe ipotizzare un passo iniziale di investimento sulla fiducia reciproca tra tutti i soggetti del processo e di disinvestimento sul valore salvifico di regole minuziose costantemente attese; e l’avvio di una discussione sul quesito se a un’ipercomplessità delle condizioni in cui i procedimenti giudiziari si svolgono debba necessariamente corrispondere un’ipernormatività per il loro svolgimento.

 

 

[1] Indichiamo con la descrizione dei ruoli in lingua originale i sottoscrittori del documento:
Master of the Rolls: President of the Court of Appeal of England and Wales - Civil Division, and Head of Civil Justice;
President of the Queen’s Bench Division: President of a division of the High Court of Justice of England and Wales;
Chancellor of the High Court: President of the Chancery Division of the High Court and vice-president of the Court of Protection;
Senior Presiding Judge: member of the Court of Appeal appointed by the Lord Chief Justice to supervise the Presiding Judges for the judicial circuits of England and Wales;
Deputy Head of Civil Justice: advisor of the Lord Chancellor and Master of the Rolls on civil matter.

[2] Ad esse hanno fatto seguito le direttive tecniche n. 116-120, dettate dal Master of the Rolls (la n. 119 è sottoscritta anche dal sottosegretario alla Giustizia) www.justice.gov.uk/courts/procedure-rules/civil .

[3] (39.9) Recording and transcription of proceedings

(1) At any hearing, whether in the High Court or the County Court, the proceedings will be tape recorded or digitally recorded unless the judge directs otherwise.
(2) No party or member of the public may use unofficial recording equipment in any court or judge’s room without the permission of the court.

La registrazione senza permesso del giudice costitusce oltraggio alla corte.

[4] L’implicito richiamo terminologico alle riflessioni di Adolf Merkl e Luigi Lombardi Vallauri su “metodologie di metodo” e “metodologie di risultato” viene qui utilizzato ai soli fini di una sommaria descrizione delle caratteristiche prevalenti dei sistemi processuali e non evidentemente di critica al logicismo.

[5] D. Messinetti, Abuso del diritto, Enc. Dir. (Agg. II), Giuffré, 1998, p. 12.

[6] Vi è da considerare in quanto significativa non solo dal punto di vista delle conseguenze pratiche ma anche da quello della cultura giuridica, la posizione della Corte Costituzionale che ritiene estranei alle norme processuali i principi di efficienza dell’azione pubblica: “in forza della costante giurisprudenza di questa Corte, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, pur essendo riferibile anche agli uffici giudiziari, attiene unicamente alle leggi ordinamentali ed a quelle che regolano il funzionamento amministrativo degli uffici medesimi, restando invece estraneo alle norme di esercizio della funzione giurisdizionale” (ordinanza n. 243 del 25 settembre – 21 ottobre 2013, in materia di sospensione del procedimento penale per incapacità dell'imputato). Posizione di recente ribadita in termini netti dall’ordinanza della Corte Costituzionale n. 262 del 6 novembre – 6 dicembre 2019, che ha ricondotto all’attività giurisdizionale in senso stretto l’applicazione dell’art. 161, terzo comma, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, inserito dall’art. 14, comma 1, lettera a-ter), del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132), nella parte in cui disciplina il compenso dell’esperto o dello stimatore nominato dal giudice o dall’ufficiale giudiziario, affermando l’infondatezza delle censure di violazione dell’articolo 97, secondo comma, della Costituzione da parte del giudice remittente, in quanto il principio di buon andamento è “riferibile agli aspetti organizzativi dell’amministrazione della giustizia e non all’attività giurisdizionale in senso stretto“.

[7] Ma transitato in altri contesti: si veda ad esempio l’applicazione dell’istituto nel procedimento davanti al Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia (Rules of Procedure and Evidence, 73-bis, 73-ter) www.icty.org/x/file/Legal%20Library/Rules_procedure_evidence/IT032Rev50_en.pdf .

[8] Con sintesi estrema si può dire che la regolamentazione agile delle fasi preparatorie, diverse da quelle di dialettica processuale che portano al giudizio mette in evidenza il Fair Trial; mentre nella fase processuale vera e propria assumono maggiore peso le Rules.

[9] Quale contributo a un possibile sviluppo di queste riflessioni pare utile richiamare considerazioni svolte in relazione al diverso contesto del diritto processuale penale svizzero, che “si avvale anche, sul versante concreto dei comportamenti attesi, di un vantaggio obiettivo dato dalle dimensioni organizzative dell’esercizio della giurisdizione, a livello cantonale ma anche federale, e cioè di quel meccanismo psicologico che vorremmo chiamare sindrome del Wiedersehen, in forza del quale in un ambiente lavorativo/professionale di contenuta dimensione non si osa violare apertamente le regole e nemmeno forzarle a proprio favore, perché, “ci si rivede” e i comportamenti scorretti verranno ben ricordati e socialmente sanzionati dai soggetti con cui costantemente o frequentemente ci si confronta. L’occultamento di atti o informazioni, la formulazione di eccezioni risibili, l’eccesso di animosità, la sciatteria nel provvedere e comportamenti analogamente censurabili, tenderanno a qualificare negativamente l’autore agli occhi di un contesto giudiziario le cui dimensioni lo rendono immediatamente visibile e immediatamente reincontrabile e – in presenza di un minimo di sua sensibilità e intelligenza – lo indurranno ad autolimitarsi e autocorreggersi” G. Battarino, Efficienza e fides nel Codice di procedura penale svizzero, Bollettino OATi, novembre 2014 .

08/05/2020
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