Magistratura democratica
Magistratura e società

Equale per ciascuno, equa per tutti? *

di Daniela Piana
professoressa ordinaria di scienza politica

Accesso alla giustizia e vulnerabilità nella giurisdizione: una proposta per il prosieguo della attuazione delle riforme  

1. Accesso alla giustizia e vulnerabilità: un tema internazionalmente riconosciuto 

La valorizzazione del momento di accesso alla giustizia appartiene intrinsecamente ed in modo fondativo alla tradizione del costituzionalismo e della democrazia. È perché quell’accesso deve essere garantito nella sua forma di imparzialità e di uguaglianza che le garanzie di indipendenza e di terzietà sono state prima pensate poi realizzate nei diversi ordinamenti statuali affinché sia in principio sancito e in prassi garantito l’accesso ad una istanza terza nella soluzione delle controversie. L’articolo 5 della CEDU fissa questo principio per l’ordinamento euro-comune, cristallizzando un insieme di tradizioni giuridiche e culturali che, seppur diverse nelle forme organizzative date alle garanzie, convergono rispetto alla primazia della norma del diritto e del suo utilizzo impersonale per dirimere i conflitti che insorgono nella società. 

Vale la pena ricordare questo aspetto perché l’accesso è oggi qualificato nella letteratura internazionale con un molto più ampio ventaglio di aggettivi, che vanno dalla effettività di fruizione, alla intelligibilità da parte di tutti i cittadini, alla sostenibilità organizzativa ed economica. 

A partire dal 1997 e poi con maggiore enfasi in concomitanza dell’impegno preso in sede ONU sulla agenda 2030 le organizzazioni internazionali, sia di natura inter-governativa (come l’OCSE) sia di natura non governativa – come le think tank e i programmi transnazionali di monitoraggio indipendente, come il World Justice Project – hanno avviato un articolato ed incrementale processo di moral suasion e di apprendimento orizzontale (lesson drawing) per fare sì che gli Stati fossero messi nelle condizioni da un lato di pensare ai loro sistemi di giustizia attraverso le “griglie” concettuali dell’accesso e delle aggettivazioni di cui sopra e dall’altro di apprendere gli uni dagli altri ovvero di verificare se vi siano soluzioni che possano essere imitate, trasferite, o considerate come benchmark. 

L’effetto di insieme di questo lungo – e plurale – percorso è duplice. 

In primo luogo, siamo oggi in grado di potere dire – anche se non in modo esaustivo – con dovuto supporto di evidenza empirica di come funziona l’accesso alla giustizia in molti paesi situati nei cinque continenti. Sappiamo anche quali sono le evoluzioni delle politiche pubbliche promosse dai singoli governi per facilitare l’accesso (in taluni casi) o per razionalizzare l’accesso (in taluni altri), incontrando il dilemma di come fare a garantire accesso sostenibile e accesso egualitario. 

In secondo luogo, l’effetto degli esercizi di monitoraggio che sono stati svolti consiste in una conoscenza condivisa di quali siano i fattori che possono ostacolare l’accesso e quali siano le barriere incontrate per tipologie di cittadini e/o di gruppi sociali. 

La conoscenza che ne possiamo estrapolare è preziosa. Soprattutto considerando la congiuntura storica nella quale si trova l’Italia, impegnata nella realizzazione di una sistemica e profonda azione di riforma, conoscere quali sono i problemi riscontrati anche in altri ordinamenti e sapere quali sono le caratteristiche sociali ed economiche che possono associarsi (non vogliamo dire causare) debolezze dinnanzi all’accesso è un portato prezioso al tavolo della riflessione su come orientare gli interventi non soltanto normativi, ma anche organizzativi, comunicativi, formativi, tecnologici. 

Ad oggi disponiamo di dati sulle dimensioni che sono indicate nella tabella 1. 

Tab. 1. Dimensioni osservate per valutare l’accesso alla giustizia

La tabella 1 riporta gli aspetti per cui sappiamo di avere dati – anche per l’Italia – e soprattutto di avere strumenti metodologicamente solidi di rilevazione dei dati e di valutazione delle variazioni nel tempo dello stato dell’arte di quelle dimensioni. Per esempio, possiamo rispondere alla domanda: “in quale percentuale le persone affrontano problemi durante la loro interazione con la giurisdizione?”. Possiamo anche approfondire ulteriormente, perché i dati ci dicono anche che tipo di problemi. Incrociando questo dato con la composizione socio-demografica della popolazione di un paese siamo in grado di individuare le associazioni di problemi per tipologie di cittadini, costruite sulla base di variabili di carattere socioeconomico. 

Il potenziale di ragionamento è ampio. Rispetto a questo schema l’Italia si contraddistingue per alcune criticità ricorrenti. 

Tab. 2. Criticità affrontate dai cittadini nella esperienza della interazione con la giustizia

Fig. 1. Visione globale della capacità dei paesi di rispondere alla domanda di giustizia - Fonte:  WJP, Global Accesso to Justice Insight, Rapporto 2021

 

La mappa qui sopra riportata è tratta dal rapporto del Global Accesso to Justice Insight e mostra che in Italia su una scala da 0 a 100 la domanda di soluzioni a problemi di vita che necessita di essere trattata attraverso gli strumenti della giustizia è comparativamente più elevata di quanto non lo sia in altri paesi europei. Ma è alfine il dato del 43% di esperienze di sofferenza o di impatto negativo sulla vita che viene registrato per il periodo di interazione con la giurisdizione o con la giustizia che deve attirare maggiormente l’attenzione. Il 21% registra esperienze stress-correlate, il 25% esperienze di difficoltà o restrizioni economiche, il 14% esperienze di difficoltà relazionale in famiglia o nella rete sociale più stretta, il 3% fa esperienza di abuso di alcool o sostanze stupefacenti. 

In sintesi, si potrebbe affermare che, anche al di là del significativo problema che troviamo quando osserviamo i dati relativi all’accesso, un ulteriore aspetto che merita essere preso in considerazione è quello delle criticità che insorgono una volta che, per così dire, “si è varcata la porta del cancello”. 

Alcuni dati di carattere comparato possono aiutare a meglio posizionare il caso italiano. Colpisce per esempio che solo il 63% della popolazione sappia dove cercare aiuto in caso di un problema che ha risvolti di carattere giuridico e potenzialmente suscettibile di essere trattato attraverso la risposta giurisdizione. 

In Inghilterra il 72% dei cittadini è consapevole di dove possa trovare una risposta, il 72% in Svezia, il 73% in Spagna, il 72% in Germania, il 70% nei Paesi Bassi. Ancora occorre portare attenzione al 41% di persone che affrontano delle criticità di vita sopravvenienti durante il periodo di interazione con la giurisdizione. Questo dato è rilevante per la nostra ricerca, in quanto indica una criticità che intercorre proprio nella interazione. Si tratta spesso di problemi di carattere economico, di salute o di carattere relazionale. 

La rilevanza del dato sulla diffusione della domanda di soluzioni (si faccia attenzione che non si tratta necessariamente di una domanda di soluzione di controversie) è particolarmente alta. La richiesta di soluzioni, infatti, comprende anche tutti quei bisogni della popolazione che sono legati alla loro vita familiare (si pensi alle istanze che arrivano alla volontaria giurisdizione) o alla loro vita lavorativa. 

Se poi si entra nel merito della pur estremamente importante dimensione dell’accesso alla giurisdizione, i dati del Government Outlook dell’OCSE (anno 2021) mostrano un gap fra domanda e risposta che impone una riflessione. 

Tab. 3. Percentuale per i paesi OCSE di sostenibilità della esperienza di interazione con la giustizia  

La risposta che potrebbe essere suggerita, seguendo il dibattito europeo, è quella che rivolge alle soluzioni non giurisdizionali delle controversie in materia civile la capacità – o quantomeno il potenziale – di andare incontro in modo efficace alla domanda dei cittadini. Anche in questo contesto però i dati OCSE mostrano che l’Italia riesce a dare una risposta nel 69% dei casi (dati al 2020), registrando certamente un miglioramento rispetto al 2016 (66%), ma posizionandosi comunque al di sotto della media OCSE (78%) e di paesi del Nord Europa dove la risposta attraverso strumenti ADR viene valutata dai cittadini rispondenti al 90% efficace.

In sintetici termini, i dati internazionali sembrano indicare che vi sono fattori di criticità che: 

- Non sono esclusivamente connessi con i tempi della giustizia civile (dato OCSE) 

- Non sono esclusivamente connessi con l’accesso in senso funzionale e fisico (dati WJP)

- Non sono legati soltanto alla difficoltà di trovare soluzioni comprese quelle di ADR (dati OCSE). 

Inoltre, l’insorgere di problemi ed esperienze negative durante il periodo di interazione con la giurisdizione incoraggia a ritornare sulle categorie con cui vengono progettati i servizi ma ancor prima sulla nozione stessa di vulnerabilità. 

L’enfasi posta sul tema della vulnerabilità è direttamente legata alla questione della uguaglianza nel settore del diritto e della giustizia. Dinnanzi al principio di uguaglianza dinnanzi alla regola del diritto valida erga omnes e alla necessaria creazione di tutte quelle garanzie di contrasto alla arbitrarietà dell’esercizio del potere, che si riflettono nel settore della giustizia all’interno degli assetti ordinamentali di terzietà e di imparzialità, esiste una vasta serie di strumenti e di dispositivi organizzativi, comunicativi, funzionali in senso ampio tesi a dare una risposta di servizi e di ascolto in modo differenziato a seconda dei bisogni – o meglio della tipologia dei bisogni. 

Tale differenziazione si basa dunque su una tipizzazione dei bisogni che viene costruita in larga misura partendo da forme del vivere sociale o da forme di status vivendi della persona – per via di malattie, disabilità fisiche o cognitive – e da condizioni in cui la persona viene a trovarsi in ragione di accadimenti non prevedibili.  È innanzitutto sulla cartografia delle vulnerabilità rese visibili da questa tipizzazione dominante che si intende mettere l’attenzione e apportare altresì uno sguardo correttivo. 

Le vulnerabilità si possono venire a creare anche in relazione alla mutazione delle condizioni sociali ed economiche. A fronte di un momento storico di straordinaria ed inedita portata trasformativa, come è quello che stiamo vivendo, considerare le vulnerabilità in divenire – nella società e nell’economia – anche in una ottica attenta a rimuovere o ridurre quelle barriere che rendono difficile l’incontro fra domanda e soluzione di controversie ovvero domanda e risposta di giustizia, costituisce un aspetto di un più ampio metodo di costruzione del sistema di giustizia del domani e dei metodi di governance di cui lo vogliamo dotare. 

È nello spirito della Raccomandazione OCSE in favore di una giustizia centrata sulle persone e sui bisogni di queste l’accento sul “patto sociale” sotteso alla fiducia del cittadino nella giurisdizione, ponendo così a fondamento e ad orizzonte della qualità della giustizia quella combinazione di garanzie ed effettività che deve dare principi e orientamenti nella progettazione delle soluzioni di riforma e di politica pubblica.

Riconoscere alla vulnerabilità il rango prioritario nella architettura delle politiche pubbliche appare poi essere uno dei tratti caratterizzanti della narrativa internazionale sviluppatasi attraverso la e in relazione alla esperienza della pandemia. Se infatti il tema era già stato incluso fra quelli di rilievo per la effettiva attuazione della agenda 2030 – basti pensare alla definizione dell’obiettivo numero 4, ossia quello relativo alla riduzione della povertà, e alla definizione dell’obiettivo numero 11, ossia quello relativo alla riduzione della frattura educativa – resta indubbio che dal 2020 in poi di vulnerabilità si è parlato molto. 

Di fasce vulnerabili della popolazione si è parlato in relazione alla necessità di prevenire il rischio dei contagi e l’esponenziale pressione posta sulle strutture di cura. Se ne è parlato in relazione alle nuove diseguaglianze create dalle misure di contenimento della diffusione della SARS – 19. L’esplosione della violenza e della discriminazione di genere, l’esponenziale crescita delle diseguaglianze che si sono create dalla combinazione di pregresse e già in essere vulnerabilità – come le disabilità ma anche le forme di analfabetismo di ritorno – e le trasformazioni dei servizi, degli spazi, degli accessi, delle interfacce fra persona ed ambiente esterno, incluso quello delle cure essenziali, innescate dalle politiche emergenziali di reazione alla pandemia, sono solo esempi di un ampio ventaglio di tipi di vulnerabilità che da uno status di persone spesso troppo silenti sono divenute tema di policy e di agenda istituzionale. Di vulnerabilità si è detto in merito ai bambini e ai ragazzi che, posti dinnanzi ad una inedita e storicamente drammatica discontinuità della socializzazione scolastica, hanno vissuto una esperienza di profonda messa alla prova delle loro capacità di adattamento e di crescita in condizioni di anomala de-materializzazione delle relazioni umane. 

Le diverse forme della vulnerabilità si sono poi declinate in relazione ai contesti, divenendo in qualche modo cartine al tornasole delle profonde e talvolta non note differenze territoriali, dovute a eredità economiche, sociali, istituzionali, politiche che si sono rivelate, nella congiuntura storica emergenziale, come fattori di moltiplicazione delle diseguali opportunità di accesso a quelle risorse – soprattutto cognitive, emotive, culturali, ancor prima che materiali – che sono necessarie alla effettiva fruizione di diritti. 

Sulla effettività della fruizione dei diritti occorre dunque, parlando di vulnerabilità, tornare a parlare. 

Si intenderà per vulnerabilità una ferita inferta ad una abilità, ossia ad una capacità della persona o dell’attore sociale e/o economico. Una vulnerabilità non sarà dunque, aprioristicamente, concepita come una proprietà ontologica o strutturale della persona o della parte nel processo. Una vulnerabilità nasce quindi da una relazione, una interazione fra la persona e l’ambiente circostante. A fronte di simili condizioni di salute, di istruzione, di età, persone site in contesti diversi sono messe nelle condizioni di potere sviluppare capacità diverse. In altri termini la vulnus-abilità si misurerà sempre come effetto combinato di una evoluzione del ciclo di vita della persona e della interazione con il contesto più circoscritto ovvero più ampio. 

Accettando questo cambio di prospettiva si promuove non solo una nuova forma integrata di studio e di valutazione della qualità della giustizia – capace di tenere conto dell’impatto di medio periodo che l’interazione con la giurisdizione ha sulle persone e sulla qualità dei diversi ambiti della loro vita – ma anche una strategia integrata di miglioramento dei servizi, delle forme di accesso, delle modalità di comunicazione e di fruizione del cosiddetto Stato di diritto in azione. 

 

2. Il linguaggio del diritto e la tecnologia: impersonali ma non necessariamente accessibili a tutti 

Una attenzione capillare alla realtà sociale che emerge da una osservazione dei profili delle persone che da un lato scelgono di trovare soluzione ad un loro “problema” di vita all’interno degli strumenti offerti dalla giurisdizione e, dall’altro lato scelgono invece di non avviarsi lungo questo percorso, potrebbe fare emergere tematiche di ordine prioritario e trasversali ai territori. Innanzitutto, la necessità di mettere in prospettiva le barriere di carattere architettonico, di certo di particolare peso, ma non da considerarsi come esaustive rispetto all’universo delle barriere, che comprende anche – con alta salienza – le barriere culturali. 

La prevedibilità del funzionamento della giurisdizione, la “leggibilità” del percorso intrapreso da un procedimento secondo quanto disposto dagli istituti processualii, sono elementi vissuti dal cittadino in termini di complessità cui non è scontato accedere – qui da intendersi l’accezione di accesso come di “leggibilità”. La leggibilità appare come un tema ricorrente riportato nelle interviste. Le procedure restano non sempre comprensibili perché manca una informazione sul flusso e sui vari passaggi processuali, che sia il senso – appunto – dell’orientamento. Tale effetto di spaesamento non ha a che vedere necessariamente con il grado di istruzione. Spesso si tratta di un effetto legato ad una comunicazione largamente centrata sul sistema giustizia invece che orientata ad anticipare bisogni, dubbi, interrogativi, finanche aspettative di stabilità e prevedibilità. Si rileva poi che il sistema giustizia si muove su un medium linguistico che la larga parte della cittadinanza non conosce. 

La questione della lingua in uso rispetto alla lingua di fruibilità della giurisdizione resta una tematica importante, soprattutto laddove la società è territorialmente differenziata e dove esistono innesti di culture e lingue straniere che rendono ancora più diffuso e differenziato il bisogno di comprensione e di leggibilità. La questione della comprensione non riguarda soltanto la “leggibilità della procedura”. Essa tocca anche la forse più fondamentale dimensione della consapevolezza dei propri diritti. Tale criticità arriva a raggiungere livelli gravi quando si tratta di persone interessate da provvedimenti di amministrazione o di tutela, che spesso affrontano condizioni di vita particolarmente difficili ovvero deprivate. Non è un caso che la consapevolezza dei propri diritti comincia ad avere un peso significativo fra le dimensioni della “literacy” di cui si occupano vieppiù gli attori internazionali preposti al monitoraggio delle condizioni in essere per il miglioramento della vita sociale ed economica delle persone. Si rileva una difficoltà diffusa nella comprensione così come nella esperienza degli spazi di giustizia. Acquisisce un significato concreto il dato quantitativo riportato dalle statistiche del Global Access to Justice Insight dove si evidenzia come per quanto riguarda l’Italia vi sia una esperienza non positiva della qualità della vita nel tempo che si trascorre nella interazione con la giurisdizione (il 43% della popolazione). Lo squilibrio culturale, dunque, non riguarda solo le fasce della società che più tipicamente vengono annoverate fra i segmenti fragili o vulnerabili. Una crisi di impresa, una crisi di famiglia e i conseguenti bisogni di interfacciarsi con la giustizia possono dare luogo a forme di vulnus alle abilità dei soggetti di condurre fuori dal momento critico la propria vita. 

La dimensione culturale e linguistica non deve fare dimenticare le barriere di carattere architettonico. I luoghi deputati a offrire servizi sono di difficile integrazione nell’edilizia giudiziaria di cui ad oggi si dispone, che vede strutture non pensate ad hoc per ospitare le istituzioni della giustizia. Questo aspetto si riscontra in modo diffuso sul territorio nazionale. La distribuzione di tali barriere non risponde a criteri né di carattere geografico (Nord-Sud) né di carattere economico, anche se per morfologia dei centri urbani e dei territori i piccoli centri del Sud soffrono di questa caratteristica in modo comparativamente più acuto. 

Il linguaggio, ossia lo strumento linguistico, nelle sue diverse articolazioni, può divenire un elemento di vulnus alle abilità di ciascuna persona. Si tratta di un aspetto che investe tutte le fasi considerate dal Global Access to Justice Insight e che tocca in qualche modo tutte le modalità con cui le persone interagiscono con la giurisdizione: 

- Formulazione autonoma del problema che stanno vivendo le persone

- Individuazione del tipo di percorso che si rende necessario intraprendere per risolvere il problema 

- Comprensione di tempi, costi, modi e istanze che intervengono in tale percorso 

- Chiara visione di quali siano gli accessi ai vari passaggi del procedimento (documentali, fisici, interni al procedimento – udienza ecc - 

- Capacità di gestire le fasi successive alla decisione del giudice 
 

I profili concreti sono moltissimi, dalla traduzione, alla comunicazione all'intendimento difficile per persone con disabilità cognitive alla comunicazione con i minori alle sensibilità culturali e religiose dei termini e dei fraseggi finanche alla cartellonistica. 

Se la mappa sovra presentata indica quali sono le abilità che possono essere messe sotto tensione, occorre individuare le leve del cambiamento e i margini del cambiamento migliorativo che il sistema permette. La prima leva attiene alla organizzazione. Già nelle testimonianze esperte è stato sottolineato come l’adozione di protocolli di dialogo e di presentazione di cosa significa avviarsi lungo un percorso giurisdizionale specifico possa apportare benefici. Il monitoraggio, svolto a livello istituzionale, dei costi di vita ovvero dei costi-opportunità che sono indotti dalla interazione con il sistema giurisdizionale dovrebbe essere pensato come un valido supporto alla creazione di menu di servizi e supporti alle persone, alle famiglie e alle imprese soprattutto per la fase post-esecuzione. 

Esiste poi una rilettura necessaria dei riti – nelle loro specificità – che dovrebbe essere fatta per individuare, per ciascuna fase rituale, gli snodi dove il rischio di alzare barriere alla comprensione, leggibilità, prevedibilità funzionale e inclusività, è alto. Questa cautela appare particolarmente importante per la imminente attuazione della riforma del rito della famiglia e della giustizia minorile. 

Infine, un approfondimento particolare appare necessario per quanto attiene alla interazione fra giurisdizione e persone con disabilità cognitive. Anche in questo caso la sottoscrizione, soggetta ad una puntuale osservazione sul campo che ne verifichi l’attuazione, di protocolli che individuino chi, con quali linguaggi, debba interagire e come con la persona e in che modo debba provvedersi ad una condivisione di informazioni con la famiglia o la rete di immediata assistenza – spesso supplettiva rispetto ad un territorio non sempre capace di offrire servizi – appare ad un primo livello di analisi una ipotesi su cui lavorare. 

 

3. Le variabili in gioco e i meccanismi generativi di vulnus 

Passare dal considerare l’interazione della persona con la giurisdizione in tutte le sue fasi e in tutte le sue articolazioni significa integrare la dimensione dell’accesso in un più ampio quadro che ci permette non solo di meglio posizionare gli strumenti di cui già si dispone per rispondere ai problemi legati alla dimensione linguistica nel settore della giustizia ma anche progettare soluzioni di ordine normativo, primario e secondario, organizzativo e professionale (ovvero deontologico) per potere governare la ineludibile criticità che scaturisce dalla interazione della persona titolare di diritti – o della personalità giuridica – e la giurisdizione. 

Per meglio individuare e concretamente elaborare delle proposte è opportuno partire da uno schema logico che permetta poi di estrapolare gli aspetti sui quali una azione di riforma attenda alla qualità della interazione fra cittadino e giurisdizione possa agire.  Le componenti dello schema sono gli attori, la situazione di azione e la struttura entro cui i primi interagiscono dando luogo alla seconda. La figura 2 ci permette di focalizzare l’attenzione dell’azione di riforma avendo chiari gli aspetti che hanno un rilievo – condizionano – l’azione e l’interazione del cittadino dinnanzi e attraverso la giurisdizione. Preme molto sottolineare la combinazione del “dinnanzi” e dell’”attraverso”. Questa temporalità va considerata non solo per via del costo – sostenuto sia dal sistema sia dall’individuo – legato alla variabile tempo. Tale costo è certamente al centro di una ormai consistente e transnazionale azione rivolta a ridurre i tempi della risposta di giustizia. A questo aspetto, tuttavia, si aggiunge una ulteriore dimensione, non comprimibile né riducibile ad altro concetto – il costo economico per esempio. L’esperienza fatta nella giurisdizione è condizionata sia dalle condizioni di partenza della persona – questo, ad esempio, permette di spiegare perché esiste un effetto moltiplicatore dei problemi sofferti (vulnus) nella interazione con i servizi della sanità e/o con i servizi riguardanti l’istruzione e/o i servizi riguardanti il mondo dei diritti – sia dalle condizioni che si vengono a creare in ragione della interazione con la giurisdizione. 

Fig. 3. Quadro dei fattori rilevanti sui quali e con i quali interagisce il linguaggio nel contesto della qualità del rapporto fra persone e giurisdizione 

I dati di cui disponiamo suffragano questa impostazione di metodo e la griglia analitica che qui si propone. Del totale delle persone che decidono di accedere alla giustizia in Italia solo il 46% risolve il problema. In generale però i problemi che si riscontrano o che si generano nel percorso sono significativi. Le difficoltà hanno natura diversa: malattia legata a stress nel 21% dei casi, necessità di cambiare lavoro nel 25% dei casi, interruzione di relazioni affettive nel 14% dei casi, 3% problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti. I dati di cui disponiamo per l’Italia non ci danno una disaggregazione per territorio e quindi non sono in grado di generare ipotesi – le quali sarebbero oltremodo preziose per l’azione di riforma – in merito alla capacità di rispondere al vulnus (capacità che potrebbe essere considerata un buon indicatore di resilienza). Sovente, il titolare di diritti soggettivi che incontra problemi di ordine economico – per esempio legati alla possibilità reale di riqualificarsi o riconvertirsi nel mercato del lavoro – risente nella gestione della sua vita di una “eredità” che sarà tanto più limitante quanto meno saranno le opportunità di mobilità e di accompagnamento professionale offerte dal territorio di residenza. 

La visione che offre lo schema va intesa come una fotografia di ogni istante idealmente distinguibile nel flusso del tempo di una sequenza più o meno lunga di istanti di cui consta l’interazione fra la persona e la giurisdizione. Tale interazione non inizia nel momento in cui la causa viene iscritta a ruolo, né nel momento in cui viene esercitata l’azione penale. Si tratta di una interazione che, dal punto di vista del cittadino, dell’imprenditore, della persona in minore età, ha inizio nel momento in cui si fa l’esperienza di un problema di vita che ha dimensioni di carattere conflittuale ovvero che richiede l’ausilio di uno strumento giuridico – non ancora necessariamente giudiziario – per essere risolto. È evidente che in questa fase la persona si trova dinnanzi ad un ventaglio molto ampio di opzioni. 

La situazione di azione dunque, al momento che potremmo qualificare come momento t0 (momento iniziale) si trova ad avere un insieme di preferenze, che sono determinate dalla sua storia di vita, dalla sua situazione di vita economica, sociale, privata, e da un insieme di aspettative, che sono a loro volta funzione di una matrice di fattori, fra cui quello che la persona pensa debba essere una buona soluzione per il suo problema, la probabilità soggettiva che la persona associa alla opzione che per la via giurisdizionale il problema sia risolto, la aspettativa del tempo di vita necessario per risolvere il problema, l’aspettativa in merito alla possibilità – ancora valutata in termini di probabilità soggettiva – di trovare un professionista qualificato che possa accompagnare la ricerca della soluzione e la sua effettiva adozione. 

Con il progressivo interagire dapprima con le informazioni che attengono al problema in questione e al modo in cui potrebbe essere risolto, con le modalità con cui passo dopo passo la persona si trova a fare l’esperienza della ricerca dapprima della soluzione poi della scelta della via giurisdizionale e ancora della esperienza di quest’ultima la condizione nella quale si trova la persona viene a modificarsi. Non si tratta di un cambiamento dettato esclusivamente dalla procedura e dalle fasi che sono fissate dalla struttura ordinamentale e normativa del quadro giuridico del paese – nello schema sintetizzato nel concetto di struttura. Si tratta di un cambiamento che interessa in modo profondo lo status vivendi della persona, la sua dotazione di informazioni, le sue preferenze, le sue aspettative, le sue risorse, siano esse di carattere materiale, siano esse di carattere cognitivo. 

I costi sono certamente da annoverarsi dal lato del cambiamento delle risorse materiali. Così comunemente vengono pensati. Ma in verità quando si considerano i costi in termini di perdita di risorse di tipo cognitivo, una delle metriche che dobbiamo utilizzare è quella della fiducia, un bene di cui la persona può essere in possesso all’inizio della interazione, che non si misura in termini monetari, ma che certamente ha un impatto importante sulle aspettative e sulle preferenze. 

Ancora vale la pena richiamare i dati quantitativi. Se il 75% della popolazione negli ultimi due anni ha incontrato un problema di carattere giuridico, di cui, il 37% legato al ruolo di consumatore, il 18% al mondo del lavoro, il 39% legato alla casa, il 32% legato ai servizi pubblici, il 42% legato alle questioni di ordine monetario e indebitamento, il 15% famiglia I dati sono pre-covid, solo il 63% della popolazione che ha incontrato un problema di carattere giuridico valuta di sapere dove trovare le informazioni. Non sappiamo cosa accada al restante 37%. Resta comunque che solo il 46%, mentre per il 22% degli intervistati il problema persiste e per il 32% il problema è in corso di soluzione. Ogni passo che si compie nella interazione con la giurisdizione e all’interno della giurisdizione ha dunque un impatto sulla condizione e la situazione della persona che è parte in un procedimento. Per questo la nozione di accesso risulta essere cruciale ma non esaustiva della questione più ampia della qualità della giurisdizione e soprattutto della equità di questa. 

 

4. Dall’accesso alla effettiva fruizione: strumenti di politica organizzativa e comunicativa integrati nella giurisdizione 

Il linguaggio è una dimensione della modalità di funzionamento di una organizzazione. In quanto tale ha un rilievo sia interno, sia esterno. Assicura la prevedibilità, intelligibilità e condivisione dei significati funzionali delle azioni, permette di classificare azioni e mansioni e di assegnare, per ciascuna classe, forme di responsabilità rispetto alla conformità alle norme e ai risultati attesi. All’interno del mondo giuridico e giudiziario il linguaggio è caratterizzato da una doppia specificità. Da un lato il grado tecnico elevato delle categorie giuridiche con cui vengono segmentati i processi decisionali e i processi di gestione dei flussi documentali (deposito è un concetto che ha un senso giuridico). Dall’altro lato il grado elevato di specializzazione dei termini in uso in ciascun settore. In altri termini, per il largo pubblico apprendere ad orientarsi in un settore non significa ipso facto apprendere ad orientarsi in un diverso settore. Se per gli operatori della giustizia le filiere di significati sono legate ai “procedimenti”, per il cittadino i significati sono legati alla natura dei problemi che stanno affrontando. 

Nella prospettiva che è qui proposta il linguaggio è un meccanismo di costruzione di valore. Se una interazione viene positivamente condotta a termine anche per tramite del linguaggio, questo accade perché il linguaggio costruisce qualcosa di comune: un significato condiviso. È così per esempio che il significato di una udienza diventa condiviso se le persone coinvolte hanno una comprensione che, pur non perfettamente soprapposta, comunque è in grado di convergere verso un nucleo minimo comune. È solo così che si creano condizioni di fiducia. 

La concezione del linguaggio come meccanismo che produce un valore comporta una serie di conseguenze di fondamentale importanza dal punto di vista degli operatori della giurisdizione e del legislatore. Un meccanismo che può costruire un valore costruisce una risorsa cui attingere. Ma può anche – se attivato in direzione opposta con la stessa ratio movendi – distruggere o erodere risorse, a partire dalla fiducia. In tal senso senso, non va concepito solo il linguaggio verbale. Anche i linguaggi dei gesti, le indicazioni che rendono leggibili gli spazi, finanche i linguaggi del corpo e le prossemiche sono tutti aspetti del linguaggio inteso come astratto meccanismo che interviene fra (a) e (b) generando un valore. Non sfuggirà la pertinenza della osservazione di Paul Ricoeur che parla di fallimento della giustizia nella tensione con la giustificazione del suo atto/decidere autoritativo: «L’idea di giusto non è altro che l’idea del bene considerato nel rapporto con l’alterità […] è per questa ragione che Aristotele considera la giustizia una “virtù completa”, o la più perfetta delle virtù, perché essa riguarda i nostri rapporti con i nostri simili». [1]

La centralità della interazione con l’altro e della definizione stessa della giustizia come virtù in quanto capace di costruire una relazione con l’altro non va relegata al mondo della morale. Ma non dobbiamo dimenticare che vi è una relazione forte fra forma e sostanza tale per cui un giusto processo non si dà solo nel momento in cui è svolto nel rispetto pieno e precipuo della procedura, ma anche quando è in grado di innescare una dinamica di carattere virtuoso nei termini di parametri normativi che attengono alla significatività della giustizia. In tal senso l’accento spostato dall’accesso alla interazione comporta poi la riqualificazione del diritto al giusto processo in qualcosa che ha a che vedere con il diritto alla giusta giurisdizione. 

Un diritto che ha dimensioni procedurali – ordinamentali e processuali – e sostanziali – che dipendono non solo dalle capacità strutturali del sistema, che facilmente vengono colte dalla nozione di accesso, ma anche dalle modalità con le quali l’interazione della persona con la giurisdizione nel tempo e nello spazio non induce vulnus alle abilità di autonomia e di autenticità della persona. Nello iato che separa la posizione del giusto come idea regolatrice del campo pratico e la disgrazia dell’idea di giustizia nei tentativi della giustificazione della pena o della decisione autoritativa del potere giudiziario si estende l’impero delle norme che rilevano nell’ordine giuridico. La giurisdizione giusta è una matrice di aspetti che non si vuole né demagogica né populista, si vuole

Dinnanzi ad un significante – su cui si concentra per esempio la strumentazione tecnologica – l’atto del capire è legato alla connessione fra situazione e significante, che determina un significato ma anche una serie di aspettative condivise da una comunità linguistica rispetto a quel significato. 

Ad oggi le risposte alle questioni sollevate in relazione al ruolo svolto dal linguaggio prendono in considerazione soprattutto l’aspetto dell’accesso. Non si tratta di un aspetto di marginale importanza. Ci pare che possano essere richiamati tre piani di possibile intervento cui corrispondono tre consolidati ed autorevoli programmi internazionali di ricerca. 

- La comprensione della parola del diritto e della più articolata sintassi della norma[2].

- La redazione degli atti[3].

- La connotazione del linguaggio[4].

Le azioni che sono state e sono tutt’ora orientate a intervenire sui tre aspetti sopra elencati hanno come obiettivo, se inquadrate nella prospettiva analitica qui proposta, quello di evitare che l’interazione con la giurisdizione apporti vulnus a una delle fondamentali abilità ovvero capacità dell’individuo: la abilità che consiste nell’impegnarsi in interazioni dotate di senso e generatrici di un valore[5].

Questo è infatti il ragionamento diffuso del cittadino: “se ho un problema e vado a cercare una soluzione attraverso una serie di azioni di comprendo la portata soltanto in parte di certo quella soluzione non sarà portatrice di un valore pieno nella mia vita sociale”. Lo stesso ragionamento andrebbe applicato alla questione delle connotazioni del linguaggio. Molte delle criticità semantiche del linguaggio verbale sono connesse con gli impliciti carichi di storia e di cultura. Ma vi sono aspetti molto più immediati sui quali è possibile intervenire, come per esempio la difficoltà – e dunque il vulnus potenzialmente creato ad una abilità – della persona che interloquisce in un dialetto locale di avere una autonoma gestione di una interazione con il giudice nel momento in cui viene citata come teste. 

Se appare abbastanza condiviso il peso giocato dal linguaggio, va però sollevata l’attenzione rispetto alla semplificazione per via tecnocratica. Un ampio o ormai di lungo periodo programma di ricerca sul campo portato avanti da una delle istituzioni di ricerca di eccellenza mondiale nel settore, il Cyberjustice Lab dell’Università di Montreal, ha mostrato, anche con evidenze provenienti da diversi ordinamenti – olandese, canadese, inglese, statunitense – che anche la semplificazione operata per via tecnologica non costituisce una risposta alla domanda di giustizia che è sempre una domanda di un valore/bene la cui metrica non è solo quella di carattere strumentale. Così, ad esempio è risultato che nel rito della famiglia e nel rito del lavoro la capacità effettiva delle persone di partecipare generando interazioni virtuose e soddisfacenti con dispositivi di soluzione on line o di orientamento on line della domanda di giustizia è molto ridotta. Paradossalmente tale differenza si manifesta ancor di più per i profili sociali ed economici che provengono da minoranze religiose, linguistiche, o etniche. È importante riportare questo dato, perché, se da un lato si tenderebbe ad argomentare che il linguaggio asettico di un dispositivo immateriale e tecnologico non incorra nel rischio di portare vulnus alla abilità della persona di impegnarsi in modo autonomo e pienamente riconosciuto nella interazione con la giurisdizione, dall’altro i dati mostrano che si preferisce l’interazione umana perché in quella e attraverso di quella si ha un impegno di creazione di un valore, un significato, condiviso[6].

Mutatis mutandis, la ratio che è stata seguita nel ragionamento in merito al linguaggio, può essere applicata ed estesa anche ad altri aspetti del rapporto fra individuo e giurisdizione. La strategia che si propone intende affrontare la questione delle barriere non solo all’accesso ma in generale alla efficace fruizione della giurisdizione lungo tutto il percorso che si snoda dal momento della identificazione di un problema fino alla esecuzione della sentenza o attuazione della decisione giurisdizionale. 

A fronte delle considerazioni sinora svolte occorre predisporre una azione per ripensare il rapporto fra cittadino e giurisdizione dopo l’accesso alla giurisdizione, se per accesso si intende l’agire nella prima fase della ricerca di una soluzione di un problema giuridico. 

Più profondamente si propone una estensione del principio del “giusto processo” alla “giusta giurisdizione”. In questa prospettiva il significato di “giusto” diventa non solo quello di “conforme” alle norme processuali e di “accessibile”, ma anche di rispettoso della effettiva tutela della autonomia della persona. La autonomia va intesa in senso proprio, ossia la capacità di determinarsi e prendere decisioni alla luce di informazioni e di condizioni di “leggibilità” non solo dei testi, degli atti, della documentazione, ma anche della situazione che si andrà a creare lungo tutto il percorso di interazione con la giurisdizione. Mentre infatti l’effetto di barriera all’accesso è trattato in letteratura, molto poco ancora si è trattato del tema della vulnerabilità all’interno della giurisdizione, in particolar modo con riferimento al linguaggio. Ad esempio, di impatto l’uso del linguaggio nel mondo della giustizia in merito alla capacità di autonomia della persona, mentre di maggiore rilievo risulta l’impatto del linguaggio sulle abilità della persona nella fase post sentenza. In particolare, si rileva come sia difficile comprendere le conseguenze pratiche ed operative delle decisioni giudiziarie e giurisdizionali, come sia difficile che la persona non viva una contrazione della propria autostima quando parte soccombente e più sistemico appare il vulnus apportato dal linguaggio proprio nella sequenza di azioni, esperienze e fasi che sono in qualche modo determinate dalla decisione giudiziaria in ragione della mancanza di un insieme di politiche integrate sul territorio dove l’esecuzione della sentenza sia parte di un più ampio ventaglio di strategie e politiche per la persona e per la comunità.  

È evidente che una prospettiva di questo tipo incoraggia a porsi la questione di bilanciare la sostenibilità sistemica organizzativa dei servizi progettati e realizzate per le specificità delle persone e la necessaria garanzia di forme di eguale trattamento che sono alla radice stessa della legittimazione dell’esercizio della giurisdizione. Non si tratta dunque di negare l’importanza della eguaglianza di trattamento effettivo sotto condizioni di opportuna differenziazione funzionale. Si tratta piuttosto nelle fasi di progettazione dei dispositivi linguistici e tecnologici di interfaccia fra la persona e la giurisdizione di accentuare quella dimensione “people-centered” che ad oggi le raccomandazioni internazionali progressivamente promuovono e operazionalizzano per offrire ai governi nazionali delle linee guida di elaborazione di strumenti di supporto alla e di approfondimento dell’esercizio della giusta giurisdizione. 


 
[1] Paul Ricoeur, Le justice, la justice e son échec, L’Herne, 2005.

[2] Si questo aspetto le ricerche svolte in materia di legal design appaiono avere una capacità innovativa straordinaria. https://www.domstol.se/Domstolar/vastrahovratten/Kristalldom.pdf/   

[3] https://www.consiglionazionaleforense.it/protocolli/-/asset_publisher/3Pbavf6hHwa4/content/utilita-professione-schema-per-la-redazione-dei-ricorsi-per-cassazione-in-materia-civile-e-tributaria. CyberJustice Lab, Étude relative aux standards et formats de documents technologiques contenus dans un dossier judiciaire, Montreal University, 2019.

[4] New language versions of European non-discrimination legal handbook now out, European Union Agency for Fundamental Rights (europa.eu).

[5] HIIL, Toegang tot Recht in Den Haag, The Hague, 2020.

[6] Amy Schmitz, Measuring "Access to Justice" in the Rush to Digitize, in 88 Fordham L. Rev 2381 (2020); WJP, Measuring the Justice Gap (final 20 June 2019); Legal needs of Individuals in England and Wales Technical Report 2019/20 - A report jointly commissioned by and undertaken on behalf of The Legal Services Board and The Law Society

[*]

Questo testo nasce da una ricerca svolta nel contesto dell’Osservatorio Nazionale Permanente sull’Esercizio della Giurisdizione. Ha partecipato alla ricerca la Commissione per la Pari Opportunità del Consiglio Nazionale Forense. Sono state altresì svolte interviste in profondità ad un campione di esperti del rapporto fra linguaggio e giurisdizione. Le fonti empiriche qui citate sono accessibili open access sul sito dell’OCSE e sui siti del World Justice Project e della ONG Pathfinders Justice Initiative. Quanto scritto impegna esclusivamente l’autrice. Si ringraziano tutti i componenti dell’ONPG per avere discusso i risultati della ricerca.

24/06/2023
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