Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Dialogando con Robert Spano, Presidente della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

di Daniela Cardamone
giudice del Tribunale di Milano
Siamo tutti “giudici di Strasburgo” e membri di una “comunità” di giudici europei

1. Il Presidente Robert Spano alla luce della sua esperienza personale e professionale

Nato nel 1972 a Reykjavik, in Islanda, Robert Spano, dal 18 maggio 2020, è il 15° Presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed il più giovane della storia della Corte di Strasburgo. Eletto Giudice della Corte Edu il 1 novembre 2013, è stato Presidente di sezione dal 1 maggio 2017 al 30 aprile 2019 e Vice-Presidente dal 5 maggio 2019 al 17 maggio 2020. Di padre italiano e madre islandese, sposato con quattro figli, Robert Spano giunge alla Corte Edu nel 2013 con un notevole bagaglio di esperienza sia umana che professionale. Ha vissuto in Canada, in Italia e in Islanda, ha studiato giurisprudenza in Islanda, Belgio e Regno Unito e parla cinque lingue. È stato sia magistrato che professore universitario di diritto pubblico e di procedura penale e, negli anni 2010-2013, prima di approdare alla Corte Edu, è stato Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Islanda. Il suo background multiculturale lo rende naturalmente propenso alla comprensione di punti di vista di colleghi provenienti da sistemi giuridici ed esperienze professionali del tutto diverse.

Dal dialogo con il Presidente Spano emerge che la distinzione tra “moderazione” e “attivismo” in campo giudiziario - evidenziata da alcuni studi che hanno individuato una maggiore moderazione nei giudici della Corte Edu che hanno svolto l’attività di giudice nazionale e un maggior attivismo in coloro che provengono dal mondo accademico - non va affatto sopravvalutata[1]. L’aspetto fondamentale è, piuttosto, per il Presidente Spano, quello della diversità culturale e di opinioni ed approcci differenti che costituisce il vero punto di forza di una giurisdizione internazionale come la Corte Edu, nel cui prodotto finale sono rappresentate le diverse opinioni e idee. In questa medesima prospettiva di rappresentazione di opinioni ed approcci differenti nel prodotto giurisdizionale finale, per il Presidente della Corte di Strasburgo si colloca anche il tema fondamentale dell’equilibrio di genere nella composizione della Corte stessa[2].

Dalle parole del Presidente Spano emerge, in tutta la sua centralità, il ruolo essenziale delle giurisdizioni interne nel garantire in prima battuta, nell’ambito di una responsabilità condivisa con la Corte Edu, la tutela dei diritti fondamentali. Quali membri di una “comunità” di giudici europei, siamo tutti chiamati a parlare la stessa lingua giuridica e, quali giudici nazionali, siamo chiamati ad acquisire conoscenza della Convenzione e della giurisprudenza della Corte Edu.

Egli in proposito, come si può evincere anche dalla sua produzione scientifica sul tema, ricorda che la Corte Edu, nell’ultimo decennio, ha riformulato la sua giurisprudenza per sviluppare il principio di sussidiarietà e che questa evoluzione giurisprudenziale non conferisce maggiore potere degli Stati membri ma, piuttosto, costituisce il fondamento di una maggiore responsabilità degli stessi, sia pure condivisa con la Corte di Strasburgo, nell’adempiere all’obbligo di rispettare e garantire i diritti fondamentali[3].

Il Presidente Spano, consapevole della difficoltà, che egli riconosce come propria di ogni giurisdizione nazionale e internazionale, di coniugare efficienza e qualità delle decisioni, indica nelle riforme procedurali e nella identificazione delle priorità la strada da seguire per raggiungere questo obiettivo, non senza sottolineare anche l’importanza del ruolo degli strumenti informatici a supporto del lavoro giudiziario.

La produzione di Robert Spano, in sette anni di lavoro alla Corte Edu, è imponente e sarebbe impossibile ripercorrerla nel suo insieme. Possiamo però, in questa sede, ricordare alcuni contributi importanti alla soluzione di casi che, in Italia, sono stati oggetto di particolare attenzione da parte degli addetti ai lavori.

Robert Spano è stato componente del collegio della Grande Camera nel caso G.I.E.M. ed altri c. Italia ed autore, insieme con il giudice belga Paul Lemmens, di un’opinione parzialmente dissenziente e parzialmente concordante. Oltre ad affermare che, al fine di stabilire se una misura debba essere qualificata come “pena”, la Corte Edu si deve basare sulle caratteristiche alla stessa attribuite dal diritto interno e che, dunque, la confisca urbanistica non costituisce una “pena” ma piuttosto una sanzione amministrativa che, in quanto tale, esula dal campo di applicazione dell’art. 7 Cedu, l’opinione separata va nel merito e mette in chiaro la portata del principio di legalità penale convenzionale. Essa chiarisce che l’articolo 7 Cedu, che sancisce il principio di legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege), con i suoi corollari del divieto di applicazione retroattiva ed analogica della legge penale, essenzialmente esige che, nel momento in cui l’imputato ha commesso l’atto per il quale è stato perseguito e condannato, una disposizione di legge in vigore rendesse l’atto punibile e che la pena inflitta non abbia oltrepassato i limiti fissati da tale disposizione. Nell’opinione dissenziente si critica, quindi, l’impostazione della maggioranza che fa discendere dall’esigenza di “prevedibilità” derivante dall’articolo 7 Cedu quella di un “legame intellettuale”, inteso nel senso di una coscienza e volontà, che riveli un elemento di responsabilità nella condotta dell’autore del reato, affermando che tale impostazione non ha alcuna base nella giurisprudenza della Corte Edu, se si eccettua la sentenza di camera Sud Fondi c. Italia, confermata dalla Grande Camera G.I.E.M. ed altri c. Italia. Mediante questa interpretazione dell’articolo 7 Cedu si sarebbe, quindi, operata una commistione tra principio di legalità e principio di colpevolezza, del tutto estranea alla giurisprudenza della Corte Edu in tema di articolo 7 Cedu e, con la sentenza G.I.E.M. c. Italia, con la quale la Corte di Strasburgo ha confermato questo approccio, si sarebbe persa l’occasione per invalidare entrambe le sentenze Sud Fondi e Varvara c. Italia.

Il Giudice Robert Spano è stato componente anche del collegio della grande camera nel caso De Tommaso c. Italia quando la Corte di Strasburgo non ha compiuto quel passo in avanti invocato in un’opinione parzialmente dissenziente di minoranza - che avrebbe condotto all’affermazione della incompatibilità delle misure di prevenzione personali con la Cedu - e ha scelto di non discostarsi dai precedenti riguardanti fattispecie analoghe confermando, quindi, che la misura di prevenzione della sorveglianza speciale non comporta la privazione della libertà di cui all’articolo 5 Cedu ma solo limitazioni alla libertà di movimento, rilevanti ai sensi dell’articolo 2 del Protocollo 4.

Il tema del rapporto tra prevenzione dei reati e tutela della libertà personale ritorna in un altro caso di cui si è occupato Robert Spano, Talpis c. Italia, in tema di violenza nei confronti di soggetti vulnerabili. Nella sua opinione parzialmente dissenziente, Robert Spano evidenzia che, se è vero che gli Stati sono sottoposti a obbligazioni positive finalizzate a combattere la violenza domestica, tale lotta, come ogni altra azione condotta dal Governo per tutelare la vita e proteggere l’integrità fisica dei suoi cittadini, deve essere combattuta entro i limiti previsti dalla legge, non al di fuori di essi ed a costo di limitare illegittimamente la libertà personale. Nel caso di specie, richiamando i precedenti Osman c. Regno Unito e Opuz c. Turchia e facendo applicazione del c.d. test di Osman al caso concreto, egli afferma che non vi era alcun elemento per affermare che l’arresto o la detenzione del marito della ricorrente il giorno dei fatti sarebbero stati conformi all’articolo 5 par. 1 (c) Cedu visto che, a parte lo stato di ubriachezza, non vi era alcun elemento concreto dal quale poter desumere che egli avrebbe potuto commettere un reato e che vi fosse un pericolo reale e immediato per la vita della ricorrente e dei suoi figli. Anche sul tema della violazione dell’art. 14 Cedu in combinato disposto con gli articoli 2 e 3 Cedu, sotto il profilo dell’inadempimento da parte dello Stato dell’obbligo di protezione delle donne contro le violenze domestiche, l’opinione di Spano si discosta dalla maggioranza, richiamando il precedente Rumor c. Italia, che aveva ritenuto la piena adeguatezza del sistema normativo italiano rispetto agli obblighi positivi in tema di violenza domestica (si veda Rumor c. Italia, par. 76)[4].

Un altro caso degno di nota è Paradiso e Campanelli c. Italia, in tema di maternità surrogata, in cui l’opinione di minoranza redatta da Robert Spano e da Guido Raimondi, nella sentenza di camera del 27 gennaio 2015, è stata accolta dalla maggioranza nella successiva pronuncia della Grande Camera del 24 gennaio 2017, la quale ha ritenuto non sussistente la violazione dell’art. 8 Cedu. I due giudici dissenzienti avevano ritenuto che il caso andasse esaminato dal punto di vista della protezione della vita privata dei ricorrenti e non dal punto di vista della loro vita familiare, in quanto l’articolo 8 par. 1 Cedu non può essere interpretato nel senso di sancire una “vita familiare” tra un minore e delle persone prive di qualsiasi legame biologico con lo stesso quando i fatti, come nel caso di specie, suggeriscono che, alla base della custodia, vi è un atto illegale con cui si è contravvenuto all’ordine pubblico. Nell’analisi della proporzionalità che si impone nel contesto dell’articolo 8, si deve, infatti, tenere conto anche delle considerazioni legate ad una eventuale illegalità sulle quali è fondato l’accertamento di una vita familiare de facto.

All’esito di questa breve introduzione, non ci resta, quindi, che augurare buon lavoro al Presidente Spano nel comune impegno, quali giudici europei, di assicurare la tutela dei valori storicamente e culturalmente comuni agli stati europei la quale, in base al principio di sussidiarietà, deve essere assicurata, in primo luogo, attraverso l’azione delle autorità giurisdizionali nazionali, alle quali spetta anche il compito di portare all’attenzione della Corte di Strasburgo il punto di vista del diritto interno, al fine di assicurare un collegamento costante e proficuo tra i due sistemi.

2. Il dialogo con il Presidente Robert Spano

Ruolo della Corte tra passato e futuro: Presidente Spano, la Convenzione è il simbolo dell’identità europea condivisa e rappresenta un patrimonio comune di diritti che ha dato a tutti i cittadini europei il senso di appartenenza ad una comunità di valori, fondata sul rispetto dei diritti fondamentali. Che ruolo ha svolto la Corte Edu fino ad oggi nel costruire questa identità europea condivisa? Che ruolo sarà chiamata a svolgere la Corte Edu in futuro in un’epoca caratterizzata dal riaffiorare di populismi, di nazionalismi e di pericoli di derive autoritarie?

R.S.:La domanda muove dai presupposti importanti, ma non necessariamente non contestati, dell'esistenza di una "identità europea condivisa" e di un rafforzamento del senso di appartenenza comune dei cittadini europei. La Convenzione costituisce una manifestazione esplicita di alcuni valori morali fondamentali e duraturi ai quali è stato dato valore giuridico da un trattato internazionale e che sono continuamente sviluppati da una corte internazionale, la Corte europea dei diritti dell’uomo. La Convenzione e la giurisprudenza della Corte hanno creato per sessant'anni un corpus di diritti e principi che hanno avuto un profondo e, credo, benefico impatto sui sistemi giuridici e anche, in una certa misura, sulle culture politiche negli Stati membri. In alcuni Stati, essa ha incorporato ulteriori principi fondamentali già esistenti di democrazia, stato di diritto e diritti umani. Per altri, ha contribuito alla loro transizione da regimi non democratici o oppressivi a moderne democrazie costituzionali. La Convenzione è uno strumento adottato dagli Stati membri allo scopo di prevenire mutamenti antidemocratici e illiberali verso un autoritarismo non responsabile, simile ai regimi che hanno causato la calamità della seconda guerra mondiale. La Corte, quale massima interprete e esecutrice dei diritti della Convenzione, non vive nel vuoto. Naturalmente, noi giudici siamo ben consapevoli degli sviluppi attuali e siamo consapevoli della necessità che la Corte continui a svolgere un ruolo importante nella salvaguardia dei diritti e delle libertà previsti dalla Convenzione. 

Margine di apprezzamento e principio di sussidiarietà: Dopo la Conferenza di Brighton del 2012 è cambiato il ruolo della Corte Edu e il rapporto tra la Corte e gli Stati parte?

R.S.: Se considerato dal punto di vista giuridico formale, il ruolo della Corte può cambiare solo con un emendamento alla Convenzione. Il protocollo 15, il cosiddetto protocollo di Brighton, non è entrato in vigore, anche se potrebbe presto. Modificherà il preambolo introducendo esplicitamente i principi di sussidiarietà e il margine di apprezzamento nel suo testo. Tuttavia, anche con quell'emendamento del preambolo, il ruolo della Corte non verrà sostanzialmente modificato, poiché questi principi hanno già fatto parte della giurisprudenza della Corte per decenni. Nell'ultimo decennio, la Corte ha cercato sempre più di sviluppare il concetto di responsabilità condivisa del giudice internazionale e delle autorità nazionali, riformulando la sua giurisprudenza per dare più vita al principio di sussidiarietà. È tuttavia importante rendersi conto che questo sviluppo non conferisce più potere agli Stati membri. Al contrario, il suo scopo principale è quello di incentivare gli Stati a fare sempre più del loro meglio per adempiere al loro ruolo, ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione, di proteggere i diritti fondamentali e di garantire che tutti i popoli all'interno della loro giurisdizione godano dei diritti e delle libertà previsti dalla Convenzione».

“Moderazione giudiziaria” e “attivismo giudiziario”: Alcuni studi sulle opinioni separate hanno evidenziato che esiste un diverso approccio tra i giudici che hanno svolto in precedenza attività di giudice nazionale o avvocato e coloro che, invece, provengono dal mondo dell’università. Mentre i primi avrebbero una maggiore tendenza ad accettare l’opinione della maggioranza in nome della collegialità, i giudici che hanno svolto attività di ricercatore o docente universitario avrebbero, invece, una propensione più spiccata a formulare opinioni separate. Presidente Spano, Lei ha svolto in passato sia l’attività di giudice che di professore universitario. Cosa pensa di questi diversi approcci?

R.S: Penso che tali generalizzazioni debbano essere evitate sebbene possano essere interessanti per alcuni commentatori. Quando un giudice di una corte internazionale come la Corte Edu interpreta le garanzie sui diritti umani formulate in senso ampio contenute nella Convenzione, la filosofia giudiziaria entra inevitabilmente in gioco. Il background dei giudici, la formazione, il percorso di carriera e le origini culturali e sociali avranno plasmato questa filosofia in molti anni di pratica e riflessione. È vero che coloro che hanno un background come giudici professionisti possono essere istintivamente più in sintonia con le questioni procedurali e tecniche, mentre gli accademici saranno più a loro agio con i principi dottrinali o teorici che permeano la funzione di giudice. Ma ciò non si traduce necessariamente in una chiara distinzione se un giudice sarà più incline a trovare o meno violazioni della Convenzione. Non è così semplice. Inoltre, anche la dicotomia tra moderazione giudiziaria e attivismo giudiziario è eccessivamente dualistica nella sua formulazione. Alcuni giudici possono essere piuttosto conservatori in un campo della giurisprudenza della Convenzione e più liberali in altri e viceversa. Ciò significa che un tribunale internazionale come la Corte Edu ha bisogno di diversità nella sua composizione in modo che tutte le diverse opinioni e idee possano essere rappresentate nel prodotto finale. Mi permetto di affermare che è proprio questa diversità che ha reso la Corte Edu così influente e di successo negli ultimi sessant'anni. A tale proposito, è di grande importanza anche il raggiungimento dell'equilibrio di genere all'interno della Corte.

Rapporto tra la Corte Edu e i giudici nazionali: Come la Corte Edu e le giurisdizioni nazionali possono migliorare il dialogo tra loro al fine di ottenere una migliore collaborazione nell’ottica della massimizzazione delle tutele? Che ruolo potrà svolgere il Protocollo 16?

R.S.: È di grande importanza per il sistema della Convenzione che i giudici nazionali aspirino, per quanto possibile, ad acquisire conoscenza della Convenzione e della giurisprudenza della Corte. Dobbiamo parlare la stessa lingua giuridica della Convenzione a Strasburgo e Roma, a Strasburgo e Mosca, a Strasburgo e Sarajevo. La Convenzione si basa sull'esistenza di una comunità di giudici europei che insieme, in collaborazione, applicano i diritti e le libertà della Convenzione. Pertanto, tutti i giudici degli Stati membri del Consiglio d'Europa sono in questo senso "giudici di Strasburgo". Il sottolineare l'importanza di questa nozione di “comunità” di giudici europei costituirà uno dei temi principali del mio mandato come Presidente della Corte. Resta da vedere quale sarà l'influenza del protocollo 16 nel processo di rafforzamento del dialogo tra la Corte di Strasburgo e le magistrature nazionali, poiché, al momento, abbiamo trattato solo due richieste di pareri consultivi. Sono fermamente convinto del Protocollo 16 e della sua logica sottostante.

I diritti tutelati dalla convenzione: Presidente Spano, lei è stato componente della Grande Camera nel caso De Tommaso c. Italia e della Camera nel caso Talpis c. Italia. In quest’ultimo caso lei ha anche redatto un’opinione separata. Fino a che punto secondo lei è possibile o necessario limitare le libertà personali al fine di prevenire la commissione di reati/ a scopo preventivo?

R.S.: Se limito la mia risposta al fatto che una persona possa essere privata della sua libertà in conformità con l'Articolo 5 della Convenzione, al fine di prevenire la commissione di reati, la sentenza più importante della Grande Camera su questo tema è S., V. e A. contro Danimarca del 22 ottobre 2018. Qui, la Corte ha interpretato l'articolo 5 § 1 (c) per consentire l'uso della "detenzione preventiva" in determinate circostanze ben definite. 

Nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia lei ha redatto un’opinione separata insieme con Guido Raimondi nella sentenza della Camera che poi è diventata opinione di maggioranza nella sentenza della Grande Camera. In generale, che ruolo può svolgere la Corte Edu nel bilanciare il margine di apprezzamento degli Stati con le esigenze di tutela di nuovi diritti alla luce dalla evoluzione dei costumi sociali?

R.S.: È inerente all'intera struttura della Convenzione che diversi ruoli sono assegnati alla Corte di Strasburgo, da un lato, e alle autorità nazionali, in particolare ai tribunali nazionali, dall'altro. I diritti della Convenzione devono essere innanzitutto garantiti e tutelati a livello nazionale. È in primo luogo degli Stati membri il compito di salvaguardare i diritti della Convenzione e anche di determinare quando è giustificato limitarli. Tuttavia, la Convenzione si fonda sul presupposto strutturale fondamentale che tali decisioni sono soggette alla vigilanza europea della Corte di Strasburgo. Questa dicotomia delle funzioni richiede quindi che la Corte elabori i suoi poteri di revisione e che, in altre parole, determini quando devono essere rigorosi e quando possono essere più deferenti. Questo, a volte, viene chiamato margine di apprezzamento. È molto difficile dare una risposta astratta su come la Corte determina l’ampiezza del margine in un determinato caso; tutto dipende dall'oggetto, dalla disposizione della Convenzione in questione e, in alcuni casi, dalla possibilità di identificare un consenso a livello europeo.

La pandemia e la Corte Edu: A causa dell’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19 assistiamo in questo periodo a limitazioni di diritti fondamentali applicate da molti governi europei. Che ruolo potrà svolgere la Corte Edu nell’individuare il difficile punto di equilibrio tra diritto alla salute ed alla vita ed altri diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione?

R.S.: È evidente che le misure adottate dagli Stati in risposta alla crisi sanitaria in atto possono incidere sui diritti e le libertà tutelati dalla Convenzione, come il diritto alla vita ai sensi dell'articolo 2, il diritto alla vita privata ai sensi dell'articolo 8, la libertà di riunione ai sensi dell'articolo 11 e la libera circolazione ai sensi dell'articolo 2 del Protocollo n. 4. Spetterà, in primo luogo, ai tribunali nazionali decidere, applicando i principi della Convenzione, se i rispettivi Governi hanno adeguatamente giustificato le loro misure e, anche, sulla base dei loro obblighi positivi, attivamente tutelato i diritti garantiti dalla Convenzione. Dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne, i ricorrenti lesi potranno presentare un ricorso a Strasburgo. La Corte dovrà, quindi, esaminare ogni singolo caso sulla base della sua giurisprudenza e, se necessario, chiarire i suoi principi per tener conto delle caratteristiche speciali, della natura e della portata della crisi sanitaria che è, come tutti sappiamo, senza precedenti per dimensioni e complessità, almeno negli ultimi 100 anni circa.

Le procedure della Corte Edu: La Corte Edu negli ultimi anni ha adottato delle riforme per velocizzare le procedure quali, ad esempio, la procedura del Giudice unico per filtrare i casi manifestamente inammissibili e, più di recente, l’applicazione “ampliata” della procedura del Comitato (la c.d. broader WECL procedure) per attribuire al Comitato di tre giudici i casi nei quali esiste una «giurisprudenza che è stata costantemente applicata da una Camera». In che modo è possibile per la Corte Edu trovare un equilibrio tra efficienza e celerità e qualità e trasparenza delle decisioni? Come potrà la Corte Edu raccogliere le sfide del futuro con le poche risorse a disposizione?

R.S.: Raggiungere il difficile equilibrio tra velocità/efficienza e qualità è la sfida per eccellenza per i tribunali, in particolare per una Corte come la Corte europea dei diritti dell'uomo che si trova di fronte a un carico di casi pendenti molto gravoso. La Corte rivede costantemente le sue procedure e i suoi metodi di lavoro nel tentativo di garantire tale equilibrio. È chiaro che le riforme della Corte durante il cosiddetto processo di Interlaken negli ultimi 10 anni o giù di lì, che ora sta per concludersi, hanno avuto in gran parte successo per quanto riguarda l’aver concentrato il nostro lavoro il più possibile sui casi meritevoli e ben-fondati. Tuttavia, permangono sfide, in particolare a causa del gran numero di casi ancora pendenti. Un modo in cui la Corte sta reagendo è quello di tentare di utilizzare la procedura del comitato di tre giudici in modo più completo, strategico e produttivo. Inoltre, la Corte deve anche attuare pienamente la sua politica di definizione delle priorità in modo da poter identificare e assegnare le sue risorse limitate a quei casi che sono di grande importanza per lo sviluppo di solide protezioni dei diritti umani in Europa. Infine, la Corte è in procinto di integrare sempre più l'uso di tecnologie informatiche avanzate per fornire assistenza nel suo lavoro.

Presidente Spano, lei ha origini italiane e conosce l’Italia. Crede che il suo background internazionale è stato per lei una risorsa importante nel suo lavoro alla Corte Edu che è un contesto molto internazionale?

R.S.: Mi è stata posta questa domanda molte volte e direi che la risposta è chiaramente affermativa. Prima di venire alla Corte, non mi ero reso conto fino a che punto il mio background avrebbe influenzato le mie capacità professionali in un ambiente internazionale. Penso che sia giusto dire che lo ha fatto in larga misura. Avere una madre islandese e un padre italiano, aver vissuto in Canada, sia nella parte francofona che anglofona, in Italia e in Islanda, aver studiato legge in Islanda, Belgio e Regno Unito, e avere dovuto utilizzare quattro e talvolta cinque lingue durante la mia vita, mi hanno fatto sentire a mio agio quando sono arrivato alla Corte. Ho scoperto, quindi, che mi trovo a mio agio in un ambiente in cui si devono comprendere e interiorizzare i punti di vista dei colleghi originari di società e culture molto diverse da quelle che ho vissuto. Un background internazionale sembra consentire di adattarsi rapidamente alle mutevoli circostanze e alle diverse relazioni personali. Sono stato molto fortunato ad aver avuto questa esperienza prima di diventare giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo.

 

 

[1] Si veda ad esempio il lavoro di ricerca di: O.Stiansen e E.Voeten, Backlash and Judicial Restraint: evidence from the European Court of Human Rights, 17 agosto 2018, disponibile su SSRN: https://moodle2.units.it/pluginfile.php/248333/mod_resource/content/0/StiansenVoetenPositionPaper.pdf.

Si vedano anche: F.J. Bruinsma, The room at the Top: Separate opinions in the Grand Chambers of the ECHR (1998-2006), Ancilla Iuris (anci.ch) 2008:32; E.Voeten, The politics of international judicial appointments: evidence from the European Court of Human Rights, in International Organization 61, pag. 669-701, 2007.

[2] Sul tema dell’equilibrio di genere nella procedura di elezione dei giudici della Corte Edu si vedano le raccomandazioni e risoluzioni dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa: Recommendation 1429(1999) on National procedures for nominating candidates for election to the ECHR; Order 558(1999); Recommendation 1649(2004) on Candidates for the ECHR; risoluzione 1366(2004), successivamente modificata dalle Risoluzioni 1426(2005), 1627(2008), 1841(2011) e 2002(2014); Resolution 1646(2009) on Nomination of candidates and Election of judges to the ECHR.

[3] R. Spano, Universality or Diversity of Human Rights? Strasbourg in the Age of Subsidiarity, in Human Rights Law Review, Vol. 14, n. 3, 2014, pag. 487–502, https://doi.org/10.1093/hrlr/ngu021. R. Spano, The Future of the European Court of Human Rights—Subsidiarity, Process-Based Review and the Rule of Law, in Human Rights Law Review, Vol. 18, n. 3, 2018, pag. 473–494, https://doi.org/10.1093/hrlr/ngy015.

[4] Si vedano, in proposito, il piano d’azione presentato dal Governo Italiano il 28 marzo 2018 al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (DH-DD(2018)347) dal quale emerge che il corposo sistema di rimedi presente nell’ordinamento giuridico italiano è stato posto in essere in epoca antecedente alla condanna inflitta nel 2017 con la sentenza Talpis c. Italia e la relativa decisione del Comitato dei ministri, adottata alla riunione tenutasi dal 5 al 7 giugno 2018.

03/06/2020
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